di Pier Franco Quaglieni
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Quale futuro per il turismo torinese? – Da Caporetto alla Vittoria – Mauro Corona – I baci di Alassio – Attacchi giacobini a cui Boeti risponde, altri tacciono – Ingrati e boriosi con la memoria corta finiti male
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Quale futuro per il turismo torinese?
I dati dell’afflusso turistico a Torino, con il 2,6 per cento in più nell’ultimo anno, sono in crescita . In confronto a Milano si tratta però di un incremento quasi non significativo, anche se va detto che siamo in un momento non facile per il turismo in generale e per quello in particolare di una città non adeguatamente attrezzata all’accoglienza. Basta vedere le chiusure estive dei ristoranti per rendersi conto che Torino chiude per ferie,più che aprirsi a chi viene in città in agosto. I loisirs estivi,ma anche i servizi sono scarsissimi. Veniamo salvati dalla Reggia di Venaria e dal Museo Egizio. I dati comunicati dalla Sindaca riguardano l’anno che intercorre tra giugno 2016 e giugno 2017. Cioè i dati intercorrenti tra l’elezione a Sindaco di Chiara Appendino e la fine di giugno,compresi i 27 giorni successivi ai gravissimi fatti di piazza San Carlo. Si potrebbe dire che sul turismo non ha influito la mancanza di grandi eventi,ma se si guardano più da vicino i dati ci si accorge che invece nel corso dei mesi la mancanza di mostre di richiamo ha pesato sul numero di presenze. In ogni caso la mancanza di grandi eventi ha inciso sull’immagine complessiva della città. E,se consideriamo che questa immagine è stata lesa in modo fortissimo dai fatti di piazza San Carlo,ci rendiamo conto che è necessario mettere in cantiere politiche volte a rendere più attrattiva ed anche più sicura Torino. I dati dal giugno 2017 a giugno 2018 saranno la prova del 9 per la tenuta del turismo torinese. Se, come purtroppo è più che possibile,ci sarà un calo saranno chiare anche le responsabilità.Soprattutto è necessario però muoversi.Una volta c’era uno slogan, andato in disuso, che Torino si muove sempre o qualcosa del genere. Era stampata persino sulla carta intestata del Comune. Adesso, più che muoversi ,bisognerebbe agitarsi o almeno agire con rapidità e determinazione.
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Da Caporetto alla Vittoria
Il 4 novembre del 2018 si dovrebbe festeggiare il centenario della conclusione della Grande Guerra e della vittoria. La parola vittoria è stata cancellata da molti anni,anche se era la festa della Vittoria,l’unica che possa essere vantata nella storia dell’Italia unita. Il 1866 ,III Guerra di Indipendenza, si concluse con due sconfitte militari una a Lissa e l’altra a Custoza. Alcune imprese africane non furono proprio entusiasmanti. La IV Guerra di Indipendenza che concluse il Risorgimento con Trento e Trieste ,ma anche con l’Istria e Fiume, fu un evento straordinario che consacrò nelle trincee del Piave il senso di essere italiani. Benedetto Croce,scrivendo a Viù il 5 novembre 1918,disse che la vittoria non andava festeggiata perché troppi erano stati i morti e troppi gli sconvolgimenti provocati,come la fine dell’impero austro-ungarico. Oggi,però,nel deserto di valori storici condivisi,la data del 4 di novembre assume un nuova luce. Bisogna farla conoscere ai giovani e ai meno giovani che non sanno nulla della nostra storia nazionale.Così ragionavo con Pier Paolo Cervone,uno dei massimi storici della Grande Guerra a cui ha dedicato molti volumi,presentando insieme a lui la sua ultima fatica dedicata a Caporetto ,edita da Mursia. Si tratta di un libro molto documentato,frutto di un’intensa e seria ricerca non ideologizzata che ripercorre le gravi responsabilità di Luigi Cadorna,ma anche del generale Badoglio a cui sono da attribuire le conseguenze degli errori che portarono alla rotta di Caporetto. Caporetto è diventata la metafora della sconfitta, della fine. Ugo La Malfa parlava già di Caporetto dell’economia ,quando essa appariva floridissima rispetto ad oggi. La Malfa era considerato una “Cassandra”. Come ha rilevato Cervone, dalla sconfitta di Caporetto rinacque un nuovo Esercito comandato da Armando Diaz che ebbe però come suo vice Badoglio, salvato dalla massoneria. La resistenza sul Piave portò, nel giro di un anno, a Vittorio Veneto. Fu anche una rigenerazione dell’Italia che trovò un’unità mai più conosciuta perché anche chi era contrario alla guerra,sentì il dovere di parteciparvi nell’opera estrema di difesa del territorio italiano minacciato. Anche Turati e gran parte dei socialisti si sentirono patrioti. A Peschiera Vittorio Emanuele III parve” un titano”-così disse testualmente il premier inglese Lloyd George – nel difendere le ragioni dell’Italia e dell’Esercito italiano di fronte agli Alleati. Sono pagine da ricordare anche oggi. Forse ripristinare nel 2018 la festa della Vittoria il 4 novembre assumerebbe un certo significato. Come nel 2011, quando il 17 marzo fu dichiarato festa nazionale e gli italiani ritrovarono per un giorno l’orgoglio di essere italiani e il valore del tricolore simbolo della Patria,una parola relegata nei solai per decine d’anni. Fu il presidente Ciampi,eletto quasi all’unanimità dal Parlamento,a preparare il terreno. Oggi avremmo più che mai bisogno di ritrovare la nostra identità nazionale.
