STORIA- Pagina 85

L’Associazione ex Allievi del S. Giuseppe, 100 anni tra storia e innovazione

1921 – 2021 Festeggiamenti e condivisione nella sede del prestigioso Collegio torinese per il secolo raggiunto con lo sguardo al futuro

Un secolo è un arco temporale importante e raggiungerlo è motivo di orgoglio ed è una solida base per guardare al futuro con una visione innovativa. E’ questo l’ambito traguardo raggiunto dall’Associazione Ex Allievi del prestigioso e storico Collegio torinese S. Giuseppe, di cui è Presidente l’Architetto Dario Tarozzi, giunti ai loro primi cent’anni di vita e per citare le parole del Presidente “ ci sentiamo parte di un secolo di storia”.

Si sono dati appuntamento il 13 Maggio nel giardino del Collegio che li ha visti giovani studenti per i festeggiamenti di questo anniversario tutto loro, di questo importante raggiungimento di cui condividono pienamente lo spirito immutato nel tempo. Era il 18 Dicembre 1921, i duri anni della ripresa dopo la fine del conflitto e nel cuore della storica Torino barocca, tra le mura di una delle più prestigiose istituzioni torinesi nasceva l’Associazione ex Allievi per volere di un gruppo di amici che al termine degli studi vollero continuare a condividere quei valori forti e vitali acquisiti giorno dopo giorno negli anni, in un legame che quel tempo passato insieme aveva cementato, grazie agli insegnamenti ricevuti tra quelle mura accoglienti e sicure, testimoni del tempo e dei cambi generazionali in una realtà cittadina in continua trasformazione.

Questa data parla di un progetto che è stato raggiunto, perseguito negli anni e fortemente voluto e che più che mai oggi non intende essere soltanto un momento commemorativo ed una evocazione verso un importante passato con uno sguardo riconoscente ed affettuoso ai fondatori ma anche e soprattutto un nuovo punto di partenza con la volontà di continuare ad essere presenti e propositivi per successivi impegni nel sociale e nel mondo della cultura, come già avvenuto in passato.

Massima è la loro sollecitudine verso le nuove generazioni con un occhio attento all’innovazione accompagnando la crescita degli studenti con le più avanzate risorse tecnologiche, grazie anche alla presenza ed al supporto di un corpo docenti di prim’ordine, fedeli ed affezionati ad un compito che è diventato per loro una missione. Va anche sottolineata la volontà di partecipare fattivamente con contributi assistenziali e culturali alla vita del Collegio in linea con la Direzione dei Fratelli delle Scuole Cristiane ancora e sempre presenza rassicurante e forte.

Imprescindibile ed indissolubile è il contesto in cui si è sviluppata e cresciuta questa Associazione che vanta al suo interno molti nomi importanti che hanno dato un fattivo e valido contributo alla città ed all’intero Paese, raggiungendo le più alte cariche nei loro differenti ambiti lavorativi, culturali, accademici, scientifici, artistici, politici ed ecclesiastici. Sono personaggi che si sono distinti anche grazie a quei valori lasalliani che li hanno formati alla vita, all’impegno, alla lealtà, all’amicizia.

Ricordiamo il Senatore Giovanni Agnelli ed il nipote Umberto, Carlo De Benedetti, il pittore Ottavio Mazzonis, l’artista Mario Merz, i giornalisti Giovanni Minoli e Massimo Gramellini, l’architetto Carlo Mollino, il vescovo Edoardo Cerrato, i costituzionalisti Gustavo e Vladimiro Zagrebelsky e, tra i più giovani, l’attore Luca Argentero, l’imprenditore Federico Grom, il compianto Andrea Pininfarina, per citare soltanto alcuni tra i più famosi ex del San Gip, come viene familiarmente chiamato secondo una consuetudine tutta torinese.

In questa occasione, con uno sforzo economico congiunto gli ex Allievi hanno realizzato, in accordo ai Fratelli, gli storici padroni di casa, la ristrutturazione dell’arco di San Giuseppe, ben nota presenza nel giardino interno del Collegio con l’apposizione di una targa recante il nome di quanti hanno partecipato. Rilevante e di grande utilità anche la seconda opera scelta in questa speciale occasione, l’allestimento cioè di una nuova aula informatica e la revisione di quelle già presenti. Un raggiungimento possibile anche grazie a quello spirito di appartenenza che anima gli ex Allievi, molti dei quali hanno portato i loro figli a vivere in questo angolo di mondo la loro stessa esperienza, appartenenza che si avverte nell’aria in modo quasi palpabile, frutto della consapevolezza di chi sa di aver ricevuto tanto e si rende convinto portavoce di quella ricchezza per le giovani generazioni.

