Storia di donne che seppero “scegliersi la parte”

Le partigiane piemontesi raccontate da Caroline Moorehead  ne “La casa in montagna”

La casa in montagna. Storia di quattro partigiane” (Bollati Boringhieri, 2020) è il libro con il quale Caroline Moorehead  racconta  la storia delle donne piemontesi impegnate nella  Resistenza. L’autrice, una giornalista londinese che conosce bene il nostro paese, ha pubblicato numerosi libri di argomento storico oltre ad aver collaborato con la BBC e le più prestigiose testate giornalistiche anglosassoni come il Times, il Guardian e l’Independent.

Con la sua scrittura chiara e sobria, resa interessante da un efficace ritmo narrativo, la Moorehead ci restituisce una storia corale delle donne che parteciparono alla lotta di Liberazione, mettendo in rilievo le vicende di quattro protagoniste (Ada Gobetti, Bianca Guidetti Serra, Frida Malan, Silvia Pons) animate dagli stessi ideali di libertà e giustizia e al tempo stesso diverse l’una dall’altra. L’innovativo apporto di questo libro alla storiografia della Resistenza si coglie nel punto di vista “esterno” sull’intera vicenda della lotta partigiana e del ruolo decisivo della sua componente femminile. Le storie sono note per i più attenti lettori e per chi si è interessato di questi argomenti; lo stesso si può dire per le fonti alle quali ha diligentemente attinto la scrittrice britannica ( tutte e quattro le protagoniste ci hanno lasciato in eredità un’ampia testimonianza con lettere, diari, documenti). La scelta di occuparsi della Resistenza italiana e, in particolare, di quella piemontese che ne ha rappresentato – per valore, importanza e presenza ben documentate – il vero e proprio “cuore”, lo ha spiegato lei stessa in una intervista rilasciata al Venerdì di Repubblica nei mesi scorsi , motivandola con una doppia ragione: riconoscere il giusto ruolo alla componente femminile del movimento partigiano, raccontando anche al pubblico di altri paesi ciò che accadde e che per troppo tempo è stato sottovalutato e  denunciare le riserve e i pregiudizi che caratterizzarono l’atteggiamento dei militari e del governo inglese nei confronti della Resistenza italiana, preoccupati del ruolo e dell’eccessivo peso  che le forze di sinistra ebbero nella lotta antifascista e antinazista. A giudizio della Moorehead fu l’ossessione del “pericolo comunista” a frenare gli alleati dal riconoscere i meriti dei partigiani, quasi ostinandosi a considerarli alla stregua di “partner inferiori, contaminati dagli anni del fascismo e dal voltafaccia del governo italiano nell’estate del 1943”.

Un anticipo del clima della guerra fredda che non consentì di valutare pienamente e con onestà intellettuale l’imprescindibile contributo dello sforzo partigiano alla campagna d’Italia. Ovviamente il tema centrale de La casa in montagna è la rivendicazione di un ruolo centrale delle donne nella Resistenza piemontese. Lo sviluppa, pagina dopo pagina, imbastendolo su vicende e profili  delle quattro protagoniste, presentate come emblematico esempio di un intero movimento di donne altruiste, forti e motivate, che animarono azioni di ribellione collettiva, sfidando la guerra, la paura e i pregiudizi. Una narrazione che muove dalla cattura, l’uccisione e i funerali delle sorelle Vera e Libera Arduino nella plumbea Torino del marzo del ’45, a meno di un mese e mezzo dalla liberazione. La cieca violenza fascista si scontrò con la ribellione delle donne che espressero solidale affetto alle giovani vittime, protestando al cimitero Monumentale contro un regime ormai in agonia ma capace di reazioni quanto mai dure e  brutali. Non vi era mai vista una manifestazione del genere, organizzata da donne e per le donne; donne che non potevano essere intimidite, né temevano le conseguenze delle proprie azioni. Come venne scritto su “Noi donne” nel luglio del 1944, si avvertiva da tempo che era “giunto il momento di dare tutto per salvare la nostra Patria, la nostra vita, il nostro pane. Non dobbiamo più avere esitazioni. Dimostriamo coi fatti che anche noi […] sappiamo imporci qualsiasi sacrificio”. E così fecero. Con concretezza e coraggio. “ Tra il 1943 e il 1945 in tutta l’Italia occupata le donne insorsero a migliaia, per unirsi alla Resistenza e combattere per la liberazione del loro paese”, scrive la giornalista britannica. “A renderle straordinarie era il fatto che l’Italia fascista, sotto il ventennio del governo Mussolini, le aveva trasformate in ombre: non avevano diritti, né voce, né uguaglianza, nessuna possibilità di esprimersi né riguardo alla propria vita né in merito al governo del paese. Che avessero trovato il coraggio, la determinazione e l’altruismo per lottare e spesso subire arresti, torture, violenze ed esecuzioni: fu questo a renderle davvero eccezionali”. Nel libro, accanto alle quattro principali protagoniste sono molte le figure che si incontrano tra le pagine dei diciannove capitoli, intrecciando le loro storie, accompagnando il lettore nei venti mesi della lotta partigiana fino ai primi passi del paese liberato che alcuni di loro, persa la vita per le loro idee, non faranno in tempo a vedere.

Le staffette Lisetta Giua, fidanzata di Vittorio Foa, e Lucia Boetto, Matilde di Pietrantonio e Gigliola Spinelli; uomini e donne che subirono le discriminazioni razziali imposte dalle leggi contro gli ebrei, la deportazione come Primo Levi o la morte come Emanuele Artom; partigiani come Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Willy Jervis, il generale Perotti, Ferruccio Parri, Don Francesco Foglia (noto come “don Dinamite”), Giulio Bolaffi, Tancredi Galimberti, detto Duccio e tanti altri.  C’è anche la figura straordinaria di Suor Giuseppina Demuro,  madre Superiora delle Figlie della carità della congregazione di San Vincenzo De Paoli, una religiosa  sarda di Lanusei che portò senza sosta conforto, alimenti e indumenti nelle celle del braccio femminile del carcere torinese “Le Nuove”, alleviando gli ultimi istanti di vita dei condannati a morte. Una donna coraggiosa che seppe distinguersi nella resistenza disarmata. La lettura di questo libro è un utile esercizio per rammentare, non solo in occasione delle ricorrenze del calendario civile, quanto sia stato grande il contributo delle donne alla lotta di Liberazione. Un contributo quantificabile non solo numericamente ma per l’importanza e la qualità delle conseguenze – culturali e sociali prima e politiche poi –  che ne scaturirono. L’apporto femminile fu massiccio sin dai primi momenti della lotta partigiana arrivando fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945, con la completa liberazione del Paese. Non è possibile citare cifre che descrivano esattamente quante donne aderirono e si sacrificarono per la Resistenza perché molte di loro, appena conclusa la lotta, ritornarono in pieno alla loro vita familiare e di lavoro, scegliendo l’anonimato. Stando però ai calcoli di esperti militari si può affermare che le donne che furono impegnate in compiti ausiliari nella Resistenza italiana non furono meno di un milione, mentre, secondo le statistiche ufficiali, le partigiane combattenti furono circa 35 mila. Un dato considerevole che rappresenta ben più di un quinto del movimento resistente.

I ruoli che ricoprirono furono molteplici: dalla partecipazione alle agitazioni nelle piazze alla preziosa e pericolosa attività delle “staffette”, dalla cura e dal rifocillamento di feriti e sbandati alla raccolta di armi, munizioni e indumenti e, infine, alla dura e spesso sanguinosa lotta sulle montagne. Le donne che parteciparono alla Resistenza, fecero parte anche di organizzazioni come i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP) che agivano nelle città e ,inoltre, fondarono i Gruppi di Difesa della Donna, “aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica o religiosa, che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione“. Così le donne irruppero sulla scena e scelsero da che parte stare diventando soggetti attivi dei cambiamenti storici. Conquistarono il diritto al voto e lo esercitarono per la prima volta alle elezioni amministrative e poi alle politiche del 2 giugno 1946 per eleggere l’Assemblea Costituente e nella scelta referendaria tra monarchia o repubblica. L’esperienza delle protagoniste de La casa in montagna. Storia di quattro partigiane, così come quella delle tante che seppero “scegliersi la parte”, è stata determinante per le donne italiane che dal ’45 in poi si sono battute instancabilmente per il loro coinvolgimento attivo nella vita politica del paese, conquistando diritti legali, economici e politici verso la parità.

Marco Travaglini

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo Precedente

I colori al tempo del Covid

Articolo Successivo

Ambiente, Torino troppo motorizzata. Ma promossa in ciclabilita’

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta