Antonio Gramsci: Torino lo ricorda a 80 anni dalla scomparsa

Ottant’anni fa moriva Antonio Gramsci e Torino, sua città d’adozione, lo ricorda il 27 aprile, giorno della morte , con una no-stop al Polo del ‘900. Si inizia con un dibattito su “Gramsci e la crisi della politica”,  un aperitivo sardo e uno spettacolo teatrale. “Tutto tranne Gramsci”, ispirato a “Le donne di casa Gramsci” di Mimma Paulesi Quercioli, regia di Susanna Mameli, è invece un omaggio alla madre di Gramsci. Infine, il concorso per giovani artisti under 35 che saranno premiati a dicembre assieme ai vincitori del Premio Giuseppe Sormani. Mentre il 10 ottobre il Polo del ‘900 ospiterà la mostra “Antonio Gramsci e la Grande Guerra”.

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Antonio Gramsci e  la Torino dei primi del ‘900

di Marco Travaglini

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Nell’autunno del 1911, il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio, ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare l’Università di Torino: Antonio Gramsci fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino. “Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa”. Il 27 ottobre dello stesso anno concluse gli esami, classificandosi nono e si iscrisse alla Facoltà di Lettere. Vivere a Torino era un’impresa: le 70 lire al mese non bastavano nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, dovette pagare 25 lire al mese per l’affitto della stanza al n.57 di Lungo Dora Firenze , a Porta Palazzo, oltre alle spese  di prima necessità , a partire dai pasti  ( “non meno di due lire alla più modesta trattoria”)  e da legna e carbone per il riscaldamento. Non aveva neppure un cappotto, al punto di scrivere nelle sue lettere  come  “la preoccupazione del freddo” non gli permetteva di studiare perché “ o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata”. Eppure Antonio Gramsci, tenace e risoluto sardo nato ad Ales  il 22 gennaio 1891  (a quel tempo provincia di Cagliari, ora di Oristano) diventò uno dei più grandi e originali pensatori del ‘900,  studiando a Torino, svolgendo una fitta attività giornalistica, diventando un dirigente del movimento operaio e socialista.

La ricchissima biografia dell’autore dei “Quaderni del carcere”, una delle pietre miliari della letteratura e della teoria politica del  “secolo breve” è nota. Contribuì alla fondazione del Partito comunista d’Italia (Livorno 1921) – diventandone nel 1926 segretario generale –  e de “l’Unità”, nel 1924. Deputato dal 1924, venne arrestato nel 1926 nonostante l’immunità parlamentare, processato dal regime fascista nel 1928 e imprigionato nel carcere di Turi (Bari) fino al 1933, quando, gravemente malato, viene trasferito presso una clinica di Formia e poi alla clinica Quisisana di Roma dove morì ottant’anni fa, il 27 aprile 1937. Il legame tra Gramsci e Torino risulta evidente e  fortissimo per tante ragioni. E i luoghi dove visse e operò nella città “dei quattro fiumi” fanno parte della “geografia” gramsciana, a partire dall’edificio al n.15 di Piazza Carlo Emanuele II , nota ai torinesi come “Piazza Carlina”. In questo stabile  nel cuore di Torino, oggi diventato il  lussuoso Hotel Carlina,  è ospitata “Casa Gramsci”, uno spazio di due vetrine, tra via Maria Vittoria e via San Massimo, aperto al pubblico nel luogo in cui  Gramsci  visse dal 1913 al 1922. C’è anche, da non dimenticare, il palazzo al n.7 di via dell’Arcivescovado. Quasi all’angolo con via XX Settembre, su uno dei muri dell’edificio che ospitò anche la casa editrice Einaudi, il 27 aprile del 1949 venne posata una lapide firmata  “Torino memore “ dove si rammenta che lì “la forte volontà/ e la mente luminosa/ di Antonio Gramsci/ stretti attorno a lui/ gli operai torinesi/ contro la barbarie/ fascista prorompente/ “L’Ordine Nuovo”/ stendardo di libertà/ qui nella bufera/levarono e tennero fermo”. In quel palazzo ebbe sede la redazione del giornale di Gramsci e degli altri futuri fondatori del Pcd’i, come prima l’aveva avuta l’edizione piemontese de “L’Avanti!” . Nei “due grandi camerini” di  via dell’Arcivescovado ( “in cui lavoravano tutti i redattori e i cronisti”, come ricordava uno di loro, Palmiro Togliatti ) nacque, visse e morì “L’Ordine Nuovo” di Gramsci. Un “luogo della memoria” dove si può immaginare il lavoro di quell’insieme di uomini e di cultura, il fervore delle idee, delle passioni e dei progetti che si addensarono in quegli spazi. E’ probabile che lì Gramsci  scrisse perLa città futura, numero unico pubblicato nel febbraio del 1917 a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista, il suo “grido” contro l’indifferenza. Scrisse, tra l’altro: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti..L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza…Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti…Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. Un testo lucido, aspro che  – dopo cent’anni esatti-  fa ancora riflettere.

 

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