Il Collegio S. Giuseppe con il suo storico ingresso in Via San Francesco da Paola al numero 23, in pieno centro storico, in quell’angolo di città che fu tanto caro ad artisti, poeti, filosofi, scrittori del passato, esiste dal 1875, insostituibile e nota realtà nella vita della città, solida come solide sono le sue mura, si estende su un intero isolato cresciuto e sviluppatosi nel tempo, dove i Fratelli delle Scuole Cristiane, i lasalliani così chiamati in onore al loro fondatore, il teologo Giovanni Battista de La Salle, portano avanti il loro ministero di educatori dedicandosi all’istruzione degli studenti da quando Carlo Felice di Savoia, nel 1829, li volle a Torino come maestri nelle scuole del suo Regno.

Una scelta ponderata quella del sovrano che ben conosceva il loro valore di educatori già da quei tempi, con una particolare attenzione volta ad offrire alle giovani generazioni una preparazione che andasse al di là ed oltre l’apprendimento sui testi scolastici, arricchita cioè di insegnamenti , di valori, di solide basi cristiane di fondamento per la vita. La loro storia si fonde e si interseca con quella cittadina, con le vicende di quel lungo periodo storico che vide i Fratelli impegnati testimoni del tempo nel cuore della città sabauda. Tanti i fatti degni di essere ricordati che hanno preso vita tra quelle mura. Nel 1913 venne aperta una scuola domenicale nelle ore serali per offrire la possibilità di studiare ai giovani spazzacamini mentre nel 1915, in pieno periodo bellico, venne ospitato l’Ufficio Notizie per prigionieri, combattenti e profughi della Prima Guerra Mondiale.

Fu nel 1920 che avvenne l’inaugurazione del Sacrario in onore degli ex Allievi caduti per la Patria, ancora oggi inevitabile e commossa sosta per chi accede all’atrio. Sarà questo gesto di fratellanza a far nascere nei fondatori la volontà di dar vita ad un’ Associazione che fosse un punto di unione e di riferimento certo per quanti tra loro volessero recepirne il messaggio. Nel 1939 venne inaugurato l’importante Museo Naturalistico Pietro Franchetti, il canonico noto studioso di scienze naturali, dove sono raccolti in due ampi corridoi ed in alcune sale storiche attigue importanti collezioni zoologiche e mineralogiche oltre a quella famosissima dei Colibrì, la più importante in Italia insieme ad una libreria scientifica con cinquecento rari volumi. Dal 1949 iniziano i grandi ampliamenti che comprendono anche nuove e moderne strutture sportive.

Nel 1960 la presidenza della Repubblica italiana insignisce il Collegio della Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Sarà il 1984 che aprirà i battenti alla frequenza femminile mentre dal 2010 gli spazi al pianterreno vengono adibiti a polo espositivo per numerose mostre. E mentre gli ex Allievi hanno varcato la soglia dei cent’anni, queste sagge parole di Fratel Enrico ben riassumono lo spirito che anima quanti tra queste mura ci sono passati: “ Illuminarsi per illuminare, addestrare campioni, spiritualmente e moralmente ben attrezzati, perché si facciano anche allenatori di altri. Il San Giuseppe si propone a stadio che allena alla vittoria in tutte le gare della vita”.

Patrizia Foresto

(Si tratta di un evento con numero massimo di posti disponibili già raggiunto)

 

 

 

 

Conferenza di Quaglieni su Forze Armate e Liberazione

Il prof. Quaglieni

Giovedì 12 maggio alle ore 18 sulla pagina Facebook del Centro “Pannunzio”, lo storico professor Pier Franco Quaglieni terrà una lezione su “ Il contributo delle Forze Armate e dei militari italiani alla Guerra di Liberazione. 1943 – 1945“. Introdurrà Valeria Fantino

Le iniziative del Museo Pietro Micca in occasione di Eurovision

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Eventi al museo Pietro Micca Eurovision 2022 e

316° anniversario dell’assedio di Torino del 1706”

Visite speciali periodo 12-18 maggio

Il 14 maggio 1706 era un bellissimo venerdì, ma già funestato per i francesi da un cattivo presagio avvenuto due giorni prima durante la marcia di avvicinamento per l’assedio di Torino: una eccezionale eclissi solare totale, visibile da tutta Europa, aveva mutato il giorno in notte e oscurato il sole, simbolo di Luigi XIV, detto re sole. Nelle tenebre di quel mattino, al posto del sole, brillava nel cielo la Costellazione del Toro, come una magia celeste che faceva il tifo per i Torinesi.

