La prima Corporate University in Italia risale addirittura al 1957, all’intuizione di Enrico Mattei che decise di fondare una scuola all’Eni di studi superiori sugli idrocarburi che oggi rappresenta una realtà formativa importante a livello internazionale.
di Paolo Pietro Biancone*
Lo sviluppo delle competenze ritenute tipiche ed essenziali per gli affari, la formazione continua, la promozione della cultura aziendale e l’attenzione verso la preparazione dei neo-assunti. Per questo nascono e si diffondono le università aziendali. In Italia al momento sono circa 40 e appartengono a diversi settori dalla farmaceutica, alle assicurazioni, al settore alimentare, ai servizi di pubblica utilità.
Ben altri numeri rispetto agli Stati Uniti, dove se ne contano addirittura 4 mila: una tra tutti la Hamburger University di McDonald’s. Gli studenti, futuri manager di ristoranti, imparano come preparare hamburger e patatine e sono addestrati a far funzionare alla perfezione il meccanismo del ristorante. Le lezioni comprendono simulazioni, con una parte di studenti che osserva e un’altra che lavora in cucina, alla cassa o che recita la parte del cliente impaziente. E poi c’è una parte teorica in classe, dove gli insegnanti passano in rassegna gli errori riscontrati dagli studenti nella gestione del locale, propongono soluzioni e li preparano ad affrontare nuovamente la prova della simulazione. Nel piano di studi rientrano anche autostima e auto-aiuto per i manager, che ricevono le armi psicologiche per fare fronte alle difficoltà.
La prima Corporate University in Italia risale addirittura al 1957, all’intuizione di Enrico Mattei che decise di fondare una scuola all’Eni di studi superiori sugli idrocarburi che oggi rappresenta una realtà formativa importante a livello internazionale. L’ultima in ordine di tempo, ma non di importanza, è quella aperta da Poste italiane l’anno scorso per la formazione del gruppo con l’obiettivo tra gli altri di riconvertire migliaia di postini e addetti ai recapiti ad altre mansioni.
Secondo uno studio di Assoknoledge, il settore in cui risulta una prevalenza di aziende che hanno sviluppato Corporate University risulta essere quello delle assicurazioni e dei servizi finanziari (23%). Riguardo al fatturato delle aziende rilevate, il 3% si attesta sotto i 100 milioni di euro, il 13% dai 101 ai 300, un altro 13% dai 301 ai 500 e il 71% sopra i 501 milioni. Per quanto riguarda l’età media dei dipendenti, un significativo 55% indica la presenza di persone fra i 41 e i 50 anni, il 29% fra i 31 e i 40 e nessuna presenza sotto i 30 e sopra i 50. Emerge che gran parte delle aziende collega la formazione non solo all’acquisizione di competenze tecniche, ma al miglioramento dello sviluppo delle competenze manageriali, confermando come la valenza strategica, individuata come caratteristica distintiva della Corporate University da parte della letteratura, trovi una delle sue principali ricadute nella costruzione di un sistema di apprendimento organico dedicato ai manager dell’impresa. Infatti, le fasce di personale interno più coinvolte nella formazione sono i middle manager, seguiti da impiegati, bottom manager e top manager. Ma i corsi si rivolgono anche a personale esterno formato da clienti, fornitori, partner commerciali e collaboratori. I manager aziendali, impegnati con una media di formazione pro-capite di 160 ore, approvano le Corporate University.
Qualche nota di debolezza sull’investimento aziendale, che non rivela segnali di crescita negli anni. L’investimento delle aziende nelle Accademie varia da 1 a 5 milioni di euro, che è compreso tra l’1 e il 6% del fatturato annuale prodotto in un anno. Non mancano, però, i punti deboli: ancora non sono sfruttate appieno le potenzialità connesse con l’uso di metodologie formative finalizzate alla condivisione e allo scambio delle conoscenze. Poco sviluppati, infatti, appaiono i «metodi relazionali», considerati nel 50% dei casi poco importanti e l’utilizzo di tecniche quali il net learning, che consentono forme di apprendimento generato attraverso l’interazione tra i partecipanti alle attività formative e la formazione di community virtuali. Inoltre, non sono sfruttate appieno le potenzialità offerte dai sistemi informativi. Solo il 38% della formazione viene erogata tramite strumenti on-line, mentre il knowledge management beneficia del pieno supporto dei sistemi informativi solo nel 44% dei casi. Ciò sembra dipendere anche dal fatto che solo 1 università d’impresa su 5 ha visto il proprio budget aumentato negli ultimi due anni.Come dire, per aspirare all’eccellenza occorre investire in formazione “fatta in casa” e condivisa.
*Professore Ordinario di Economia Aziendale dell’Università di Torino
Coordinatore del Corso di Dottorato in Business & Management
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE