STORIA- Pagina 71

Mazzini sempre attuale 150 anni dopo. Conferenza con il prof. Quaglieni

Martedì 20 settembre alle ore 17,30 nella sede della Città metropolitana  di Torino a Palazzo Cisterna (via Maria Vittoria 12), Luca Badini Confalonieri e Maria Luisa Alberico, in colloquio con il curatore ed
autore del saggio introduttivo, lo storico prof. Pier Franco Quaglieni,  presenteranno il libro di Giuseppe Mazzini “Doveri dell’uomo”, Edizioni
Pedrini. Introdurrà il giornalista Edoardo Massimo Fiammotto.

Il libro è corredato anche di un inedito di Renzo De Felice su  “Mazzini ed il socialismo”.  L’iniziativa del Centro “Pannunzio”, che ha  promosso questa nuova edizione nel 150° anniversario della morte di
Mazzini, rappresenta la scelta precisa di offrire l’occasione per una  riflessione sui doveri, che Mazzini vedeva come premessa indispensabile
per la realizzazione dei diritti. Questo messaggio appare quanto mai  attuale ai nostri giorni in cui i doveri sono quasi scomparsi ed i
diritti sembrano essere l’unica priorità.
Sarà l’occasione per ricorda Roma Capitale d’Italia e la breccia di Porta Pia del XX Settembre 1870 , insieme al protagonista della Repubblica romana del 1849 che ebbe in Mazzini il suo ispiratore .

La porta della città, duemila anni di storia di Palazzo Madama

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torinoinaugura, dal 21 settembre 2022, un nuovo allestimento nella Corte Medievale, curato da Palazzo Madama in collaborazione con la Fondazione Francesco Corni.

Una narrazione visiva, che accoglie il visitatore al suo ingresso in museo, per raccontare i duemila anni di storia di Palazzo Madama e di Torino, dall’età romana al Novecento. Ambientata in Corte Medievale, dove sopravvivono le tracce architettoniche di questa evoluzione millenaria, l’esposizione si definisce a partire da una trentina di tavole realizzate dal disegnatore modenese Francesco Corni. Si tratta di disegni che illustrano dettagliatamente i momenti salienti di crescita della città e seguono le vicende costruttive di Palazzo Madama.

Si parte dalla fondazione di Julia Augusta Taurinorum in epoca augustea, quando viene impostato l’impianto quadrangolare della città basato sulle due strade principali: il decumanus maximus e il cardus maximus, che ancora oggi la caratterizza. È allora che vengono edificate le quattro porte urbiche monumentali, tra cui la porta decumana su cui sorgerà il castello degli Acaia, che nel XVIII secolo si trasformerà in Palazzo Madama.

Il percorso segue l’evoluzione della città medievale, ancora racchiusa tra le mura romane, e della porta Phibellona che gradualmente sostituisce quella decumana. Con essa si trasforma il castello: nel Trecento Filippo d’Acaia addossa alle torri romane due torri quadrate e realizza il nuovo rivestimento in cotto della corte interna; nel secolo successivo Ludovico d’Acaia allarga la pianta dell’edifico aggiungendo altre due torri simmetriche a quelle romane. Il castello diviene una residenza principesca dotata di camere da letto, un salone per le feste, una grande cucina e un giardino.

Nel Cinquecento, Emanuele Filiberto di Savoia trasferisce la capitale del ducato sabaudo da Chambéry a Torino (1563) e avvia la fortificazione della città con la creazione della cittadella. I tre ampliamenti che si succedono completano lo sviluppo della città capitale, quasi triplicandone le dimensioni: con Carlo Emanuele I verso Porta Nuova (dal 1619), con Carlo Emanuele II verso il Po (dal 1673) e con Vittorio Amedeo II a ovest, verso la Porta Susina (dal 1703). Le tavole degli ampliamenti si alternano ai disegni di Palazzo Madama all’epoca delle due Madame Reali di Savoia, Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours. L’intervento di Cristina porta alla copertura della Corte Medievale e alla creazione di una grande sala al primo piano, oggi Sala del Senato. A Maria Giovanna Battista si devono i lavori di rinnovamento dell’appartamento del primo piano e la chiamata di Filippo Juvarra a realizzare lo scalone monumentale e la facciata, capolavoro dell’architettura barocca (1718 – 1721).

Segue l’espansione territoriale dagli anni Quaranta dell’Ottocento nella zona di Porta Nuova, nel quartiere di San Salvario e nella zona Vanchiglia, con la costruzione dell’edificio simbolo della Mole Antonelliana. Le sale di Palazzo Madama vedono il succedersi di uffici pubblici, abitazioni private e grandi eventi. Vi hanno sede la Regia Pinacoteca, il Senato del Regno, l’Osservatorio astronomico. Qui viene dichiarata l’Unità d’Italia. Dal 1864 l’intervento di restauro dell’architetto Alfredo D’Andrade riconduce il monumento verso il suo aspetto medievale.

Il percorso si chiude con il Novecento e con l’arrivo nel 1934 del Museo Civico d’Arte Antica nella nuova sede di Palazzo Madama.

I disegni di Francesco Corni a china nera si basano su una solida conoscenza delle fonti storiche, documentarie e visive relative ai soggetti raffigurati. Essi consentono al visitatore di apprezzare i più minuti dettagli e di farsi un’idea molto concreta di come la città e il palazzo apparivano in ogni periodo storico. I testi che li accompagnano in mostra forniscono informazioni sulla storia, sui suoi protagonisti, sulle tecniche costruttive, sulla vita quotidiana dell’epoca.