Difendevano la città possenti mura, sul davanti la cinquecentesca cittadella pentastellata e sottoterra una ragnatela di 21 chilometri di gallerie del sistema di contromina aspettava al varco con gli effetti di un insidioso campo minato.

Quando nella seconda metà dell’Ottocento le fortificazioni furono demolite, rimasero le gallerie a 7 e 14 metri sottoterra a far vivere una città sotterranea unica nel suo genere.

Nel 316° anniversario dell’inizio dell’assedio, che durò117 giorni, tragico come Mariupol per bombardamenti e sacrifici di soldati e popolazione, il museo Pietro Micca ripropone alla visita sempre nuove novità, siti da visitare e emozioni da vivere.

Oltre al normale programma di visite guidate giornaliere(www.museopietromicca.it), ecco le novità:

dal 12 al 15 maggio per Eurovision 2022, il museopropone una ulteriore visita guidata in inglese alle ore 11,30 e visite continuative con audioguide in francese, inglese, spagnolo e tedesco;
sabato 14 maggio, per la notte dei musei, 5 visite guidate straordinarie e a ingresso gratuito agli orari 17,30 – 18,30 – 20.30 -21,30 e 22,30, con la partecipazione straordinaria dei Rievocatori del Gruppo Storico Pietro Micca della Città di Torino;
domenica 15 maggio, apre le porte al pomeriggio la Fortezza del Pastiss, dalle 14,30 alle 17,30 ogni mezz’ora una visita guidata ad uno dei più affascinanti patrimoni sotterranei tornati alla luce;
mercoledì 18 maggio, per l’International Museum Day al museo Pietro Micca intera giornata di visite gratuite e alle 17,30 la conferenza dell’Archeologo Fabrizio Zannoni La dismissione della fortificazione urbana e della Cittadella di Torino
nel normale percorso di visita è visitabile ogni giorno e gratuitamente la mostra Contro le offese dal cielo – Protezione antiaerea durante la Guerra con anche la bottiglia ed i messaggi del 2 maggio 1945 trovati 20 anni fa nelle gallerie ed esposti per la prima volta.

Per tutte le attività, la prenotazione dà priorità

INFO e PRENOTAZIONI  

tel. 011 01167580, email info@museopietromicca.it, sito www.museopietromicca.it

Normanni, da Hastings a Torino. La saga dei Burdet

Nel 1066 alla battaglia di Hastings, immortalata nel celebre arazzo di Bayeux, tra i soldati del duca di Normandia Guglielmo che diventerà Guglielmo il Conquistatore, re d’Inghilterra, combattevano anche Hugo Burdet e suo padre Robert I Burdet di Rabodanges.
A Torino vive un discendente di quei Burdet vissuti quasi mille anni fa. Si chiama Carlo Alfonso Maria Burdet. Architetto, appassionato ricercatore storico, ha svolto studi e ricerche in molti archivi esteri, in Francia, Italia, Portogallo, in Vaticano e in Sud America. “Burdet, genti di Normandia, in Savoia tra XIV e XV secolo” è il suo ultimo lavoro riguardante l’antica dinastia normanna alla quale appartiene il suo casato. Nell’undicesimo secolo importanti famiglie normanne lasciarono i Paesi nordici per stabilirsi in altre regioni europee e tra queste dinastie vi era anche quella a cui appartiene Carlo Burdet. Per la verità già nel Mille scopriamo la patria dei Burdet in Normandia per trovare, nei secoli successivi, testimonianze sulla presenza di vari esponenti di questa famiglia in altri Paesi dell’Europa occidentale. Alcuni di loro erano impegnati nell’amministrazione della giustizia e nel notariato mentre altri si occupavano della riscossione dei tributi. Il cognome Burdet si trova nei primi documenti di storia anglo-normanna. Nel 1066, i Burdet, come detto, erano presenti nella battaglia di Hastings contro re Harold II e due anni più tardi Robert Burdet viene nominato Lord di Lowesby.
Questi eventi di novecento anni fa si svolgono in un contesto storico particolare in cui i normanni sono molto attivi non solo nel nord d’Europa ma anche nella nostra penisola e si mescolano con gli italici nelle terre meridionali dando vita a una lunga convivenza. È l’epoca, per esempio, in cui la contessa piemontese Adelaide del Vasto sposa il conte normanno Ruggero I di Sicilia sigillando un’alleanza tra aleramici e normanni. Gli Aleramici, famiglia feudale di origine franca, si è nel tempo molto ramificata creando numerose dinastie come i marchesi del Monferrato, i marchesi di Saluzzo e i marchesi di Savona. Un personaggio rilevante è Adelaide del Vasto, nata in Piemonte nel 1074, figlia dell’aleramico Manfredi II, fratello di Bonifacio del Vasto, marchese di Savona e della Liguria occidentale. Adelaide sposerà Ruggero I di Sicilia e sarà la madre di Ruggero II, re di Sicilia. Non solo i Normanni si recarono in Sicilia ma nella grande migrazione verso sud dell’XI secolo c’erano anche bretoni, fiamminghi, provenzali e appunto gli aleramici dell’Italia del nord. Una presenza confermata dagli studi sui cognomi siciliani e sulla toponomastica e fu proprio la contessa Adelaide ad incoraggiare questa immigrazione da nord a sud. Morto improvvisamente Manfredi, il fratello Bonifacio invia nel meridione d’Italia, appena conquistato dai normanni, i figli di Manfredi, tra cui Adelaide. A sancire l’alleanza tra aleramici e normanni fu proprio il matrimonio tra Adelaide e il granconte normanno Ruggero I d’Altavilla di Sicilia celebrato nel 1087 a Mileto in Calabria. L’effetto immediato di questa unione fu la fondazione di molti paesi e città in Sicilia con migliaia di persone provenienti da Piemonte e Liguria. La popolazione della parte centro-settentrionale dell’isola parla ancora oggi un dialetto simile al piemontese e quindi molto diverso dal siciliano. Ma torniamo allo studio di Carlo Burdet perché le notizie sulla sua famiglia non si fermano certo qui. Nel 1118 un altro Robert Burdet viene nominato conte di Tarragona da papa Onorio II mentre nel 1151 un William Burdet, fondatore del priorato di Aucote, torna dalla Terra Santa dove forse ha combattuto come crociato. Nel 1618 Thomas Burdet di Bramcote diventa Baronetto.
La presenza dei primi discendenti del casato negli stati transalpini è testimoniata dalle carte e nel 1403 Pierre Burdet viene nominato tesoriere generale del conte di Savoia in Piemonte mentre assistiamo al passaggio nelle terre lemaniche dei primi Burdet. “Fin dagli inizi del tredicesimo secolo il cognome Burdet potè comparire tra le Alpi e il Rodano nelle terre dei Savoia, signori già allora imparentati con gli anglo-normanni per via dei re d Borgogna. Le prime presenze dei Burdet in quest’area europea trarrebbero motivo proprio dagli spostamenti che i Conti di Savoia andavano facendo, non solo in Terra Santa al seguito delle Crociate, ma in Inghilterra dove mantennero contatti e spesso furono anche presenti di persona”.
Filippo Re
Le didascalie:
1 Carlo A.M.Burdet
2 Arme di antiche casate anglo-normanne
3 Vista del Castello di Chillon (Montreux) sul Lago di Ginevra
4 Pierre Burdet conti per la Castellania di Chillon (1415-16)

Gianni Alasia e la storia dei lavoratori delle Officine Savigliano

Nell’area che un tempo ospitava a Torino la SNOS, la Società Nazionale Officine di Savigliano, una delle più antiche realtà dell’industria metallurgica piemontese ora c’è un centro commerciale, ci sono palestre e ampi spazi.

 

