Uno gli elementi politici – anche se era e rimane un autentico disvalore – maggiormente gettonato
nella storia democratica del nostro paese è sempre stata l’ideologia dell’anti sistema. Una deriva
che nella politica italiana è sempre esistita ed ha sempre avuto grandi estimatori e un seguito di
massa. Un consenso trasversale che alligna tanto nelle masse popolari con una antica, atavica e
radicata diffidenza nei confronti dello Stato e di tutto ciò che è riconducibile al pubblico e alle
istituzioni e, soprattutto, in settori massicci della borghesia illuminata che, in virtù di un incrollabile
moralismo e una strisciante ed ostentata “superiorità morale” ha sempre manifestato una forte e
massiccia ostilità nei confronti della politica e delle sue articolazioni, a cominciare dai partiti per
estendersi anche al Parlamento e ad altre istituzioni.
Ma, per fermarsi alla realtà contemporanea, è indubbio che c’è stato un partito che sull’onda di
una spietata cultura anti sistema in questi anni ha fatto fortuna. Politica ed elettorale. Una deriva
che si è trascinata dietro altri disvalori e altri elementi corrosivi della vita democratica e
costituzionale. Dal populismo alla demagogia, dal qualunquismo alla impronta anti parlamentare.
Elementi che hanno incrociato il disagio crescente di molti settori della pubblica opinione e che
sono alla base del profondo scollamento tra i cittadini e le istituzioni e del sostanziale discredito
dei partiti e dei politici. I 5 stelle, appunto, grazie a questi disvalori sono entrati nel Palazzo e se ne
sono impossessati. Ma, come quasi sempre capita, una volta entrati nel palazzo semplicemente
non si vuole più uscirne. E tutta la carica qualunquista, anti sistema, qualunquista e populista ha
ceduto il passo ad altri temi. Uno su tutti, come ci ricordano quasi tutti i giorni le cronache
politiche giornalistiche. E cioè, come fare per non uscire dal palazzo e, di conseguenza, dai
benefit e dai privilegi che tutto ciò comporta? Una battaglia su tutte: rimuovere quel “doppio
mandato” che era la regola scolpita nella pietra di quel partito per giustificare la profonda diversità
se non addirittura l’alternativa rispetto a tutti gli altri partiti esistenti – cioè alla fatidica “casta” –
che avrebbe “spadroneggiato e sgovernato” l’Italia per vari decenni. E, accanto a questo, la
simpatica trasformazione di quel partito da movimento populista, anti parlamentare e anti politico
a movimento addirittura “liberal moderato”.
Ora, al di là dei comportamenti e della prassi concreti di quel partito – che a tutt’oggi nessuno sa
che cosa realmente sarà nel futuro – resta una domanda a cui prima o poi occorrerà dare una
risposta seria e convincente. Ovvero, chi interpreterà, d’ora in poi, quella voglia di anti sistema
che, purtroppo, continua ad attraversare larghi settori della nostra vita pubblica? Oppure
pensiamo che con la mutazione genetica dei 5 stella sia stata definitivamente rimossa quella
deriva? Io credo, al riguardo, che proprio in questa stagione i partiti democratici – e non i partiti
personali o del capo o del guru o i banali cartelli elettorali – hanno il compito politico e culturale di
saper rinobilitare la politica e, di conseguenza, ridare credibilità ed autorevolezza alle stesse
istituzioni democratiche. Una responsabilità politica che non si può delegare a nessuno ma che
richiede, invece, da parte dei partiti una risposta precisa, chiara e netta. Qualsiasi tentazione di
assecondare, ancora una volta, la spirale populista e demagogica – presente tanto a destra
quanto, soprattutto, a sinistra – deve essere d’ora in poi battuta alla radice senza alcun
tentennamento. Sarebbe curioso se, dopo il lento tramonto del partito populista per eccellenza,
adesso toccasse agli storici partiti democratici, e di potere, assumere atteggiamenti populisti,
demagogici, anti politici e anti parlamentari pur di assecondare la spirale anti sistema. Sarebbe
non solo la fine della politica ma innescherebbe, ed è quel che più conta, anche la crisi
irreversibile della nostra democrazia.
Giorgio Merlo
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