IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Fino a 50 anni fa “La S t a m p a” era un giornale di dimensione regionale. Ricordo che quando andavo in vacanza a Bordighera, negli ultimi anni 60, eravamo in pochissimi a comprare quel giornale perché l’informazione era egemonizzata dal “Secolo XIX” e in minima parte si identificava con “Il Lavoro”, il giornale storico di Canepa e Pertini.
Dal primo febbraio ebbe inizio in Liguria, soprattutto nelle provincie di Savona e di Imperia, l’avventura del giornale torinese allora diretto da uno dei migliori direttori che abbia mai avuto, Alberto Ronchey, affiancato da Giovannini, un altro grande giornalista, destinato poi a ruoli editoriali dentro e fuori i giornali. Sembrava quasi l’uovo di Colombo non aver mai pensato di espandere il giornale in territori abitati da tanti piemontesi e scelti per le loro vacanze da moltissimi torinesi e cuneesi. L’avventura decollo’ con solo due pagine, poi via via si sviluppò fino a creare delle edizioni autonome a Savona ed Imperia con una redazione anche a Sanremo. Venne creata una fitta rete di corrispondenti che arricchi’ il giornale, rendendolo non solo competitivo sul territorio, ma via via capace di superare nettamente la concorrenza del “Secolo” che divenne un quotidiano tendente ad una informazione scandalistica sul tipo dei giornali del pomeriggio. “La Stampa” si conquisto’ un grande prestigio in Liguria con la serietà dei suoi servizi, mai urlati, ma frutto di notizie rigorosamente vagliate. Il giornale torinese seppe diventare ligure anche per le grandi iniziative lanciate soprattutto nei mesi estivi, capaci di attrarre migliaia e migliaia di persone. Fu un’ operazione che non riuscì neppure al grande capocronista torinese Ferruccio Borio che aveva creato un legame magico con i suoi lettori. I liguri via via abbandonarono il “ Secolo” per affezionarsi alla “Stampa”. Non fu un lavoro facile perché il ligure è attaccato alle sue tradizioni e l’egemonia piemontese non l’ha mai molto gradita neppure nel Risorgimento. Anima, demiurgo assoluto ed esclusivo di quell’ impresa è stato Sandro Chiaramonti, redattore capo e responsabile di quelle pagine fino a pochi anni fa, quando improvvidamente il gruppo Elkann si accordo‘ con l’editore del “Secolo”, facendo in una piccola regione un’operazione impensabile: fondere le redazioni, utilizzare gli stessi articoli per i due giornali con l’unico risultato di distruggere il lavoro di decenni fatto da Chiaramonti, con una perdita secca di copie e di qualità dei due giornali in mano allo stesso editore. Il pluralismo informativo in Liguria cesso’, venendo a mancare la concorrenza, senza che nessuno aprisse bocca. Nel numero de “La Stampa” di ieri leggo nell’edizione ligure un accurato racconto del cinquantenario che rammenta anche la cena svoltasi nel febbraio 1970 al “Girarrosto “ di Imperia con Giovannini. Non una parola, neppure il nome, su Sandro Chiaramonti, il vero artefice di quella grande stagione giornalistica che seppe far diventare ligure un giornale torinese con una capacità e una sensibilità eccezionali, direi uniche.
E neppure una parola per giornalisti importanti come Romano Strizioli, che nella zona di Alassio e Albenga contribuirono con il loro radicamento locale al successo del giornale. Dimenticare, nascondere, anzi cancellare la storia è manifestazione di un giornalismo non consono con le grandi tradizioni (ormai scomparse) del giornale torinese. E’ anche un segno di meschina ingratitudine. Alberto Ronchey si rivolterebbe nella tomba.