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Cinque serie TV da vedere durante il Pride Month

THE PASSWORD Torino oltre gli asterischi

Per la rubrica The Password: Torino oltre gli asterischi, il collaborazione con Il Torinese, Ilaria Vicentini, in occasione del Pride Month, suggerisce cinque serie TV che raccontano le infinite sfumature dellamore e dellidentità senza stereotipi.

A giugno ricorre il Pride Month, il mese dellorgoglio delle persone LGBTQIA+, unimportante occasione per rivendicare i diritti di una comunità che lotta da sempre contro la discriminazione. In diverse parti del mondo come nella nostra città, dove lo scorso 7 giugno si è svolto il Torino Pride, a cui hanno partecipato circa 150 mila personele strade si tingono di arcobaleno, tenendo vivo il ricordo dei Moti di Stonewall del 1969.

Da allora, sono stati fatti alcuni passi avanti, sebbene ne rimangano molti altri da compiere. Fra i primi, c’è una maggiore attenzione dedicata alla rappresentazione dei personaggi queer nei media. In particolare, sono numerose le serie TV che hanno contribuito a superare gli stereotipi, permettendo alle persone LGBTQIA+ di potersi finalmente riconoscere allinterno di storie libere dai soliti cliché

Ecco 5 serie TV che raccontano lunicità e la bellezza di ciascuna identità, da (ri)vedere durante questo Pride Month.

Pose (Disney+)

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Uscita per la prima volta nel 2018, Pose si è presentata fin da subito come una serie rivoluzionaria. Il suo cast, infatti, comprende il più alto numero di attrici e attori trans della storia della televisione.

La serie, ambientata a New York tra la fine degli anni ‘80 e linizio degli anni ‘90, mette al centro le vicende di Blanca ed Elektra, due donne trans e nere con un passato difficile e un presente incerto. Nonostante ciò, tentano di farsi strada nel colorato mondo delle ball, competizioni di danza, performance drag e moda, nate per permettere anche alle persone più emarginate dalla società di brillare

Attraverso le storie delle protagoniste e di molti altri personaggi, si trattano diversi temi toccanti: la diffusione dellHIV/AIDS e la stigmatizzazione a essa correlata, limportanza degli affetti al di là dei legami di sangue (la famiglia scelta) e la possibilità di riscatto.

Skam Italia (Netflix, prossimamente su Rai 2 e RaiPlay

Crediti: https://www.comingsoon.it/serietv/skam-italia/1956/episodi/stagione-2/

Fortunato remake dellomonima serie TV norvegese, Skam Italia ha conquistato un grande numero di spettatori e spettatrici grazie al suo racconto senza filtri delladolescenza. Ogni stagione mette al centro un protagonista diverso, alle prese con difficoltà tipiche di quel periodo della vita in cui tutto, dalle emozioni ai giudizi altrui, appare amplificato

In particolare, la seconda stagione ruota attorno al personaggio di Martino, che deve fare i conti con una cotta inaspettata per Niccolò, un compagno di scuola, e la conseguente scoperta della sua omosessualità. Tra dubbi, paure e nuove consapevolezze, Martino riuscirà finalmente a trovare se stesso, anche grazie al prezioso e costante supporto dei suoi amici.

The Haunting of Bly Manor (Netflix)

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Secondo capitolo della serie antologica The Haunting, creata e diretta da Mike Flanagan, The Haunting of Bly Manor è liberamente ispirata al racconto gotico Il giro di vite di Henry James. Ambientata nel 1987, in unantica e inquietante residenza nella campagna inglese, la serie segue le vicende di Dani, giovane insegnante americana traumatizzata dalla morte del suo ex fidanzato. Assunta dal ricco proprietario dellabitazione, affinché si prenda cura dei suoi due nipoti, Dani scoprirà ben presto il volto più oscuro di Bly Manor: inizierà a percepire strane presenze, diventando testimone di eventi inspiegabili e fuori da ogni logica. Ma la residenza infestata si rivelerà anche benevola con lei, permettendole di vivere per la prima volta un amore (queer) autentico e profondo, così forte da superare anche la morte.

Le fate ignoranti (Disney+)

Crediti: https://www.comingsoon.it/serietv/le-fate-ignoranti/3362/scheda/

Era il 2001 quando Le fate ignoranti, film del regista italo-turco Ferzan Özpetek, debuttò nelle sale italiane. Il lungometraggio fu accolto con entusiasmo dal pubblico, soprattutto per la sua capacità di raccontare una varietà di temi coraggiosi, specialmente per lepoca, con delicatezza e autenticità.