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Mauro Corona
Mauro Corona ,scrittore ed alpinista,ha inseguito a piedi scalzi dei teppisti con l’accetta,dicendo che li avrebbe ammazzati,se li avesse presi. E ha dichiarato poi, a mente fredda , di essere contento di non esserci riuscito. In Tv ha parlato di giovinastri ubriachi e drogati,”capaci di tutto e buoni a nulla”,citando senza saperlo Leo Longanesi. Poi,quando gli hanno chiesto la sua opinione sulla droga si è dichiarato,essendo lui uomo di sinistra, a favore della liberalizzazione,anche se lui ha detto a favore della liberazione. Anche lui rude montanaro ,politicamente corretto.Colpito negli interessi ,ha reagito come farebbero tanti,si è dichiarato anche contro il disegno di legge sulla legittima difesa, ma poi il richiamo del conformismo ha finito di prevalere. Peccato,l’ho conosciuto e ho passato con lui una piacevole serata al premio letterario “Albingaunum Nino Lamboglia” che presiedevo.Abbiamo anche concordato sulla truffa dei premi letterari e su certi intellettuali di carta pesta che sono da troppi anni sulla scena. C’è chi lo ha definito un finto ribelle nazional-popolare,finto povero,grezzo e prevedibile.Addirittura è stato detto di Corona che è il Vasco Rossi della montagna,meno simpatico e più furbo del cantante. Giudizi certamente esagerati e ingiusti. Io preferisco il Corona che ho conosciuto e che mi ha fatto vivere qualche ora ad alta quota.Con semplicità,senza discorsi politicamente corretti. E senza la tendenza a fare il citazionista, per esibire una cultura che non ha e che nessuno pretende da lui.
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I baci di Alassio
I “baci” di Alassio,che un lettore ha richiamato domenica scorsa in una sua lettera, sono una specialità molto apprezzata dai turisti e non solo. Non hanno la fama del “Muretto” di Berrino,ma sicuramente sono un elemento indentitario del turismo alassino. Il torinese Roberto Baldassarre, mitico direttore della Biblioteca sul mare di Alassio ,vero demiurgo di una stagione culturale irripetibile, amava offrire ai relatori delle conferenze e dei convegni di alto livello che organizzava, una scatola di “baci” acquistati dalla storica pasticceria Sanlorenzo. Lui diceva che era il primo e l’unico produttore di “baci” e mi fece vedere anche la pubblicità dei primi del Novecento che lo attestava. Un benvenuto della Città,un po’ come il sindaco Castellani faceva regalando i gianduiotti di Giordano,fatti a mano. Il cioccolato che lega Torino con Alassio, una laison che non è casuale perché quello alassino è il mare dei torinesi per antonomasia. Sono infatti piccoli dolcetti al cioccolato con un eccezionale cuore morbido di ganache di cioccolato. Molti hanno cercato di imitarli, ma solo Sanlorenzo sa realizzarli nel modo giusto.Ho assaggiato altri “baci” molto reclamizzati, ma non c’è paragone. Per anni li ho regalati, ma non li ho quasi mai mangiati. Mi sembrava che non mi piacessero perché da bambino mangiavo quelli prodotti da altri pasticceri alassini. Adesso che non posso più per ragioni di dieta, ho scoperto che mi piacciono molto e qualche volta trasgredisco gustandone uno. Stranezze della vita.
