La masca di Serra Capelli e altre storie

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Folletti e satanassi, gnomi e spiriti malvagi, fate e streghe, questi sono i protagonisti delle leggende del folcklore, personaggi grotteschi, nati per incutere paura e per far sorridere, sempre pronti ad impartire qualche lezione. Parlano una lingua tutta loro, il dialetto dei nonni e dei contadini, vivono in posti strani, dove è meglio non avventurarsi, tra bizzarri massi giganti, calderoni e boschi vastissimi. Mettono in atto magie, molestie, fastidi, sgambetti, ci nascondono le cose, sghignazzano alle nostre spalle, cambiano forma e non si fanno vedere, ma ogni tanto, se siamo buoni e risultiamo loro simpatici, ci portano anche dei regali. Gli articoli qui di seguito vogliono soffermarsi su una figura della tradizione popolare in particolare, le masche, le streghe del Piemonte, scontrose e dispettose, mai eccessivamente inique, donne magiche che si perdono nel tempo e nella memoria, di cui pochi ancora raccontano, ma se le loro peripezie paiono svanire nei meandri dei secoli passati, esse, le masche, non se ne andranno mai. Continueranno ad aggirarsi tra noi, non viste, facendoci i dispetti, mentre tutti fingiamo di non crederci, e continuiamo a “toccare ferro” affinchè la sfortuna e le masche, non ci sfiorino. (ac)
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4 / La masca di Serra Capelli e altre storie
A Serra Capelli (nei pressi di Alba), c’erano le masche. Rumori improvvisi e inspiegabili echeggiavano nella notte, strani uccelli stridenti scuotevano i rami degli alberi e alcune case che dovevano essere disabitate sembravano animate da bizzarre presenze. C’era una casa in particolare di cui in paese si parlava tanto, e si diceva che sicuramente lì ci viveva una masca; la casa suscitava una tale apprensione che il signorotto di Alba che l’aveva acquistata ci andava solo nei fine settimana e persino un po’ controvoglia. Dopo di lui la villa tornò ad essere messa in vendita, ma nessuno la volle per sé, e la motivazione era sempre la stessa, senza scusanti o metafore: “Io non la compro perché pare sia abitata dalle masche”. La paura vinse la passione degli affari. Forse ce n’erano anche di più di masche, a Serra Capelli, e forse non vivevano tutte nella casa abbandonata, e forse non erano nemmeno tutte malvagie. Si dice che in quella contrada vivessero due sposi. La moglie, incinta, adorava passeggiare con il pancione ingombrante per i campi, e una sera essa incontrò una masca, che le sfiorò lievemente la pancia e le offrì una mela da mangiare. La donna non si ritrasse, accettò la carezza e la mela e ringraziò con un sorriso, infine entrambe proseguirono ciascuna per la propria strada. Arrivò il giorno della nascita e il bimbo venne al mondo forte e piagnucoloso, come la maggior parte dei neonati. Nulla di strano, ma subito i genitori si resero conto che il piccolo non voleva prendere il latte e non c’era proprio verso di convincerlo: il bimbo piangeva, gridava e non mangiava. Mamma e papà si spaventarono di quell’atteggiamento così scontroso, che non riuscivano a spiegarsi, e si corrucciarono a tal punto da passare intere notti insonni, fino a quando la giovane moglie non si ricordò dell’incontro con la masca. L’indomani i due giovani decisero di andare dal prete, il quale consigliò loro di chiedere cortesemente aiuto proprio alla masca: gli sposi sarebbero dovuti andare presso la casa della strega e con gentilezza avrebbero dovuto pregarla di uscire dall’abitazione e dare loro un saggio consiglio. La notte i due genitori presero con sé il pargoletto piangente e si avviarono verso la casa abbandonata, si appostarono vicino all’ingresso e fecero come aveva consigliato il prete. La masca uscì di casa senza adombrarsi, anzi, con cura prese il bambino e lo girò dall’altra parte, nella stessa posizione lo ridiede con cautela alla madre. “Non è mica niente” disse la masca, “invece di prenderlo in braccio in questo modo, giratelo con le gambe all’incontrario”. E tutto terminò così, il bambino smise di piangere e iniziò a gustare il latte e i genitori, pur sbigottiti, tornarono a casa sollevati e felici. E la masca rientrò all’interno della casa che doveva essere disabitata.
