Gli italiani “con la divisa sbagliata”

rumiz

 

“Come cavalli che dormono in piedi” di Paolo Rumiz si conferma come il racconto più anticonformista oggi presente in libreria tra i tanti titoli che rammentano la Grande guerra

 

Il 24 maggio del ’15 la cavalleria italiana passa il confine austriaco dalle parti di Cervignano e chiede a un vecchio seduto sulla porta di casa: ‘Scusi, buon uomo, dov’è il nemico?’. E il buon uomo, tranquillo,risponde: ‘Veramente, signor ufficiale, il nemico siete voi’ “. Già da questa frase s’intuisce che “Come cavalli che dormono in piedi”, di Paolo Rumiz, (Feltrinelli, pp. 272, 18 euro) si confermi come il racconto più anticonformista oggi presente in libreria tra i tanti titoli che rammentano la Grande guerra di cent’anni fa. Nel turbine delle commemorazioni sull’inizio della Prima guerra mondiale è il primo libro che affronta il tema andando controcorrente. Il tema-cardine del libro è la storia di quelli che entrano in guerra nel 1914 e poi nel 1915. Triestini, come il nonno di Rumiz, ma anche trentini che vanno in Galizia a combattere,  nel fango dell’Europa centrale, italofoni che non sono italiani, che portano le divise dell’impero austroungarico e combattono sotto le insegne di “Cecco Beppe” contro i russi. Nell’agosto del 1914, sono più di centomila i trentini e giuliani che vanno a combattere per l’Impero, di cui sono ancora sudditi. Muovono verso il fronte russo quando ancora ci si illude che “prima che le foglie cadano” il conflitto sarà finito. Invece non finisce. E quando come un’epidemia si propaga in tutta Europa, il fronte orientale scivola nell’oblio, schiacciato dall’epopea di Verdun e del Piave. Quello di Rumiz è un racconto straordinario, avvincente,  sui luoghi dove scorse il primo sangue della grande guerra. L’esito del conflitto, la dissoluzione dell’Impero, costringerà quei soldati scampati alla morte a definirsi nazionalisticamente come italiani, ma senza ritrovarsi a casa propria. Dai cimiteri galiziani coperti di mirtilli al silenzio di Redipuglia, Paolo Rumiz sembra suggerire che l’Europa è lì, in quella riconciliazione con i morti che sono i veri vivi, gli unici depositari di senso di un’unione che già allora poteva nascere e oggi forse non è ancora cominciata.

Marco Travaglini

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