Una personale alla “Privateview Gallery”, fino al 31 gennaio
Un colpaccio mica da ridere quello messo a segno da Silvia Borella e Mauro Piredda, giovani e talentuosi galleristi torinesi, con l’ospitata nella loro “Privateview Gallery”, aperta da pochi mesi in piena San Salvario a Torino, del “Solo Show” di Ted Larsen che sotto la Mole in prima europea presenta, a cura di Paola Stroppiana, 24 opere “site specific” realizzate appositamente per l’evento subalpino.
Nato nel 1964 a South Haven, nel Michigan, da diversi anni Larsen, sicuramente oggi fra gli esponenti più affermati del nuovo Minimalismo americano, vive e lavora a Santa Fe (New Mexico), tradizionalmente luogo cult per la comunità artistica statunitense. Sue opere sono presenti in molte collezioni pubbliche e private, nonché in diverse istituzioni museali, fra cui il “New Mexico Museum of Art” di Santa Fe e l’ “Edward F. Albee Foundation” di New York. Pittura scultorea o scultura pittorica: sulle asettiche pareti in candido cartongesso della Galleria di via Goito, i lavori di Ted Larsen ben documentano le origini culturali di un discorso estetico profondamente colto e meditato, che nasce da una geniale manualità, “applicata a materiali di recupero in equilibrio fra pittura, ready-made e scultura astratta”, per tradursi in modo “giocoso” ma estremamente equilibrato nei suoi effetti di rigorosa definizione materica, in oggetti unici e irripetibili. Lavori sui quali è consigliabile (meglio, d’obbligo) non disquisire oltre il “quello che vedi è quello che vedi”, per dirla con Frank Stella, fra i teorici di quell’ “oggettivazione” delle opere che è prerogativa di fondo del linguaggio minimale. E proprio a Stella, ma anche a Donald Judd (e alla sua risposta attraverso la “tridimensionalità della superficie pittorica” al “soggettivismo” dell’Informale e dell’Espressionismo Astratto) così come a John McCracken (cui il Castello di Rivoli ha dedicato una personale nel 2011), Ted Larsen guarda con occhio attento, ma sempre in termini di originale e creativa operatività. Artista di formazione accademica e profondo conoscitore della storia dell’arte, in lui sono innegabili i rimandi, attraverso l’ormai acquisita e principale dimensione minimalista, al Modernismo così come alle più complesse avventure delle prime avanguardie dell’arte astratta o concettuale e perfino cubista. A fare la differenza, per l’artista di Santa Fe, è sempre l’intervento manuale, quel lavoro “di bottega” brillante e puntiglioso e geniale, che va “dalla sgrossatura di pezzi di lamiera di più grandi dimensioni recuperate direttamente dai depositi di rottami e lavorate in studio, alla costruzione dei singoli elementi che compongono le sculture, realizzate in legno di compensato, assemblate con silicone e ricoperte in ultimo con le lamine recuperate”. Libere di documentare, a seconda del materiale trattato, di tutto un po’: dal reperto d’auto Anni Cinquanta ai più eterogenei complementi d’arredo in formica agli american diner o altro, fino ai rivestimenti di frigoriferi d’antan e agli oggetti più strani e svariati che possano venirci in mente. Fantasia e realtà senza limiti. Su questo “gioca” la creatività dell’artista, attraverso un pluralismo di forme su cui molto incidono anche gli spazi bianchi delle pareti che diventano “magico infinito” e i chiaroscuri prodotti dalle ombre che si fanno opera esse stesse: linee curve, angoli improvvisi, altre linee a contrasto; volumi che abbondano raddoppiano e si ripetono, accanto ad altri che s’appiattiscono fino al puro geometrismo di elementi metallici modulari (esemplare l’imponente“Lined Out Installation”) o si collocano in uno snello sviluppo orizzontale, come nel caso del Lègeriano “Awfully Good”. Personalissimo anche l’uso del colore, con “accostamenti di palette color pastello, spesso recanti i segni delle ‘vite’ passate”, in opere che sono “patchwork giocosi” concepiti per “restituire bellezza a un mondo di consumismo e di rifiuti”. Dove anche i titoli (“Hard Curve”, “Voodoo Science o “True Fiction”) nascono come ironici ossimori per scaraventarci in labirinti interpretativi senza via d’uscita. Esattamente ciò che Larsen vuole.
Gianni Milani
Ted Larsen: “Solo Show”
“Privateview Gallery”, via Goito 16, Torino
Fino al 31 gennaio
Orari: dal mart. al sab. ore 15-19; www.privateviewgallery.com – info@privateviewgallery.com
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Nelle immagini, dall’alto:
Ted Larsen e le sue opere “Lined Out Installation”, “Awfully Good”, “Active Retirement”, “True Fiction”
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