L’avventura “europeista” dei “Sei di Torino”

ALLA “FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA” OLTRE 40 OPERE  DEL GRUPPO NATO ALL’OMBRA DI FELICE CASORATI

 

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Diversi per età. Diversi per origini culturali. Diversi per provenienza. I “Sei di Torino”, ai quali la torinese “Fondazione Giorgio Amendola” dedica un’ampia mostra (inserita nell’ambito dei progetti di riqualificazione delle periferie urbane ), ebbero in comune per un certo periodo del loro iter artistico un privilegio sicuramente non da poco: l’assidua frequentazione di una delle più prolifiche “scuderie” d’arte della Torino Anni Venti – Trenta e oltre: quella del Maestro Felice Casorati, che nel 1923, nel suo studio di via Mazzini, aveva aperto una scuola per giovani artisti. Lì si trovano a lavorare gomito a gomito, chi con più adesione ai “precetti” casoratiani e chi con maggiore libertà e originalità creativa, quelli che qualche anno dopo si assoceranno appunto sotto la sigla (quasi un marchio di fabbrica) dei “Sei di Torino”:

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Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa, Jessie Boswell (unica donna del Gruppo), Enrico Paulucci e Nicola Galante. Ufficialmente – sotto l’influente sponsorizzazione dello storico dell’arte Lionello Venturi (che all’epoca andava costituendo la corposa Raccolta Gualino) nonché del critico Edoardo Persico (arrivato nel ’27 a Torino da Napoli) –il Gruppo nasce nel gennaio del 1929 con una mostra a sei alla “Galleria Guglielmi” di piazza Castello, che proprio Persico definì come “la prima battaglia delle nuove generazioni per un’arte europea in Italia”. Loro segno levi3distintivo fu infatti la volontà di perseguire una pittura “intuizionistica” (a mezza strada fra Fauvismo ed Espressionismo) e proiettata verso l’Europa –in primis Scuola di Parigi e Modigliani, secondo Venturi – in antitesi al nazionalismo retorico del regime: pittori “dissidenti” insomma rispetto all’arte ufficiale del Novecento e, per questo, non poco “sospetti” in un periodo in cui anche le divergenze artistiche assumevano un significato pericoloso di contrasto ideologico e politico. Sciacquati “i panni in Senna” (ma la “lezione impressionista” non sempre appare così preminente nei quadri dei Sei) la vita del Gruppo si esaurì nel giro di pochi anni, con la mostra a Parigi del dicembre 1931, quando venne a perdersi l’appoggio dei due veri “creatori” del Sestetto: il finanziere Riccardo Gualino, confinato a Lipari per bancarotta fraudolenta, e Lionello Venturi, che proprio nel ’31 espatria a Parigi aderendo a “Giustizia e Libertà”.

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Tre anni di mestiere “in comune”, con esiti assolutamente non univoci, e che tornano a riproporsi nelle 45 opere esposte alla “Fondazione Amendola”, all’interno di una mostra imperdibile, curata da Loris Dadam. Il percorso si apre con nove opere di Carlo Levi eseguite fra il ’26 e il ’69. Si va da un “Ritratto del padre” ancora fortemente iperrealista, per passare al parigino impressionista “Notre Dame sotto la neve” del ’29, fino alla svolta palesemente espressionistica con il ritorno del colore che si fa materia densa quasi informale in quadri che troveranno il loro apice espressivo durante il periodo del confino politico in Lucania (1935- ‘36), per concludersi con l’imponente telèro “Lucania ‘61” – il suo “Cristo si è fermato a Eboli” trasferito su tela – custodito in Palazzo Lanfranchi a Matera e di cui la “Fondazione Amendola” ospita una fedele riproduzione. Di Francesco Menzio, insegnante dal ’51 all’Accademia Albertina di Torino, la mostra presenta, fra gli altri (notevole il matissiano “Fiori e conchiglie”), un pezzo del ’59, “Stazione a Torre Pellice”, dove il colore cede il passo al segno, levi5graffiante immediato essenziale, come elemento portante di un’opera con caratteri similari alla briosa “Passeggiata a Nervi”, guazzo su tela del ’33 di Enrico Paulucci e al carboncino su carta del ’46 “Torre Pellice (Castelluzzo)” dell’abruzzese Nicola Galante apprezzato xilografo oltreché pittore. Di Gigi Chessa, che al Gruppo aderì vantando già al suo attivo innumerevoli mostre nonché la partecipazione alla XVI Biennale di Venezia del ’28, la rassegna sottolinea quanto egli sia stato volutamente il meno “casoratiano” dei Sei, quale “pittore di luce” più che di rigidi “spazi” compositivi. Sua “La zuppiera” del ’24, incantevole con quel “bianco illuminato dal raggio di luce come un caravaggesco della Scuola di Utrecht, che emerge da grigi, bruni, sfondi afoni”. Più fedele, invece, alla lezione del Maestro (pregevoli i numerosi “Interni” dalla tipica “griglia geometrica casoratiana”) fu l’inglese Jessie Boswell, la più “anziana” del Gruppo e a Torino dama di compagnia di Cesarina Gualino. Suo il rigoroso e severo “Autoritratto” del ’41, composto forse per i suoi sessant’anni. Immagine intensa, di pensierosa fissità.

Gianni Milani

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“Carlo Levi – I Sei di Torino”. Fondazione Giorgio Amendola, via Tollegno 52, Torino,  tel. 011/2482970. 

Fino al 31 gennaio – Ingresso libero – Orari: lun. – ven. 10-12,30/ 15,30-19; sab. 10-12,30;

dom. visite guidate su prenotazione al 348/2211208   

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Nelle immagini:

– Carlo Levi: “Notre Dame sotto la neve”,olio su tela, 1929

– Francesco Menzio: “Stazione a Torre Pellice”, olio su tela, 1959

– Enrico Paulucci: “Passeggiata a Nervi”, guazzo su tela, 1933

– Gigi Chessa: “La zuppiera”, olio su tela 1924

– Jessie Boswell: “Autoritratto”, olio su cartone, 1941

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