Così, per replicare quel successo, a distanza di più di ventanni Özpetek ha trasformato il suo film in una serie TV. La trama rimane la stessa, sebbene sia stata adattata ai giorni nostri e introduca nuovi personaggi: Antonia, una donna dalla vita agiata e monotona, si ritrova a fare i conti con la morte improvvisa del marito Massimo. Come se non bastasse, la donna scopre che Massimo aveva una relazione segreta con un uomo, Michele. Inizialmente devastata dalla notizia, Antonia sceglie di non voltarsi dallaltra parte e di immergersi in quella vita che Massimo le nascondeva dolorosamente. Con il tempo, arriverà a stringere una profonda amicizia con Michele e il suo gruppo di amici –  queer ed emarginatie imparerà da loro che esistono infiniti modi di amare, di formare una famiglia e di essere felici.

Young Royals (Netflix)

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Cosa accadrebbe se il secondogenito della famiglia reale svedese si innamorasse di un ragazzo, infrangendo ogni legame con le antiche tradizioni monarchiche del Paese? Questa è la domanda da cui prende il via Young Royals, serie TV di genere teen diventata popolare ben oltre i confini della Svezia.

Il principe Wilhelm, dopo uno scandalo che lo vede coinvolto, è costretto dai suoi genitori a trasferirsi al collegio di Hillerska, prestigioso luogo di formazione per i discendenti delle più ricche famiglie svedesi. Dopo un inizio difficile, il ragazzo stringerà un legame speciale con Simon, uno studente di umili origini ammesso al collegio grazie a una borsa di studio. Wilhelm si ritroverà perciò a dover gestire sentimenti nuovi e terrificanti, costantemente schiacciato tra il peso del suo ruolo pubblico e il desiderio struggente di vivere il suo amore alla luce del sole.

Ilaria Vicentini – redattrice di The Password

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“ADAPTATION”: la reazione del mondo al cambiamento climatico

THE PASSWORD  Torino oltre gli asterischi

Per la rubrica The Password: Torino oltre gli asterischi”, in collaborazione con Il Torinese, la redattrice Arianna di Pascale parla di ADAPTATION, un progetto di web-giornalismo costruttivoche racconta le soluzioni di adattamento impiegate dai Paesi europei di fronte al riscaldamento globale.

Quante volte, leggendo dellavanzamento inesorabile del cambiamento climatico, ci siamo trovati davanti a una narrazione catastrofista della situazione? Quante volte ci siamo sentiti impotenti, minuscoli davanti a un avvenimento così immenso? Al giornalista Marco Merola è successo tante, troppe volte. Per questo motivo ha deciso di focalizzare il suo lavoro sul constructive journalism, una forma di giornalismo che si concentra sul positivo che può nascere dal negativo e sulla ricerca di soluzioni: la sfida è proprio dare una prospettiva costruttiva a una narrazione spesso distruttiva. 

Talvolta si pensa alladattamento al cambiamento climatico come a una forma di rassegnazione, allinattività di fronte al problema, ma non è così. L’adattamento è l’altra faccia della medaglia della mitigazione, ed è altrettanto necessario.

Da questa idea nasce ADAPTATION, un documentario interattivo che nasce per raccontare le strategie di adattamento delluomo al cambiamento climatico. Il progetto nasce da unidea di Marco Merola, giornalista che da oltre 20 anni firma reportage per magazine italiani ed esteri su temi legati a scienza, ambiente e tecnologia. Insieme ad altri colleghi ha girato il mondo per documentare le strategie di sopravvivenza e adattamento al cambiamento climatico. Questo formato in continuo rinnovamento permette di prendere un grande tema e di raccontarlo a tappe, attraverso tante storie connesse tra loro ma valide anche singolarmente, narrate con forme comunicative nuove e diversificate.

Per molto tempo la narrazione scientifica ha evitato di parlare di cambiamento climatico, poiché sintomo di una “sconfitta” da parte delluomo. Ci sono voluti almeno 20 anni per accettare lidea di “adattamento”: se ne era parlato già nel corso del protocollo di Kyoto 1997, ma tutt’oggi le posizioni mediatiche e politiche sono ben lontane da una narrazione di questo tipo. Adattarsi, però, è sempre stata la chiave della vita: parafrasando Charles Darwin, chi non evolve muore. E se guardiamo alloggi, i cambiamenti climatici altro non sono che una versione accelerata delle sfide naturali del nostro pianeta: daltronde luomo non è fatto per rassegnarsi, o non saremmo qui oggi.

