STORIA- Pagina 70

Caccia ai Tesori arancioni del Touring Club

domenica 2 ottobre torna anche quest’anno la Caccia ai Tesori Arancioni del Touring Club Italiano.

100 i Comuni certificati con la Bandiera Arancione coinvolti per la più grande caccia al tesoro in contemporanea mai vista in Italia che invita a scoprire le piccole eccellenze dell’entroterra attraverso dei percorsi unici che si snodano nel cuore dei borghi e accompagnano i partecipanti – indizio dopo indizio – sulle tracce di storie, persone, monumenti e piccole curiosità custodite nei luoghi meno noti del nostro Paese.

In Piemonte, in particolare a Cannero Riviera (VB) la caccia al tesoro porta alla scoperta della storia e delle curiosità legate allo storico Corpo Filarmonico Cannerese. Tra le attività collaterali, previsti anche piccoli eventi e laboratori musicali per adulti e bambini. A Revello (CN) l’iniziativa si legherà ad attività dedicate ai fiori, ai frutti, alle verdure tipiche e ai funghi commestibili, con spiegazioni sulla flora autoctona. A Cherasco (CN) verrà allestito il Mercatino dell’antiquariato ed è prevista una passeggiata sul Sentiero del Bacio, un anello di 4 km per scoprire tutte le bellezze del luogo. A Castagnole delle Lanze (AT), invece, la caccia al tesoro comprenderà un percorso tra i filari con pranzo al sacco e degustazione di grappa e torta di nocciole, prodotti tipici della regione. A Usseglio, in provincia di Torino, la caccia è dedicata ai lavori di ieri e di oggi e sarà realizzata in concomitanza della Festa della transumanza e della patata di montagna.

“Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’‘800 tra miti e simboli”

Presentato nella Sala delle Feste di “Palazzo Madama”, il nuovo volume del giornalista e storico Paolo Possamai

Ai piedi dell’altopiano carsico, Trieste è la capitale mitteleuropea per eccellenza, magico punto d’incontro fra la cultura italiana, quella slava e quella tedesca. E’ la città di Svevo, di Saba e dell’irlandese Joyce (che qui visse per sedici anni e qui scrisse e pubblicò tutte le sue opere giovanili), città della Barcolana, “città della bora”, città “inventata” da Maria Teresa d’Austria che a metà Settecento volle farne il porto dell’Impero e città dai celeberrimi Caffè storici, primo fra tutti il “Caffè degli Specchi” (dove esordì come direttore d’orchestra Franz Lehar), nel suggestivo salotto della piazza Unità d’Italia, affacciata al Golfo con vista sul Castello di Miramare e incastonata in un anfiteatro di mirabili architetture, storia e atmosfere ancorate ai fasti dell’Impero Asburgico. Una storia, quella della “piccola Vienna sul mare” tutta legata ai traffici e ai commerci marittimi con l’Oriente. “Una storia rivendicata ogni dove, sui palazzi dei mercanti e delle pubbliche istituzioni, ma anche sui teatri e sugli alberghi con le facciate ricoperte da bassorilievi, i tetti abitati da centinaia e centinaia di statue, i portoni istoriati, i soffitti affrescati sempre con dèi e miti che richiamano all’identità laica, civile, imprenditoriale della città. Una fitta trama di simboli, metafore, allegorie, dalla mitologia con Mercurio (divinità del guadagno e del commercio e..dei ladri), Nettuno (dio dei mari e delle correnti), Ulisse, Giasone e Venere, fino al taglio dell’istmo di Suez”. A parlare è Paolo Possamai, giornalista e scrittore vicentino (una lunga importante carriera giornalistica e di scrittura storica alle spalle), ed oggi direttore di “Nordest Economia”, che nei giorni scorsi è stato ospitato in “Palazzo Madama” a Torino per la presentazione del suo ultimo libro, dedicato per l’appunto a Trieste (e al disvelamento di questa città tanto bella quanto “bizzarra”) dal titolo intrigante di “Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’ ‘800 tra miti e simboli”, Marsilio Editore. L’appuntamento fa parte del ciclo “Monumenta Italiae. Quattro incontri per un patrimonio”, in collaborazione con l’“Associazione Amici della Biblioteca d’Arte dei Musei Civici di Torino – Fondazione Torino Musei”. Dalle pagine di Possamai emerge il volto urbano di una delle città tra le più affascinanti ed atipiche, raccontato per la prima volta attraverso una narrazione mitologica e fotografie inedite realizzate da Fabrizio Giraldi e Manuela Schirra, per spiegare uno degli episodi urbani più significativi del neoclassicismo in Europa. La prefazione è a cura dello storico dell’arte, Giuseppe Pavanello.

