Carpanini capì, prima di tutti, che bisognava intervenire in certi quartieri torinesi anche con mano pesante. Non glielo permisero perché il politicamente corretto era una regola ferrea…
di Pier Franco Quaglieni *
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Museo Egizio a Catania ?
L’idea di concedere alla Città di Catania (perché proprio Catania ?) pezzi del Museo Egizio di Torino (grave errore e un’ingiustizia storica non aver inserito nel logo la parola Torino )appare un’idea piuttosto peregrina.Perchè, invece, non potenziare ulteriormente il Museo Egizio,magari alla Reggia di Venaria Reale ? O predisporre mostre temporanee in grandi città europee che pongano l’Egizio di Torino al centro dell’interesse internazionale ? Fui tra coloro che sostennero la necessità che il museo non dovesse muoversi da via Accademia delle Scienze. Lo feci malvolentieri perché l’idea di Venaria mi sembrava migliore. Il prof. Curto mi ringraziò di un appoggio che giudicò importante, non sapendo che invece era molto sofferto e dovuto alle insistenze di alcune mie amiche, tanto appassionate di antichità egizie quanto piuttosto petulanti. Sicuramente il museo oggi è in buone mani e i visitatori sono in continuo aumento. Ma la scelta di Catania mi sembra affrettata e priva di giustificazioni. O siamo ancora fermi all’idea di un Risorgimento “conquista regia”,se non rapina nei confronti del Sud ,idea che giustificherebbe, come risarcimento postumo, trasferire al Sud un po’ di museo torinese creato dagli odiati Savoia? Ovviamente la mia valutazione non ha nulla di “torino-centrico”,nè di chiusura verso il Mezzogiorno.
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Disertori della Grande Guerra
Apprendo dall’”Incontro”, il mensile torinese fondato nel 1949 e diretto dal decano dei giornalisti piemontesi ,l’avv. Bruno Segre, che il Parlamento italiano ha negato la riabilitazione dei disertori italiani della Grande Guerra 1915-18. Ne gioisco perché nel 2015 con articoli e discorsi criticai la proposta di legge del deputato PD Gian Piero Scanu in vena di revisionismi pseudo-storici del tutto ingiustificati. Scrissi anche al presidente Renzi, nella sua veste di segretario del PD, definendo l’iniziativa come un’offesa grave ai Caduti, ai mutilati, ai reduci della Grande Guerra. L’ipotesi dell’on. Scanu prevedeva addirittura la posa di una targa in bronzo all’Altare della Patria ,dove riposa il Milite Ignoto, che ricordasse il “loro sacrificio”. Sono d’accordo che il rigore maniacale di Luigi Cadorna, unito anche alle sue scarse qualità di stratega, determinò nell’Esercito italiano il sacrificio di troppi soldati in assalti all’arma bianca che apparvero non motivati. Cadorna dovrebbe essere eliminato dalla toponomastica non solo perché portò alla disfatta di Caporetto cent’anni fa, ma perché fu un condottiero assolutamente non adeguato, a voler essere gentili. Fu, come scrisse Pierpaolo Cervone, “un signore della guerra” per il quale la vita dei soldati era una variabile assolutamente indipendente. Ma tra riconoscere questo e rendere onore ai disertori c’è una bella differenza. La Camera approvò incredibilmente il 21 maggio 2015 con voto unanime la proposta dell’on.Scanu, ma poi in Commissione Difesa prevalse il buon senso e scomparve dal testo la parola riabilitazione. L’idea della targa invece è sopravvissuta ,anche se si parla di” offerta di perdono” e non più di riabilitazione. Il solito compromesso all’italiana. Nel centenario della I Guerra mondiale si deve storicizzare e non mitizzare nulla, ma c’è un punto di equilibrio in tutto. Torino è la città che non ha ricordato il centenario del martirio di Cesare Battisti e di Damiano Chiesa, studente del nostro Politecnico e sicuramente si sta preparando a ricordare, magari con enfasi, il centenario della disfatta di Caporetto del 1917. Spiace che “L’incontro” ,sia pure nella sua “Tribuna pacifista”, abbia preso partito per la riabilitazione che è apparsa ,anche a uomini di sinistra, come qualcosa di fuori posto.
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I 150 de “La Stampa”
“La Stampa” ha festeggiato i suoi 150 anni di vita. Belle manifestazioni, bellissima mostra a Palazzo Madama che merita una visita.Un ponderoso volume del maggiore storico italiano del giornalismo, Valerio Castronovo, ricostruisce con rigore la storia di un secolo e mezzo in cui egli inserisce magistralmente quella del giornale. Lo storico, è evidente, deve fare delle scelte. E Valerio Castronovo è capace sempre di fare delle scelte ponderate, mai manichee. Aver scelto Castronovo si è rivelata la scelta migliore possibile.T uttavia non posso non notare come non sia stato dato risalto ,se non minimo, all’edizione del pomeriggio “Stampa sera” che ha avuto una sua importanza non solo come scuola per tanti giornalisti destinati a passare alla “Stampa” o ad altri quotidiani . Pensiamo a Vittorio Messori, ad esempio, che nacque come giornalista a “Stampa sera”. Tra l’altro ,”Stampa sera del lunedì” sostituiva ad ogni effetto il numero mattutino della “Stampa”. Il giornale del pomeriggio è stato un elemento importante della storia del giornalismo italiano.” Stampa sera” ha avuto direttori come Caretto, Doglio, Torre,Bernardelli che meritano tutti di essere ricordati. Rossella che chiuse il giornale, accettando di liquidarlo in pochi mesi e che divenne successivamente direttore de “La stampa”, dovrebbe essere ricordato in modo critico. Il licenziamento , dalla sera al mattino, di Pierangelo Coscia ,vicedirettore del quotidiano di via Marenco , da parte di Paolo Mieli, viene ignorato e quel licenziamento non non fu una bella pagina nè umana nè giornalistica. Giorgio Calcagno ,protagonista della Terza pagina, viene citato una sola volta, come Cicchitto. Sandro Chiaramonti che ha consentito al giornale di sbarcare in Liguria da protagonista, viene trascurato.