Sulla pagina web del progetto si legge: “Adattarsi al cambiamento non vuol dire rassegnarvisi, tuttaltro. Significa piuttosto operare per ridurre gli effetti negativi sullambiente e, perché no, costruire modelli di vita differenti dal passato“. Ladattamento non è un’alternativa alla mitigazione, ma la integra, rendendone accettabili tempi e costi. La Banca Mondiale,  in uno studio del 2009, ha stimato che i costi per gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici ammonterebbero a una cifra tra i 70 e i 100 miliardi di dollari allanno fino al 2050a patto che venga rispettato lobiettivo di contenere laumento delle temperature a un massimo di 2°

ADAPTATION propone un viaggio dispirazione alla ricerca di buone pratiche di adattamento. Per il momento, il progetto racconta di due Paesi europei per cui la sfida climatica è particolarmente stringente: l’Olanda e lItaliadi cui per ora sono riportate cinque regioni, tra cui figura anche il Piemonte, grazie al supporto del Politecnico di Torino. Per questa regione, la fotografia climatica risulta abbastanza inclemente: dagli anni Sessanta a oggi le temperature massime giornaliere sono già aumentate di 2°C, mentre quelle minime di 1,5°C. Le precipitazioni non sono affatto regolari, con brevi periodi di piogge violente e periodi di secca sempre più lunghi, rendendo il Piemonte la regione con i territori più aridi della penisola (dati dellOsservatorio ANBI 2024). Gli effetti immediati sono la modificazione della portata dei fiumi, che causa anche inondazioni sempre più frequenti: ricordiamo ad esempio la disastrosa alluvione che nel 1994 ha colpito la città di Alessandria.

Le strategie sono molte e creative: alcuni agricoltori siciliani hanno dato vita ai cosiddetti vigneti eroici, in cui usano dei trenini che si arrampicano sulla roccia per curare i vigneti tutto lanno. C’è anche chi pensa a cosa mangeremo domani: nellisola di Texel, in Olanda, Marc van Rijsselberghe ha creato la prima salt farm del mondo, in cui coltiva semi antichi che riescono a crescere bene con lacqua salata. 

Per concludere, riportiamo alcune parole di Marco Merola, pronunciate durante ledizione 2019 di TEDxNapoli: “Adattamento evoca lungimiranza, adattamento siamo ognuno di noi. Siamo costretti ad adattarci, ma perché è nella nostra natura farlo: noi non combattiamo il cambiamento climatico, tentiamo di abbracciarlo”.

Arianna di Pascale

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MusicaTo: la musica classica per tutti!

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THE PASSWORD Oltre gli asterischi

Il 21 giugno prossimo, nella splendida cornice di piazza Carlo Alberto, Omnibus ETS porterà la musica classica fuori da teatri e serate di gala. Come si legge nel motto dell’associazione culturale, “ogni nota risveglia un cittadino”. Il repertorio, molto variegato, accompagnerà spettatori e semplici curiosi alla scoperta della musica classica.

Per la rubrica The Password: Torino oltre gli asterischi”, in collaborazione con Il Torinese, il nostro Vincenzo Mastrocinque ha incontrato Carlotta Petruccioli, vicepresidente e direttrice artistica di Omnibus, e Matilde Della Beffa, violinista dell’orchestra, per scoprire di più sull’evento.

Ciao Carlotta, che bello riaverti qui con noi! Ti andrebbe di spiegare ai nostri lettori che cos’è MusicaTo?

Assolutamente! Il 21 giugno ci troverete dall’una alle sette di sera in piazza Carlo Alberto. Il pubblico sarà composto dai tanti passanti, stile busking. La nostra idea è quella di riportare alla cittadinanza la musica classica, da considerarsi come una forma di intrattenimento adatta a tutti. Per quanto riguarda il programma, il festival si aprirà con un laboratorio, in occasione del quale noi di Omnibus suoneremo brani successivamente commentati insieme al pubblico; si proseguirà poi con una replica dell’evento “Raccontare i suoni”, curato dalla nostra associazione e seguito dall’esibizione del gruppo di strumenti a fiato Miraflowers Girls Band. Chiuderemo infine la giornata con il concerto della nostra orchestra, non mancate!

