“Non ci sono religioni ‘sorvegliate speciali’”
Oggi in Commissione Urbanistica è cominciata la discussione sulla proposta di legge a prima firma Vignale (FI) relativa alla realizzazione di nuovi edifici destinati all’esercizio del culto.
La legge pone particolare attenzione alla religione islamica, come esempio di associazione che “non sottoscrivendo intese con lo Stato italiano, deve tuttavia definire in maniera precisa la propria attività sul nostro territorio”, poiché – così recita la relazione introduttiva – “sovente la legge coranica prevale rispetto alle norme del Paese ospitante”. Si chiede pertanto di sottoporre moschee e luoghi di culto islamico a regolamentazione per garantire la piena trasparenza dei finanziamenti per la loro costruzione e gestione. Ma, soprattutto, si pretende di stabilire che “gli imam limitino la loro predicazione ai soli precetti di culto, parlino in italiano e siano in grado di accompagnare le comunità musulmane praticanti in un processo di crescente integrazione, senza configgere con l’ordine pubblico e con la sicurezza del Paese”.
“Il disegno di legge presenta evidenti aspetti di incostituzionalità” – dichiara il Capogruppo di SEL Marco Grimaldi. – “Innanzitutto interviene su una materia, quella dei rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose, regolata dalla Carta (Art. 117) e dunque di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Inoltre, la sentenza n. 63 del 2016 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge regionale della Lombardia analoga a questa, ritenuta discriminatoria e limitante la libertà religiosa. La sentenza ha sancito che ‘l’esercizio del culto è componente essenziale della libertà religiosa e non può essere soggetto, anche nella sua forma pubblica, ad alcun controllo o limitazione’”.
La pdl Vignale ricalca quella nazionale proposta da Santanché (A.C. 2976) sulla regolamentazione della costituzione di moschee e dell’attività degli imam. La proposta prevede l’istituzione di un registro pubblico delle moschee e di un albo nazionale degli imam, sottoposto a una Commissione che ne valuterebbe l’idoneità.
“I precetti costituzionali che riconoscono la libertà di culto all’interno di un quadro condiviso di principi (in particolare gli artt. 3,7,8,19 e 20 e, indirettamente gli artt.2,17,18,21 della Costituzione Italiana) esprimono molto chiaramente la volontà di garantire uno dei diritti fondamentali della persona e dei cittadini” – dichiara l’ex Assessora della Città di Torino Ilda Curti. – “La nozione di ‘luogo di culto’ intesa come ‘servizio pubblico’ deriva invece dalla disciplina urbanistica e da quella fiscale, norma i luoghi di culto delle confessioni che hanno un’intesa con lo Stato (chiese cattoliche, Sinagoghe, Templi valdesi e protestanti e poco più). Non esiste invece una disciplina che normi gli altri luoghi di culto, quelli senza intesa con lo Stato. Tuttavia la Carta è chiara: la libertà di culto è garantita non solo agli individui ma a questi in forma associata, organizzata e pubblica”.
“Il punto è che l’esistenza o meno di Centri islamici formali e aperti dipende dalla volontà di chi amministra un territorio” – dichiarano Grimaldi e Curti – “Per dirla in altri termini: a Treviso si prega nei garage, a Torino si possono fare le pratiche edilizie e si ottiene il permesso a costruire come qualsiasi altro cittadino, impresa o associazione che rispetti le leggi e l’ordinamento edilizio e urbanistico. Di sicuro da qui non si torna indietro. E ancor più certamente non accetteremo l’equiparazione fra islam e terrorismo che genera ‘sorvegliati speciali’ sottoposti a restrizioni, obblighi e controlli discriminatori”.
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