Sabato 7 Aprile alle ore 12 davanti all’ingresso del Campus Einaudi, Corso Regina Margherita 60, il movimento giovanile di Forza Italia ha organizzato un ritrovo di protesta contro il progetto dell’asilo nido gender all’interno dell’Università degli Studi di Torino.
“Da quanto abbiamo appreso all’interno dell’Università degli Studi di Torino sta per nascere un primo progetto di scuola dell’infanzia senza bambina e bambino, dove non si useranno più i grembiuli azzurri o rosa e dove la così detta “educazione alle differenze” sarà la regola educativa – esordisce Tommaso Varaldo, coordinatore del movimento giovanile di Forza Italia a Torino – E’ una notizia allarmante e chiediamo al Sindaco e all’Assessore competente maggiore chiarezza su questo progetto. Questa struttura accoglierà i bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni, una fascia di età all’interno della quale le figure di riferimento per i bambini sono gli insegnanti e i genitori.
L’indirizzo educativo è prezioso e molto delicato” “Siamo pronti a sostenere proposte a sostegno della famiglia e della natalità, progetti che possano dar vita a nuove strutture per accogliere i tantissimi bambini che ad oggi non hanno accesso alle strutture per mancanza di posti e assurde graduatorie, iniziative volte ad avviare percorsi capaci di sanare le problematiche mondo del lavoro-maternità. Ma non siamo disponibili – conclude Varaldo – a mettere in alcun modo in discussione la famiglia, le figure dalla mamma e del papà, le naturali ed oggettive differenze tra le bambine e i bambini”


svegliarsi, le imposte al piano superiore aperte per metà rappresentano un metaforico sgranchirsi dopo il riposo della notte. Tutto intorno vi è un gran fracasso di persone, contadini già stanchi si mescolano a qualche figura ben vestita, mentre un distinto cane da caccia insegue un gruppo di galline, un giovinetto porge dei fiori alla sua bella. Si sta eseguendo un quadro manierista, ricolmo di infiniti dettagli, uno in particolare va messo in risalto: nell’angolo in basso a sinistra, vicino all’anziana contadina che spia i giovani innamorati, il prete del paese sta discutendo con un signore dall’aria raffinata e dai lineamenti leggermente rotondi come i piccoli occhiali che indossa. Quello che si è delineato è un esercizio di pura fantasia, se avesse un titolo potremmo proporre: “Visione idealizzata di una giornata di Camillo Benso, Conte di Cavour, durante l’estate a Leri”. Sappiamo infatti che il grande statista piemontese, amava trascorrere più tempo possibile presso questo borgo, una sua tenuta estiva a cui egli era molto affezionato. Si dice che qui abbia scritto ben ottantatre lettere documentate.
dell’800, il territorio venne acquistato da Napoleone Bonaparte, che però non lo visitò mai di persona. In seguito la zona venne concessa al Principe Camillo Borghese, che lo vendette a Michele Benso di Cavour, padre di Camillo. Grazie agli interventi della famiglia Cavour il borgo cambiò completamente aspetto, trasformandosi in una sorta di azienda agricola, Camillo stesso progettò dei macchinari per l’epoca avanzati e moderni, volti sia al lavoro nei campi, sia a migliorare il sistema di irrigazione. Oggi, chi si avventura a perlustrare il territorio di Leri non trova alcuna facilità nell’immaginare l’operosità ed il fermento che all’epoca caratterizzava questa zona. Quando mi metto in macchina, con due amici, per raggiungere la borgata i colori attorno a me sono intensi, in netto contrasto gli uni con gli altri. Non sono io questa volta a guidare e decido di distrarmi guardando il paesaggio in continua trasformazione al di là del finestrino: penso alle vecchie pellicole in cui le scene erano tutte accelerate e i protagonisti si muovevano a scatti. Usciamo dalla via principale ed imbocchiamo una stradina sterrata e non capiamo nemmeno di essere arrivati a destinazione. Siamo scivolati in una atmosfera di onirico silenzio, la moltitudine di cascine e strutture a due piani sembrano essersi addormentate in seguito a chissà quale incantesimo; tutto sta riposando e nel sonno invecchia senza accorgersene.