Dove oggi i clienti e i curiosi passeggiano, affollano negozi, guidano i carrelli della spesa e s’incolonnano davanti alle casse generazioni di operai si affannarono davanti ai macchinari per la costruzione di materiale rotabile, la realizzazione di macchinari elettrici, costruzioni impiantistiche e carpenteria metallica. Nel 1881, un solo anno dopo la fondazione, l’azienda assorbì la torinese Società Anonima Italiana Ausiliare di strade ferrate, tramvie e lavori pubblici, ereditandone sia gli immobili che le maestranze. Da quel momento in poi la SNOS affiancò alla tradizionale produzione di materiale rotabile quella di macchinari elettrici e altre attività che le consentirono una rapida crescita e a un incremento della manodopera che trent’anni dopo sfiorava le mille unità. Durante la prima guerra mondiale l’azienda modificò le proprie strategie produttive dedicandosi alla costruzione di materiale bellico. Terminato il conflitto il Regio governo affidò alle Officine di Savigliano la costruzione di locomotori e, negli anni successivi, la realizzazione di opere infrastrutturali e impianti idroelettrici. All’alba del secondo conflitto mondiale, la SNOS fu nuovamente chiamata a sostenere lo sforzo bellico con le produzioni di guerra ma vide anche una parte importante dei suoi lavoratori, composti da 300 impiegati e 1300 operai, attivi nella resistenza antifascista. Come ricordano le memorie raccolte all’Istituto storico della Resistenza torinese le mine tedesche e gli scontri insurrezionali danneggiarono i reparti, che ripresero comunque l’attività già nel maggio 1945. Tra molte difficoltà e vicissitudini,  controllata negli anni dalla Fiat e della Cogne, la SNOS ripartì all’insegna delle radio Savigliano, del trattore Ciclope e della locomotiva E444. A partire dagli anni ‘60 l’azienda cedette alla Fiat il comparto ferroviario, abbandonando le lavorazioni edilizie e quelle dei grandi complessi meccanici. A metà degli anni ’70 venne acquisita dalla General Electric e trent’anni dopo, nel 2005, con una manodopera ormai ridotta ad una ottantina di dipendenti, chiuse definitivamente i battenti. Resta solo la storia, la memoria di una classe operaia capace di pensare e produrre, di fare “i barbis alle musche”, i baffi alle mosche. Una storia che Gianni Alasia, indimenticato sindacalista e dirigente politico della sinistra subalpina, scomparso a Torino il primo luglio del 2015 a 88 anni, raccontò in più lavori e in un libro importante dedicato all’esperienza del Consiglio di gestione di quella storica azienda, intitolato “Chi e cos’erano i Consigli di gestione? La SNOS di Torino e Savigliano: una concreta esperienza di fabbrica (1949-1952)”. Era una realtà che conosceva bene perché Alasia, dopo aver partecipato giovanissimo alla Resistenza nelle formazioni partigiane Matteotti, prendendo parte alla liberazione di Torino con il nome di battaglia “Astro”, venne assunto nel dopoguerra presso le Officine Savigliano come impiegato, entrando a far parte del Consiglio di gestione, partecipando a lotte importanti per migliorare le condizioni di lavoro che si conclusero con una sconfitta. Nel 1951 Gianni Alasia fu tra i licenziati. Con lui c’era Bruno Fernex, anch’esso ex partigiano e quadro sindacale, in seguito con Bruno Trentin nella segreteria nazionale della FIOM. Questo testo di Alasia non solo rappresenta una testimonianza  importante ma è uno strumento di grande utilità per ricostruire una interessante vicenda che vide misurarsi i lavoratori di quella realtà con le politiche partecipative e di controllo sul ciclo produttivo. Ovviamente, a oltre settant’anni di distanza quella formula non è ovviamente riproponibile (lo rimarcava lo stesso autore commentando il suo libro, edito nel 2006) ma è interessante l’approccio ormai storicizzato di quell’esperienza che vide i lavoratori misurarsi sul tema del governo della produzione, dello sforzo di intervenire sui temi delle politiche legate all’economia anticipando argomenti che nei decenni successivi sono entrati a far parte a pieno diritto dell’orizzonte dell’iniziativa contrattuale del sindacato. In quelle pagine si ritrovato una parte della storia di una classe operaia matura, capace di offrire un punto di vista proprio sull’organizzazione del lavoro e della produzione. La battaglia della SNOS fu su quel versante piuttosto emblematica, nonostante l’esito infausto e doloroso. La frase di Gramsci con cui chiude il suo diario il segretario  del Consiglio dì gestione della SNOS ne riassume la consapevolezza e l’orgoglio: “Non c’è vergogna nella sconfitta degli operai”. Quelle di Alasia sono pagine che restituiscono lo spirito del tempo, il tratto di forte solidarismo e coscienza di classe, rammentando senza enfasi ma con forte dignità la grande nobiltà dei valori che animarono quell’esperienza. Un filo d’acciaio che non si può spezzare e che aiuta, sotto il profilo storico e sociale, a tener conto di cosa abbia significato per l’economia, la società e la politica di Torino e del Piemonte quell’esperienza e tante altre che furono per molti versi simili.

Marco Travaglini

Il docufilm su Costantino Nigra, da “La rassegna di Novara”

Al Museo Nazionale del Risorgimento si è tenuta martedì 3 maggio scorso l’anteprima 

 