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C’era una volta la masca Laidin, in verità Adelaide, la masca che, se ti toccava, ti veniva la gobba. Era una di quelle a cui piaceva procurare fastidio e provocare scherzi e un giorno attirò il postino in un incantesimo. Si sapeva che quest’ultimo percorreva sempre i medesimi itinerari, passava a piedi per le stesse strade e ogni tanto capitava nei pressi del bosco chiamato “bosco delle pecore”. Una sera, proprio mentre era vicino alle altissime e fitte piante, si ritrovò immerso in una lussuosa e splendente sala da ballo: personaggi luminescenti danzavano in abiti eleganti, sorridevano gli uni agli altri e gentilmente questi lo invitarono ad unirsi a loro. Il postino, lusingato, non declinò il richiamo e danzò fino al sorgere del giorno. Quando poi venne intonata l’Ave Maria del mattino, a quel punto tutto scomparve, e il giovane, dimentico dell’incantesimo, incredulo si sentì esausto ancor prima di iniziare una nuova giornata, senza potersi spiegare il perché di tanta stanchezza. Un’altra volta, invece, la masca si era tramutata in albero di more e tutte le volte che il postino passava di lì, gli rubava il cappello con i rami, ma una volta il poveretto tentò di ribellarsi tenendosi stretto il cappello e strattonando con forza il ramo su cui questo si era impigliato; il giorno successivo l’albero non c’era più, come se non fosse mai esistito, invece la masca Laidin la videro con un braccio ingessato. Ogni tanto la donna amava trasformarsi in agnello, si metteva a belare in mezzo alla strada, attendendo che qualcuno la trasportasse in spalle, a quel punto iniziava a parlare. Certo, Laidin non era malvagia, era piuttosto scherzosa, ma la gente del villaggio la temeva perché portava maleficio. Si racconta che un giorno essa sfiorò il viso di una bimba paffutella e immediatamente la piccola si ricoprì di formiche. Quando poi Laidin decise che era il momento di morire, in attesa di qualcuno a cui concedere i propri poteri, iniziò a gridare in giro: “Lascio! Lascio!”, ma nessuno si fece avanti e lei si rintanò nella sua abitazione. Per tanto tempo non arrivò nessun pretendente, poi un giorno passò lì vicino una famiglia con un neonato. I tre si trovarono proprio vicino alla finestra della decrepita Laidin, che riuscì ad allungare un braccio e a toccare il bimbetto, al quale immediatamente comparve una gobba sulla schiena.
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C’era una pecora con le corna che si aggirava nel bosco, spuntava all’improvviso dai cespugli e aggrediva le persone che erano in cerca di tartufi. Una mattina prestissimo essa assalì il nonno, che però riuscì a difendersi e a colpire l’animale sulle zampe, e lo fece scappare via. Quando rientrò in casa, ricordo che ci disse di aver incontrato una masca tramutata in pecora con le corna; lo raccontò anche ai suoi amici più stretti e proprio mentre narrava l’accaduto passò di lì, zoppicante, la signora Madlinin, la moglie acida e perfida di un vicino di borgata. Il nonno la osservò e pensò tra sé che quella poteva essere proprio la masca-pecora che lo aveva attaccato in precedenza. Si confidò con gli amici, i quali ci pensarono su e si resero conto che in effetti quella donna aveva degli atteggiamenti strani, osservava la gente come se volesse lanciar loro delle maledizioni e si comportava in modo azzardato quando doveva spuntare la luna piena. Anni dopo Madlinin si ritrovò in fin di vita, ancora più inacidita dagli anni e senza figli, e, si sa, una masca non può morire se non passa i poteri a qualcuno, ma proprio non si trovava nessun erede, e la masca non sapeva più come fare per lasciare questa terra. Si dice che una notte una donna ebbe pietà di lei, le portò un manico di scopa e glielo mise tra le mani, in modo che potesse scaricare sul pezzo di legno i poteri magici. Madlinin spirò e subito il manico di scopa venne bruciato nel focolare, tutto fu purificato e i misteriosi poteri demoniaci si allontanarono dalla casa.
Alessia Cagnotto
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