Sergio Marchionne e Torino. Un fil rouge che non si è interrotto neanche dopo l’ improvvisa scomparsa dell’ad di Fca, avvenuta in Svizzera il 25 luglio scorso. A sessanta giorni dalla morte, l’ Ucid di Torino ha voluto ricordare la figura del manager scelto come ad di Fiat a metà degli anni Duemila da Umberto Agnelli, poco prima della sua scomparsa.
E lo ha fatto in una serata a lui dedicata al Polo del Novecento, martedì 25 settembre scorso, proprio due giorni prima del ringraziamento che Detroit ed il mondo statunitense hanno deciso di tributare al manager che, dopo aver salvato Fiat, ha ripetuto l’operazione con Chrysler, unendo le due realtà in un unico gruppo. Testimonianze personali sul manager si sono accompagnate ad una serie di valutazioni prospettiche sul futuro industriale di Torino, affidate a personaggi che hanno segnato la storia della Fiat, quali l’ ingegner Alessandro Barberis, già direttore generale e ad di Fiat, il dottor Paolo Rebaudengo, già responsabile delle Relazioni Industriali del gruppo Fiat e segretario generale della CIDA Piemonte, insieme al segretario generale Fim-Cisl Torino e Canavese, Claudio Chiarle. “Tutti gli americani ricordano – ha affermato il presidente dell’ Ucid Alberti Carpinetti – dove si trovavano nel momento in cui appresero la notizia dell’attentato al presidente Kennedy o quello alle Twin Towers. Analogamente noi torinesi manterremo impresso nella memoria il luogo dove eravamo in quel pomeriggio in cui apprendemmo la notizia della convocazione del cda straordinario di Fca per la designazione dei successori di Sergio Marchionne. L’Ucid è un’associazione di imprenditori cristiani che si impegnano a mettere la persona al centro della propria azione. Credo che Sergio Marchionne mettesse, invece, soprattutto, al centro l’impresa, nella misura in cui la sua esistenza e prosperità potessero essere capaci di garantire il futuro dei suoi lavoratori. Una visione etica diversa, ma non poi così dissimile” “Sergio Marchionne – ha spiegato Alessandri Barberis – è stato un manager che è entrato in Fiat in un momento estremamente delicato della storia dell’azienda, nel 2004, dopo che nel 2002 la Fiat era tecnicamente fallita. Ero stato nominato direttore generale insieme a Galateri al posto di Cantarella e riuscimmo ad evitare che venissero portati i libri in tribunale. Le banche hanno salvato la Fiat in quel momento, ma hanno anche richiesto il rispetto di un piano preciso, quello che sarebbe poi stato l’Accordo di programma con il governo italiano, definito nel 2002″
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“Ricordo – ha citato Paolo Rebaudengo, che è stato responsabile delle Relazioni Industriali del gruppo Fiat fino al 2012, ed artefice anche dell’accordo di Pomigliano, in seguito alla crisi del 2008 – una vignetta pubblicata dal Washington Post, in cui il neo amministratore delegato Marchionne era ritratto mentre girava in una porta girevole. Lui ironicamente aveva questa vignetta sulla scrivania e si chiedeva quanto tempo avrebbe resistito in quella posizione. A Marchionne si deve sicuramente l’introduzione di un cambiamento dell’approccio al problema sindacale. Appena diventato amministratore delegato, fotografo’ in modo molto lucido le criticità della Fiat ed illustro’ le sue tesi, ponendo a confronto la redditività della azienda con quella delle concorrenti. Il suo realismo è stato alla base del suo successivo accordo con il sindacato. Era un leader assolutamente decisionista, che considerava il tempo una variabile fondamentale, una persona molto rigorosa, soprattutto con se stessa. “La velocità di trasmissione delle decisioni – aggiunge il segretario generale della Fim- Cisl di Torino e Canavese, Claudio Chiarle – era una peculiarità del suo carattere. In Italia, purtroppo, spesso manca questo parametro nelle relazioni sindacali, che troppo spesso sono inficiate da scontri ideologici. Sicuramente questa è la grande eredità che lascia un leader come lui, unita ad un forte senso di responsabilità del proprio ruolo”. I suoi modelli, il fisico Albert Einstein e il filosofo Karl Popper, ispiratori del suo mondo ideale, gli hanno anche permesso in modo profetico di capire che valori essenziali della società contemporanea dovevano essere la multiculturalità ed il pluralismo, in cui il rispetto verso gli altri doveva essere inteso come rispetto per la diversità.
Mara Martellotta
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