“Come l’acqua di Sebilj”, libro del torinese Alessandro Cerutti (Edizioni Visual Grafika,2019) può essere considerato un romanzo “di formazione”, dove il protagonista vive un’esperienza che lo farà evolvere verso la maturazione e l’età adulta, raccontandone emozioni, sentimenti, i progetti di vita.
La vicenda si svolge tra Torino e la Slovenia, nel 1993. Marco, 26 anni, vive incurante di tutto ciò che gli accade attorno. Gli amici sono solo compagni di divertimento e le ragazze una piacevole distrazione. Scuola e calcetto rappresentano gli interessi di un’esistenza vissuta con una certa spensieratezza e un po’ di cinismo egoistico, forse in ragione dell’età. Il protagonista ha un carattere irruento, emotivo. E la “bolla” artefatta in cui vive esploderà quando Marco Veroni, seppur controvoglia, parteciperà ad un viaggio che gli farà incontrare la durezza di un campo profughi che, in Slovenia, ospita dei bosniaci fuggiti dal paese in guerra. La lotta per la sopravvivenza, il ricordo dei cari scomparsi, l’amore e la speranza sfidano la violenza, perché, anche se sembra che non ci sia alcuna ragione per sognare, esiste la possibilità di trovare un posto migliore dove riprendere a vivere. Nei giorni in cui inizia il viaggio dei protagonisti del libro a Mostar veniva distrutto a cannonate il ponte sulla Neretva. Accadeva, forse non per caso, nello stesso esatto giorno – il 9 dicembre –in cui quattro anni prima, nel 1989, veniva abbattuto il muro di Berlino. Gorbaciov riceveva il nobel per la pace. A Maastricht, cittadina olandese sulla Mosa, un trattato più economico che politico sanciva la nascita dell’Unione europea. La “cortina di ferro” non c’era più e l’est europeo si disgregava, paese dopo paese. In Israele veniva raggiunto l’accordo fra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. L’Italia era alle prese con “mani pulite” e di fatto il “Bel Paese” passava dalla prima alla seconda repubblica. Ancora pochi mesi e Gino Strada fondava Emergency, l’IRA annunciava lo storico cessate il fuoco, a Mogadiscio venivano uccisi la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo cameraman, Miran Hrovatin. In Ruanda si consumava il genocidio messo in atto dagli Hutu contro la minoranza Tutsi. E intanto, nel cuore dell’europa, l’ ex-Jugoslavia bruciava. Nel campo profughi sloveno il protagonista di “Come l’acqua di Sebilj” prova un disagio che, giorno dopo giorno,evolve in una lenta presa di coscienza su ciò che accade attorno a lui: il dramma dei profughi, l’esperienza umanitaria dell’associazione “Pace adesso” e altri sentimenti che lo scuotono nel profondo. Pietà, tenerezza, tristezza e paura, mescolate l’una con l’altra, iniziano a scavare dentro la sua tormentata coscienza a confronto con il dolore di quelle persone alle quali la guerra prodotta da un nazionalismo cieco e violento ha portato via famiglia, casa, affetti, amici. Il racconto di Alessandro Cerutti – docente, laureato in Teologia, autore versatile che ha sperimentato diversi generi letterari – è una piccola ma significativa lezione di vita. Vedere da vicino gli effetti della guerra senza esserne vittime. E tentare di capire, fare qualcosa, scegliersi la parte. Cosa non facile, soprattutto durante la “decade malefica” degli anni ’90 nei Balcani, nel cuore dolente dell’Europa.
Marco Travaglini