PIANETA CINEMA / a cura di Elio Rabbione
L’anima del film è Jennnifer Lawrence, dolce, caparbia, combattiva, disarmata, contro se stessa e contro tutti, un’attrice che cresce (ancora nella cinquina delle migliori interpreti per i prossimi Oscar, già premiata per il precedente Lato positivo di Russell) e migliora di film in film, costruendo qui su di sé una gamma di espressioni, di gesti, di certezze e di angoli deboli che davvero la fanno sempre più ingigantire di fronte ad altri volti della sua generazione
Parrebbe una favola se non fosse la storia vera, magari cinematograficamente aggiustata dalle libertà della sceneggiatura scritta da David O. Russell con l’aiuto di Annie Mumolo, con la giovanissima Joy che nel chiuso della sua cameretta, sotto lo sguardo incuriosito della migliore amica, costruisce piccole invenzioni (metti caso, un collare luminoso per evitare che cani e gatti venissero investiti la notte), con Joy (nomen omen, ma tragicamente al contrario) che, cresciuta, deve combattere contro una madre perennemente a letto a sorbirsi soap opera televisive, contro un ex marito, aspirante cantante sulle orme di Tom Jones e nullafacente, relegato a vivere nella cantina di casa, contro un padre che svogliatamente gestisce un vecchio garage e amoreggia con una nuova fiamma, contro la sorellastra che le fa lo sgambetto a ogni occasione, contro un mondo che le chiede di fare da punto d’equilibrio tra i rapporti familiari, di ipotecare la casa, di pagare le bollette, di allevare due figli, che la schiaccia (soltanto la nonna Mimi la comprende e la sorregge, ma ben presto se ne va all’altro mondo) quando, per intuizione e necessità, dà alla luce il perfetto Miracle Mop, ovvero il mocio che asciuga e pulisce ogni cosa per strizzarsi da solo senza che vengano coinvolte le mani delle laboriose casalinghe. Ma siccome nella Grande America dei sogni “l’ordinario incontra sempre lo straordinario”, ecco che Joy Mangano (figlia di due italo-americani che oggi può vantare un patrimonio di circa 50 milioni di dollari), intraprendente e testarda in un susseguirsi di lacrime e sorrisi, con pugnalate alle spalle non soltanto dai biechi sfruttatori ma pure sotto il tetto di casa, ecco che un giorno si buttò davanti alle telecamere e dagli studi della QVC, fantasmagorico canale di televendite, riuscendo a far passare il proprio prodotto.
David O. Russell ce l’ha messa tutta per raccogliere attorno ad un personaggio fatti e fatterelli che costruissero una storia, quando poi questa storia sembrava (sembra?) avere poca consistenza – un film sull’invenzione del mocio, via! -; e ce l’ha messa tutta per descrivere ancora una volta un ambiente familiare, di quelli strambi e spericolati, sbriciolati e grondanti corrosive miserie, ma assai meglio aveva fatto con The Fighter o con Il lato positivo; e certo ce l’ha messa tutta per tornare a regalarci una scrittura e una realizzazione a fuochi d’artificio come erano quelle che un paio d’anni fa avevano decretato il successo di pubblico e di critica per American Hustle – L’apparenza inganna. Questa volta si cade piuttosto nel macchiettismo (ne va di mezzo in primis De Niro), si arruffano le carte in un finale che non sempre brilla per chiarezza, si svuota il giochino del self-made woman senza che veramente ne abbiamo avvertito la piena realtà. L’anima del film è Jennnifer Lawrence, dolce, caparbia, combattiva, disarmata, contro se stessa e contro tutti, un’attrice che cresce (ancora nella cinquina delle migliori interpreti per i prossimi Oscar, già premiata per il precedente Lato positivo di Russell) e migliora di film in film, costruendo qui su di sé una gamma di espressioni, di gesti, di certezze e di angoli deboli che davvero la fanno sempre più ingigantire di fronte ad altri volti della sua generazione.
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