“Al Andalus” dopo l’attentato di Barcellona

FOCUS  di Filippo Re

Fu davvero un’epoca di splendore, di pacifica convivenza e di tolleranza religiosa? Cosa furono “al Andalus” e la “Reconquista” al di là del mito e della propaganda ideologica? Gli storici si dividono e continuano a discuterne. Anche oggi, dopo il recente attentato a Barcellona, si riparla di al Andalus perchè il califfo dell’Isis minaccia di riprendere con la forza la penisola iberica, in passato terra musulmana per lunghi secoli. “Certo, fu una gran bella stagione storica quella, tra VIII e XV secolo, nella quale la vecchia terra di vandali e visigoti, che gli arabi chiamavano al Andalus, divenne il centro irradiante di una cultura musulmana che, salvo brevi e circoscritti periodi, lasciava liberi di esprimersi anche cristiani ed ebrei e che per due secoli, tra IX e X, dette vita al Califfato di Cordova. Poi quella magica unità si ruppe: ma, fino a quasi tutto il Quattrocento, gli emirati arabi-berberi-iberici continuarono a spargere i frutti della loro straordinaria cultura alla quale si abbeverarono gli stessi europei cristiani. A loro dobbiamo in gran parte la filosofia, la matematica, l’astronomia, la fisica, la chimica, la poesia, la musica”. Così lo storico del Medioevo Franco Cardini, descrive ciò che fu al Andalus, la Spagna islamica dal 711 sino alla fine del dominio musulmano nel 1492, lo stesso anno della scoperta dell’America e della cacciata dei mori e degli ebrei dalla penisola. Ma fu realmente così, un’epoca di grande tolleranza e convivenza tra religioni diverse, tra dominatori e sudditi “protetti”? Non ha dubbi Cardini, secondo cui, proprio la caratteristica di al Andalus, fu, non senza momenti di violenza e di tensione, la convivenza cordiale di tre religioni affini, musulmani, cristiani ed ebrei. “L’avanzata dei regni cristiani pose però fine a questo equilibrio, aggiunge, e al tono raffinato di vita che lo distingueva. Anche la florida agricoltura musulmana, fondata su un sapiente sistema d’irrigazione, fu sostituita da vaste magre praterie tenute a pascolo soprattutto per gli ovini. La Spagna cristiana, fu, nonostante l’afflusso dell’oro dalle colonie d’Oltreoceano nel Cinquecento, una società imbarbarita e impoverita. E una società dominata da un cupo sistema inquisitoriale. La Spagna dei tempi quasi felici, con molte eccezioni, del resto, fra VIII e XV secolo non esiste più; né esiste più l’Islam illuminato e tollerante di allora”. I califfi litigavano e a volte si uccidevano tra loro ma all’interno di al Andalus le minoranze religiose, ebrei e cristiani, potevano praticare pacificamente la loro fede. Non solo un’isola di tolleranza e di rispetto ma anche un regno nel quale la scienza e la cultura ebbero uno sviluppo eccezionale, come sottolinea la studiosa spagnola Maria Rosa Menocal nel suo libro “Principi, poeti e visir”, il Saggiatore. Per esempio, la biblioteca del califfo a Cordova conservava 400.000 volumi contro appena 400 di una biblioteca latina. Da sempre nel mondo musulmano c’è chi immagina e spera nella rinascita impossibile di al-Andalus come i terroristi jihadisti che esaltano i loro crimini. Nella loro propaganda “al Andalus” è terra musulmana e “noi la riprenderemo con la forza di Allah” ha sostenuto più volte il califfo al Baghdadi ricordando i 750 di dominio islamico su gran parte della penisola iberica. Con quell’epoca i terroristi musulmani che colpiscono in Europa e in tante altre parti del mondo non hanno nulla a che spartire. Sono solo dei fanatici accecati dall’odio, che nulla sanno di storia e che sicuramente si sarebbero scagliati ferocemente anche contro gli arabi conquistatori della Spagna, ritenuti troppo miti e benevoli verso le minoranze. In breve, i fatti storici. Nel 711 i berberi musulmani invadono la Spagna meridionale cacciando i visigoti e nel 750, nel Vicino Oriente, i califfi abbasidi prendono il posto dei califfi omayyadi dopo averli sterminati. Un giovane principe omayyade, Abd al Rahman, sfugge al massacro, raggiunge il Marocco e va alla conquista della Spagna e nel 755 diventa l’emiro omayyade di Cordova. Gran parte della Spagna diventa musulmana con il nome arabo di “al Andalus” (da non confondere con l’Andalusia) e come tale resiste, attraverso varie dinastie, per quasi otto secoli. Nel 929 viene fondato il Califfato di Cordova che dura fino al 1031 e incorpora la parte centro-meridionale della Penisola. La sua capitale diventa la più popolosa città europea con quasi mezzo milione di abitanti. Insieme a Palermo è la culla della cultura araba nel X secolo. Nel 1085 Alfonso VI, sovrano della Castiglia, del Leòn e del Portogallo conquista Toledo. Nel 1086-91 gli Almoravidi africani, dinastia islamista e repressiva nei confronti di cristiani ed ebrei, occupano l’intera Spagna moresca. Verranno massacrati e cacciati nel 1147 da un’altra stirpe africana, gli Almohadi che conquisteranno Siviglia, Granada e altre città, dimostrandosi altrettanto fanatici e fondamentalisti. Nel 1212 la sconfitta araba di Las Navas de Tolosa è una svolta decisiva nella Reconquista e cambia radicalmente la situazione a favore dei sovrani cristiani che nel 1236 occupano Cordova. Il potere musulmano in Spagna comincia a calare: restano solo i Nasridi nel sultanato di Granada fino alla capitolazione definitiva della città nel 1492 che segna il trionfo dei Re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Grande enfasi viene data da alcuni storici alla Reconquista cristiana della penisola che può essere considerata una lunga crociata che coinvolse le tre grandi religioni monoteiste per quasi tutto il Medioevo. Una guerra di religione infinita allora? Per Cardini in realtà vi era ben poco da riconquistare: “la Spagna pre-musulmana era stata un coacervo di staterelli romano-barbarici, vandali e soprattutto visigoti, che i conquistatori arabo-berberi dell’VIII secolo avevano spazzato via senza tuttavia mai giungere a una totale islamizzazione della penisola iberica”. Alberto Leoni ( La Croce e la Mezzaluna, edizioni Ares) evidenzia invece che “nessuno può vantare un’epopea lunga e sanguinosa come quella del popolo spagnolo. Una lotta, a tratti disperata, contro un nemico come quello di al Andalus, più numeroso, ricco e civilizzato….uno spettacolo di resistenza unico nella storia, un vivere rischioso di trincea e di frontiera nella quale si doveva essere sempre pronti a vincere o a morire”. Leoni mette in rilievo anche il fatto che la politica religiosa e fiscale dei musulmani era molto più tollerante di quella bizantina e aggiunge “ la relativa tolleranza nei confronti dei popoli del Libro contrasta con la guerra totale che il credente doveva portare contro gli idolatri”.

 

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