FOCUS
di Filippo Re
Donald Trump intende cambiare il Medio Oriente ma per il momento non si sa come. Mentre l’ex presidente Obama aveva atteso quattro anni prima di recarsi in Israele, Trump ha raggiunto Gerusalemme, dopo un’importante tappa a Riad, ad appena quattro mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. Mentre i negoziati tra israeliani e palestinesi sono in una fase di stallo da almeno tre anni e Netanyahu e Abu Mazen non si incontrano ufficialmente dal 2010, il presidente degli Stati Uniti fa sapere al mondo che farà tutto il possibile per aiutare le due parti ad arrivare a un accordo di pace ma per ora nessun piano concreto è stato annunciato. A 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni, 5-10 giugno 1967, tutti i tentativi di risolvere la questione israelo-palestinese sono falliti o si sono bloccati a metà percorso e la normalizzazione dei rapporti tra Tel Aviv e molti Paesi arabo-islamici è ancora lontana. Quel conflitto si risolse in realtà nell’arco di poche ore: la terza guerra arabo-israeliana fu una clamorosa e straordinaria vittoria di Israele e un’altra catastrofe per il mondo arabo. Furono distrutte le forze armate dell’Egitto, della Giordania e della Siria e lo Stato ebraico arrivò a controllare l’intera Gerusalemme, la Cisgiordania, Gaza, il deserto del Sinai e il Golan. Da alcune settimane è festa nello Stato ebraico: la bandiera con la stella di David sventola ovunque, dai finestrini di centinaia di auto così come dai palazzi pubblici e dai balconi delle case per celebrare il trionfo del ’67 e la riunificazione di Gerusalemme che provocò rabbia e sgomento nei Paesi arabi. La crisi israelo-palestinese è un problema talmente complesso che oggi la comunità internazionale è più propensa a gestirla piuttosto che a tentare di risolverla in tutti i suoi molteplici aspetti, in un contesto mediorientale dove divampano altre crisi, ancora più gravi, dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen alla Libia sullo sfondo di un scontro perenne tra il mondo sunnita guidato dai sauditi e quello sciita a guida iraniana. La guerra dei Sei Giorni in cui l’esercito israeliano sbaragliò le Forze armate di Egitto, Siria e Giordania fu uno dei conflitti più brevi della storia eppure è all’origine della maggior parte degli avvenimenti che si sono succeduti in Medio Oriente negli ultimi decenni. Dalla guerra del Kippur del 1973 a quella del Libano, dal Settembre Nero del 1970 allo scontro sugli insediamenti ebraici, il futuro di Gerusalemme, gli accordi di Camp David del 1978 tra Israele e l’Egitto con protagonisti Sadat, Begin e Carter, l’Intifada e i continui scontri tra israeliani e palestinesi nei Territori occupati. Due fatti importanti precedettero l’inizio della Guerra dei Sei giorni. Ad aprile l’aviazione israeliana abbattè sei aerei siriani di fabbricazione sovietica scatenando l’ira di Mosca e a maggio il leader egiziano Nasser decise di bloccare lo stretto di Tiran sul golfo di Aqaba dopo aver chiesto al segretario genereale dell’Onu U Thant di ritirare i caschi blu dal canale di Suez.
Lo stretto di Tiran è l’unica via di accesso al porto israeliano di Eilat attraverso il Mar Rosso. Il gesto di Nasser, che schierò quasi 100.000 soldati nel Sinai con 900 carri armati, fu ritenuto dagli israeliani un classico “casus belli”. Siria, Giordania e Iraq si allearono con l’Egitto mentre un fronte arabo formato da Arabia Saudita, Kuwait, Algeria, Libia e Sudan inviò reparti militari. Lo scontro militare tra i due Paesi sembrava ormai inevitabile. In Israele la preoccupazione salì alle stelle: fu formato un governo di unità nazionale e Moshè Dayan, ministro della difesa, propose di spezzare l’accerchiamento arabo con un attacco preventivo per impedire il collegamento fra le truppe arabe. Fu la mossa decisiva per le sorti della guerra che si svolse dal 5 al 10 giugno 1967. In meno di tre ore l’aviazione egiziana fu annientata a terra negli aeroporti dagli aerei con la stella di David e nello stesso giorno 22 aerei giordani e 55 siriani furono abbattuti. Gli storici sottolineano che si trattò dell’attacco aereo più imponente del dopoguerra, se non di tutti i tempi. Le forze israeliane avanzarono fino al canale di Suez mentre sul versante siriano e giordano raggiunsero con gravi perdite le alture del Golan e la Cisgiordania entrando nella Città Vecchia di Gerusalemme il 7 giugno per fermarsi a soli 40 chilometri da Damasco. Il 10 giugno Israele e gli Stati arabi posero fine alle ostilità accettando l’invito delle Nazioni Unite. Per lo Stato ebraico, che non si è mai ritirato dai Territori occupati respingendo tutte le risoluzioni dell’Onu, si trattò di una vittoria schiacciante sul nazionalismo arabo che uscì devastato dal conflitto che provocò una nuova ondata di rifugiati. Il solo Egitto pagò un prezzo altissimo in vite umane, i soldati uccisi furono circa 10.000 e 350 gli aerei distrutti.
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(dal settimanale “La Voce e il Tempo” )
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