Dopo l’incontro con Paolo Possamai, i prossimi appuntamenti di “Monumenta Italiae”, in “Palazzo Madama”, si terranno lunedì 3 ottobre (ore 18) con Lisa Parola, storica dell’arte, autrice di “Giù i monumenti? Una questione aperta” edito da “Einaudi” e lunedì 10 ottobre (ore 18) con Renzo Villa e Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di “Palazzo Madama” e docente presso le Università di Bergamo e Udine, autori di “Statue d’Italia. I. Storia della statuaria commemorativa pubblica dal Risorgimento alla Grande Guerra”, per “Silvana Editoriale”.

g.m.

Nelle foto:

–       Paolo Possamai

–       Cover libro

Giornata nazionale dei locali storici: Torino e Piemonte protagonisti

GIORNATA NAZIONALE DEI LOCALI STORICI D’ITALIA: SABATO 1° OTTOBRE PIEMONTE PROTAGONISTA CON 18 EVENTI DEDICATI.

PORTE APERTE NEI LUOGHI CULT DELLA RISTORAZIONE E OSPITALITÀ MADE IN ITALY

Laboratori che hanno scritto l’eccellenza del gusto e piccoli gioielli della pasticceria, arredamenti che fermano il tempo e luoghi che hanno ospitato i protagonisti della storia del nostro Paese. Sono i Locali storici d’Italia, alberghi, ristoranti, pasticcerie, confetterie e caffè simbolo della ristorazione e dell’ospitalità made in Italy che, sabato 1° ottobre, apriranno le loro porte per svelare aneddoti, ricette e frequentazioni illustri a visitatori e curiosi. Organizzata dall’Associazione Locali storici d’Italia, la Giornata Nazionale è un evento diffuso in tutto il territorio italiano che, per l’edizione 2022, incorona Torino “capitale della memorabilità”, protagonista del calendario con ben 13 (su 90) iniziative in programma, a cui si affiancano i 5 eventi previsti nel resto della Regione.

Durante la giornata, nel capoluogo sarà infatti possibile scoprire i segreti di statisti e ministri del Risorgimento che frequentarono il Caffè Del Cambio, specchiarsi all’Albergo Ristorante San Giors come un commerciante del passato o sedere al Caffè Plattidove leggeva Luigi Einaudi. Non mancano le pillole per gli amanti della letteratura, che potranno rivivere le suggestioni de “Il Cimitero di Praga” di Umberto Eco tra le pareti del Caffè Al Bicerin, o fare un salto fuori provincia per esplorare una delle soste preferite di Fenoglio, il Bar pasticceria Converso di Bra (CN), o pranzare al Ristorante Corona di San Sebastiano Curone (AL) sulle tracce di D’Annunzio. E se, di nuovo a Torino, il Caffè pasticceria Baratti & Milano risuona al ricordo di Mascagni, l’Antico ristorante Porto di Savona annovera tra i clienti del jet-set Luis Sepulveda, Nanni Moretti e Raoul Bova. Tra i paladini del palato, la Pasticceria Pfatisch, che per l’occasione proporrà una degustazione delle sue creme spalmabili, l’inventore dei tramezzini, il Caffè Mulassano, il Caffè Elena con vermouth di Giuseppe Carpano, la Gelateria Pepino 1884 con i gelati Pinguino e la Confetteria pasticceria Stratta con i suoi gianduiotti. Deviazione in provincia, invece, per fare una sosta nel regno dei “nocciolini”, il Caffè pasticceria Bonfante di Chivasso, e a San Giorgio Canavese per assaggiare i “biscotti della Duchessa” della Pasticceria Roletti 1896. Spazio al gusto anche con le altre degustazioni in Regione, con le proposte dolcissime della Pasticceria Barberis di Valenza (AL), le paste di meliga e Monregalesi al rhum del Bar caffè pasticceria Grigolon(Mondovì – CN) e le bruschette gourmet del Caffè delle Rose Bistrot di Verbania (VB).