Scopo del progetto è quello di restituire alla sensibilità dei visitatori il ruolo essenziale di Palazzo Madama nel suo essere il cuore pulsante di Torino, la cui crescita e sviluppo è riflessa dall’evoluzione della città medesima. Un Palazzo Madama perno di un sistema di città corte che vede, in poche centinaia di metri, svilupparsi nei secoli quanto ora divenuto uno dei grandi percorsi museali europei: dalla Real Chiesa di San Lorenzo a Palazzo Chiablese, al Duomo, a Palazzo Reale con la Cappella della Sindone e le sue aree archeologiche, la Galleria Sabauda, l’Armeria Reale e la Biblioteca Reale. Ma anche le segreterie di Stato con la prefettura, l’Archivio di Stato e il Teatro Regio, la Cavallerizza Reale e il Museo del Cinema, l’Accademia Albertina e la Biblioteca Nazionale, Palazzo Carignano e l’Accademia delle Scienze con il Museo Egizio. Decine di chilometri di luoghi della e per la cultura, che trovano una chiave di interpretazione nelle immagini e nei testi della Corte Medievale di Palazzo Madama, nuovamente restituito alla sua funzione di porta d’accesso alla Torino capitale europea.

Dal 21 settembre 2022 al 9 gennaio 2023 saranno anche esposti nella Corte Medievale 6 disegni originali di Francesco Corni.

L’allestimento è accompagnato dalla nuova guida, edita da Ink Line Edizioni, che illustra la genesi e la storia dei singolari duemila anni dell’edificio.

INFO UTILI:

 

SEDE ESPOSITIVA E DATE                                 Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica,

piazza Castello, Torino

Dal 21 settembre 2022

ORARI                                                                   Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 – 18.00. Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura

BIGLIETTI                                                              Biglietto incluso in quello di ingresso al museo:

Intero € 10,00 | Ridotto € 8,00

                                                                               Gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card

INFORMAZIONI                                                   palazzomadama@fondazionetorinomusei.it   – t. 011 4433501

                                                                               www.palazzomadamatorino.it

PRENOTAZIONI                                                   011 5211788 o via mail a ftm@arteintorino.com

Prevendita: Ticketone.it

Monumenta Italiae, quattro incontri per il patrimonio

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19 settembre – 10 ottobre 2022 ore 18

 

Palazzo Madama – Sala Feste

Piazza Castello, Torino

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, dal 19 settembre al 10 ottobre 2022 alle ore 18, il ciclo di appuntamenti in museo Monumenta Italiae. Quattro incontri per un patrimonio.

 

L’iniziativa, a ingresso gratuito, organizzata in collaborazione con l’Associazione Amici della Biblioteca d’Arte dei Musei Civici di Torino – Fondazione Torino Musei, ha lo scopo di sensibilizzare la collettività sull’importanza e sul ruolo della Biblioteca d’Arte e dell’Archivio storico e fotografico dei Musei Civici di Torino. Le biblioteche e gli archivi sono una bussola per orientarsi nella complessità del nostro patrimonio culturale che non possiamo considerare per frammenti isolati. Senza le biblioteche, non solo i musei, ma tutta la nostra storia, fatta di oggetti, persone, luoghi, diventerebbe incomprensibile. Ne sono una prova tangibile i monumenti che popolano le nostre piazze e che raccontano momenti e personaggi della storia di una città, di una nazione, a cui prestiamo spesso scarsa attenzione, ma che nei rivolgimenti della storia o negli eventi della cronaca riprendono il loro valore simbolico e diventano a volte oggetto di contestazione e anche di distruzione. Solo gli strumenti della conoscenza, che ci offrono biblioteche e archivi, aiutandoci a comprendere e contestualizzare gli oggetti della storia, conservano la prospettiva del tempo.

Gli appuntamenti

 

19/09/2022 ore 18: L’archivio fotografico di Lorenzo Rovere ai Musei Civici Di Torino.  Casi di studio per la pittura piemontese tra Medioevo e Rinascimento, Savigliano, L’Artistica Editrice, 2022.

Con Simone Baiocco, Serena D’Italia, Jacopo Tanzi, autori del volume. Introduce: Gelsomina Spione, Dipartimento Studi Storici dell’Università di Torino. Modera: Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama

La Biblioteca d’Arte e l’Archivio storico e fotografico dei Musei Civici di Torino conservano un materiale ricchissimo: è la base di partenza per conoscere la storia del patrimonio della città e le personalità (direttori, donatori, appassionati, studiosi) che quel patrimonio hanno tutelato, studiato, accresciuto e messo a disposizione della comunità. Il volume, il secondo della collana dei Quaderni dell’Associazione Amici della Biblioteca, mette a fuoco la figura di Lorenzo Rovere direttore dei Musei Civici torinesi (Galleria d’Arte Moderna e Museo d’Arte Antica) tra il 1920 e il 1929. La sua figura schiva, di studioso che non amava apparire, è rimasta finora poco nota, anche se le sue ricerche sono state molto importanti. I suoi libri, i suoi appunti e le sue fotografie sono entrati a far parte del patrimonio pubblico e costituiscono il nucleo storico dell’Archivio e della Biblioteca d’Arte dei Musei Civici torinesi.

26/09/2022 ore 18: Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800, Venezia, Marsilio, 2022.

Con Paolo Possamai, autore del volume. Modera: Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama

Il volto urbano di una delle città tra le più affascinanti, atipiche e bizzarre, raccontato per la prima volta attraverso una narrazione mitologica e fotografie inedite realizzate da Fabrizio Giraldi e Manuela Schirra, per spiegare uno degli episodi urbani più significativi del neoclassicismo in Europa.

Che cosa racconta Trieste? La sua identità è rivendicata ogni dove sui palazzi dei mercanti e delle pubbliche istituzioni

3/10/2022 ore 18: Giù i monumenti? Una questione aperta, Torino, Einaudi, 2022.

Con Lisa Parola, autrice del volume.  Introduce: Gianluca Cuniberti, direttore del Dipartimento di Studi storici, professore ordinario di Storia antica, Università di Torino. Modera: Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama

Stalin, Roosevelt, Saddam: i monumenti crollano. Quando la storia cambia direzione, le statue tornano ad avere voce. Una voce talmente forte che spinge a cancellare ciò che nel presente è ritenuto troppo doloroso. Una scelta che fa discutere. Oggi più che mai abbiamo cambiato il modo di guardare ai monumenti. Non più solo ricordo del passato ma anche informazione preziosa sul presente.