qualcuno iniziò ad andar via, fino a quando rimase solo ciò che non poteva spostarsi. Negli anni ’80 ci fu un piccolo ripopolamento, alcune famiglie degli operai dell’Enel si trasferirono nelle vecchie cascine, ma fu una breve resurrezione di appena dieci anni. Negli anni ’90 qualcuno propose di costruire lì un Museo Nazionale dell’Agricoltura, ma le parole si persero nel vento, come l’ipotesi, del 2011, di iniziare i lavori di restauro per recuperare la tenuta della Famiglia Cavour, in occasione dei centocinquanta anni dell’unità d’Italia. È malinconicamente romantica la sensazione che provo, osservando oggetti dimenticati, traccia silenziosa del vissuto di qualcuno, mi colpiscono uno stendibiancheria e degli adesivi appiccicati al muro ad altezza di bambino. Tutte le strutture sono prive di mobilia, le finestre e le imposte e le porte sono state scardinate e appoggiate ai muri, l’unico edificio chiuso ermeticamente è la chiesa. Ci aggiriamo tra quei colossi assopiti, il loro respiro calmo passa attraverso i battenti scarni, levigando con delicatezza la loro pelle di cemento e pietra, fino al momento in cui ci ritroviamo in uno spiazzo quadrato, che circonda un edificio, abbastanza ben conservato, dalla pianta quadrata e che si alza su due piani.
affrescato, i decori sono sulle tinte del blu e dell’oro, sulla parete che sta di fronte a me e in quella alla mia sinistra sono stati dipinti dei finti caminetti, il muro che sta alla mia destra è squarciato da due grandi finestre rettangolari. I segni delle intemperie sono visibili, ma pare che il tempo abbia voluto essere meno intransigente con questo edificio. La villa è abbastanza grande, priva di arredamento interno, ogni sala è dominata da una tinta differente, penso che se si frantumasse potrebbe trasformarsi in un ipnotico enorme caleidoscopio. Giriamo con calma, venendo meno alla tabella di marcia; scatto molte fotografie tentando di catturare le sfumature di colore, ad ogni passo rifletto sul fatto che ogni cosa, lì, è pregna di Storia. Abbiamo appena finito di visitare tutte le stanze, quando il cambiamento di luce mi avvisa che è ora di andare. Anche qui ci sono stati avvistamenti di spiriti e fantasmi, ed è il momento di lasciare spazio a loro, i degni abitanti di quei sogni lontani che i giganti di pietra ancora stanno vagheggiando.
Riceviamo e pubblichiamo
condizioni dei lavoratori impegnati nei lavori manuali che la meccanizzazione tecnologica sta sostituendo. In cammino (2000) illustra la tragedia dei lavoratori delle miniere d’oro in Serra Pelada nel Nord del Brasile i quali, espulsi dal processo di industrializzazione, finiscono per ingrossare la massa dei poveri nelle città. Documentando i grandi processi di trasformazione economica, sociale e ambientale in corso nel mondo, senza l’affanno di inseguire la stretta attualità, Salgado ha trovato una propria dimensione, unica nel panorama internazionale. Genesi costituisce un progetto di lungo respiro che Salgado inizia nel 2003 per concluderlo dieci anni dopo. Il lavoro è frutto di un lungo viaggio per il pianeta alla ricerca di luoghi non ancora offesi dall’uomo, dove è possibile catturare immagini che rivelino la magnificenza ancestrale e la potenza incontaminata della natura. L’opera finale si compone di duecento eccezionali fotografie che ritraggono regioni dove flora e fauna proliferano tuttora intatte ed in cui l’uomo vive in condizioni pressoché primitive. Lo sguardo consapevole ed amorevole di Salgado si posa sulle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea. Si leva in volo sui ghiacciai dell’Antartide e sulla taiga dell’Alaska. Ridiscende nuovamente verso i deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne del Cile, del Canada e della Siberia. Le sue fotografie, rese in un lucido bianco e nero, vanno a comporre un commovente itinerario fotografico, capace di catturare l’osservatore passo dopo passo, restituendo immutato l’incanto dei paesaggi come dei ritratti individuali o di gruppo.
confine. Un itinerario alla scoperta di specie animali e popolazioni finora scampate all’abbraccio letale della vita moderna. La sua opera ci fornisce la prova che il nostro pianeta accoglie regioni immense e remote in cui la natura regna indiscussa, possente e silenziosa. La teoria di fotografie esposte ci suggerisce che i ghiacci dei poli, le foreste pluviali, le savane inospitali e le sabbie roventi costituiscono la superficie non solo più estesa ma soprattutto più ragguardevole della Terra. Sono queste regioni a proteggere con la loro vastità quasi inesplorata forme di vita la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. In queste lande il tempo scorre in modo circolare, le stagioni si succedono e ritornano seguendo un ritmo primigenio, lento, costante, che l’essere umano civilizzato ha finito per dimenticare.
