In programma dal 20 al 28 novembre / Strano, questo Torino Film Festival che prenderà il via il 20 per chiudersi il 28 di novembre.
Ci eravamo abituati a quelle code che preludevano ad inquadrare il film che s’andava a vedere o a quei panini considerati frettolosi intervalli tra una proiezione e l’altra, magari felice opportunità a scambiare quattro impressioni con chi saliva con noi verso lo schermo.
Arrivato alla sua 38ma edizione, con un badget di circa un milione e 200 mila euro, il TFF che vedremo è costretto a rinunciare ad una ipotesi di formula mista, ovvero la somma ancora piacevole della sala di proiezione e di un’intrusione nel vasto mondo della rete: poi il tutto, considerata l’invasione giorno dopo giorno più pericolosa della pandemia, del morbo che uccide fisicamente e culturalmente, ridotto ad un trasferimento esclusivamente on line. Il presidente del Museo Nazionale del Cinema, Enzo Ghigo, parla di “piazza virtuale”, di “avvolgente accoglienza”, dell’occasione per “ritrovarsi”, ma sappiamo già fin d’ora che non sarà la stessa cosa. Che niente sarà più, bello ed entusiasmante, come prima.
Il progetto, una retrospettiva, che da mesi Emanuela Martini pensava di potere portare a termine s’è dovuto cancellare, vista la mancanza dei diritti in streaming, tanto per cominciare a dire un appuntamento di cui sentiremo la mancanza. Ci si inventa, e lode sia, fasce orarie (sulla piattaforma MyMovies, dalle 14 del pomeriggio per una disponibilità di 48 ore; ogni singola proiezione avrà il costo di euro 3,50, a scelta un carnet di 10 film per il costo di 30 euro sino a giungere ad un abbonamento sostenitori di 100 euro, per quella idea di comunità festivaliera che il direttore del TFF Stefano Francia di Celle desidererebbe sempre più in espansione), la visione di film restaurati (“In the Mood for Love”, datato 2000, capolavoro di Wong Kar-wai), libri autori e masterclass, “mettendo in luce il fondamentale ruolo educativo del festival, che vuole avvicinare i giovani creando gli spettatori di domani, in forte affinità con quella che è la mission del museo”, come sottolinea Domenico De Gaetano, Direttore Museo Nazionale del Cinema. Come se non bastasse, proclami alle stelle, altisonanti: “Con l’edizione 2020, il Torino Film Festival afferma il suo impegno nei confronti degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Uniti, concentrandosi in particolare sul raggiungimento degli obiettivi numero 4 (Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti), 5 (raggiungere l’eguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze), 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni) e 16 (Pace, giustizia e istituzioni forti)”. Per mettersi sulla buona strada sin dall’inizio, si dà voce per il concorso ufficiale ad una giuria tutta al femminile, cinque giurate senza far posto alla di una presidente, par inter pares come alla tavola di re Artù e si ritira fuori dal mazzo la carta glamour conferendo a Isabella Rossellini il Premio Stella della Mole “per l’innovazione artistica” (siamo alla prima edizione, sarà stato difficile andare a scartabellare i curriculum dei possibili premiandi…), “riconoscimento per la sua inesauribile creatività, l’esplorazione di ogni forma d’arte e l’incommensurabile capacità di trasformarsi per interpretare con altrettanta efficacia sia Alfred Hitchcock che un ragno”. Si è pure scomodato Gustavo Rol, cui in grande amicizia Fellini ricorreva per dare corpo al versante onirico di certe sue storie, portatore di quell’atmosfera “del mistero e dell’ignoto, dell’inspiegabile e del bizzarro” che serpeggia tra tanto cinema. A scegliere, sono 12 titoli da inquadrare ancora meglio nei giorni prossimi, tra il danese “Breeder” di Jens Dahl, il sudafricano “ Fried Barry” firmato da Ryan Kruger, il russo “Mom, I befriended Ghosts” di Sasha Voronov e “The oak room” del canadese Cody Calahan.
A sfogliare il programma, ci imbattiamo ancora in “Torino Corti 38”, negli otto titoli di “Back to Life”, dove trova posto il passato e il presente, una memoria del cinema e il racconto di una società, da “Avere vent’anni” (1967) di Fernando Di Leo al “Federale” di Luciano Salce; nel “Fuoriconcorso”, “sezione variegata”, un festival dentro il festival fatto di opere prime e seconde che raccontano, a detta dei selezionatori, quel che di più interessante ci avrebbe dato l’annata cinematografica, opere che non hanno trovato posto nella selezione ufficiale ma che comunque meritano un ben preciso posto di riguardo, meritevoli di distribuzione. In collaborazione con Seeyousound arriva “Billie”, documentario su Billie Holiday di James Erskine, e con Fish&Chips “Une dernière fois”, opera prima di Olympe de G.; collaborazioni pure con gli attori del sistema cinema torinese come Film Commission Torino Piemonte (“1974-1979 Le nostre ferite” di Monica Repetto e “Nuovo cinema paralitico” di Davide Ferrario), Torino Film Lab (“The Salt of our Water” esordio del regista bengalese Rezwan Shahriar Sumit) o Associazione Museo Nazionale del Cinema che quest’anno assegna il Premio Maria Adriana Prolo a Cecilia Mangini, regista e fotografa, di cui sarà proiettato “Due scatole dimenticate – Viaggio in Vietnam”, realizzato con Paolo Pisanelli. Ancora all’interno di “Fuoriconcorso”, uno sguardo al teatro con Paul Vecchiali (“Une soupçon d’amour”, tra rivalità amorose al femminile ed l’”Andromaque” di Jean Racine) e all’arte di Ezio Gribaudo (“La bellezza ci salverà” di Alberto Bader) o di Helmut Newton, maestro della fotografia nel ritratto (“The Bad and the Beautiful”) che ne ha fatto Gero von Boehm, o ancora a quella di Franca Valeri, con “Zona Franca” di Steve della Casa; del napoletano Antonio Capuano “Il buco in testa”, con Teresa Saponangelo, ispirato alla vicenda della figlia di un vicebrigadiere di polizia ucciso da un militante di sinistra e il suo incontro, anni dopo, con l’assassino, o di Tony D’Angelo “Calibro 9”, riduzione d’un titolo anni ’70, attualissima storia di ‘ndrangheta con Marco Bocci e Alessio Boni.
Nel panorama complessivo 133 film (su un totale di 4000 opere visionate), suddivisi in lungo medio e cortometraggi, opere prime e anteprime mondiali e internazionali, 4 anteprime europee e 40 italiane. Dodici i film in concorso, Romania, Brasile, Francia, Stati Uniti, Nigeria, Austria, Belgio e Korea tra i paesi partecipanti, unico titolo italiano “Regina” di Alessandro Grande, la storia di una quindicenne orfana di madre, il cui sogno è diventare una cantante. L’unico a credere nel suo talento e ad offrirle ogni aiuto è il padre, che ben la comprende dal momento che lui stesso ha dovuto rinunciare alla propria carriera musicale pur di restare accanto alla figlia. Un legame fortissimo fino al giorno in cui un evento imprevedibile cambierà le loro vite. Da tener d’occhio, produzione Messico-Spagna, “Sin senas particulares” di Fernanda Valadez, una madre alla ricerca del proprio figlio che da mesi ha abbandonato il Messico per cercare un altro avvenire al di là della frontiera con gli Stati Uniti.
Elio Rabbione
Nelle immagini, “Regina” di Alessandro Grande e “Sin senas particulares” di Fernanda Valadez, in concorso; “Une soupçon d’amour” di Paul Vecchiali e “Un buco in testa” di Antonio Capuano, per “Fuoriconcorso”
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