Andar di frodo, oltre il confine, in barba alla frontiera

Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena?

contrabbando lago svizzera

“E’ l’esistenza stessa di un confine e dei  vincoli  per attraversarlo che è sempre suonata, nella mia testa, come un invito a  fregarmene, a farli fessi, insomma a  frodarli. Vedi…quando  chi esercita un potere, qualunque esso sia, decide che per andare  da una parte all’altra di un territorio, è necessario pagare un prezzo, io sto con quelli che s’ingegnano ad  escogitare  il sistema di passare senza pagare un bel niente. E’ una questione di principio e di libertà”. Ribelle e poco incline alle regole, Rinaldo è stato anche uno dei tanti “sfrusit”. Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. “La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena? E allora, noi contrabbandieri realizzavamo un guadagno  violando la legge. Ad una condizione, ovviamente. Che il ricavo fosse tale al punto che il costo del passaggio del confine della merce fosse inferiore al prezzo che si pagava praticando le vie legali. Alla faccia del dazio e delle gabelle, capisci? “. Se obiettavo che era, dopo tutto, qualcosa di illegale e che lui ed i suoi amici erano, nei fatti, dei fuorilegge, si metteva a ridere.“Ma va là. Non dire stupidagini. Noi, ilago svizzera contrabbandieri fuorilegge?  Guarda che il contrabbando è una forma di   ribellione alle imposizioni. Eravamo un po’ come dei Robin Hood ed i canarini della Finanza sembravano  gli sgherri del sceriffo di Nottingham”. Quando parlava del “confine”, s’illuminava. Era stato il teatro naturale delle sue gesta da contrabbandiere e si capiva che , in fondo, l’aveva fatto più per l’avventura che per il guadagno. Quando capitava di trovarci, soprattutto nelle serate d’inverno, al caldo  dell’Osteria dei Gabbiani, davanti ad una bottiglia di vino, mi raccontava, le “regole” del mondo degli “sfrosit” .“ Devi sapere che spesso capitava che contrabbandieri e guardie di confine si trovassero nella stessa osteria prima di “andare al lavoro”, e  devi sapere anche che le guardie non avevano “le fette di salame sugli occhi” ma, consapevoli che i loro paesani erano costretti per fame a fare un viaggio pericoloso sui sentieri di montagna o sulle barche,  chiudevano spesso un occhio e, a volte,  anche tutti e due. In quel caso lasciavano che noi spalloni attraversassimo il confine, limitandosi a sequestrarci una parte della merce, segnalando sul rapporto che era stata confiscata ad ignoti.  A volte eravamo noi stessi a consegnare alla Finanza una piccola parte del carico, ma solo per salvare il resto”. Mi racconta di come ilbisogno aguzzasse l’ingegno. Addirittura, sul lago di Lugano,  avevano sperimentato un piccolo, rudimentale sommergibile a pedali che viaggiava giornali svizzerasott’acqua :il “sigaro del Ceresio”. Era il 1948 e veniva usato per trasportare merce di contrabbando attraverso il lago. Tre mesi di “servizio”, tre viaggi al giorno per quasi tre quintali di merce a viaggio. Poi, nel novembre di quell’anno, a Porlezza, sulla sponda comasca, il “sigaro” –che andava avanti indietro – portando roba di qua dal confine ed “esportando” in Svizzera riso, carne ed alcolici, l’hanno beccato, sequestrandolo. Risalendo la nostra “quota parte” di catena alpina , tra la Valle Anzasca ed il passo di Gries, per poi scendere fino alle rive del lago Maggiore, attraversando le valli Vigezzo e Cannobina, erano ben 36 i colli e canaloni di confine frequentati,più o meno  assiduamente, dai contrabbandieri. E non erano certamente incustoditi. Lo stesso valeva per le sponde dei laghi “confinari”, come il Maggiore e il Lario, quello di Como. Per farsi un’idea basterebbe leggere il rapporto di un ufficiale al comando del IV° Circondario Svizzero, dove risulta che nel 1935 ,tra il lago Maggiore e il passo di Nufenen -il passo della Novena-,  sul versante italiano del confine, erano schierate ben 579 tra guardie di finanza e militi confinari e su quello svizzero 159 guardie doganali. Ma la fonte principale era sempre Rinaldo che, davanti ad un bicchier di vino,aveva la lingua sciolta e s’appassionava nel raccontare.