ha provveduto a piantare in quindici anni circa due milioni di alberi di oltre trecento specie diverse. Pianure e colline un tempo aride sono ora occupate dalla Mata Atlântica, la foresta pluviale subtropicale presente sulla costa intorno al Rio Grande. La ricostituzione di questo microclima ha richiamato uccelli e altri animali che erano scomparsi da decenni, permettendo il recupero della naturale biodiversità. Gli alberi sono inoltre in grado di assorbire il diossido di carbonio e, utilizzandolo per la fotosintesi, di liberare ossigeno. La riforestazione contribuisce quindi a limitare i danni prodotti dalle emissioni nell’atmosfera di questo gas serra responsabile del riscaldamento globale nonché dei cambiamenti climatici ad esso conseguenti Questo immenso e paziente lavoro di ripristino dell’ecosistema è stato descritto nell’ottimo documentario Il sale della terra, girato da Wim Wenders nel 2014. “Con gli alberi piantati”, hanno detto Sebastião e Lélia Salgado, “possiamo respirare meglio e nutrire speranze per il futuro del nostro pianeta”. Salgado non è mosso dall’idea di scattare fotografie belle o di inseguire la celebrità, ma da un senso di responsabilità che rappresenta anche la sua missione dichiarata: rendere visibile la rotta che l’umanità deve ripercorrere per salvaguardare il pianeta che abbiamo ereditato.
FOCUS INTERNAZIONALE
indistruttibile, come le sue possenti e celebri mura, il fulgore di una millenaria capitale imperiale, nelle cui pietre cerchiamo ancora oggi le tracce di un passato molto lontano ma che ci appartiene strettamente. Ma dietro la città incantata e al di là del commovente nazionalismo kemalista che il 10 novembre, giorno dell’anniversario della morte di Ataturk, fa suonare le sirene, alle 9,05 del mattino, fermando simbolicamente per un paio di minuti i traghetti sul Bosforo e sul Mar di Marmara e pietrificando all’improvviso il traffico assordante di una città di quindici milioni di abitanti (esclusi i 500.000 profughi siriani che vivono per strada), spuntano i cambiamenti che avanzano lentamente da qualche anno.
sono finiti i francesi, gli inglesi, i tedeschi, gli americani e gli italiani che si trovano ovunque? A Istanbul non si vedono quasi più, come dissolti nelle nuvole della paura e del terrore che da qualche tempo tengono lontani i turisti da questa citttà. Ci sono però russi, cinesi e giapponesi, questi sì che si vedono ma c’è soprattutto una folla di arabi che mai nei secoli passati erano riusciti a conquistare Costantinopoli e adesso invece ci sono riusciti, con trolley zeppi di denaro. A Istanbul non si sono mai visti così tanti turisti mediorientali. Ed ecco allora sauditi, qatarioti, kuwaitiani, iraniani, iracheni, emiratini, c’è tutto il Golfo, sia arabo che persico. “Il turismo è in forte crisi, spiega Claudio Monge, un crollo verticale, da due anni a questa parte. È crollato soprattutto il turismo organizzato delle agenzie, sostituito in gran parte dal turismo arabo. È in corso una forte arabizzazione e in certi quartieri ci sono scritte bilinque, come nei negozi e negli hotel, li hanno favoriti togliendo i visti ai turisti arabi che sono gli unici che possono investire e pagare ingenti somme con denaro liquido. Qui il turismo classico, fatto di arte, storia e pellegrinaggi, è stato sostituito dal turismo dello shopping.