Dato che il 21 giugno si festeggia la Giornata europea della musica, abbiamo voluto coinvolgere anche altre associazioni, le quali avranno a disposizione diversi banchetti per presentare le loro attività durante il festival. Troverete una band con fiati, percussioni e chitarre elettriche, ma anche un’orchestra da camera e la banda di Pianezza… Insomma, sarà davvero un evento per tutti i gusti! Ci tengo a ringraziare il Comune di Torino, che ci ha concesso il patrocinio con servizi, l’Accademia di Liuteria Piemontese, con sede proprio vicino piazza Carlo Alberto, e i nostri sponsor, AdriLog, Syllotips e Scavino.

Il motto di Omnibus è: “Ogni nota risveglia un cittadino”. Questo è vero anche in riferimento al festival del 21?

Certo. La musica ha un enorme valore sociale, non è solo intrattenimento. Aiuta i cittadini a migliorare, a lavorare sullo stare insieme, crea un contatto con culture nuove. Questo per noi è essenziale. Il festival sarà rivolto a tutti e non ci sarà bisogno di biglietti o abiti eleganti. La musica classica è fatta, certo, di (giuste) convenzioni, ma è anche tanto divertimento. Durante i nostri concerti, è capitato di vedere bambini osservare incuriositi gli strumenti musicali o imitare il direttore d’orchestra dopo averlo ammirato per mezz’ora. L’essenza della musica è proprio questa e il nostro intento è di far scoprire (o riscoprire) il repertorio classico tanto al musicologo, quanto a chi Mozart non l’ha mai neanche sentito nominare.

A tal proposito, come vedi il rapporto tra le nuove generazioni e la musica classica?

Noi Gen Z, come anche i più piccoli, viviamo immersi nella musica. Pensiamo a TikTok, che nasce come social network fondato sulla musica; spesso si tratta di musica pop, è vero. Intorno a noi c’è tantissima musica classica: nelle pubblicità, sui social, nei film… Si tratta però di un ascolto passivo. A noi preme far sviluppare l’ascolto attivo. I giovanissimi sono (uso un brutto termine) un target per lo sviluppo culturale perché più permeabili, ma bisogna sempre ricordare che si può iniziare a suonare a ogni età. Certo, per diventare professionisti, prima si comincia e meglio è, ma la musica non può e non deve essere solo professionale.

L’orchestra di Omnibus è aperta a tutti, giusto? Hai un messaggio per gli aspiranti musicisti in cerca di un’associazione che li accolga?

Non abbiamo requisiti minimi o un’età richiesta. Facciamo musica classica, quindi bisogna avere delle competenze di base, però se ci sono difficoltà (ed è capitato), si trova sempre una soluzione. Abbiamo creato intere produzioni a tale scopo, come “Raccontare Suoni”. Accogliamo chiunque bussi alla nostra porta. Ci sono progetti, festival, per permettere a chiunque di esprimere la propria passione. Venite a trovarci!

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato e tanti auguri sia a te sia a Omnibus! Come convincere dunque i nostri lettori a partecipare a MusicaTo?

Se vi va di prendervi un gelato in centro il 21 giugno, passate a trovarci… Suoneremo con tutta la passione che abbiamo! E venite anche il 15 giugno, alle ore 21, in corso Einaudi 23: suoneremo in anteprima parte del programma, con qualche brano bonus. Non vediamo l’ora di mostrarvi quanto possa essere divertente la musica classica. Vi aspettiamo!

Ciao, Matilde, grazie per essere qui! Ci parli un po’ di te e del tuo percorso musicale? Come hai conosciuto Omnibus?

Grazie a voi! Suono il violino dalle medie, per interesse personale. Mio fratello suona il piano, ma nessuno in famiglia ha mai suonato il violino. Sono la prima! (ride, n.d.r.) Ho preso lezioni private a lungo, ma per tanto tempo non ho incontrato realtà stimolanti. Due anni fa mi sono infortunata e ho smesso. A Capodanno del 2024 ho deciso di riprendere, ma senza sapere bene come essere costante nel tempo. Cambiando strategia, ecco la risposta. Ho dato degli esami di certificazione per spronarmi, poi la mia insegnante mi ha parlato di Omnibus, un’orchestra giovane, con molti ragazzi della mia età, così ho partecipato al progetto “Adotta un orchestrale”, in cui è possibile affiancare i membri dell’orchestra anche senza dover suonare. All’inizio ero timorosa, ma mi sono subito resa conto che era l’ambiente ideale. Così a gennaio sono entrata e mi sono sentita subito molto motivata. Posso dire che Omnibus mi ha davvero fatto riscoprire l’amore per il mio strumento.