Martedì 3 maggio, alle ore 17, si è tenuto al Museo Nazionale del Risorgimento, in piazza Carlo Alberto 8, l’anteprima del docufilm “La vittoriosa sconfitta” del regista Michele Burgay, prodotto dalla Fondazione Vittorio Bersezio.
L’introduzione è stata affidata allo storico Gianni Oliva, la voce narrante è stata del doppiatore Mario Brusa e protagonista del film è stato l’attore Enzo Brasolin. Oltre ai protagonisti del film sono intervenuti Mario Napoli, presidente della Fondazione Bersezio, e Mauro Caliendo, presidente del Museo Nazionale del Risorgimento.
Il filmato è incentrato sulla figura di Costantino Nigra, personalità di spicco del Risorgimento italiano, e prende spunto da “La rassegna di Novara”, un carme da lui scritto in endecasillabi, all’indomani dell’Unità d’Italia.
“Ho sempre provato una forte simpatia per il re Carlo Alberto, il re dello Statuto e delle Libertà, e una affascinata ammirazione per il diplomatico e politico Costantino Nigra, che fu anche linguista, poeta e studioso dei canti popolari del Piemonte – commenta il Presidente della Fondazione Bersezio, l’avvocato Mario Napoli. Il lavoro di Mario Burgay costituisce la sintesi di due figure determinanti nel secolo di Vittorio Bersezio e la triste vicenda della battaglia di Novara, quale emerge nei commoventi versi del poeta, in cui riceve un doveroso riconoscimento di quel che rappresentò per il Risorgimento e la nascita dell’Italia unita”.
Nigra immagina che il re Carlo Alberto si alzi dalla sua tomba di Superga e vada nella piana di Novara, passando in rassegna i soldati caduti nella battaglia del 23 marzo 1849. Si trattò della prima battaglia combattuta con il Tricolore, imposto dal Re a tutti i reggimenti dell’esercito sardo piemontese.
Il canto riscosse notevole successo sia in Italia sia all’estero, riproposto in antologie e sussidiari, capace di trasmettere la capacità del poeta di consacrare una nuova Italia, ritrovando un orgoglio e una dignità che erano stati smarriti in secoli di dominazioni straniere.
“Sono molto contento – spiega il Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento Mauro Caliendo – di ospitare questa interessante rassegna dedicata a Costantino Nigra. Il museo è, infatti, partner della Fondazione Bersezio nella realizzazione di questo docufilm, capace di confermare la nostra volontà di raccontare tutti i personaggi, anche meno noti rispetto ai padri della patria, che hanno contribuito alla realizzazione dell’Italia attraverso le loro gesta. Si tratta di figure fondamentali dalla vita straordinaria, di cui è fondamentale mantenere viva la memoria”.
Questo docufilm rappresenta il primo episodio di un progetto artistico di più ampio respiro, che vuole narrare un’epoca in cui alcuni torinesi, santi o dannati, contribuirono comunque all’unificazione del regno d’Italia.
Seguirà un prossimo ciclo di proiezioni.
Ingresso gratuito nella Sala Cinema, sino a esaurimento dei 65 posti disponibili.

Mara Martellotta

Prenotazione obbligatoria allo 0115611726 oppure redazione@zipnews.it

Tina Modotti, il fuoco che non muore

Per molto tempo è stata relegata nell’oblio, volutamente confinata in un cono d’ombra perché scomoda, ribelle, anticonformista.

Eppure i suoi scatti, a parere di molti, hanno anticipato i moderni reportage fotografici, creando una memoria visiva che ha documentato in maniera straordinaria culture e realtà sociali. Nella sua vita amò molto uomini, idee, arte, diritti umani, rivoluzione. Una donna straordinaria, Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina. Nata il 17 agosto 1896 nel popolare Borgo Pracchiuso a Udine, da un’umile famiglia friulana, aderente al socialismo della fine Ottocento, a soli due anni si trovò costretta ad emigrare in Austria con la sua famiglia.I Modotti tornarono a Udine nel 1905 e Tina frequentò lì le prime classi della scuola elementare. A dodici anni trovò lavoro come operaia nella fabbrica tessile Kaiser, alla periferia della città. Il padre era nuovamente emigrato, questa volta in America, in cerca di lavoro e la ragazza dovette contribuire al mantenimento della numerosa famiglia. Diciassettenne, nel giugno del 1913, varcò anch’essa l’oceano per raggiungere il genitore in California, dove (come ha scritto nella sua biografia Pino Cacucci) “stavano crescendo i grandi movimenti sindacali e la vita culturale e artistica era in gran fermento“. Fu così che a Tina Modotti si dischiusero in un primo tempo le vie del teatro e del cinema, e successivamente della fotografia. Fu musa di artisti importanti, recitò nel cinema muto di Rodolfo Valentino, amò perdutamente il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, assassinato nel 1929. Nella vita di Tina Modotti  non mancarono gli incontri straordinari: i fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer, Robert Capa ed Edward Weston, che la ritrasse in un nudo bellissimo ; i grandi pittori messicani Diego Rivera e Clemente Orozco; attivisti politici come il comunista triestino Vittorio Vidali, il Comandante Carlos del Quinto Reggimento durante la guerra civile spagnola, conosciuto durante una manifestazione di protesta dopo la condanna a morte di Sacco e Vanzetti ;scrittori come John Dos Passos, André Malraux, Ernest Hemingway. Da donna appassionata qual’era si dedicò alla causa rivoluzionaria in Messico e combatté con le Brigate internazionali in Spagna. Le sue foto hanno sempre narrato i volti e le sofferenze degli ultimi. Sono immagini di campesinos, pescatori, donne che lavano i panni e che allattano bambini. Dedicò molti scatti al Messico, sua terra d’elezione, dove morì a 46 anni e dove venne sepolta. Pablo Neruda scrisse le parole dell’elogio funebre che ancora oggi si possono leggere sulla sua tomba: “Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente, sorella. Perché non muore il fuoco“. Dopo l’improvvisa scomparsa le venne tributato il giusto riconoscimento per la sua personalità umana, artistica e politica, tant’è che per alcuni anni la sua memoria restò ben viva nell’opinione pubblica latinoamericana. Poi cadde l’oblio, lungo quasi trent’anni. Le sue opere, che si trovano in gran parte negli Stati Uniti, vennero tenute nascoste negli archivi dei dipartimenti di fotografia a causa del maccartismo e della sua assurda caccia alle streghe. Una scelta oscurantista, come ricordarono al Centro Cultural Tina Modotti di Caracas , “che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un’artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale“. L’inquietudine l’accompagnò per tutta la vita, spesa quasi sempre in credito con la fortuna. Artista, intellettuale, tra i primi fotografi a capire il valore sociale e la forza di denuncia di un’immagine, perseguitata da viva e persino da morta per le sue idee, fu comunque una delle più belle figure di donna che l’Italia seppe dare al mondo.