I 200 Locali storici d’Italia sono tutelati e valorizzati da oltre 45 anni dall’omonima Associazione, devono avere almeno 70 anni di storia e devono conservare ambienti e arredi originali (o comunque che testimonino le origini del locale), ma anche presentare cimeli, ricordi e documentazione storica sugli avvenimenti e sulle frequentazioni illustri. La Giornata Nazionale dei Locali Storici d’Italia è organizzata grazie al sostegno dalle aziende storiche e socie sostenitrici Birra Forst, Lavazza, Acqua Minerale San Benedetto e Select.

Il programma dell’evento (in continuo aggiornamento) con i dettagli sulle singole iniziative è pubblicato su www.localistorici.it; per le prenotazioni è necessario rivolgersi ai singoli locali aderenti.

Elenco dei locali aderenti alle iniziative in Piemonte, aggiornato al 22 settembre 2022:

Torino: Albergo Ristorante San Giors; Caffè Al Bicerin;Pasticceria Pfatisch; Pasticceria Stratta; Gelati Pepino 1884;Caffè Elena; Caffè Mulassano; Ristorante Del Cambio; Antico Ristorante Porto di Savona; Caffè Pasticceria Baratti & Milano; Caffè Platti; Caffè Pasticceria Bonfante (Chivasso); Pasticceria Roletti 1896 (San Giorgio Canavese).

Cuneo: Caffè Pasticceria Converso; Bar Pasticceria Grigolon(Mondovì).

Alessandria: Ristorante Corona (San Sebastiano Curone);Pasticceria Barberis (Valenza).

Verbano-Cusio-Ossola: Caffè delle Rose Bistrot (Verbania).

La Cappella della Sindone tra storia e restauro

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Presentazione degli atti del convegno internazionale di studi sul restauro del capolavoro barocco

 

 

Venerdì 23 settembre alle ore 17, nel Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale è stato presentato il volume La Cappella della Sindone. Tra storia e restauro, che raccoglie il patrimonio di conoscenze emerse nel corso del restauro della Cappella progettata da Guarino Guarini, a seguito del disastroso incendio del 1997.

 

19 autori e 284 pagine con illustrazioni restituiscono gli studi e le attività che, per oltre vent’anni, hanno visto impegnati i migliori esperti di diverse discipline. Questo traguardo è stato accompagnato nel 2018 dal convegno internazionale Un capolavoro dell’architettura barocca. La Cappella della Sindone a Torino tra storia e restauro, che ha portato nuovi elementi per la comprensione dell’edificio e messo in luce le sue peculiarità, anche in relazione agli indirizzi e alle metodologie del restauro. Gli atti del convegno sono ora uno strumento indispensabile per conoscere e approfondire gli studi condotti e i risultati scientifici conseguiti durante un intervento unico nel suo genere, premiato da Europa Nostra nel 2019 con lo European Heritage Award per la categoria Conservazione.

 

Il volume, curato da Marina Feroggio, realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, raccoglie questo patrimonio di conoscenze e affronta un’ampia rosa di temi: la storia del Sacro Lino e del monumento progettato per custodirlo; i simboli e gli usi della Cappella nel contesto dei cerimoniali di Corte; i momenti drammatici dell’emergenza post-incendio attraverso le voci dei protagonisti; gli studi e le sperimentazioni che hanno condotto agli interventi di riabilitazione strutturale e di restauro architettonico per una comprensione del tutto inedita della rinascita del mirabile monumento barocco. Dal 2018 la Cappella della Sindone è entrata a far parte del percorso di visita dei Musei Reali ed è tornata a essere, per la città e il mondo intero, un grande simbolo di arte e storia.

