IL MONDO DEL BIO
di Ignazio Garau
Ritorna in voga il baracchino? E’ utile che a Torino si apra una riflessione approfondita sulla ristorazione scolastica e collettiva, sul ruolo che questa può giocare in termini di educazione, prevenzione delle patologie e di benessere per i cittadini, senza dimenticare l’impatto che l’alimentazione delle città ha sull’ambiente e i ritorni positivi che un’impostazione sostenibile può avere sull’economia locale.
Il porta pietanza di operaia memoria, denominato baracchino nella parlata torinese, lo si usava per andare all’asilo, per mangiare a scuola e riempiva la borsa di operai e impiegati quando pranzavano in fabbrica. Una volta era rigorosamente in alluminio, poi è subentrato l’acciaio e oggi ci sono contenitori a tenuta termica in grado di conservare caldo il pasto sino al momento del consumo.
E’ un oggetto andato in disuso con l’avvento delle mense scolastiche e aziendali, tanto che se cercate la parola su un motore di ricerca faticherete a trovare il corretto significato.
La mensa un tempo era un privilegio di poche realtà aziendali, l’Olivetti di Ivrea la istituì, ad esempio, tra le prime fabbriche, fin dal 1936. Fu solo con gli anni ’60 che il servizio di ristorazione divenne oggetto di rivendicazione sindacale, nell’ambito della richiesta di un più generale miglioramento delle condizioni di vita in fabbrica. Prima arrivarono i precotti (pasti preconfezionati in una cucina centralizzata, refrigerati e riattivati al momento del consumo), poi arrivò il pasto surgelato (adottato, ad esempio, negli stabilimenti FIAT). Ma la “mensa fresca” era giustamente preferita dai Consigli di Fabbrica. Interessante rileggere oggi il Bollettino mensile di documentazione” della Federazione CGIL-CISL e UIL di Torino del settembre 1980, tutto dedicato al tema della “mensa” nella vertenza FIAT. Anche in quegli anni il “baracchino” diventa il simbolo e lo strumento di rifiuto del “precotto – surgelato” imposto da FIAT. Dal dibattito sulla mensa in fabbrica si passò a ragionare sull’adozione di una piattaforma territoriale per richiedere l’istituzione di “mense di quartiere”, ma le vicende economiche e sociali che seguirono non consentirono di proseguire su quelle riflessioni e proposte, di sicuro interesse.
La scuola da parte sua, con l’introduzione del “tempo pieno” oltre 45 anni fa, sviluppò un suo modello di ristorazione. Torino fu tra le prime grandi città a organizzare la centralizzazione del servizio, con la realizzazione di grandi centri di cottura da parte di società di catering, capaci di soddisfare la domanda di oltre 50.000 pasti giornalieri. Una innovazione per quegli anni, che consentì di introdurre soluzioni e impostazioni che si estesero a altre città italiane.
Negli anni ’90 ci fu l’introduzione di un modello di ristorazione scolastica con l’utilizzo di alimenti biologici, l’esperienza della mensa bio – mediterranea di Grugliasco, a Torino la sperimentazione del bio nell’allora V° Circoscrizione (1.200 pasti giornalieri). In quegli anni il Coordinamento Genitori, Legambiente e altre Associazioni si battevano per migliorare il servizio e per estendere l’utilizzo del bio nella preparazione dei pasti. In quegli anni il nostro paese ha fatto “scuola” in Europa, e non solo, in tema di ristorazione scolastica. I paesi che sono venuti in Italia a studiare le nostre esperienze ne hanno fatto tesoro e sono andati avanti. Noi? Dimenticate le buone esperienze e i buoni propositi, ci siamo fermati!
Oggi sembra ritornare in voga il baracchino, come conferma anche una recente sentenza della Corte di Appello di Torino, con la quale si stabilisce che i genitori devono poter scegliere tra la mensa scolastica e il pranzo al sacco per i figli.
Spending review e tagli alle risorse dei Comuni, perseguimento del massimo ribasso nelle gare d’appalto, nonostante tutto ciò aumento delle tariffe, delineano un quadro in cui la questione della funzione educativa e formativa della refezione scolastica perde rapidamente di interesse per tutti (istituzioni e genitori), così che da posizioni di avanguardia stiamo scivolando in basso nella graduatoria europea per la qualità del servizio di ristorazione scolastica, buttando letteralmente via i buoni risultati raggiunti nel corso degli anni.
I genitori ricorrono al Giudice per ottenere il riconoscimento del diritto a non usufruire del servizio di ristorazione scolastica, quindi non sembrano capaci di elaborare una richiesta di modifica e miglioramento del servizio e delle condizioni di accesso allo stesso, ma semplicemente rivendicano !’accertamento del loro diritto soggettivo di sottrarsi al servizio di refezione. Anche qui non mi sembra che si siano compiuti dei passi in avanti.
E’ necessario aprire un confronto su questi temi, recuperare il ruolo e la funzione educativa del pasto a scuola e, più in generale, l’utilità di adeguati servizi di ristorazione collettiva.
Chissà se la nuova amministrazione torinese saprà farsi portatrice di soluzioni e percorsi innovativi.
Ignazio Garau
Presidente Italiabio
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