Marco Travaglini

Un affresco del secolo scorso da un atto d’amore per le nipotine

RITRATTO DELL’ITALIA DEL SECOLO PASSATO LA STORIA DI GINO ROTA

Anna Rota Milani non è una scrittrice. La sua ‘appartenenza’ al mondo dell’arte è dovuta soprattutto alla pittura dai caratteri impressionistici. Lo testimoniano le sue opere che impreziosiscono gli ambienti dell’Antico Mulino di Fontanetto Po e la ‘Ca’ San Sebastiano a Castel San Pietro di Camino Monferrato o i suoi atelier a Zoalengo di Gabiano o in via Macrino d’Alba a Torino. Non è una scrittrice, o almeno così non ama definirsi, ma in ‘Gino e i Rota – ricordi di amore e di resilienza’, questa artista torinese di residenza ma dalle salde radici monferrine (anzi della Valcerrina) ha saputo affrescare attraverso il ricordo della persona e della vita del padre Gino (ma il suo vero nome era Michele Marco Luigi, per tutti Gino) classe 1913, famiglia originaria di Ponte San Pietro, paese non distante da Bergamo poi giunta in Monferrato, e della  mamma Salvina di Pozzengo di Mombello Monferrato, la vita quotidiana di una famiglia del Novecento, con sullo sfondo quella che era la società di allora. In quello che l’autrice definisce ‘un atto d’amore per le mie nipotine’ si è voluto ricordare, con colpi di penna che sembrano pennellate, un mondo che non c’è più con Gino e Salvina che si uniscono le loro vite alle 6 del mattino, al buio e al freddo, nella chiesetta di Pozzengo, poi il viaggio di nozze: in bicicletta si spingono sino a Cavagnolo e prendono il trenino per Torino sino a Porta Susa. Poi in un piccolo appartamento in corso Belgio iniziano la loro vita insieme. Vita che non sarà certamente facile nell’Italia della guerra e del dopoguerra, ma Gino e Salvina non sono persone da arrendersi. Così nel 1948 arriva Anna. Il padre in questi anni non sta fermo, cambia lavoro, si ingegna, passa dalla Snia Viscosa, alla profondità delle miniere nelle cave di marna, tra il capoluogo e Gabiano, e poi ancora muratore, portiere, da vero eclettico, come lo definisce con orgoglio la figlia, e poi ancora ‘carbonaio motorizzato’ sino a diventare conduttore di impianti termici sino ad ideare un brevetto per filtrare l’aria destinata al carburatore che proporrà come pezzo di ricambio alle officine meccaniche piemontesi, ottenendo un importante riconoscimento dalla concessionaria Lamborghini. E per qualche anno il ‘Filtro Rota’ verrà prodotto e venduto in centinaia di esemplari. E poi ancora ci saranno la pensione ed il ritorno a Zoalengo. E quanto a genialità e capacità di crescita anche la figlia Anna ha fatto la sua strada riuscendo ad aprirsi una strada nel mondo dell’impresa, certamente non facile anche nell’Italia del secondo dopo guerra. Ma questo aspetto merita sicuramente di ritornarci perché è un altro capitolo che merita di essere scritto.