Deve essere stato bello trovare una realtà stimolante dove poter suonare…

Bellissimo, soprattutto per la varietà. Ci sono ragazzini più piccoli di me che suonano meglio di me (ride, n.d.r.), mi sento sempre spinta a dare il massimo. Ho avuto anche il piacere di parlare con un clarinettista sull’ottantina, che mi ha detto essersi messo a suonare a sessant’anni e ora fa parte dell’orchestra. Mi ha fatto capire che non è mai troppo tardi.

Visto che sei molto giovane, volevo chiederti: tu come ti sei avvicinata alla musica classica?

Merito di mia mamma. Lei è di Roma e alla mia età non aveva modo di andare a concerti ed eventi così facilmente, poi è venuta a Torino e qui ha avuto modo di apprezzare la musica classica in modo più semplice, più accessibile. Tramite una violinista del Regio, nostra cara amica di famiglia, ha sempre fatto in modo di farci avere biglietti, ingressi, e in generale ci ha trasmesso l’amore per la musica, quindi sì, devo molto alla mia mamma!

MusicaTo si terrà in centro a Torino. È la prima volta che suoni di fronte a un pubblico così ampio? Come ti senti all’idea?

Non ho mai suonato in piazza e non facevo concerti da tanti anni, dai tempi della scuola di musica. C’è un po’ d’ansia da prestazione ovviamente, quella non ci abbandona mai, come agli esami! (ride, n.d.r.) Però mi sento bene, credo molto nel nostro gruppo e nel suo potenziale. C’è sempre tanto supporto e un infinito rispetto per la musica. Si respira sempre amore, sia verso la musica sia tra di noi.

Ogni nota risveglia un cittadino”. Che cosa ne pensi?

È un motto coraggioso! Non è un progetto per una cerchia ristretta, come invece può sembrare di primo acchito. La varietà del programma permette di coinvolgere un pubblico davvero grande. Una mia amica, che ha partecipato al progetto “Adotta un orchestrale” di Omnibus come “adottanda”, è un’ultras della Juve e non ascolta musica classica… Insomma, siamo diversissime, ma ha partecipato a due edizioni di “Adotta un orchestrale”, verrà a tutti i concerti e ha coinvolto anche la sua famiglia, in cui nessuno ascolta o fa musica classica. Se ha avuto successo persino con lei, così distante da questo mondo, vuol dire che si tratta di un’idea davvero valida!

Buona fortuna allora, per il concerto e per il futuro! Ti andrebbe di invitare i nostri lettori a partecipare al festival?

Come vi ha spiegato Carlotta, vi aspetta un festival davvero molto vario. Ci sarà anche un laboratorio in cui vi mostreremo il “dietro le quinte” del lavoro di noi musicisti, mettendo in risalto quegli aspetti del far musica normalmente noti solo agli “addetti ai lavori”. Pensate che bello, ci confronteremo e risponderemo a tutte le vostre domande! Sarà sicuramente una bella esperienza, per voi e per noi. Non mancate!

Vincenzo Ferreri Mastrocinque

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In visita al Museo del carcere “Le Nuove”

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TORINO OLTRE GLI ASTERISCHI 

Per la rubrica “The Password: Torino oltre gli asterischi”, oggi vi portiamo a conoscere Torino attraverso uno dei luoghi più emblematici della sua storia. Si tratta di un ex carcere, riflesso delle evoluzioni del capoluogo piemontese nell’ultimo secolo e mezzo, che ancora oggi ha molto da raccontarci in termini di democrazia e partecipazione politica. 

Torino è una città d’arte e cultura con oltre cinquanta siti storici aperti al pubblico: uno di questi è il Museo “Le Nuove” in via Paolo Borsellino, 3 (https://www.museolenuove.it/). Per accedervi è necessario prenotare: il costo è di 5 euro per gli studenti ed è inclusa una visita guidata di due ore circa. Le guide sono volontari dell’associazione “Nessun uomo è un’isola”, che si occupa del museo. Capita, a volte, di assistere anche alla testimonianza di persone che erano ancora bambine ai tempi della detenzione: alcuni sono figli di ebrei, i cui genitori furono deportati nei campi di concentramento, altri sono figli di partigiani fucilati o rilasciati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di testimonianze toccanti e dal valore storico e umano incredibile.

