di Pier Franco Quaglieni
Il 2 giugno è stato festeggiato a Torino con particolare solennità. Alcuni servizi giornalistici usciti oggi non colgono affatto lo spirito degli eventi. Dall’alzabandiera in piazza Castello alla cerimonia alla Scuola d’Applicazione al Palazzo dell’Arsenale, la scuola militare più antica d’Europa. Protagonista è stato il Prefetto di Torino Renato Saccone ,un gentiluomo napoletano molto colto che ha ridato forza alla figura centrale del prefetto rispetto ai ruoli politici. Il suo discorso di altissimo profilo storico e istituzionale al Palazzo dell’Arsenale è riuscito a sintetizzare 71 anni di storia, partendo dal giugno 1946,quando -non certo nel migliore dei modi possibili- l’Italia è diventata una Repubblica.
Era il dopoguerra ed eravamo ad appena un anno dalla fine di una guerra civile che aveva lasciato strascici di violenza e di sangue dopo la fine della dominazione nazi-fascista che aveva creato un clima di odio. Il prefetto Saccone è riandato a quell’Italia ridotta a un insieme di macerie,con orfanotrofi pieni zeppi, con manicomi- lager inumani,con una mortalità infantile impressionante,a fronte di una natalità molto alta,perché era finita la guerra l’anno prima. I miei genitori ,come tanti, si sposarono nel maggio 1945 e fecero un brevissimo viaggio di nozze,mio padre poté riprendere a girare in macchina,cosa che nel biennio 43- 45 era diventato difficoltoso ,se non impossibile. In quel periodo molti usavano la bicicletta, non soltanto gli operai, o erano costretti a viaggiare su treni che erano dei veri e propri carri bestiame.
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Il referendum aveva diviso gli italiani e la Monarchia aveva ottenuto consensi che potevano sembrare impossibili. A Torino,culla della Dinastia, i monarchici furono in numero inferiore dei repubblicani, ma al Sud ,malgrado la “conquista regia” di cui parlava Gramsci,i monarchici furono le nettissima maggioranza. La propaganda monarchica a Torino era stata resa difficile,se non ,in alcuni casi ,impossibile, per l’intolleranza dei militanti del partito comunista e del partito socialista.
L’Italia riuscì a riprendersi per merito di uomini come De Gasperi, De Nicola, Soleri, Einaudi,gente seria e pacata, capace di decidere in modo consapevole. Non poco merito ebbe il re Umberto II che, scegliendo il 13 giugno 1946, di partire per l’esilio, pur in presenza di un esito referendario dubbio, sciogliendo l’Esercito dal giuramento prestato al Re. Fu un gesto di patriottismo di grande significato che lo storico torinese Gianni Oliva ha evidenziato in un suo bel libro uscito nel 70° della Repubblica. Sicuramente il Re evitò il rischio di una nuova guerra civile. Il Prefetto Saccone non ha analizzato -e non avrebbe potuto e dovuto farlo-il clima del 2 giugno 1946,ma ha giustamente affermato che, rispetto al presente tragico, in quel momento “il futuro appariva migliore”. C’era voglia di riprendersi ,di lavorare, di voltare pagina. Guardando all’oggi, certamente c’è una parte sana, forte, ricca di potenzialità che continua a sperare in un ‘Italia migliore. A dare credibilità a questa ripresa ,non a caso ,è stato il Prefetto che rappresenta non solo il Governo ,ma l’autorità dello Stato.
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Giustamente egli ha concluso ,dicendo che la giovane Repubblica si era posta sulle spalle di un gigante, l’Italia. Con questa metafora credo abbia voluto intendere il senso della continuità delle istituzioni e della storia complessiva del Paese che non poteva esaurirsi nella sola Resistenza, ma doveva affondare le sue radici anche e soprattutto nel Risorgimento che aveva creato il nuovo Stato unitario. Le affermazioni manichee di un Antonicelli che scrisse che la storia d’Italia iniziava il 25 aprile 1945,appaiono oggi in tutta la loro miseria. Eppure Franco Antonicelli era ,allora, un liberale…
Poche le autorità presenti alle manifestazioni del 2 giugno , il presidente della Regione e il Vicepresidente Boeti, molti sindaci, tra cui quella di Torino, ma i vip hanno disertato le cerimonie. Il fine settimana al mare è stato più forte. Un nota stonata in momenti in cui tutti dovrebbero dare l’esempio. Nelle prime file c’erano posti vuoti e soprattutto brillavano certe ingiustificabili assenze.
Nei giornali di ieri e di oggi ho letto molte frasi di circostanza, anche se c’è stato chi ha posto il problema se si possa festeggiare la Repubblica, riferendosi al momento istituzionale caotico che stiamo vivendo. Un dubbio ragionevole ma che andrebbe superato perché gli interessi dell’Italia dovrebbero prevalere su tutto, anche se pochi in verità dimostrano di esserne consapevoli. La riflessione più lucida è venuta da un’autorevole docente torinese di diritto, una donna coraggiosa e libera, la prof. Anna Maria Poggi che ha avanzato il fondato dubbio della validità di un articolo 1 della Costituzione che fissa come fondamento della Repubblica il lavoro e solo quello. Se pensiamo che addirittura un piccolo movimento politico si è richiamato a quell’articolo per definirsi,abbiamo chiara l’importanza dell’obiezione della prof. Poggi.
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Certo ,quel richiamo al lavoro significava che nella Repubblica non potevano sopravvivere privilegi di sorta e che il cittadino poteva distinguersi solo per i suoi meriti di lavoro. Un’affermazione giusta, ma insufficiente, specie se i meriti non vengono riconosciuti e un egualitarismo giacobino vorrebbe livellare tutti verso il basso, mentre l’ineguaglianza, come diceva Popper, è un’opportunità di crescita, è la possibilità di mettere a frutto i propri talenti. Costant vedeva l’eguaglianza nel riconoscimento delle capacità ,a prescindere dalle origini. Altri hanno giustamente parlato di eguaglianza nei punti di partenza. La stessa Costituzione garantisce ai “capaci e meritevoli” (e non a tutti) di raggiungere i più alti gradi nel campo dell’istruzione. Quando ho ascoltato in televisione un’avvocatessa -che si autodefinisce avvocata, come fosse la Madonna- condannare in modo assoluto le diseguaglianze, ho capito che lo spirito liberale non solo non viene capito, ma viene sicuramente combattuto con una chiusura ideologica miope che fa pensare alla Rivoluzione Russa di cent’anni fa. La Repubblica del ’46 diede a tutti l’opportunità di vedere riconosciuti i propri meriti e gli imprenditori che hanno ricostruito un Paese azzerato dalla guerra, avevano di fronte a sé non solo lo stupido giacobinismo di alcuni fanatici che lo stesso Togliatti riuscì ad imbrigliare, ma politici capaci di sostenere lo sviluppo e la crescita dell’economia.La Poggi ha assoluta ragione nel dire che fondare la Repubblica sul lavoro non basta. Ci sono valori storici, valori che definirei “immateriali”, che costituiscono il nerbo di Nazioni come la Francia o l’Inghilterra. Solo con Ciampi abbiamo riscoperto il Tricolore e l’Inno nazionale. La bandiera alle finestre resta invece un fatto ancora legato alle partite di calcio. Molti cittadini, per altro, sono delusi, demotivati, indignati, arrabbiati.Non senza ragione. Sarebbe un discorso da riprendere, andando oltre il 2 giugno.
(foto: il Torinese)
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