 

Alla presentazione del volume sono intervenuti Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali; Laura Fornara, responsabile Missione Custodire la bellezza, Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di San Paolo; Marina Feroggio, funzionario architetto dei Musei Reali; Michela di Macco, già docente dell’Università di Roma La Sapienza; Paolo Cornaglia, docente del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino; Gennaro Miccio, già Segretario regionale del Ministero della Cultura per il Piemonte.

 

Gli autori del volume sono Lisa Accurti, Daniela Biancolini, Paolo Cozzo, Giuseppe Dardanello, Maria Beatrice Failla, Marina Feroggio, Giuseppe Forlani, Maurizio Gomez Serito, Roberto Gottardo, Andrea Longhi, Pasquale Bruno Malara, Andrea Merlotti, Maurizio Momo, Gennaro Napoli, Paolo Napoli, Luisa Papotti, John Beldon Scott, Gian Maria Zaccone, Thomas Wilke.

Il volume, pubblicato da Sagep Editori Srl, potrà essere acquistato nel Museum Shop dei Musei Reali.

Ferruccio Maruffi, la memoria di Mauthausen

Nell’ottobre del 2015 moriva Ferruccio Maruffi, amico di Primo Levi e memoria storica della deportazione nei lager nazisti.  

Ferruccio aveva 91 anni ed era stato il testimone gentile e fermo del “grande orrore” della deportazione nei lager. Conservava come reliquia non solo i personali e dolorosi ricordi di quella tragica esperienza, marcata indelebilmente come i numeri sulla pelle, ma anche un ricordo del caro amico Primo Levi: la sua “divisa” da deportato nel lager di Auschwitz. Era presidente onorario della Casa della Resistenza di Fondotoce, testimone instancabile del dovere di fare memoria per impedire che l’oblio allontanasse ricordi e dolore, facendo dimenticare a chi è venuto dopo cos’è stato il sistema concentrazionario nazista. Raffaele Maruffi era nato il 4 marzo 1924 a Grugliasco (To). Appartenente a una famiglia medio-borghese di orientamento antifascista, disegnatore meccanico, entrò nella Resistenza nelle formazioni Garibaldi attive in valle di Lanzo con il nome di battaglia “Ferruccio”. Arrestato l’8 marzo del ’44 nel corso di un rastrellamento a Bracchiello, una frazione di Ceres, venne imprigionato prima a Lanzo e poi a Torino , alle carceri Nuove. Trasferito a Bergamo , fu deportato a Mauthausen. Nel lager nazista austriaco, a poca distanza dalla città di Linz, venne classificato come Schutzhäftlinge (prigioniero per motivi di sicurezza) e ricevette il numero di matricola 58973. Di professione si dichiarò disegnatore tecnico. Imprigionato nei sottocampi di Gusen I (dove lavorò alla costruzione di Gusen II), Schwechat e Floridsdorf ( un distretto di Vienna), venne trasferito nuovamente a Mauthausen e , infine, a Gusen II. Dopo la liberazione del campo da parte delle truppe americane il 5 maggio 1945, rientrò in Italia un mese dopo. All’arrivo a casa apprese della morte del padre Giuseppe, partigiano garibaldino trucidato dai nazi-fascisti il 20 dicembre 1944 nel cuneese, a Robilante. Costretto per anni a curare le malattie contratte durante la deportazione, nel dopoguerra partecipò alla fondazione dell’Aned (l’Associazione Nazionale Ex Deportati) e intraprese un’intensa opera di testimonianza che prosegui per tutta la vita, come presidente dell’Aned di Torino. E’ a lui che si deve l’impulso alle iniziative rivolte agli studenti e all’organizzazione di viaggi nei luoghi della deportazione, dei quali ha scritto in molte occasioni e soprattutto nei volumi Laggiù dove l’offesa. Rivisitando i luoghi della memoria e Fermo posta Paradiso (Lettere nell’aldilà). Quest’ultimo libro comprende una lettera a ciascuno dei settantasette amici morti nei vari campi nazisti, quaranta lettere scritte ai compagni sopravvissuti ai lager e morti dopo il ritorno in Italia e le testimonianze delle vedove di coloro che furono portati in Germania con la forza e non tornarono più. Con voto unanime il Consiglio comunale di Torino, nell’ottobre 2005, conferì a Ferruccio Maruffi, il Sigillo Civico. L’onorificenza, che in passato era stata assegnata anche a Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone , gli venne consegnata nella Sala Rossa di Palazzo Civico per il “suo impegno sociale e la passione civile antifascista”. Ma l’attestato più importante, per Ferruccio, era quello che gli veniva riservato dagli studenti, dalle ragazze e dai ragazzi che accompagnava nelle visite ai lager e che da lui e dai suoi racconti ricevettero idealmente il testimone della memoria.