I percorsi guidati sono diversi. Il percorso storico-museale permette di accedere alla sezione esterna e ad alcuni bracci del sistema carcerario, come quello femminile, quello tedesco gestito dalle SS e la parte sotterranea destinata ai giovani partigiani, che da lì a poco sarebbero stati fucilati. Il ricovero antiaereo – altro percorso possibile – è un bunker situato a 18 metri di profondità sotto il carcere. La visita dura un’ora e in inverno è richiesto un abbigliamento pesante. Sacro e profano è, invece, un tour che permette di visitare la parte centrale della struttura, le chiese e i percorsi nascosti del Direttore.

Nella storia di questo complesso carcerario alcune figure della Chiesa sono state di grande conforto per i detenuti, come Suor Giuseppina Demuro e il frate francescano Ruggero Cipolla. La prima si fece promuovere ufficiale nazista, pur di continuare a gestire il Braccio B – l’unico femminile – durante l’occupazione tedesca, salvando numerose vite, come quella della partigiana Valérie, del piccolo Massimo di appena sei mesi (figlio di Elena Recanati, deportata ad Auschwitz e tornata viva), di Adriana Cantore che allora aveva solo 13 mesi, (sopravvissuta grazie alle cure della suora) e di sua mamma Ida (anche se quando uscì dal carcere pesava solo 38 chili). Padre Ruggero Cipolla, che all’inizio doveva assistere i detenuti della parte sotterranea per soli 15 giorni, fu invece nominato cappellano del carcere “Le Nuove” dal 1944 e poi delle “Vallette” fino al 1994. Fu autore di I miei condannati a morte. Lettere e testimonianze. Consapevole che la posta dei giovani detenuti sarebbe stata oggetto di censura, il frate, rischiando la propria vita, dava loro due fogli: uno lo consegnava ai nazisti, l’altro lo nascondeva e lo recapitava ai familiari delle vittime. A lui toccava un compito difficilissimo: assistere quei ragazzi, “i suoi ragazzi”, prima e durante la fucilazione, segnandosi dove erano stati sepolti così da poterlo comunicare ai cari.

Le storie sono tantissime: l’ebrea Enrichetta Iona che, insieme alla famiglia, fu deportata nei campi di concentramento dal binario 17 della stazione di Porta Nuova; i martiri della Resistenza Osvaldo Alasonatti e Renato Cottini, che oggi dà il nome al Liceo artistico statale di Torino; Emanuele Artom, il cui corpo, nonostante gli sforzi e le ricerche, non fu mai trovato; Ignazio Vian che, nonostante le torture, non fece mai un nome dei suoi compagni, tentò il suicidio tagliandosi le vene, ma fu salvato dai nazisti al fine di infliggergli loro stessi la pena di morte.

La superficie del carcere è di 37.634 metri quadrati: è immenso, se si pensa che la superficie di piazza Vittorio Veneto, la piazza più estesa di Torino, è di 38.000. È rimasto attivo fino al 2003, subendo modifiche nel tempo. Lì furono internati anche alcuni militanti delle Brigate Rosse, come i terroristi che, il 15 dicembre 1978, all’incrocio tra via Pier Carlo Boggio e corso Vittorio Emanuele II, freddarono Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu, agenti di polizia chiusi all’alba dentro un furgoncino di servizio di fronte alla struttura carceraria, alla quale oggi è affissa una lapide in loro ricordo.

Piero Calamandrei disse: “Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata questa nostra Costituzione”. Per essere testimoni della Storia e contribuire alla memoria collettiva occorre partire dall’ascolto e dalla divulgazione della storia di uomini comuni che soffrirono per la libertà e la democrazia di cui noi oggi godiamo.

Nicole Zunino – redattrice di The Password

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“Henri Cartier-Bresson e l’Italia”. La mostra sul pioniere del fotogiornalismo

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Con questo primo articolo si apre la collaborazione tra Il Torinese e The Password. Ma cos’è The Password? Siamo il giornale degli studenti di Torino. Ci trovate su Instagram come thepasswordunito, dove ci impegniamo a pubblicizzare i nostri articoli, riguardanti i temi più vari. La nostra associazione è organizzata al suo interno in diversi team, che cooperano, occupandosi di ogni aspetto del lavoro che si svolge dietro le quinte di un giornale: dalla redazione alla correzione, dai social fino al nostro podcast Oltre lInchiostro. La collaborazione consisterà in una rubrica settimanale dal titolo The Password: Torino oltre gli asterischi”, che parlerà di giovani e cultura a Torino. In questo articolo di apertura parliamo della mostra fotografica su Cartier-Bresson.