formazione dei frati ma aperta a tutti, agli studenti turchi e agli stranieri allo scopo di aiutarli nella ricerca universitaria, nello studio della teologia delle religioni e del rapporto tra islam e cristianesimo. Un centro culturale nato per far incontrare gente diversa, seguendo un disegno tipico della cultura domenicana. Un progetto che procede con alti e bassi. “Qui vengono anche ricercatori che lavorano nel campo della storia per riscoprire le vicende di questi quartieri multietnici che un tempo erano abitati da molti cristiani, cercano documenti sulle radici cristiane di Costantinopoli e sui siti cristiani diventati poi moschee. Ci sono stati sicuramente periodi più facili di quello attuale, ammette fra Claudio, ma le tensioni politiche in questo Paese hanno fatto sì che molte persone, un tempo ben collocate nei gangli del potere, e che erano i nostri referenti diretti, sono spariti e abbiamo dovuto cambiarli con la conseguenza che certi contatti costruiti in passato sono finiti e hanno dovuto essere cambiati. Da anni stiamo cercando di ristrutturare una parte del vecchio convento per trasferire la biblioteca ma ci sono molti impedimenti e procedure burocratiche interminabili che ci stanno sfiancando. La nostra condizione di cristiani e di stranieri non aiuta, è un ostacolo in più, che riguarda non solo noi italiani ma tutti i cittadini dell’Ue”. Sempre più donne con il velo nelle strade di Istanbul, scuole religiose in aumento, Ataturk in naftalina? Per il momento il padre fondatore della Turchia moderna e laica resiste, le immagini di Mustafa Kemal abbondano in città e la sua statua di cera nel Museo navale, sulla sponda europea del Bosforo, non è ancora stata rimossa. Ma qualcosa è già cambiato.
tolto il divieto di portare il velo negli uffici pubblici e quindi c’è un ritorno del velo che ora è ammesso, il cambiamento di panorama è innegabile anche se penso che la Turchia non potrà tornare troppo indietro. Come il Kemalismo aveva comportato l’occupazione della scena pubblica con simboli e cultura laica imposta dall’alto, oggi assistiamo a un’occupazione della scena pubblica con i simboli islamici”. Nel Paese della Mezzaluna cambia anche la scuola per avere musulmani più ortodossi e Istanbul si è già adeguata con il potenziamento degli istituti religiosi. “Più che di medrese si tratta di scuole “imam-hatip”, scuole di formazione religiosa per coloro che in futuro potrebbero diventare imam di moschea, insegnanti di religione o dipendenti del Diyanet, il Ministero degli Affari Religiosi. Tuttavia queste scuole che dovevano limitarsi a formare i quadri di questo Ministero stanno rimpiazzando di fatto l’educazione tradizionale. Sono aumentate con la chiusura di diverse scuole pubbliche e con il risultato di fare abbassare drasticamente il livello medio dell’istruzione. È certo però che lo studio scolastico dei decenni di potere di Kemal sarà ridimensionato nella nuova Turchia del sultano Recep Tayyip Erdogan. A cominciare dai simboli del kemalismo, come il “Centro culturale Ataturk” che domina piazza Taksim, il cuore di Istanbul, e ora è in fase di smantellamento (al suo posto sorgerà un teatro dell’Opera) mentre dalla parte opposta della piazza è in costruzione una grande moschea. Il vicino Gezi Park, punto di ritrovo per le manifestazioni anti-Erdogan rischia di scomparire e lasciare il posto a una caserma ottomana.
riferimento molto di più alle radici culturali islamiche. E ciò implica anche una presa di possesso dei luoghi simbolici degli anni della Repubblica kemalista che adesso sono ripresi e reinventati a immagine e somiglianza del nuovo progetto. Taksim, che era per eccellenza la piazza della laicità repubblicana kemalista, sta cambiando faccia. Assistiamo a uno scontro tra ideologie diverse. A una vecchia ideologia si risponde con una nuova ideologia”. Decine di ragazze affollano il vecchio caffè turco a ridosso di Santa Sofia, nella grande piazza Sultanahmet, a poche decine di metri dalla Moschea Blu. Sono appena uscite da scuola, ancora più allegre perchè domani è domenica, giorno festivo per tutti nella Istanbul europea, capelli al vento, musica nelle orecchie, cellulare in mano. L’Oriente, per loro, sembra lontano, l’Europa più vicina.

progetti:
Fino al 27 maggio il Binario 2 è invece dedicato a “The NewsRoom. Un’immersione sensoriale nelle notizie”, progetto realizzato da “La Stampa” creato per esplorare nuove forme di giornalismo, in collaborazione con il collettivo “Studio Azzurro” vincitore di numerosi riconoscimenti internazionali. Lo spazio prende in questa occasione la forma di una mostra e di uno show digitale, di un’esperienza di giornalismo narrativo e interattivo basato sull’approfondimento.
conferenze, dibattiti e appuntamenti legati al Public Program.