“Nel contrabbando, oltre a quello del sale che ci porta indietro nella notte dei tempi, si possono distinguere tre periodi che prendono il nome dalle merci che andavano per la maggiore:  dalla seconda metà dell’ottocento fino al primo dopoguerra troviamo il periodo del caffè , poi c’è stato quello del riso che copriva gli anni della seconda guerra mondiale ed un terzo , quello delle sigarette e del tabacco,  che è durato dagli anni ’50 fino a poco dopo gli anni ’60. A dire il vero c’é stato anche il periodo della Resistenza e dell’opposizione al fascismo quando, insieme alle bricolle da trenta e piùlago svizzera contrabbando chili portate in spalla, molti dei nostri “sfrosit” diventarono anche dei “passatori”, aiutando ebrei,antifascisti e militari alleati a superare quella frontiera Elvetica che equivaleva alla salvezza”. Le “fasi del contrabbando” , com’era facilmente intuibile,prendevano il nome dal tipo di merce che “passava” la frontiera: caffè, riso, sigarette ma anche saccarina, dadi, cioccolata, zucchero, orologi, tabacco sfuso,  cartine per sigarette, accendini , scarpe, liquori,  stoffe, calze di nylon e tutto quello che veniva richiesto sul mercato di entrambe le nazioni. Con tutti i rischi del caso. Si correvano i pericoli sui sentieri percorsi di notte, quando le nubi  si mangiavano le stelle: bastava mettere un piede in fallo e si finiva giù, negli strapiombi. Dal tardo autunno a inizio primavera, in quei lunghi inverni, capitavano delle bufere di neve con tremende slavine che hanno seppellito molta gente. Sul lago, invece, si remava nelle notti senza luna, meglio ancora se c’era un tempo da lupi, a volte dentro a tempeste che strappavano preghiere e maledizioni. C’erano anche le sparatorie e  si contavano in quel caso feriti ed anche caduti sotto il piombo della guardia confinaria. Ma il rischio più frequente era il sequestro delle merci con annessi sei giorni di galera  ed una salatissima multa che poteva variare dal doppio fino a dieci volte il valore della merce sequestrata, nonché –  durante i periodi bellici – l’arruolamento forzato. Chi non aveva i soldi per lago svizzerapagare la multa scontava un  ulteriore giorno di carcere ogni 10 lire di ammenda. Se erano in due potevano rischiare sei mesi di prigionia per espatrio clandestino,  che salivano a cinque anni nei casi di recidiva e quando  venovano “pizzicate” più di tre persone insieme. Ma la vita su questo pugno di terra e acqua tra Italia e Svizzera era così e l’aria, il vento, il lago e i contrabbandieri non badavano alle pietre che segnavano il confine. “Ora, dai. Allungami un po’ di foglia di Brissago”. Rinaldo si è sempre di
vertito un mondo  nel rivolgermi parola usando il linguaggio degli sfrosadori. Condividendo un’attività che richiedeva complicità e segretezza, lui ed i suoi “soci”  parlavano in “codice”.Quando  “commerciavano” in  “ossa di morto” si riferivano allo zucchero. Il “coniglio bianco” era la  saccarina e le “bionde” le sigarette, mentre per “foglie di Brissago” s’intendeva il tabacco. Dalla manifattura tabacchi del paesino ticinese, appena oltre confine, dove lavoravano centinaia di donne, uscivano dei sigari straordinari ed un tabacco dall’aroma inconfondibile che – nei giorni di vento – passava allegramente il confine senza per questo pagar dazio. Con le “bricolle” in spalla e le pedule ai piedi, organizzati in “combriccole” guidate da un caposvizzera lago al servizio di un “impresario”, i contrabbandieri cercavano di fregare le pattuglie dei  “canarini” della Finanza (dal colore giallo del simbolo dell’arma). “Erano bei tempi, caro mio. Tempi di fame e di fatica ma avevamo una gran voglia di vivere. Oggi, invece, sono diventati tutti tristi, un po’ matti, nervosi. Corrono,non sorridono quasi mai, sono sempre ingrugniti, insoddisfatti. Quasi fanno fatica a salutarsi e quando lo fanno, non sembrano nemmeno sinceri. A volte mi viene voglia di mettere ancora in acqua la barca, come ai bei tempi e remare finché non sono al largo per poi stendermi sul fondo e stare lì, tra l’acqua e il cielo, a farmi cullare dalle onde”.

Marco Travaglini

 

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE
Articolo Precedente

LAVORI CONSIGLIO, GARIGLIO (PD): "GRILLINI INCAPACI DI CONFRONTARSI"

Articolo Successivo

Vola l'export subalpino: più 7 per cento verso Germania, Europa e stati Uniti

Recenti:

IL METEO E' OFFERTO DA

Auto Crocetta