10/10/2022 ore 18: Statue d’Italia. I. Storia della statuaria commemorativa pubblica dal Risorgimento alla Grande Guerra, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2022.
Con Renzo Villa e Giovanni Carlo Federico Villa, autori del volume

Il più grande museo italiano, diffuso su tutto il territorio nazionale. Un museo ai più ignoto, o indifferente; sovente trascurato, umiliato, trasferito; e però ancora conservato, restaurato, qualche volta ammirato. Un museo che, anno dopo anno, continua ad arricchirsi di nuove opere e di nuovi protagonisti. Siamo così abituati alla presenza dei monumenti che non li degniamo più di uno sguardo. È il destino dei monumenti commemorativi che caratterizzano, più di ogni altro, il nostro paese. Perché è l’Italia, con la sua esperienza monumentale, ad avere impostato un modello che poi tutto il mondo ha seguito.

Simone Baiocco, storico dell’arte e curatore, è conservatore per le arti dal XIV al XVI secolo a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica. È stato direttore del Palazzo dei Musei di Varallo e professore a contratto di Museologia nell’Università del Piemonte Orientale. I suoi ambiti di ricerca prediletti sono legati alla cultura figurativa dell’area piemontese del tardo Gotico e del Rinascimento, temi cui sono dedicate in massima parte le sue pubblicazioni.

Serena D’Italia, storica dell’arte, si è formata presso l’Università degli Studi di Torino. I suoi ambiti di studio principali sono la pittura piemontese e lombarda tra Quattro e Seicento e la storia del collezionismo.

Jacopo Tanzi, storico dell’arte, ha studiato a Milano, Torino e Padova e si occupa di pittura rinascimentale. Ha scritto del Maestro di San Martino Alfieri, di Gaudenzio Ferrari e di Giacomo Rossignolo. Su quest’ultimo pittore sta preparando uno studio storico-critico.

 

Gelsomina Spione, insegna Storia dell’Arte Moderna presso l’Università degli Studi Torino. I suoi ambiti di ricerca sono la cultura figurativa piemontese e ligure, tra Seicento e Settecento.

 

Giornalista e storico, Paolo Possamai per 33 anni ha realizzato il proprio percorso professionale nel gruppo Espresso e poi Gedi. Ha diretto i quotidiani veneti il mattino di Padova, la tribuna di Treviso, Corriere delle Alpi, la Nuova di Venezia e Mestre, In precedenza Il Piccolo, storico quotidiano di Trieste. Per oltre venti anni è stato una delle principali firme del settimanale economico di la Repubblica (Affari&Finanza) e ha collaborato con La Stampa. Prima degli incarichi da direttore, era stato inviato speciale dell’allora gruppo Espresso. Dopo l’uscita da Gedi, si dedica a consulenze strategiche nella comunicazione d’impresa. Collaboratore del canale tv Rai Storia e di Rai Radio 3 per il programma Prima Pagina. Tra i suoi libri ricordiamo Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli (Marsilio, 2022), Il Caffè Pedrocchi. La storia, le storie (Il Poligrafo, 2015), Caffè Pedrocchi (Skira, 2000), Guida ai luoghi e ai tesori del Santo (De Luca, 1995), Andrea Palladio e il Monte Santo di Vicenza (De Luca, 1994).

Lisa Parola, storica dell’arte. Ha curato progetti di arte pubblica, mostre, campagne fotografiche, workshop e conferenze promuovendo la relazione tra arte, territorio e cittadinanza. È socia fondatrice di a.titolo: un’organizzazione non profit attiva dal 1997 con lo scopo di indagare e sperimentare le potenzialità dell’arte contemporanea nell’ambito della sfera pubblica e sociale.  È stata tra i consulenti culturali per la candidatura di Matera Capitale della Cultura 2019. Negli anni ha inoltre collaborato con istituzioni quali la Fondazione Sardi per l’Arte, la Fondazione Merz e l’Università di Torino.

 

Renzo Villa, si è occupato di storia delle culture scientifiche (pionieristici i suoi studi su Lombroso e l’ideazione della mostra torinese La scienza e la colpa), di vicende mediche e psichiatriche (ultimo libro: Geel, la città dei matti), ma è anche autore di numerose pubblicazioni su aspetti di iconografia e cultura figurativa, oltre ad alcune biografie di artisti. Professore a riposo, è stato anche consulente editoriale e autore di diversi libri scolastici

Giovanni Carlo Federico Villa, Direttore di Palazzo Madama e professore presso le Università di Bergamo e di Udine, è stato componente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici e direttore onorario dei Musei Civici e Conservatoria Pubblici Monumenti di Vicenza. Ha curato numerosi progetti espositivi in Italia, tra cui quelli per le Scuderie del Quirinale di Roma, e all’estero. Autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche e monografie, numerose sono le sue presenze divulgative relative al patrimonio artistico nazionale sui principali canali radiotelevisivi italiani e stranieri.

