La morte di Sergio Marchionne ha segnato definitivamente la fine di un’era . L’era in cui la Fiat e la famiglia Agnelli “regnavano ” su Torino. Una città nella città , con l’apice negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, con le sue regole, la sua “mutua” la MALF ( mutua aziendale lavoratori Fiat) , i suoi ambulatori, asili, colonie estive e montane , case per i lavoratori, i suoi candidati alle elezioni , compreso i fratelli Umberto, candidato Senatore eletto, e Giovanni Senatore a vita. La frase più famosa di quell’era : “quello che va bene alla Fiat va bene all’Italia” e , sottinteso, prima ancora a Torino. L’allentarsi del legame è avvenuto lentamente , fisiologicamente con la morte dei fratelli Giovanni ed Umberto, e tragicamente con la scomparsa di Edoardo ed ancora di
più di Giovanni Alberto “Giovannino” l’ erede destinato a guidare la FIAT. E poi ancora le crisi industriali, la riduzione dei dipendenti, i licenziamenti , la marcia dei quarantamila. Vi fu un ultimo sussulto una sorta di contributo a Torino di Giovanni, Gianni, Agnelli , “l’avvocato” ad indicare e trovare una nuova via , una nuova vocazione , con il suo impegno , determinante, per l’assegnazione dei XX giochi olimpici invernali del 2006. Giochi che contribuirono a cambiare e rilanciare Torino. Tre anni prima , nel gennaio
del 2003, la morte di Giovanni Agnelli con il “tributo”per giorni dei torinesi alla sua salma al Lingotto. Quasi come per un Re. Ora poco più di dieci anni dopo la scomparsa di Sergio Marchionne avviene a distanza nel silenzio , quasi un distacco, della città ed in coincidenza con una nuova avventura olimpica invernale che se andrà bene, ma non penso proprio, vedrà Torino, ancora una volta ed in modo umiliante, comprimaria di Milano. Questo parallelismo con la morte del “capo” della FIAT e dei giochi olimpici invernali rappresenta e fotografa meglio e più di tante analisi la fine di un’era ed il declino della città di Torino.
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