Marco Travaglini

Un castello da fiaba e la sua regina

Il castello sembra uscito da una favola che ha per protagonista una regina che amava le montagne, l’alpinismo, i ghiacciai di una volta, gli animali, la natura del Monte Rosa.

Il Castel Savoia a Gressoney è il castello che la Regina Margherita di Savoia, moglie di Re Umberto I, volle fortemente, ad ogni costo, per trascorrere i mesi estivi, godersi splendidi panorami e la bellezza della vallata del Monte Rosa fino al ghiacciaio del Lyskamm. Il maniero ha il fascino dei castelli della Loira anche se più che un castello è una villa di inizio Novecento, un palazzo protetto da cinque torri neogotiche che gli danno un aspetto da fortezza. Ecco perché ogni volta che poteva la regina lasciava Villa Reale a Monza e le altre residenze per trasferirsi in mezzo ai boschi di Gressoney. Un po’ come l’imperatrice Sissi che dopo ogni litigio con Cecco Beppe, fuggiva lontano dai suoi doveri di consorte dell’imperatore e si rifugiava a casa dei suoi genitori in aperta campagna. Ma la regina Margherita non era triste e inquieta come Sissi, tutt’altro. E così una parte dell’estate e dell’autunno la trascorreva tra le montagne della Valle d’Aosta. Fino al 1925, prima ospite del barone Luigi Beck Peccoz e dal 1904 nella sua nuova residenza, ultimata appunto in quell’anno. La regina era un’appassionata alpinista, interesse che condivideva con il suo amico Beck Peccoz nella cui villa la sovrana soggiornò alcuni anni. Furono anni di vere imprese alpinistiche per la regina, prima donna a scalare il Monte Rosa e a lei è dedicato il rifugio Capanna Regina Margherita, la baita più alta d’Europa. La sua passione per le alte vette si fermò nel 1894 con la morte improvvisa del barone Luigi Beck Peccoz stroncato da un infarto mentre scalava una montagna insieme alla regina. Margherita di Savoia era profondamente legata a Gressoney e la vista delle meravigliose montagne le ricordava i momenti felici trascorsi in compagnia del suo amico barone. Momenti solo felici o anche intimi? D’altronde suo marito Umberto, nonché cugino di primo grado, era legato a un’altra donna, molto bella e ammirata, quindi anche le voci sulle presunte relazioni della sovrana circolavano nei salotti aristocratici e si faceva, tra gli altri, anche il nome del barone valdostano Beck Peccoz. “Umberto accettò il matrimonio senza entusiasmo, ci informa lo storico dei Savoia Gianni Oliva, come un dovere che fa parte del suo mestiere di futuro re. Uniti in pubblico per recitare la parte degli eredi prima e dei sovrani poi ma in privato seguono ognuno la propria strada in un rapporto di reciproca indifferenza ma privo di rancori”. Molti furono gli omaggi tributati alla prima e più amata regina d’Italia, dalla celebre Ode “Alla regina d’Italia” che Carducci le dedicò, proprio lui fieramente repubblicano e anti-monarchico, alla più modesta ma sempre ottima pizza Margherita. La costruzione del palazzo cominciò nel 1899 per concludersi nel 1904. Alla cerimonia della posa della prima pietra del castello c’era Umberto I che, assassinato a Monza l’anno successivo, nel 1900, non fece in tempo a vederlo ultimato. La regina rimase vedova a 49 anni e trascorse i soggiorni estivi a Gressoney fino al 1925, senza Umberto. Lei, figlia di Ferdinando di Savoia, duca di Genova, morì l’anno successivo, il 4 gennaio 1926, a Bordighera, nella sua villa sulla strada romana. Curiosità, nello stesso anno a Londra nasceva la futura Regina Elisabetta II. A Bordighera Margherita era già stata altre volte: il primo soggiorno avvenne nel settembre 1879 quando, turbata dall’attentato contro Umberto avvenuto a Napoli, si rifugiò nella città del ponente ligure per riprendersi dallo spavento. Negli anni Trenta il castello fu venduto a un industriale milanese e dal 1981 è proprietà della Regione Autonoma Valle d’Aosta. L’edificio è strutturato su tre piani, gli arredi esposti sono tutti autentici come le tappezzerie in lino e seta che ornano le pareti. L’interno è un omaggio alla sovrana: decori, boiseries, addobbi, fotografie e ritratti di famiglia ricordano il gusto della regina. La splendida veranda semicircolare si affaccia sulla valle e un elegante scalone in legno decorato con grifoni e aquile porta agli appartamenti reali. Il Castel Savoia a Gressoney-Saint-Jean è aperto con visite guidate da aprile a settembre orario 9.00-19.00 tutti i giorni, da ottobre a marzo orario 10.00-13.00 e 14.00-17.00, chiuso lunedì.
Filippo Re
Nelle foto  Castel Savoia,  ritratto della Regina Margherita, la regina in montagna, il letto della regina al castello