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Attacchi giacobini a cui Boeti risponde, altri tacciono
Nella loro ultima conferenza stampa in Consiglio regionale i 5 stelle hanno affisso le immagini dei 38 ex consiglieri regionali che hanno fatto ricorso circa la decurtazione dei loro vitalizi che hanno a fronte di regolari versamenti. Un’aggressione intimidatoria contro chi rivendica il riconoscimento dei diritti acquisiti e rifiuta la retroattività delle legge. Quest’ultimo è un principio giuridico basilare,irrinunciabile perché ci siano ancora le condizioni di uno Stato di diritto. Se salta quel principio ,cadiamo nella barbarie giuridica.Il giacobinismo taglia le teste o ,quando non può farlo,mette alla berlina le fotografie dei nemici. Il Movimento 5 stelle ha trasformato spesso il Parlamento nazionale e a volte anche il Consiglio regionale in un far west.Ma ,ad ad esempio, sulla legge sulla cultura non è stato capace di denunciarne le storture che possono strangolare il pluralismo o forse è proprio indifferente al pluralismo perché è quanto di più distante dal pensiero liberale. Il vice presidente del Consiglio regionale Boeti, in un imbarazzato e imbarazzante silenzio generale, ha avuto il coraggio di prendere posizione,difendendo le ragioni del diritto. “Ho detto ai giornalisti – ha dichiarato Boeti – che in consiglio regionale si sono seduti nomi come Viglione, Nesi,Oberto, Zanone, Bajardi e molti altri che hanno, con il loro impegno civile, posto le basi per una Regione democratica e moderna.” La fase costituente fu una cosa esaltante. Ed anche il decennio della presidenza Ghigo è stata del tutto dignitosa ed utile per il Piemonte come la presidenza del Consiglio regionale di Carla Spagnuolo. Il Movimento 5 stelle ha avvelenato i pozzi della politica utilizzando la diffamazione come strumento della lotta.” Li considero- ha detto Boeti – dei miserabili ignoranti,presuntuosi, arroganti e, come stanno dimostrando nelle città che amministrano, anche incapaci”.Come dargli torto ?
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Ingrati e boriosi con la memoria corta finiti male
Uno era uno sconosciuto professorino precario in una scuola Cattolica che doveva persino tenere nascosta la relazione con una donna nel timore dei superiori sessuofobi. Era originario di Vercellli. Un noto professore di letteratura inglese che non fu mai un anglista autorevole ,ma un bravo divulgatore , gli fece rifare i suoi manuali e , da quel momento egli stesso, da divulgatore che era, anzi da rifacitore di manuali scolastici , si ritenne anglista . Il meschino non sapeva
che il vecchio prof. chiese a me un parere su di lui che non aveva nessuno che garantisse per lui. Io glielo nascosi , per lasciargli gustare la conquista fatta. FIni’ , che dopo avermi considerato impropriamente un maestro quando non lo ero, ed essersi proposto di tenere lezioni al Centro Pannunzio, assunse una boria intollerabile. Non volle neppure dirmi dove si era trasferito ,dando l’indirizzo di un hotel di Napoli dove spedire la corrispondenza. Un fermo posta mascherato.Ovviamente non per sfiducia ,ma per privacy, disse lui, perché gli studiosi non devono essere disturbati nei loro studi. Adesso è un vecchio e continua, a maggior ragione, a ritenersi un maestro, magari con la m maiuscola, ma nessuna Università l’ha visto docente e i suoi giri di lezione in Italia sono inesistenti . A Torino lo feci parlare una volta all’Università davanti a 20 persone . Una cosa imbarazzante .Un fallimento. Peccato, sapeva spiegare la letteratura alle signore che volevano darsi un atteggiamento intellettuale, venendo al Centro Pannunzio , prima di trasferirsi al più snob circolo di via Bogino dove coniugare anche lo scopone ,un bicchiere di birra e quattro pettegolezzi tipicamente torinesi. Un altro ingrato e ‘ uno più giovane di lui che vanta su FB interviste con persone importanti, senza dire chi gliele fece fare, chi garanti’ per lui, dove le pubblico’ e in che occasione le fece. Riguarda il Premio Pannunzio, ma non lo scrive . Oggi ha la memoria corta. Io mi sono sempre rifiutato di dirgli i giudizi poco lusinghieri su di lui che mi fecero alcuni intervistati autorevoli : non mi sembrava bello, verso un giovane, scoraggiarlo. Aggiustavo io i pezzi. Nessun giornale lo assunse, ma la superbia impera lo stesso sovrana . Sarebbe ora che abbassasse la cresta. Igor Man era su tutte le furie quando lesse la sua intervistina che passo’ senza ritocchi , per un errore deprecabile . Non dirò mai, neppure sotto tortura, i loro nomi. Anzi ho cambiato qualche particolare perché non siano riconoscibili. Ammesso che i loro nomi di Carneadi boriosi interessino a qualcuno, interessano la serietà degli studi . Un volta a Genova offrì un soggiorno ad una ragazza che gli preferì un amico e il poveretto non tocco ‘ palla. Lui, diceva ,sono un giornalista, il mio amico e’ un fuoricorso ,ma dimostro’ di non saperci fare con le donne. Di ingrati ce se sono altri , hanno cercato notorietà e poi sono scomparsi senza riuscire a volare con le loro ali. Sono stramazzati al suolo. Molte donne velleitarie e sciocche che hanno ritenuto il centro Pannunzio un trampolino di lancio si sono sfracellate nella vasca senz’acqua. Peccato , alcune erano anche gradevoli. Una si è anche indebitata , ma ha dovuto abbassare le ali e chiudere la botteguccia pseudo-culturale che aveva aperto con l’aiuto del vecchio professore. I velleitari a Torino sono tanti, troppi.