A Torino, dal 14 febbraio al 2 giugno, si tiene presso CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia una mostra fotografica che indaga il rapporto tra il fotografo francese Henri Cartier-Bresson e lItalia.

Bresson nasce nel 1908 a Chanteloup, vicino a Parigi. Cresce nellambiente dellalta borghesia e ha accesso a studi di livello elevato. In particolare, segue le orme dello zio pittore, approfondendo con lui il surrealismo francese.

I suoi scatti erediteranno molto dallestetica surrealista, benché sia un fotoreporter. Considerato pioniere del fotogiornalismo, verrà chiamato locchio del secolo”.

Dichiara di amare le strade, le piazze, le vie. Scatta foto di persone in contesti ordinari, cogliendo dettagli della vita quotidiana nella loro spontaneità, motivo per cui si impegna a mantenere il proprio volto sconosciuto. Nonostante la fama che si guadagnerà come fotografo, necessita di poter camminare per le strade nellanonimato; infatti, affinché i suoi scatti conservino la naturalezza, che è limpronta artistica della sua fotografia, deve poter non essere riconosciuto.

Proprio per questa ragione il suo celebre autoritratto scattato in Italia non lo riprende in volto.

I suoi viaggi in Italia cominciano negli anni ’30. Il primo è in compagnia di amici e non è a scopo professionale. Durante questo viaggio scatta una foto di nudo, che a primo impatto può sembrare un momento di goliardia, ma che diventerà uno scatto simbolico, nel quale ritrae un concetto di coppia e di amore: vediamo una testa, due braccia e due gambe, la fusione di due corpi che diventano uno solo.

Negli anni ’50 gli vengono commissionati degli scatti che rappresentino la società italiana; dunque, si reca a Roma e scende nelle strade. In particolare, ritrae la giornata dell’Epifania, festa molto sentita a Roma, durante la quale tradizionalmente venivano portati doni ai vigili urbani.

Tra le altre, scatta due foto con la stessa ripresa, ma con una prospettiva diversa: un vigile urbano, in strada, su un piedistallo con ai piedi i doni ricevuti. Una riprende la classicità della statua italiana, laltra, che ritrae il vigile col bracco alzato, è un chiaro richiamo al fascismo.

Oltre a Roma, si reca anche in Abruzzo, dove le piazze che i giornali internazionali ritraggono come cartoline di luoghi da vacanza in realtà sono ben diverse. Al posto di scintillanti calici di vino, Bresson trova una realtà contadina che arranca negli anni del dopoguerra.

Similmente accade a Ischia, in cui giunge su richiesta di una rivista americana con lo scopo di pubblicizzare la zona come meta turistica; eppure quello che trova è unisola di pescatori, che fotografa nella loro genuinità.

In questo periodo, tuttavia, vediamo pian piano gli sfondi cambiare nelle sue fotografie. Si intravede la trasformazione sociale di un Paese che si rialza. Le strade delle città italiane che Bresson ritrae mutano, e con loro i cittadini e i mestieri. I contadini scalzi e affamati cominciano a essere rimpiazzati da insegne di barbieri e donne col cappello.

Bresson con la sua fotografia toccherà tutta lItalia, da nord a sud, catturando attimi di vita di strade e piazze, sempre in maniera naturale, e conservando un gusto estetico, figlio della sua formazione di pittore immerso nel surrealismo.

Molte delle sue fotografie risentono del gusto pittorico del fotografo, tant’è che alcune foto di Napoli, risalenti agli anni ’60, appaiono come dei veri e propri quadri, con chiaroscuri quasi caravaggeschi.

Anche nelle foto di Venezia, degli anni ’70, che ritraggono manifestazioni e movimenti sociali, è ricercato un senso estetico attraverso i volti dei manifestanti coperti dagli ombrelli nelle piazze.

A causa di questo profondo sentimento artistico, non sorprenderà lappassionato scoprire che a fine carriera il fotografo francese si dedicherà nuovamente al suo primo amore: il disegno.

Alice Aschieri – redattrice di The Password www.thepasswordunito.com

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