Un nuovo sguardo su Palazzo Madama: la storia di Torino inizia qui

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Attraverso i preziosi disegni a china di Francesco Corni

Uno sguardo e un percorso storici, una visione che abbraccia i duemila anni di storia di Palazzo Madama, da quel baluardo difensivo che fu la porta Decumana – poi Phibellona – sino al Novecento. Un allestimento proposto nella Corte Medioevale, al piano terreno, dove ai lati l’occhio con facilità individua i lati e gli angoli delle due torri, dove sotto l’ampio pavimento trasparente si contano scale, il pozzo, stanze, muri di delimitazione, passaggi, ogni cosa avvalorata da un sapiente gioco di luci, per scoprire al meglio le differenti parti. Dove ogni passaggio storico – dall’ampliarsi della città romana, la Julia Augusta Taurinorum, di età augustea, un’area di 670 x 760 metri, attorno al “decumanus maximus” (l’attuale via Garibaldi) e al “cardus maximus” (via Porta Palatina e via San Tommaso), a quella medioevale, agli interventi di Filippo (il nuovo rivestimento in cotto della corte interna) e Ludovico d’Acaia (che aggiunge altre due torri simmetriche a quelle romane); di Emanuele Filiberto di Savoia che, trasferendo la capitale del ducato da Chambéry a Torino, interviene con la creazione della cittadella, di Carlo Emanuele I, Carlo Emanuele II e Vittorio Amedeo II che, in poco meno di un secolo, dal 1619 al 1703, ampliano la città rispettivamente verso Porta Nuova, verso il Po e in direzione di Porta Susina;

di Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, le due Madame Reali, con i loro “abbellimenti”, la prima con la copertura della corte per la creazione della sala superiore, oggi Sala del Senato (qui dal 13 ottobre verrà ospitata la mostra su Margherita di Savoia), la seconda con l’affidamento a Filippo Juvarra della facciata e dello scalone monumentale, capolavori della Torino e dell’arte barocca (1718 – 1721) – è splendidamente documentato dai disegni (in esposizioni sino al 9 gennaio 2023) di Francesco Corni, modenese di origine e spentosi a Stambino due anni fa, a china nera su carta da lucido, dove trovano spazio, con prevalenza, la conoscenza delle fonti storiche, documentarie e visive del castello e non soltanto, ma altresì, a scopo didattico, le suggestive intuizioni, le supposizioni, le scommesse nate attraverso gli studi quotidiani (da ricordare almeno la sua lunga collaborazione a “Bell’Italia” e a “Bell’Europa”) che sempre accompagnano ogni intervento moderno intorno al mondo dell’architettura antica e dell’archeologia.