Il mitico Ferruccio Borio capo cronista con Debenedetti, Ronchey, Fattori e Levi ,viene citato appena tre volte. Borio seppe radicare a Torino “La stampa” come nessun altro, facendola diventare “un’abitudine” dei torinesi. Il nuovo direttore Molinari, tornando a girare la città, ha ripreso il dialogo con i lettori. Valentino Castellani ,sindaco per dieci anni, è citato una sola volta, la sindaca Appendino , in carica da poco più di sei mesi,ha l’onore di quattro citazioni. E’ facile criticare, scorrendo l’indice dei nomi, Castronovo ha fatto un lavoro ciclopico in cui le inezie sono e devono restare inezie perché l’opera che ha scritto è davvero eccezionale. Bellissimo il numero di “Origami” ,l’originale settimanale ideato e diretto da Cesare Martinetti che ,in occasione dei 150 anni, ha raccolto alcuni articoli dei direttori e dei collaboratori più importanti. Merito di “Origami” aver messo nell’antologia dei grandi del giornale un gigante dimenticato come Frane Barbieri. Il giornale di Martinetti è sempre da collezione, ma il numero 65 lo è in modo particolare. Consente di conservare una sintesi di cos’è stata “La stampa” nei suoi primi 150 anni.
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Carpanini e la sicurezza
Quando ho letto che il ministro degli Interni Minniti ha scoperto che la sicurezza è cosa di sinistra e che non possiamo permetterci ondate di migranti incompatibili con le nostre risorse (l’etica della responsabilità che deve prevalere su quella astratta dei principi) mi è tornato alla mente Domenico Carpanini,vicesindaco di Torino con Castellani. Mancò nel 2001 ,mentre stava iniziando un dibattito con Roberto Rosso candidato sindaco di Forza Italia. Carpanini capì, prima di tutti, che bisognava intervenire in certi quartieri torinesi anche con mano pesante. Non glielo permisero perché il politicamente corretto era una regola ferrea, ma Domenico non solo nei nostri colloqui privati diceva cose che purtroppo sono rimaste inascoltate. Mi invitava a colazione all’”Arcadia “ogni tre mesi per chiedermi cosa pensassi dell’Amministrazione. Prima e dopo di lui non mi capitò più. Se fosse stato lui il sindaco di Torino,forse certi provvedimenti sarebbero stati presi o,forse,l’avrebbero fermato gli ambienti radical-chic che,quando lui volle multare i lavavetri ai semafori,si schierarono subito contro di lui. Ci fu persino un noto professore che dichiarò che avrebbe comprato solo sigarette di contrabbando per solidarietà con i venditori clandestini. Il “Carpa “, invece, era una persona seria.
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I pasticcini torinesi
Con la chiusura di Pejrano in corso Vittorio Emanuele ha abbassato in contemporanea le saracinesche anche Pfatisch, la pasticceria che conviveva con Peyrano. Quasi nessuno ha parlato di questa vecchia pasticceria. La sua bavarese al cioccolato e alla crema o alla frutta resterà un ricordo: era inimitabile. Sopravvive, per nostra fortuna, l’altro Pfatisch di via Sacchi che è un locale storico, nato nel 1915, insignito del Premio di alta gastronomia “Mario Soldati”. Sono andato spesso proprio con Soldati ,ma lo frequentavano anche Montanelli e Bobbio che abitava poco distante in via Sacchi. I piccoli panini e i canapè che si trovano solo la domenica, sono una squisitezza assoluta. Speriamo che il Pfatisch sopravvissuto resti sempre a baluardo di una tradizione di cui Torino va giustamente fiera e che rischia di perdersi. In quel negozio si respira l’aria di cent’anni fa, un’aria quasi magica. Un’ altra squisitezza torinese sono i gianduiotti fatti a mano da un altrettanto storico cioccolatiere di piazza Carlo Felice. Quei gianduiotti sono insuperabili quanto ,forse, non abbastanza conosciuti o, forse, sono rimasti tali perché non molto pubblicizzati. Carlin Petrini non ha ancora pensato di creare il presidio del gianduiotto perché, altrimenti, ci si dovrebbe preoccupare. Da quando ha creato il presidio degli asparagi violetti di Albenga, la domanda è cresciuta rispetto all’offerta e sono comparsi asparagi violetti prodotti in altre regioni e spacciati come albenganesi. Molte pasticcerie hanno da tempo chiuso i battenti: Daturi e Motta, Zucca. Altre pasticcerie si sono snaturate nei gusti. Una pasticceria molto nota a San Salvario, Gastaldo, ha chiuso da tempo. Il profiterol che facevano resta anch’esso irripetibile.Nessuno da saputo seguirne l’esempio.Peccato,Torino perde colpi anche in questo settore.
* direttore del Centro Pannunzio
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