 

 

 

Info: ingresso libero fino a esaurimento posti

Prenotazione facoltativa: t. 011 4429629 (da lunedì a venerdì, orario 9,30-13 e 14-16)

e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

La bella Ardizzina. Camilla Faá di Bruno

Dalle corti di Savoia e Gonzaga al monastero di Ferrara

Personaggio molto legato alle vicende storiche del Monferrato, Camilla (1599 Casale-1662 Ferrara) è entrata nei romanzi e novelle del XIX° secolo ma è tuttora presente nei programmi culturali. La sua vita è evocata nel dramma storico di Paolo Giacometti, la cui prima rappresentazione avvenne al Teatro Nuovo di Firenze il 29-10-1846. Francesco Guasco riportò nelle tavole genealogiche un estratto dalle memorie di Camilla pubblicate nel 1895 ad Alessandria da Giuseppe Giorcelli. A corte era chiamata la bella Ardizzina per il padre giureconsulto Ardicino II°, marito di Caterina del conte di Balzola e Coniolo Bonifacio Fassati. Camilla era prozia del marchese Ferdinando II° Faá, marito di Antonia Maria del marchese di San Giorgio Antonino Gozzani e di Porzia Gambera. Ferdinando Gonzaga, per subentrare alla successione dell’ estinto fratello duca Francesco II°, rinunciò nel 1615 alla porpora cardinalizia.
La cognata vedova duchessa Margherita di Savoia, viste le complicazioni della successione, fu costretta al rientro di Torino presso il padre Carlo Emanuele I°, lasciando alla corte di Mantova la piccola figliola Maria,
scatenando la guerra tra Savoia e Monferrato. La damigella Camilla, letterata e cantante che aveva seguito la duchessa Margherita da Mantova a Torino, fu richiamata a Mantova con altre dame dove abitarono al quartiere delle donne. Durante un ballo a corte, il duca si innamorò di lei e le fece proposta di matrimonio. Intuendo le prossime sventure, Camilla pregò il padre Ardicino di toglierla da corte anche perché era stata promessa ad un ricco signore, Ottavio Valenti, subito allontanato dal duca.
Dopo molti regali e tentativi falliti da parte di Ferdinando, Camilla si convinse ad unirsi in matrimonio a lui. La cerimonia avvenne nel 1616 in gran segreto nella cappella ducale di Mantova e la coppia fu benedetta dal vescovo e parroco di corte Carbonelli.
Unico testimone fu Alessandro Ferrari, aiutante di camera del duca, il quale consegnò a Camilla un documento scritto di proprio pugno da Ferdinando per confermare la legittimità dell’unione. A corte, dove lei utilizzava il sigillo dei Gonzaga ed aveva il titolo di serenissima, scoppiò subito lo scandalo. La vedova duchessa di Ferrara e Maria de Medici, regina di Francia moglie di Enrico IV° e sorella di Eleonora madre del duca, fecero pressione affinché l’abbandonasse e sposasse Caterina de Medici, nipote della regina. Camilla, al quinto mese di gravidanza, fu costretta dal marito a trasferirsi nel castello di Casale e dopo la morte del padre Ardicino le donò il marchesato di Mombaruzzo. Tuttavia cercò di rientrare a Bruno nel castello del fratello, ma dopo venti giorni fu costretta a ritornare a Casale dove nacque il figlio Giacinto Teodoro Gonzaga. Al battesimo, celebrato dal vescovo Pascale di Casale nella cappella del castello casalese, furono padrini il marchese Triulzio e la moglie contessa Barbara del conte Giacomo di Valperga, governatore della locale cittadella. Per ordine del papa Gregorio XV° il vescovo Pascale, con l’appoggio del segretario ducale Mariani, interrogò Camilla tentando di sottrarle l’atto di matrimonio. Visti i rifiuti di lei, falsificarono la deposizione che fu inviata a Roma. Ferdinando si recò subito a Firenze dove ebbe luogo il matrimonio celebrato il 7-2-1617 con Eleonora Caterina de Medici.
Il granduca Cosimo II° de Medici, fratello di Caterina, su pressione del legato pontificio cardinale Serra sollecitò Camilla ad entrare nel monastero del Corpus Domini di Ferrara, dove diventò suor Caterina Camilla il 22-5-1622. Il nuovo matrimonio del duca non fu però benedetto dal cielo, infatti Caterina gli fece scontare il tradimento fatto a Camilla e non ebbero figli. Ferdinando, preso dai rimorsi e maledetto da tutti, morì il 29-10-1626 a 39 anni, mentre la consorte Caterina morì nel 1629 a 35 anni. Il loro figlio Giacinto Gonzaga, riconosciuto a corte e marchese di San Salvatore, morì nel 1630 a soli 13 anni, si pensa di peste o addirittura avvelenato. Dopo 40 anni e ormai sessantatreenne, Camilla morì il 14-7-1662 e fu sepolta nella chiesa del monastero. Consigliata dalla badessa, scrisse le memorie della propria vita in un libretto di 16 pagine che è tra le prime autobiografie scritte di donne. Nonostante le dispense papali, rimase lei la duchessa e l’altra una concubina.
Armano Luigi Gozzano 

“J’Accuse”: dalla Maison Zola l’urlo cosmico per la difesa della libertà e dei diritti dell’uomo

Nel 1878 Émile Zola scrive a Flaubert che, grazie ai proventi derivanti dal successo letterario dell’“Assommoir” “ho comprato una casa, una “cabane a lapins”, tra Poissy e Triel, in un luogo carino al bordo della Senna. 9000 franchi, vi dico il prezzo perché voi non ne abbiate troppo rispetto. La letteratura ha pagato questo modesto asilo campestre”. Lo scrittore era alla ricerca di un posto tranquillo nel quale rifugiarsi e proseguire il ciclo dei “Rougon – Maquart”.