Il libro, come scrive Giovanni Ponzetti nella presentazione “è un intreccio di curiosità, episodi e anedotti, che hanno rappresentato le vite vissute dei componenti della famiglia Rota fino a conferire identità di storia al racconto stesso”.

Massimo Iaretti

Al Museo del Risorgimento  l’anteprima del docufilm dedicato a Costantino Nigra

 

Trae spunto da “La rassegna di Novara”

Martedì 3 maggio, alle ore 17, si terrà al Museo Nazionale del Risorgimento, in piazza Carlo Alberto 8, l’anteprima del docufilm “La vittoriosa sconfitta” del regista Michele Burgay, prodotto dalla Fondazione Vittorio Bersezio.
L’introduzione è affidata allo storico Gianni Oliva, la voce narrante è del doppiatore Mario Brusa e protagonista del film sarà l’attore Enzo Brasolin. Oltre ai protagonisti del film interverranno Mario Napoli, presidente della Fondazione Bersezio, e Mauro Caliendo, presidente del Museo Nazionale del Risorgimento.
Il filmato è incentrato sulla figura di Costantino Nigra, personalità di spicco del Risorgimento italiano, e prende spunto da “La rassegna di Novara”, un carme da lui scritto in endecasillabi, all’indomani dell’Unità d’Italia.
“Ho sempre provato una forte simpatia per il re Carlo Alberto, il re dello Statuto e delle Libertà, e una affascinata ammirazione per il diplomatico e politico Costantino Nigra, che fu anche linguista, poeta e studioso dei canti popolari del Piemonte – commenta il Presidente della Fondazione Bersezio, l’avvocato Mario Napoli. Il lavoro di Mario Burgay costituisce la sintesi di due figure determinanti nel secolo di Vittorio Bersezio e la triste vicenda della battaglia di Novara, quale emerge nei commoventi versi del poeta, in cui riceve un doveroso riconoscimento di quel che rappresentò per il Risorgimento e la nascita dell’Italia unita”.
Nigra immagina che il re Carlo Alberto si alzi dalla sua tomba di Superga e vada nella piana di Novara, passando in rassegna i soldati caduti nella battaglia del 23 marzo 1849. Si trattò della prima battaglia combattuta con il Tricolore, imposto dal Re a tutti i reggimenti dell’esercito sardo piemontese.
Il canto riscosse notevole successo sia in Italia sia all’estero, riproposto in antologie e sussidiari, capace di trasmettere la capacità del poeta di consacrare una nuova Italia, ritrovando un orgoglio e una dignità che erano stati smarriti in secoli di dominazioni straniere.
“Sono molto contento – spiega il Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento Mauro Caliendo – di ospitare questa interessante rassegna dedicata a Costantino Nigra. Il museo è, infatti, partner della Fondazione Bersezio nella realizzazione di questo docufilm, capace di confermare la nostra volontà di raccontare tutti i personaggi, anche meno noti rispetto ai padri della patria, che hanno contribuito alla realizzazione dell’Italia attraverso le loro gesta. Si tratta di figure fondamentali dalla vita straordinaria, di cui è fondamentale mantenere viva la memoria”.
Questo docufilm rappresenta il primo episodio di un progetto artistico di più ampio respiro, che vuole narrare un’epoca in cui alcuni torinesi, santi o dannati, contribuirono comunque all’unificazione del regno d’Italia.
Seguirà un prossimo ciclo di proiezioni.

Mara Martellotta

Ingresso gratuito nella Sala Cinema, sino a esaurimento dei 65 posti disponibili.

Prenotazione obbligatoria allo 0115611726 oppure redazione@zipnews.it

Maddalena e Pellerina, i due parchi di Torino oltre le barriere

A CURA DI TORINO STORIA

Le grandi aree verdi fuori della cinta daziaria. Nella prima si ricordano i caduti delle Guerre Mondiali, sotto il Faro della Vittoria. La Pellerina nasconde le macerie dei bombardamenti del 1942-43

Due dei maggiori parchi di Torino, quello della Pellerina e quello della Maddalena, sono figli dell’espansione della città oltre la cinta daziaria, regolamentata dai piani regolatori del 1906 e del 1913. La crescita dell’area urbana e l’aumento progressivo degli abitanti (che avrebbe conosciuto il suo apice alcuni decenni dopo) imponeva la razionalizzazione degli spazi e la destinazione di alcune aree a verde pubblico.

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