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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com
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Bettiza e Gawronski
Caro Quaglieni,
Ho letto il suo bel ricordo di Enzo Bettiza. Un ritratto non retorico,fuori dagli schemi come mi è parso solo quello di Marcello Sorgi. Io, socialista, l’ho conosciuto durante la campagna elettorale per le Europee. Era la dimostrazione che il socialismo liberale di Craxi stava attecchendo . Perché non ha citato il suo amico comune Gawronski?
Bianca Bicanzi
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Lo chiamavano il “barone” per il suo aspetto aristocratico e il suo eloquio raffinato. Sorgi ha parlato persino di una vita principesca. Bettiza era anche molto amico di Alberto Ronchey che aveva fatto il corrispondente da Mosca come Bettiza. Ho evitato di citare Jas Gawronski a cui devo, se non l’amicizia con Bettiza, almeno il suo,diciamo così, rafforzamento. Non l’ho fatto perchè Jas ,quando mancò Gianni Agnelli, suo storico amico,non volle dire nulla. Si chiuse nel dolore e nella riservatezza più assoluta. Gawronski appartiene ad una famiglia di principi polacchi ed ha un grande stile.Tirarlo in ballo non mi sarebbe apparso di buon gusto. Non ho invece apprezzato il “coccodrillo” di Ferrara , anche se sicuramente rimaneggiato e rivitalizzato da nuove citazioni. Ferrara e Gawronski sono molto amici,non ho mai capito il perché. Sono tanto differenti,direi incompatibili. Io ,in ogni caso, non ridurrei ,come fa lei, Bettiza ad un satellite di Craxi. Era molto di più. Era un uomo libero da ogni costrizione,come ho cercato di dimostrare nell’articolo.
pfq
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La Libia, Gheddafi e Macron
Caro Professore, Nel luglio del 1970 tanti italiani che avevano profuso il loro lavoro in Libia,vennero cacciati dal col. Gheddafi. Oggi la Libia è allo sbando. Macron sta prendendosi i pozzi di petrolio,lasciando a noi i migranti che le navi ONG portano nei soli porti italiani senza controlli.L’esempio della nave tedesca è allarmante. La Marina ha aiutato inconsciamente gli scafisti ? Un paese come il nostro è allo sbando.E pensare che nel 1911 l’Italia di Giolitti rese la Libia una colonia italiana. E Italo Balbo la governò con capacità e saggezza.
Vittorino Banchio
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La situazione è molto più complessa di quella che Lei delinea. Aver eliminato il dittatore senza avere una soluzione di ricambio fu un gravissimo errore del presidente francese e di quello americano di allora. Un atto insensato.Non dobbiamo essere nostalgici del periodo coloniale.Mussolini confessò che la colonizzazione della Libia costò più che ospitare in un grand hotel di Roma migliaia di coloni. E la II guerra mondiale ha devastato gran parte del lavoro profuso dagli italiani. Vorrei invece che si pensasse anche ai siti archeologici molto importanti che ci sono in Libia. Nessuno ne parla. Leptis Magna,ad esempio. Quando li visitai nel 2006 erano già pochissimo curati,oggi temo che abbiano subito gli effetti devastanti della guerra tribale . Un patrimonio artistico inestimabile che ai libici non interessava affatto già all’epoca del colonnello. Figurarsi durante la guerra civile quando l’Isis ha imperversato. Non darei colpe alla Marina Militare italiana che ha fatto il suo dovere salvando vite umane. Metterei sul banco degli imputati i ministri degli interni e degli esteri per la superficialità con cui hanno trattato il tema emigranti in una maniera che è consentita solo al Papa e alla Boldrini. Un classe politica seria deve assumersi responsabilità e saper dire di no. Lo ripeterò sempre :l’etica della responsabilità è quella che governa gli stati,non il buonismo pressapochista.
pfq
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