Proprio a Medan vedono, infatti, la luce molti romanzi che rappresentano la massima espressione del naturalismo francese, e ciascuno di questi suoi figli cartacei contribuisce alla costruzione, all’ampliamento, alla ristrutturazione e all’abbellimento del rifugio dello scrittore. In questo “locus amoenus” Zola crea quei personaggi immortali che diventano la personificazione di vizi, difetti e tare che, attraverso l’ereditarietà, si trasmettono alle generazioni successive, influenzandone l’esistenza e condannandoli spesso alla rovina. “Voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo d’esseri, si comporti in una società, sviluppandosi, per dare vita a dieci, a venti individui, che appaiono, al primo colpo d’occhio, profondamente dissimili, ma che l’analisi dimostra profondamente legati gli uni agli altri. L’ereditarietà ha le sue leggi, come la gravità” scrive Zola nell’introduzione della “Fortuna dei Rougon”, dando il via a una ricerca e a un’analisi che regaleranno alla letteratura le figure immortali dei “vinti” Gervaise, Lantier e Coupeau, Etienne e Catherine, Nanà, ma anche a Denise, un luminoso esempio di forza, tenacia e riscatto nel “Paradiso delle Signore”.
Dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel 1902, nel sonno, a causa delle esalazioni di un camino, la vedova Alexandrine vende, nel 1903, una parte dei mobili della casa di Medan e tre ettari di terreno e, successivamente, nel 1905, decide di donare la casa all’Assistenza Pubblica, esprimendo il desiderio che la dimora dello scrittore sia conservata, per quanto possibile, nel suo stato originario. Soltanto nel 1985, però, la Maison Zola, destinata prima a ospitare un asilo per bambini convalescenti e, successivamente, una scuola di formazione per infermieri, diventa finalmente un museo e viene aperta al pubblico per essere, tuttavia, poi richiusa nel 2011 e sottoposta a 10 anni di restauri e trasformazioni finalizzate a restituirle l’aspetto e il fascino dei tempi dello scrittore.
Una parte della proprietà ospita, oggi, l’esposizione permanente dedicata all’ “Affaire Dreyfus”, un percorso che, attraverso oggetti, testimonianze, documenti, narra quei fatti, ma soprattutto invita il visitatore a interrogarsi su temi che continuano ad essere di grande attualità perché le ingiustizie che colpirono il capitano Dreyfus si ripresentano anche nella nostra società attraverso l’intolleranza per lo straniero e il diverso, attraverso la chiusura di confini, attraverso la costruzione di muri, attraverso la presunzione di possedere una cultura, un credo superiori a quelli degli altri.
“Mon devoir est de parler, je ne veux pas être complice” scrive Émile Zola nella lettera aperta al Presidente della Repubblica francese François-Felix Faure, pubblicata il 13 gennaio 1898 sul giornale “L’Aurore” di Parigi, una delle denunce più forti e significative della storia del giornalismo, meglio conosciuta con il suo incipit “J’Accuse”, un grido di ribellione e di protesta contro il comportamento dell’esercito francese, reo di un complotto antisemita ai danni di Alfred Dreyfus, accusato di alto tradimento e spionaggio a favore della Germania e condannato ai lavori forzati nell’isola del Diavolo.
Il manifesto dello scrittore francese è l’incarnazione di una difesa chiara e netta di quei valori di cui la Rivoluzione francese si era fatta portatrice, violati dal complotto contro un innocente: la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, parole coraggiose che Zola paga con una condanna giudiziaria che lo costringe, per evitare il carcere, a rifugiarsi in Inghilterra, dove, tuttavia, continua a battersi per provare l’innocenza del capitano ebreo e svelare il complotto fino a ottenere che Dreyfus sia scagionato.
Appare, quindi, densa di significati profondi la decisione che proprio una parte della Maison d’ Émile Zola ospiti la sede del Musée Dreyfus, rafforzando così un legame tra due figure i cui destini furono intrecciati dalla storia e dalla vita, ma che non si incontrarono mai.
Nel suo intervento all’inaugurazione dell’esposizione il Presidente Macron ha affermato “Consacrer un musée à la vie d’Alfred Dreyfus, c’est réparer une injustice. Le faire dans la maison de Zola, qui prit tous les risques pour l’innocenter, c’est dire que la République ne tient que par les combats de femmes et d’hommes. Jamais un acquis, toujours à reconquérir”.
E “J’Accuse” continua a essere il manifesto di tutti coloro che, nelle diverse parti del mondo, sono impegnati nella lotta per abbattere le barriere, per realizzare una nuova rivoluzione in difesa della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità e della laicità.
“J’Accuse” continua a essere l’urlo che si leva dalla Francia contro le ingiustizie, la creazione di nuovi ghetti, il rifiuto della diversità, un grido che attraversa la storia, le generazioni e i confini, dando il via alla battaglia universale di chi non si arrende e non smette di credere nella possibilità del cambiamento.

Barbara Castellaro

Per visitare la Maison Zola – Musée Dreyfus:

“PhotoAnsa 75. C’era una svolta”

A Courmayeur, in mostra gli storici scatti Ansa per celebrare i 75 anni dell’Agenzia giornalistica

Fino al 1° novembre

Courmayeur (Aosta)

Dal 1945 ad oggi. Dalla magia del bianco e nero alla realtà a colori – non meno magica se interpretata con acume e professionalità – di scatti che parlano un linguaggio a noi più vicino nel tempo.

Dal pranzo sontuoso al Quirinale per i 150 anni dell’Unità d’Italia alla triste mensa per gli orfani di guerra ospiti nel ‘46 di “Casa Savoia”; dal tripudio composto e neorealista di “bellezze” al sole di Anzio aspiranti Miss Mondo ’56 alla solitudine hopperiana dei giovani in attesa del treno alla stazione di Milano – Rogoredo, con quel gioco straordinario di luci e colori che fa a pugni con la “freddezza statica” dei personaggi. Sono in tutto 12 grandi composizioni fotografiche, in arrivo dall’“Archivio Ansa” quelle raccolte negli spazi della “Chiesa Evangelica Valdese”di Courmayeur, messe in mostra (“PhotoAnsa 75. C’era una svolta”) a ricordare i 75 anni di attività della principale Agenzia di informazione italiana, e primo di una serie di progetti espositivi che l’“Associazione Forte di Bard” curerà nell’ambito dell’accordo di collaborazione sottoscritto con il Comune di Courmayeur.

