“Botox” dell’iraniano Mazaheri taglia il traguardo del TFF

Terminato il 38mo Festival  per la prima volta on line

Il presidente del Museo Nazionale del Cinema, Enzo Ghigo, ha sottolineato la riuscita “nell’impresa per nulla scontata di dare una soluzione di continuità al festival” e ha perfettamente ragione.

I timori c’erano, i preparativi e i meccanismi potevano incepparsi ad ogni momento. Non era facile gestire una macchina che per anni ha operato su fronti ben diversi, subito tangibili, affidandosi tra l’altro alla presenza del pubblico e al grande contenitore che sono le sale cinematografiche. Che ci sono personalmente mancate, non ci stancheremo mai di dirlo, successo primo, nella loro visione di affluenza, delle tante edizioni del TFF. A quella appena terminata, la numero 38, è inevitabilmente venuta a mancare quella presenza, con le code e gli immediati scambi d’opinione, l’on line ha vinto, nel chiuso delle case, nella speranza che l’edizione prossima veda tutta la sua sconfitta.

C’è stato un apprezzabile lavoro nelle scelte del gruppo di selezionatori, anche se con il passare dei giorni del festival era facile scremare e cancellare alcuni titoli davvero deboli; c’è stato il verdetto finale della giuria formata da sole donne che ha scelto con grande intelligenza. L’intelligenza di saper cogliere ed elevare tante importanti realtà, i drammi personali e lo sguardo sulla quotidianità di molti paesi, le storie e la Storia, i mutamenti e le speranze, le solitudini e le angosce, la mancanza di futuro e il desiderio di salvifica evasione, la famiglia e i conflitti tra generazioni. Realtà che in alcuni esempi, nella loro descrizione, hanno mostrato ancora un passo incerto, altre che già hanno affermato le capacità e la forza dei propri autori, di cui s’attende ora un percorso ulteriore. Per ognuno degli autori presenti in concorso, potrebbero essere valide le parole, le più poetiche, dette durante la premiazione – una delle tante presenze in streaming – da Fernanda Valadez, Premio speciale della Giuria per il suo Sin sinas particulares: “Abbiamo affidato una piccola bottiglia al mare sperando che qualcuno la trovasse e voi l’avete trovate”, espressioni di fiducia in un momento difficile. Mercedes Hernandez, la madre condotta per mano dalla Valadez tra silenzi e sguardi attenti e attoniti alla ricerca del figlio scomparso al confine tra Messico e Stati Uniti, è stata scelta come migliore attrice, il migliore attore è risultato Conrad Mericoffer, poliziotto gay in Camp de Maci – Poppy field diretto dal rumeno Eugen Jebeleanu, una prova che primeggiava su quella dei tanti colleghi. Il titolo che a chi scrive era sembrato più degno di attenzione, per la perfetta crudeltà che serpeggia nel racconto, per quel filo di humour nero con cui l’autore cerca di alleggerire i contenuti, per quella descrizione sottile di rapporti familiari, è stato scelto dalla giuria come miglior film: Botox dell’iraniano Kaveh Mazaheri, che si porta via anche il premio per la migliore sceneggiatura. Una prova di maturità, incondizionata.

Che chiude con un bel risultato di condivisione questa edizione del Torino Film Festival, nuovo, inesplorato, difficile: ma riuscito. Festival che non si ferma qui, avverte un comunicato stampa. Ci si deve attendere una maratona di Capodanno, sempre su Mymovies, dalle 12 del 31 dicembre e per 24 ore. Per informazioni www.torinofilmfestival.org. Tutto in attesa di tempi migliori, senza transenne e affollati.

Elio Rabbione

Nelle immagini: “Botox” di Kaveh Mazahari, miglior film e miglior sceneggiatura; Conrad Mericoffer in “Camp de Maci” e Mercedes Hernandez interprete di “Sin sinas particulares” di Fernanda Valadez

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