 

“Scopo del progetto”, ha illustrato nei giorni scorsi Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama, “è quello di restituire alla sensibilità dei visitatori il ruolo essenziale di Palazzo Madama nel suo essere il cuore di Torino, la cui crescita e sviluppo è riflessa nell’evoluzione della città medesima.” I disegni di Corni racchiusi nelle teche, i nove pannelli che con una descrizione essenziale passano da un’epoca all’altra, da un mutamento della struttura ad un altro, il prezioso intervento, già ricordavamo, di illuminazione che impreziosisce e arricchisce l’intero ambiente, fanno una guida intelligente per lo sguardo di chi, cittadino o turista, vorrà visitarlo: arricchito da una bella pubblicazione, “Palazzo Madama. La porta di Torino”, edita da Ink Line, che giunge sino al periodo napoleonico e alla prima capitale d’Italia, all’Osservatorio Astronomico poi smantellato e al Senato subalpino, ricca di illustrazioni, di approfondimenti, dell’intero lavoro di Corni a testimonianza dei tanti cambiamenti.

 

Con una visione più sabauda che nazionale, per l’antica abitudine a non liberarsi del salvabile e dell’ancora utilizzabile, alla lodevolissima insegna del risparmio, una volta terminata la mostra estiva su Pompei e l’allestimento intorno alla Veronica del Vaticano di Ugo da Carpi, si utilizzano di questo le teche mentre di quella si alzano lungo tutta la parete a destra di chi entra gli alti supporti a sorreggere oggi i pannelli posti ad illustrare, in italiano e in inglese, i vari passaggi storici e architettonici. Confessa ancora Villa di essersi trovato in questi ultimi mesi dinanzi a persone che conoscevano perfettamente le collezioni ospitate all’interno di Palazzo Madama ma “che erano all’oscuro della storia racchiusa tra queste mura. Ecco il perché della decisione di una mostra che ne ricordasse le tappe e gli sviluppi.” Contrariamente a quanto è accaduto sino ad oggi, la corte sarà l’autentica entrata al Palazzo, primo sguardo verso l’intero percorso di visita e necessaria del biglietto d’ingresso. “La casa dei secoli è il Palazzo Madama – scriveva Guido Gozzano, all’inizio del secolo scorso, in “L’altare del passato”,- nessun edificio racchiude tanta somma di tempo, di storia, di poesia nella sua decrepitudine varia”: perché il punto centrale della città è questo, è qui, è l’origine di una storia che non è ancora superata.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Perottino, l’allestimento; Francesco Corni, “La Porta Decumana di Augusta Taurinorum”, inchiostro di china su carta da lucido, 26×25 cm, Strambino 1997; Francesco Corni, “Palazzo Madama all’epoca di Giovanna Battista di Nemours”, inchiostro di china su carta da lucido, 35×30 cm, Strambino 1997; Francesco Corni, “Palazzo Madama dopo il 1865 prima del restauro di D’Andrade”, inchiostro di china su carta da lucido, 35×30 cm, Strambino 1994.

Il castello di Moncucco Torinese si rifà il trucco

Ci vuole almeno un milione di euro per rilanciare lo storico castello di Moncucco Torinese in cui visse l’ultimo cavaliere templare d’Italia.