L’Ansa (oggi la prima Agenzia di informazione multimediale in Italia e fra le prime nel mondo; 22 sedi in Italia e 50 di corrispondenza in 5 continenti) ha celebrato i suoi 75 anni di attività nel 2020 con un grande progetto espositivo che racconta – attraverso una scelta fra le più significative immagini del suo immenso archivio fotografico – la storia, la società, gli stili di vita e i costumi degli italiani dal 1945 (anno di fondazione a Roma per succedere alla disciolta “Agenzia Stefani”) ad oggi e pone in dialogo l’Italia di ieri e quella di oggi. Come eravamo e come siamo. Gli scatti presentati, fino al 1° novembre prossimo, a Courmayeur sono proprio connessi ad alcuni dei temi che maggiormente documentano i cambiamenti intercorsi in oltre settant’anni di storia del Paese: il lavoro, l’informazione e il modo di accedere alle notizie, l’aspetto delle città teatro delle maggiori trasformazioni della società, la cultura e lo spettacolo, i viaggi e le vacanze, i giovani di ieri e di oggi sino ad arrivare agli strumenti che hanno rivoluzionato le nostre vite. “Siamo felici – sottolinea l’assessore alla Cultura, Istruzione e Politiche Sociali del Comune di Courmayeur, Alessia di Addariodi questa prima tappa che si inserisce nella recente collaborazione siglata con il Forte di Bard. Questa mostra apre le porte ad un nuovo spazio espositivo che offriamo al territorio grazie ad un accordo con la ‘Tavola Valdese’ di Aosta. Tale spazio, oggetto di interventi di manutenzione e di nuovi allestimenti, rappresenta un luogo storico, in centro al paese, che ci permetterà di promuovere iniziative culturali di ampio respiro come testimonia questa prima interessante esposizione”.

“Esposizione– commenta da parte sua la presidente del Forte di Bard, Ornella Baderyche risponde alla comune volontà di realizzare iniziative volte ad incrementare la visibilità delle due realtà attraverso progetti culturali di ampio respiro.  Non solo mostre ma anche conferenze ed appuntamenti che saranno calendarizzati di volta in volta in base alle opportunità che si verranno a creare”.

Gianni Milani

“PhotoAnsa 75. C’era una svolta”

Chiesa Evangelica Valdese, piazza Petigax 1, Courmayeur (Aosta)

Fino al 1° novembre. A ingresso libero

Orari:dal lun. alla dom. 10/19

Nelle foto (Archivio Ansa):

–       Le aspiranti al Concorso per Miss Mondo in attesa delle selezioni, Anzio, 1956

–       Giovani in attesa del treno alla stazione di Rogoredo, Milano 2019

–       Pranzo di gala al Quirinale per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Roma, 2011

–       La mensa per gli orfani di guerra ospiti di “Casa Savoia”, Roma, 1946

Prévert e la pioggia senza sosta di Brest

A metà del settembre 1944 la città di Brest, uno dei più importanti porti francesi,  situata nel Finistère della Bretagna, veniva liberata dopo quattro anni di occupazione tedesca  e 43 giorni di assedio.

Il Terzo Reich, dal giugno del 1940, vi aveva installato una delle più importanti basi per i sommergibili della Kriegsmarine e per questa sua posizione strategica subì 165 bombardamenti aerei da parte degli Alleati  che provocarono quasi un migliaio di morti e centinaia di feriti gravi. La grande offensiva alleata nel settore occidentale del fronte di Normandia, denominata “operazione Cobra”, aveva come obiettivo la conquista dei porti e quello di Brest, principale base della marina francese prima della guerra, era il più a ovest e il più importante per garantire i rifornimenti alle truppe d’invasione. Una carneficina che ispirò anche una delle più importanti poesie di sempre. “Rappelle-toi Barbara. Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-là. Et tu marchais souriante. Épanouie ravie ruisselante. Sous la pluie (Ricordati Barbara. Pioveva senza sosta quel giorno su Brest. E tu camminavi sorridente. Serena rapita grondante. Sotto la pioggia)”. Barbara è tra le poesie più famose di Jacques Prévert. Nel 1946, terminata la guerra, non più giovanissimo ( era nato a Neuilly-sur-Seine il 4 febbraio del 1900, all’alba del secolo breve) pubblicò la raccolta di poesie Paroles dove  troviamo anche questo poema che figura tra i più belli di Prévert. Dopo il periodo surrealista, i testi delle canzoni, l’attività teatrale con il Gruppo d’Ottobre, le collaborazioni  cinematografiche con  Jean Renoir e Marcel Carné e nuovamente l’attività  teatrale, videro la luce queste poesie ( insieme ad altre, raccolte in Histoires) che, nell’edizione curata da René Bertelé per Le Point du Jour, ebbero un enorme successo. In perfetta sintonia con il clima culturale del tempo la silloge poetica rappresentò una novità assoluta e dirompente, mostrando una potenza evocativa intrisa da quell’ansia bruciante di andare oltre le pagine dei libri per entrare prepotentemente nella vita di tutti i giorni. Già dai primi versi Prévert delineò il luogo in cui l’opera era ambientata: la città di Brest, importante porto bretone nel dipartimento del Finistère. La città  era stata quasi completamente distrutta da un devastante bombardamento nell’estate del 1944. La pioggia di bombe l’aveva rasa al suolo a tal punto che solo qualche vecchia fortificazione medievale in pietra aveva miracolosamente resistito. Il padre di Prévert era bretone e proprio in Bretagna il piccolo Jacques aveva trascorso parte della sua infanzia portando con sé per tutta la vita l’impronta di quella terra battuta dai venti e impregnata dall’odore salmastro dell’oceano. Barbara, con il suo lungo testo vide il poeta esprimersi in prima persona, filtrando il ricordo di una ragazza, osservandone gli incontri , i gesti e i movimenti mentre felice correva incontro al suo uomo e lo abbracciava. Emozioni e sorrisi che si tradussero in versi diventati immagini indimenticabili e senza tempo, vere e proprie icone per intere generazioni, veloci e brevissime incursioni su un avvenimento tanto doloroso, dove l’intimità di una storia d’amore s’incuneava nella più grande storia francese. Così la quasi anonima Barbara venne trasformata da Prèvert da vittima in un potente simbolo, donandogli l’immortalità, contestando l’orrore della guerra che, ieri come oggi, uccide anche gli amori felici come quello di Barbara e dell’uomo che la chiamava al riparo di un portico mentre “pioveva senza tregua su Brest”.

