Alla ricerca del futuro dell’Europa

La “Conferenza sul futuro dell’Europa” che si potrebbe aprire il 9 maggio prossimo – Festa dell’Europa e settantennale della Dichiarazione Schuman – dovrà molto alla visione e alla pervicacia di Emmanuel Macron

A inizio marzo 2019, nel suo appello “per un Rinascimento europeo” (pubblicato nel sito dell’Eliseo in tutte le lingue dell’Ue), il Presidente francese invitava a lanciare “una Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati”.

 

L’appello di Macron ha trovato il sostegno della (allora candidata) Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, davanti al Parlamento europeo, il 16 luglio scorso: “voglio che i cittadini europei svolgano un ruolo attivo e determinante nella costruzione del futuro della nostra Unione. Voglio che possano dire la loro in una conferenza sul futuro dell’Europa, da avviare nel 2020 per una durata di due anni”. Un impegno ribadito negli “Orientamenti politici 2019-2024” della sua Commissione, nei quali sottolinea che è “pronta a dar seguito a quanto verrà deciso, se opportuno anche mediante un’azione legislativa” ed è “aperta a eventuali modifiche del trattato”.

I primi Paesi membri a muoversi sono stati, come prevedibile, Francia e Germania, con un “non-paper on key questions and guidelines” sulla Conferenza. Un documento utile sia per delinearne i primi aspetti di metodo e di merito sia per intuire i paletti che potrebbero essere frapposti dagli Stati agli obiettivi della Conferenza. Francia e Germania sposano la proposta della Presidente von der Leyen di partire da un accordo inter-istituzionale e paritetico Commissione-Consiglio-Parlamento europeo e ipotizzano due fasi, la prima dedicata al funzionamento democratico dell’Ue (in particolare sul metodo degli Spitzenkandidaten e su possibili liste transnazionali), la seconda alle priorità nelle politiche dell’Unione. Questo con la partecipazione di tutti gli Stati membri (anche attraverso conferenze tematiche) e con un approccio bottom-upche coinvolga i cittadini europei.

Il Consiglio europeo del 12 dicembre scorso, nelle sue Conclusioni, ha chiesto “alla presidenza croata del Consiglio di adoperarsi per definire una posizione del Consiglio sui contenuti, la portata, la composizione e il funzionamento di tale conferenza e di avviare il dialogo con il Parlamento europeo e la Commissione su tale base”. Per il Consiglio europeo il documento di riferimento, in vista della Conferenza, rimane la poco ambiziosa “Nuova Agenda Strategica 2019-2024”, approvata nel giugno scorso. Non occorre essere dei profeti per capire che la partita critica per l’esito finale della Conferenza si giocherà sul “peso politico” con cui le sue proposte arriveranno sul tavolo del Consiglio europeo nel 2022.

L’istituzione che dovrà – e sembra intenzionata a – giocare un ruolo chiave per i lavori e il successo della Conferenza è quella che rappresenta i cittadini dell’Unione, ovvero il Parlamento europeo. Ricordiamo che la Commissione ha già espresso il proprio assenso “qualora venisse proposto un membro del Parlamento europeo per presiedere la Conferenza”. I primi passi sono stati compiuti dalla Commissione Affari Costituzionali (AFCO), che il 3 ottobre scorso ha ascoltato e approvato la Commissaria (designata) Dubravka Šuica, delegata a seguire la Conferenza per la Commissione. La stessa AFCO ha poi tenuto altre audizioni, fino ad arrivare all’approvazione, il 9 dicembre, di un parere per la definizione della strategia del Parlamento sulla Conferenza.

Ieri il Parlamento, in seduta plenaria, ha adottato una importante risoluzione, con 494 voti a favore, 147 contro e 49 astensioni (la “fiducia” alla Commissione von der Leyen era passata con 461 voti a favore), su organizzazione e priorità tematiche della Conferenza. Diventa così la prima delle istituzioni europee a prendere una posizione ufficiale: la Commissione diffonderà la propria Comunicazione sulla Conferenza il 22 gennaio; il Consiglio Affari Generali ne discuterà il 28 gennaio. Il Parlamento ha insistito – incontrando l’assenso della Commissaria Šuica – sulla necessità che la Conferenza abbia un mandato aperto, senza esiti prestabiliti. Ha inoltre ribadito l’importanza di coinvolgere davvero la società civile, sia con una “fase di ascolto” che preceda l’avvio della Conferenza sia con delle “agorà” dei cittadini e dei giovani in grado di interloquire con i rappresentanti di tutte le istituzioni europee e nazionali coinvolte nella Conferenza.

A chi segue da anni le vicende europee è inevitabile che la memoria corra alla “Convenzione sul futuro dell’Europa”, varata a fine febbraio 2002, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, che elaborò il progetto di “Costituzione europea” poi affossato dai referendum francese e olandese. Un precedente che ci deve mettere in guardia sui possibili cortocircuiti fra livello europeo e livelli nazionali, fra opinione pubblica europe(ist)a e frastagliate opinioni pubbliche nazionali. D’altro canto, all’inizio del XXI secolo non vivevamo ancora immersi in un mondo della comunicazione globale, innervato dai social media, che moltiplica sia i rischi di cacofonie e “rumore” sia le possibilità di intervento, trasparenza e controllo. Opportunità che starà alla società civile pro-europeista e ai movimenti federalisti saper valorizzare.

Ci sarà tempo e modo di entrare nei contenuti della Conferenza. Ma le sfide che abbiamo di fronte saranno decisive per affermare il ruolo dell’Unione europea nel nuovo scenario internazionale. La involuzione in atto, che mina le basi del multilateralismo, rischia di intaccare alla radice lo spirito del progetto europeo, fatto di leale collaborazione e regole condivise. Anche per questo, rispetto alla Conferenza, ci si deve guardare da un doppio rischio: quello di rappresentare l’Unione come un soggetto oggi impotente, il che non corrisponde alla realtà dei fatti, in molti campi, e finisce con il minarne la credibilità; quello di non capire che su molti temi e problemi nei mesi a venire sarà indispensabile un’azione incisiva dell’Unione, che non potrà essere rimandata a riforme che prenderanno avvio, bene che vada, a fine 2022.

L’Italia deve saper svolgere un ruolo attivo nell’ambito della Conferenza, in linea con quanto ha saputo fare più volte nel passato. Un ruolo che a livello delle istituzioni si afferma non con dichiarazioni estemporanee, ma con impegno e capacità costanti di proposta e di costruzione di alleanze. Anche i think tank italiani possono dare un contributo significativo. L’esperienza che, prima delle elezioni europee del 2019, li aveva uniti nel progetto “Europea”, piattaforma indipendente d’informazione sui rapporti fra Italia e Ue (che ha visto insieme IAI, CSF, CeSPI, ECFR Italia, Formiche, ISPI, Villa Vigoni), può costituire un precedente prezioso.

Di fronte all’appuntamento con la “Conferenza sul futuro dell’Europa” è quindi inutile attardarsi in discussioni generiche fra ottimisti e pessimisti. Proprio l’insoddisfazione per il presente deve spronarci a mettere da parte il facile scetticismo. Per dirla con la frase forse più nota e più cara a ogni federalista europeo: “La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa e…” … e ognuno è chiamato a dare il proprio contributo affinché lo sia nel modo più lungimirante possibile, nell’interesse nostro e delle future generazioni di europei.

 

Flavio Brugnoli 
Direttore Centro Studi sul federalismo
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