L’arte dei poggiatesta africani, tra il mondo di ieri e quello di oggi

Pubblicato il volume “Africans Headrests”, autori Albertino, Alberghino e Novaresio

L’interesse per il particolare, la passione per l’oggetto prezioso che s’allontana dall’artigianato per avvicinarsi a simbolo artistico. Africans Headrests s’intitola il volume che Bruno Albertino, Anna Alberghina (a testimoniare con le proprie fotografie narrazioni e considerazioni) e Paolo Novaresio hanno pensato in tempo di lockdown e dato alle stampe (pagg. 144, Effatà Editrice), tirando fuori dalle loro collezioni gli esempi più belli, raccolti negli anni in occasione di suggestivi viaggi, sempre all’insegna – quantomai costante, seppur a volte inattesa – della “meraviglia”, come dallo sguardo attento rivolto a gallerie d’arte e ad antiche collezioni. “Il libro vuole essere un’immersione nella creatività artistica, nella bellezza, nei valori magici e religiosi e nell’etnografia dell’Africa dell’Est e del Sud, attraverso gli occhi degli Autori che ancora oggi dopo tanti anni non si stancano di meravigliarsi di fronte al prodigio di questi piccoli capolavori”, sottolinea Albertino nella presentazione al volume. Ma di che si tratta?

Dei poggiatesta, oggetti d’uso comune ma pure oggetti d’arte, semplici e assai diffusi in quelle aree, sculture prevalentemente in legno, utilizzate (in special modo dai maschi che li portano sempre con sé durante i vari spostamenti, per le donne l’uso è esclusivamente domestico) durante il sonno per proteggere le acconciature come pure per poter riposare nella sicurezza di mantenere la testa sollevata dal suolo, al sicuro dagli insetti molesti e pericolosi. Curioso quanto siano importanti le acconciature, che sono a indicare genere, stato e rango. Che possono anche significare uno stretto legame tra terra e cielo: l’acconciatura dei Pokot contiene ad esempio capelli degli antenati, per cui giunge ad essere un tramite del contatto con la Terra, dove sono vissuti gli antenati, dove i discendenti continuano a pascolare le mandrie e a badare alle coltivazioni. Inoltre, come importante è l’aspetto estetico, così appare assente quello rituale: anche se, coincidendo spesso in Africa ruolo rituale e ruolo sociale, un poggiatesta che mostri l’eleganza della propria forma sottolinea il rango dell’individuo e il suo ruolo nel gruppo. Senza dimenticare, per noi strano a dirsi, come sia credenza che il poggiatesta possa anche essere un mezzo per dare concretezza ai sogni, segno di comunicazione con l’aldilà. Una storia che si divide tra quotidianità e spiritualità; e poi antichissima, considerando che questi oggetti risalgono alla cultura dell’antico Egitto (storicamente apparsi durante la seconda e terza dinastia dell’Antico Regno, circa nel 2600 a.C.), molti conservati fino a noi – facevano parte dell’arredo funerario del faraone o di altra personalità – grazie alla loro fattura in alabastro o, seppure in legno, al clima secco del deserto. Spiega ancora Albertino: “Per quanto sia difficile tracciare legami tra le civiltà antiche del bacino del Mediterraneo e quelle dell’Africa Nera e non vi siano evidenze scientifiche di influenze dirette, tuttavia è innegabile che le forme dei poggiatesta di Sudan, Etiopia e Somalia siano estremamente simili a quelle dell’antico Egitto”.

Per la costruzione di ognuno, il tempo impiegato è di poco più di una settimana. Scelto un albero, dal significato magico e religioso, se ne usa il legno duro e resistente, se ne crea l’oggetto con l’aiuto di una piccola ascia e di un coltellino per le rifiniture e, dopo una settimana a sedimentare, lo si strofina con foglie, terra, burro e grasso di animale: aggiungendovi poi inserti ornamentali, piccole colonne a supporto, rappresentazioni antropomorfe o zoomorfe come abbellimenti che possono essere perle, fibre, cuoio o metallo. Stiamo qui parlando di oggetti cui si intende mantenere una ben precisa essenza artistica: anche se bisogna riconoscere che, divenendo l’uso del poggiatesta sempre meno frequente in questi ultimi tempi ed essendo la reperibilità sempre meno facile, la qualità estetica è ogni giorno più scarsa, “a causa del peggioramento delle tecniche di fabbricazione e della scomparsa degli artigiani”. Paolo Novaresio, considerando – a tratti con intelligente ironia – un buon numero di popolazioni, analizza il cambiamento dello scenario dei territori, delle abitudini, degli usi che vanno pressoché scomparendo. Gli Zulu, ad esempio. Là dove, il 22 gennaio 1879, l’esercito inglese subì una delle più gravi sconfitte della sua guerra coloniale, con troppa fiducia nelle proprie forze e nella disorganizzazione in quelle che continuava a credere orde di selvaggi, molto è cambiato. Oggi costituiscono una popolazione di dodici milioni di individui, un’organizzazione politica che ha alla base la famiglia (un uomo, una donna e i figli naturali, dove la poligamia va scomparendo, dove i maschi adulti sono costretti a cercare nuove strade di sopravvivenza, un lavoro nelle miniere o nei grandi complessi industriali) ed un sovrano all’apice, che raccoglie tutavia in sé un potere prevalentemente simbolico: una popolazione che nel complessivo degrado vede pure l’arte (e l’artigianato) regredire in maniera sempre più concreta. Scomparendo sempre più un mondo che questo inatteso volume ha voluto esaurientemente riscoprire, scrive amaramente Novaresio: “I poggiatesta, veri e propri capolavori artistici, non sono più in uso da decenni, totalmente sostituiti da cuscini di gommapiuma. Potete battere palmo a palmo, capanna per capanna, tutta la valle del Tugela, cuore della civiltà zulu, senza vederne neppure uno. I pochi rimasti sono custoditi nelle gallerie d’arte di Durban o Johannesburg, in vendita a prezzi astronomici”.

Elio Rabbione

Nelle immagini:

1) esempi di poggiatesta;

2) Dinka, Sud Sudan, 22 cm, coll. Albertino&Alberghina;

3) Hadiya e Kambatta, Etiopia, 20 cm, coll. Albertino&Alberghina

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