 Marco Travaglini

 

Quaglieni a Roma: dialogo sui “Doveri dell’uomo” di Mazzini

AL TERMINE, CONCERTO DEDICATO A MAZZINI CON MUSICHE DI ROSSINI, BELLINI, DONIZETTI E VERDI

MERCOLEDI’ 21 SETTEMBRE ALLE ORE 18 NELLA SALA UNAR  A ROMA (VIA ULISSE
ALDOVRANDI, 16 E 16B), MICHELE CANONICA, PRESIDENTE DEL COMITATO DI ROMA
DELLA SOCIETA’ “DANTE ALIGHIERI”, PRESENTERA’, IN DIALOGO CON IL
CURATORE LO STORICO  PIER FRANCO QUAGLIENI, LA RIPUBBLICAZIONE

DEL LIBRO DI
GIUSEPPE MAZZINI “DOVERI DELL’UOMO”, EDIZIONI PEDRINI. INTERVERRANNO:
ENRICO MORBELLI, PRESIDENTE DELLA FAMIJA PIEMONTEISA DI ROMA; ON. GILBERTO PICHETTO
FRATIN, VICE MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO; UGO NESPOLO, AUTORE
DELLA COPERTINA DEL LIBRO; PIETRO NOCITA, PRESIDENTE SEZIONE DI ROMA AMI
– “LA TERZA ROMA”; MICHELE POLINI, COMPONENTE LA SEGRETERIA NAZIONALE
DEL PRI; EGLE PASQUALI, DELEGATO DELLA FONDAZIONE “GIUSEPPE GARIBALDI”.

AL TERMINE, CONCERTO DEDICATO A MAZZINI CON MUSICHE DI ROSSINI, BELLINI,
DONIZETTI E VERDI.

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA DA EFFETTUARE UNICAMENTE  TRAMITE SMS O
WHATSAPP AL N. 3495487626.

L’INIZIATIVA, PATROCINATA DAL CENTRO “PANNUNZIO”E DALL’UNAR PER
RICORDARE I 150 ANNI DALLA MORTE DEL GRANDE PATRIOTA,  RAPPRESENTA UNA
SCELTA PRECISA : OFFRIRE L’OCCASIONE PER UNA RIFLESSIONE SUI DOVERI  CHE
MAZZINI VEDEVA COME PREMESSA INDISPENSABILE PER LA REALIZZAZIONE DEI
DIRITTI, CHE APPARE MOLTO ATTUALE IN UN’EPCA COME QUELLA CHE STIAMO
VIVENDO IN CUI I DOVERI SONO QUASI SCOMPARSI ED I DIRITTI SEMBRANO
ESSERE L’UNICA PRIORITA’.

Elisabetta II e quel viaggio a Torino

Ieri, all’età di 96 anni, si è spenta nel castello di Balmoral la regina Elisabetta. Nel 1961 visitò Torino e lasciò in città un ricordo indelebile.

Dov’eri tu quando hai saputo che è mancata la Regina Elisabetta? Ieri, 8 Settembre, siamo incappati inconsapevolmente in un evento epocale. Di quelli che lasciano il segno e che si congelano nella nostra memoria. Come per John Lennon o per l’attacco alle torri gemelle, nei prossimi anni ricorderemo esattamente dov’eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo che Sua Maestà Elisabetta II è spirata nel suo castello di Balmoral.

Nessuno se lo sarebbe immaginato. Innanzitutto perché Elisabetta II ha incarnato la tenacia più di qualunque altro. Quando è stata investita del ruolo di regnante, a soli 25 anni, ha giurato fedeltà alla corona e ai suoi sudditi. Ha promesso che mai avrebbe lasciato quell’incarico e così ha fatto sino a due giorni fa quando ha dato udienza al nuovo Primo Ministro del Regno Unito, la Tory Liz Truss. In 70 anni di regno, il più lungo che la storia inglese possa ricordare, non è mai venuta meno al suo giuramento.

 La notizia ha iniziato a circolare sui social nel primo pomeriggio quando i canali ufficiali della sovrana hanno riferito la preoccupazione dei medici per le sue condizioni di salute. Su Twitter molti utenti hanno espresso sgomento. C’è stato chi ha ammesso di “non essere pronto” perché Elisabetta ci ricorda la nostra nonna, una mamma, una presenza dolcemente familiare.  E così c’è chi ha espresso angoscia e chi ha pregato che la notizia non fosse vera.

Invece intorno alle 19, la famiglia reale ha ufficializzato la notizia. “La Regina è morta in pace a Balmoral questo pomeriggio. Il re e la regina Consorte (Carlo e Camilla NdA) resteranno a Balmoral questa sera e domani faranno ritorno a Londra”. L’ipotesi si è fatta realtà, è ufficialmente è partita una serie di eventi chiamati London Bridge e Operazione Unicorno che sfoceranno nei funerali di stato.

Il ricordo del passaggio a Torino di Elisabetta II è ancora vivido nei torinesi.  Nel 1961, in occasione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, la Regina e suo marito, il Principe Filippo, fecero un tour della penisola. Visitarono Cagliari, Napoli, Roma, Firenze, Milano e conclusero il tour proprio nel capoluogo Piemontese.

Il 10 Maggio Elisabetta si affacciò al balcone di Palazzo Madama, sotto una folla letteralmente in delirio. Si recò anche in visita a Italia 61 e incontrò l’avvocato Gianni Agnelli. E proprio in merito a quest’ultimo si ricordava, in Fiat, un aneddoto avvolto da mistero.

