Di Paolo Pietro Biancone*
La qualità dei rapporti umani e il riconoscimento del valore del lavoro. Secondo il “Decoding global talent” uno studio del The Boston Consulting Group e The Network condotto su 200mila lavoratori in tutto il mondo, non ci sono dubbi: Nei primi dieci posti c’è solo una posizione, l’ottava, di natura economica, e riguarda l’attrattività del salario fisso. Nessuna traccia dell’enfasi sulle stock option e sulla parte variabile del lavoro che dominavano i discorsi sul lavoro prima del 2007. Per trovare altri fattori legati alle “compensazioni economiche” bisogna andare ben oltre la ventesima posizione: i benefit addizionali si trovano alla 24esima e l’auto aziendale alla 26esima. Tutto quello che viene prima ha a che fare soprattutto con i rapporti umani. Buone relazioni con colleghi, capi e rapporto equilibrato lavoro e vita privata. I lavoratori di tutto il mondo entrano in ufficio o in fabbrica felici se hanno possibilità di avere dei buoni rapporti con i loro capi e soprattutto con i loro colleghi. Non solo, sempre maggiore importanza è attribuita alla conciliazione tra vita e lavoro, fattore che comprensibilmente cambia con il passare delle fasi della vita: al “work-life balance” è più interessato chi ha figli piccoli rispetto a chi non ne ha ancora o li grandi.
Insomma, è in assoluto più appagante essere apprezzati che essere remunerati dal punto di vista monetario. Emerge una nuova forma di remunerazione sociale, che soddisfa per il lavoro svolto, non per il compenso percepito. Quando le persone si sentono stimate, la loro soddisfazione nei confronti del loro impiego va alle stelle e con essa la motivazione.
Se contano così tanto i valori relativi alla cultura, alle relazioni e all’apprezzamento, non ha senso concentrare i premi sul fronte economico, occorre istituire percorsi premiali diversi, sociali, di appartenenza. La sfida per le aziende sta anche nel trovare modi nuovi per essere coinvolti nel plasmare la cultura aziendale, nell’incoraggiare dei rapporti più profondi tra lavoratori e tra loro e i capi e per assicurarsi che l’apprezzamento per un compito ben fatto riceva l’attenzione che merita.
Lavorare in un contesto che ti valorizza come persona, come risorsa, come amico e collega, come senso di appartenenza è la differenza. E questo senso di appagamento sociale parte già nella scelta del percorso formativo: nell’ultimo quinquennio, secondo i dati del Ministero dell’istruzione, si assiste alla crisi di iscritti negli istituti tecnici e professionali e al boom di liceali non “tradizionali”, ossia quelli che offrono percorsi di formazione di scienze umane e linguistiche, arricchite da attività sportive.
Come per dire che i licei alimentano la mente, il metodo per affrontare le sfide lavorative e stimolano il senso di apprezzamento sociale, che porta a essere soddisfatti di sé. Non dimentichiamo che il primo consenso sociale che è motore di scelte e di appagamento proviene dalla famiglia: se la famiglia approva ed è soddisfatto di ciò che faccio, sicuramente vivo meglio e appagato.
Da questa rivoluzione culturale non è immune neanche l’università e la sua offerta formativa: i percorsi di studio dovranno avere tutti un comune denominatore, la valorizzazione del lavoro e della sua remunerazione sociale. Da qui consegue la redditività soddisfacente
Il circolo virtuoso è questo: lo studio e il lavoro viene apprezzato, dunque conto socialmente e, dalla soddisfazione sociale e personale, ottengo redditività appagante.
*Professore Ordinario di Economia Aziendale
Coordinatore del corso di dottorato in Business & Management dell’Università di Torino
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