Se la memoria ti porta per antichi passi
Ci sono cascato ancora una volta. Tanto, lo so bene, sono sempre loro a vincere. Sì, proprio loro, i ricordi. Quei dannati, benedetti ricordi che anche oggi mi hanno portato qui. Via Madama Cristina, al civico 34, a Torino. Febbraio 2021. E’ l’ultimo sabato di zona gialla in città. Da lunedì primo marzo, si diventa arancioni. Mio Dio, quando finirà questo terribile incubo della pandemia? Ci penso un attimo, solo un attimo, e subito ricomincia il gioco perverso (forse ridicolo) di sempre.
Di ogni volta che vengo qui. E mi capita non di rado, in questi anni che hanno superato di gran lunga quelli della prima e della seconda giovinezza. Dovrei già essermi stufato, eppure eccomi ancora qui. Come calamitato da forze invisibili e misteriose. Ancora una volta ad assecondare l’amara dolcezza dei ricordi. O meglio, la trappola dei ricordi, in un rapido emozionante flashback che mi porta indietro di oltre sessant’anni. Ed eccolo. E’ sempredannatamente teneramente lui. Lui che sul marciapiedi di fronte mi appare nell’innocente freschezza dei suoi 7 – 8 anni. Siamo a metà anni Cinquanta del secolo scorso. Il traffico delle auto sulla via scompare all’improvviso, quasi del tutto. Pantaloni corti, maglietta a righe e a maniche corte, una timida frangetta sulla fronte. Una palla a rombi bianco-neri fra le mani.
Eccolo, ancora una volta. Ma cribbio! Come fa a esserci sempre, quando io passo da queste parti? E io, fesso che sono, mi fermo e lo osservo, parlandogli con gli occhi. Questa volta, per giunta, dietro la mascherina FFP2, come in un bel sognoche torna e ritorna e che comincia il suo percorso fra mente, cuore e rocambolesche giravolte di emozioni.Sempre uguale, sembra non essersi mai spostato di lì, il ragazzino. Ne ricordo bene il sorriso, la timidezza, la scrupolosa attenzione a non scendere sulla strada e a non “dare retta agli sconosciuti”, come sempre gli raccomanda la mamma. Seduto su uno dei due paracarri in pietra posti a proteggere a fine ‘800 le carrozze dei signorotti che da lì entravano per accedere nel cortile alle scuderie e che stanno alla base di quell’immenso, pesante portone con decori stampati probabilmente in ghisa (mi suggerirà poi l’amico-fraterno, architetto e pittore Pippuzzo Leocata) in stile fine Liberty – inizi Déco (mi suggerirà sempre il buon Pippuzzo), mi sta osservando fisso. Abbozza un sorriso e un accenno di saluto con la mano. Sì, sono ancora qui. Contento?Ancora una volta hai vinto. Mannaggia, ‘sta trappola dei ricordi! Ridi, ridi pure, mentre aspetti il papà che con il tram (forse l’1) arriva proprio lì, davanti a quel portone che sembra racchiudere gli spazi di un bunker, al termine del suo turno di lavoro alle carrozzerie di Mirafiori.
Poco distante, alla tua destra, oltre la Caffetteria dell’Ateneo– anch’essa ferma lì nel tempo e dove al giovedì sera s’andava a vedere in Tv il “Lascia o raddoppia?” del Mike nazionale – attraversato quel tratto del corso Marconi ( ch’é oggi isola pedonale) c’è la tua scuola.Sembri indicarmela. La storica elementare “Rayneri”, oggi Istituto Comprensivo “Manzoni”. Come se non lo sapessi! Guarda che in quella scuola ci sono andato anch’io, per cinque anni. Tu ed io. Gli stessi che oggi si fissano sornioni, sogghignando. Io over 70, tu sessant’anni abbondanti in meno. Io e te. La stessa persona. Mi giro e mi ritrovo specchiato nella vetrinascintillante di un nuovissimo post-millenial negozio di elettronica e pc (no, allora non c’era, figuriamoci!) e mi vien da ridere. Vecchio rinco – mi dico – che ti trovi sempre più spesso a rincorrere il subdolo richiamo dei ricordi. Come Ulisse con le Sirene. Solo che lui furbo (certamente più di te) riuscì a resistere al loro maliardo canto. Tanto che le leggendarie creature figlie del dio Acheloo e di Melpomene, indispettite, si uccisero gettandosi a mare. Tu invece no! E mentre mi perdo in queste folli elucubrazioni, ecco che dal portone della “Rayneri”, quello riservato ai maschietti (l’altro era solo per le femminucce) mi pare di vedere uscire due grandi maestri, il tondetto, dal sabaudo stile cavouriano, Mela e il burbero ma dolcissimo Persenda che ci avviò ai piaceridella Musica. Io (tu) imparai a suonare –parolona grossa – niente meno che l’ocarina, comprata forse nell’antica cartoleria di via Madama ancora lì a due passi, poco distante dal vecchio palazzo dove abitava il tuo (mio) amico del cuore, il bravo e buono La Marca. Ritorno su di te. Ti sbracci. Saluti. Lanci la palla al papà che, in uno sferragliare di ruote Atm poco cambiato nel corso deltempo, è appena sceso dal tram e corre ad abbracciarti.Ultimo flash, ultima scontata sequenza, l’aprirsi del megagalattico portone, un saluto al vecchio bonario e simpatico portinaio che fu “ragazzo del 99” e via su per il lungo tragitto delle scale. Fino al quinto piano. Anche oggi è andata. Sono certo che ci rivedremo. Patrizia, la donna che mi sopporta e supporta da quarant’anni, haintanto scattato con lo smartphone (no, non chiedermi cos’é…allora non c’era) alcune foto e le sta inviando via whatsapp (no, lascia stare, anche questo non c’era) alle mie adorate Enina e Bea. Certo, mi piacerebbe anche poterle inviare alla mia mamma e al mio papà. Ma dove oggi stanno loro questi social non sono ancora arrivati.Lì penso siano arrivati solo i social dell’anima, quelli sì. E a portarli in alto è proprio il soffio lieve dei ricordi. Ne sono sicuro. Proprio quella balorda ma magnifica trappola dei ricordi!
Gianni Milani
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