Nel 1969 Peter Collison scelse Torino per girare “The Italian Job”, che da noi fu tradotto con “Colpo all’italiana”. Il film, un vero cult movie per gli inglesi che ancora visitano Torino per ripercorrere i luoghi dove furono girate le scene più spettacolari, vide le Mini Cooper protagoniste di avvincenti inseguimenti. Venuto a conoscenza del progetto, l’Avvocato offrì le Fiat 500 alla produzione, a titolo gratuito. Una mossa di marketing ben assestata che fu però ostacolata da una donna. La regina Elisabetta disse infatti al regista che un film inglese doveva avere per protagoniste vetture inglesi. Gianni Agnelli, da galantuomo, non solo cedette ma aprì le porte degli stabilimenti di Mirafiori e Lingotto per girare le scene, e fornì altre vetture da usare, sempre a titolo gratuito. Quello fu l’unico caso in cui vetture non Fiat ebbero il permesso di scorrazzare in stabilimento.  Insomma, nessuno, sembra aver mai resistito al fascino di una regina che dedicato una vita al suo paese, intrecciato relazioni e incarnato la figura della donna instancabile e sempre presente.

È già, forse per questo ora sto ricevendo messaggi di amici dispiaciuti per la sua morte. Elisabetta per noi non era una figura politica. Piuttosto è entrata nell’immaginario comune come la nonna che ti rimprovera quando non ti comporti bene. Ricordiamo tutti quando diede una gomitata al nipote William per dirgli di tirarsi su mentre si affacciavano al balcone di Buckingham Palace.  Ma era anche la nonna accogliente e pronta ad essere tua complice. Harry la coinvolse nello spot per pubblicizzare i suoi Invictus, evento sportivo dedicato ai veterani di guerra che han riportato disabilità permanenti. Nel video scherzavano e si spalleggiavano con occhiate birichine per lanciare una sfida ai coniugi Obama.

Non entro nel merito del ruolo pubblico e del personaggio storico. Quest’analisi la lasceremo alle settimane a venire.  Non essendo suoi sudditi, a noi resta l’immagine iconica della donna sempre sorridente, instancabile, rassicurante. Vestita con colori sgargianti non rinunciava mai alla borsetta che, con messaggi in codice, usava anche per comunicare con i suoi valletti. Stringeva mani, elargiva sorrisi e riceveva mazzi di fiori. Senza mai sottrarsi. Aveva l’umiltà di ricordare come su questa terra siamo ospiti, creature di passaggio.

Avevo una cara zia che le assomigliava come una goccia d’acqua. Glielo ripetevamo continuamente: “Zia Titina, sei identica alla Regina Elisabetta”. E la somiglianza non si limitava all’aspetto. Mia zia condivideva la stessa tempra di quelle donne che il tempo non riesce a scalfire e che solo la morte può fermare.

Lori Barozzino

90 anni di bollicine, una mostra a Palazzo Mazzetti

Decenni di fatica e di lavoro paziente tra le vigne di intere generazioni di contadini, di famiglie e di casati. Solo l’anno scorso oltre cento milioni di bottiglie sono state vendute in tutto il mondo.

Sono i numeri di un grande vino piemontese, l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti, una lunga storia iniziata nel dopoguerra con due milioni di bottiglie. Oggi sono oltre 10.000 gli ettari di vigneti diffusi tra Monferrato e Langa e disseminati in una cinquantina di comuni nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo. È un gran bel compleanno per l’Asti Spumante e il Moscato festeggiato con la mostra “90 anni di bollicine” allestita a Palazzo Mazzetti, ad Asti. La rassegna fa rivivere i primi 90 anni di storia dei produttori dell’Asti uniti sotto il simbolo del Consorzio attraverso una piacevole e interessante esposizione di immagini pubblicitarie. Una galleria di manifesti che presenta la crescita e la trasformazione dello storico spumante italiano alla vigilia del suo 90esimo anniversario, il prossimo dicembre. In vetrina le campagne di comunicazione che hanno fatto conoscere in tutti i continenti l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti. Dalle prime pubblicità ai poster di artisti come Armando Testa e Leonetto Cappiello, dai Caroselli televisivi degli anni ’50, in bianco e nero, agli spot degli anni 2000, rimasti saldamente nella nostra memoria anche per la presenza di grandi divi del cinema e star di Hollywood. Il Consorzio di tutela è nato ad Asti nel 1932 ed è tra i più antichi d’Italia. Si ammirano manifesti pubblicitari che partono dall’inizio del Novecento, pubblicità televisiva e fotografie, una storia quasi centenaria narrata per tappe lungo un percorso curato da Pier Ottavio Daniele, con la collaborazione di Giancarlo Ferraris, Andrea Triberti, Massimo Branda, Luca Percivalle, Zeta Solution, Designstudio25. C’è il manifesto “Moscato Spumante” disegnato da Saccaggi per Gancia alla fine dell’Ottocento, il primo in Italia nel settore del vino, un Bacco bambino in sella a un asinello di Rodolfo Paoletti del 1920 e locandine che spaziano dai primi del ‘900 fino agli anni Sessanta con le grandi aziende spumantiere, da Bosca a Cora, da Cinzano a Riccadonna, da Contratto a Martini&Rossi. Una sezione della mostra presenta inoltre gli spot raccolti in un video con i “Carosello” anni Sessanta, con Paolo Ferrari e Scilla Gabel che brindano Asti Spumante oppure gli spot più recenti con George Clooney e Naomi Campbell. Non mancano, nell’ultima parte della mostra, le ricette a base di Asti e Moscato scritte da Alessandro Borghese e dagli chef piemontesi. La mostra “Novant’anni di bollicine” è aperta a Palazzo Mazzetti (Asti) fino al 16 ottobre, da martedì a domenica, 10-18, ingresso gratuito.
 Filippo Re
Foto gallery da La voce di Asti.it