Ciao Turin

Il futuro torinese di quel che resta del San Paolo (ora Intesa San Paolo) non lascia dormire sonni tranquilli , tanto più ora, visto che Intesa Sanpaolo sta “pensando di costruire nel capoluogo lombardo un grattacielo, magari un po’ più alto e originale di quello che la banca ha “regalato” a Torino”.

L’allarme lo lancia un blog economico serio e informato come Enordovest.it dell’ex capo redattore del Sole 24ore , Rodolfo Bosio. Il blog la prende un po’ più da lontano . Sotto il titolo ” Falsi Alibi” parte sottolineando la gravità della perdita in questi anni di molti centri direzionali subita da Torino: “Grandi – imprenditori, manager, finanzieri, direttori, avvocati, primari, professori e così via – si diventa, quasi sempre, stando vicinissimi e imparando dai rispettivi numeri uno. Che lavorano nelle sedi centrali delle organizzazioni da loro guidate, aziende piuttosto che studi professionali, ospedali, università. Ecco una ragione dell’importanza fondamentale – per una città, una provincia, una regione, un Paese – di avere le sedi centrali, i quartieri generali. Fonti generatrici e culle di talenti, essenziali per il progresso delle comunità ospitanti. La perdita di ogni centro apicale comporta inevitabilmente un impoverimento immediato e prospettico del territorio, se non è compensata dalla nascita di un centro di altrettanto valore”. Considerazioni che sono una premessa dell’articolo che segue. Questo volta il titolo è “Le quote di Intesa San Paolo”. E qui si tocca un nervo scoperto per l’opinione pubblica torinese, almeno quella più informata, che ha , da sempre, la netta sensazione che la fusione con la milanese Banca Intesa sia stata in realtà una svendita del vecchio Istituto Bancario San Paolo senza che nessuno di quelli che potevano ( e che sedevano ai vertici di Comune e Regione) abbia mosso un dito.

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” Nonostante tutto, si trova ancora chi parla di Intesa Sanpaolo come di una fusione alla pari,” scrive Enordovest, ” Sarà. Però, per capirne meglio gli effetti, conviene almeno rispondere a un paio di domandine semplici semplici. La prima: dei 19 componenti del Consiglio di amministrazione della principale banca italiana quanti sono piemontesi e quanti lombardi? Seconda: e dei 19 componenti il top management, la squadra sul ponte di comando, quanti arrivano dalla regione subalpina e quanti da quella con Milano capoluogo?” Ma intanto si propone sul fronte Intesa San Paolo un nuovo delicato passaggio di stretta attualità: “Quante speranze restano che il quartiere generale di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking venga trasferito da Roma a Torino, dopo il passaggio della presidenza dal torinese Matteo Colafrancesco al milanese Paolo Grandi? Matteo Colafrancesco”, ricorda Enordovest “ci ha provato, con grande impegno. Paolo Grandi ci metterà una pietra sopra?”. “Intanto”, scrive il blog ,”i milanesi” di Intesa Sanpaolo stanno pensando di costruire nel capoluogo lombardo un grattacielo, magari un po’ più alto e originale di quello che la banca ha “regalato” a Torino”. E qui la domanda più amara. Con quest’ultima vicenda “si ripropone, sotto la Mole, la domanda se non sarebbe stata meglio l’alleanza dello storico Sanpaolo Imi con il Santander, invece della fusione con Intesa o – come ancora si sussurra – invece dell’incorporazione da parte della banca milanese guidata allora dalla coppia Bazoli-Passera.

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Si era alla metà del 2006, ricorda Enordovest , il Sanpaolo era una banca ricca, forte e in piena espansione. Gli spagnoli del Santander, azionisti con una quota limitata, proponevano di aumentare la loro partecipazione, ” restando comunque in minoranza e assicurando l’indipendenza dell’Istituto di piazza San Carlo, per consolidare l’alleanza e attribuire al Sanpaolo il ruolo di banca di riferimento per tutte le sue attività nell’area del Mediterraneo.” Così le conclusioni: “Se la proposta fosse stata accettata e i propositi mantenuti, il Sanpaolo sarebbe ancora il Sanpaolo, Torino e il Piemonte non avrebbero perso tutto quello che hanno perso, la città avrebbe un grattacielo ancora più alto e più popolato, avrebbe più società, più dirigenti, più business, più pil e più potenzialità; darebbe più lavoro, più opportunità, più fiducia; sarebbe più solida, più capitale e con migliori prospettive. Conterebbe di più. Non vedrebbe tanti suoi talenti penalizzati o costretti a lasciarla o a prendere quotidianamente il treno per Milano. La partita con Milano non è finita in pareggio. Ha vinto e continua a vincere Milano. Intesa si è presa il Sanpaolo usando il tesoro del Sanpaolo, come ha fatto il Credito Italiano di Alessandro Profumo con le Casse di Risparmio di Torino e Verona. Meno male che Torino ha ancora i Lavazza e la Reale Mutua, che non mollano, restano, rinnovano e ampliano la loro sede cittadina.” Aggiunge l’articolo: “Certo è un fenomeno, un’ emergenza; forse sottovalutata, comunque contrastabile, nonostante tutto. Le risorse pubbliche scarseggiano; ma le amministrazioni pubbliche possono incominciare a fermare l’emorragia e a invertire la rotta, sia utilizzando meglio le disponibilità economiche, riducendo gli sprechi e investendo adeguatamente; sia intervenendo, con decisione, là dove possono, se vogliono: la burocrazia e le tasse locali, le nomine, le spese non obbligatorie e, fra l’altro, le partecipate. Non è più tempo di falsi alibi”.

Ibis

(foto: il Torinese)

 

 

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