Bisogna restaurare l’ala sud-ovest del maniero che non fu interessata dalla prima ristrutturazione decisa dall’ex sindaco Gianpaolo Fassino che utilizzò i fondi delle Olimpiadi invernali del 2006. Con gli ultimi restauri nel 2007 erano state recuperate le parti più degradate dell’edificio. Ora il progetto del Comune, retto dal sindaco Daniele Bargetto, prevede di realizzare al primo piano una decina di stanze a tema, una foresteria nei piani più alti, un ristorante, una caffetteria, un parcheggio e un ascensore per i disabili. Il maniero, risalente a nove secoli fa, è già tuttora sede di diversi eventi, mostre, spettacoli teatrali e di danza. Il primo documento sull’esistenza del castello è rintracciabile in un diploma imperiale del 1164 in cui l’imperatore Federico I Barbarossa confermava al marchese di Monferrato Guglielmo V, suo alleato, diverse proprietà che già possedeva. Nel territorio che circonda l’attuale comune svettavano tre castelli. Oggi resta solo quello di Moncucco mentre gli altri due, Pogliano e Vergnano furono distrutti nel Medioevo e nell’Ottocento. Di proprietà inizialmente degli Avvocati del vescovo di Torino, il maniero venne annesso ai possedimenti del Marchesato del Monferrato all’inizio del Trecento e nel 1631 passò ai Savoia con la pace di Cherasco. Successivamente appartenne ai Grisella di Rosignano, agli Scarampi di Monale, ai Solaro di Govone e ai Melano di Portula. Tra le antiche mura del castello di Moncucco nacquero nel Duecento due cavalieri templari: i fratelli Jacopo e Nicolao. Il secondo fu arrestato e condannato nell’isola di Cipro mentre Jacopo, nato nel castello dei Grisella, è stato l’ultimo Gran Maestro d’Italia dell’Ordine dei Templari, una delle più importanti associazioni monastico-cavalleresche del Medioevo. Si sa poco della sua vita e le poche notizie sul personaggio sono tratte dagli interrogatori dei Templari processati in Italia e a Cipro. Fu condannato in contumacia per non essersi presentato al processo ai templari nello Stato Pontificio. Nel castello di Moncucco, acquistato a metà Ottocento dal Comune, si trova il Museo del Gesso in cui sono illustrate le fasi di lavorazione e l’utilizzo del gesso nell’architettura agricola del Basso Monferrato fra XVI e XIX secolo e la sua evoluzione in Italia e in Europa. Per informazioni sull’apertura del museo bisogna rivolgersi al Comune di Moncucco.
Filippo Re

Carlo Magno e Carlo VIII tra le colline di Vezzolano

Carlo Magno e gli scheletri danzanti, Carlo VIII e la bagna càuda. Tutto ciò avveniva attorno e dentro l’Abbazia di Vezzolano, nel basso Monferrato astigiano, tra boschi, prati e vigneti.

Si tratta in gran parte di leggende, alcune delle quali sono interamente inventate mentre altri racconti riportano fatti veri o quasi. Per esempio, che ci faceva Carlo Magno sulle colline di Vezzolano dodici secoli fa? Nulla, perché non c’è mai stato ma la sua è comunque una leggenda suggestiva. La costruzione della chiesa romanica di Santa Maria di Vezzolano, canonica dell’Ordine di Sant’Agostino, che noi chiamiamo solitamente Abbazia, viene attribuita al re dei Franchi. Mentre cacciava nei boschi di Vezzolano insieme ad altri due cavalieri Carlo Magno fu colto da una terribile e orrenda visione: la danza di tre scheletri umani usciti all’improvviso da una tomba. Quale macabra apparizione! Il cavallo si spaventa, Carlo, colpito da un attacco epilettico cade a terra, la paura è grande. Un monaco assiste alla scena e invita il sovrano a chiedere aiuto alla Madonna per potersi riprendere dallo sgomento. Per ringraziare la Vergine, Carlo Magno ordina di innalzare una chiesa abbaziale proprio in quel luogo. Nel chiostro dell’abbazia c’è l’antico affresco trecentesco “del Contrasto dei tre vivi e dei tre morti” che sembra rievocare l’episodio leggendario di Carlo Magno. In realtà quando la chiesa canonica di Santa Maria di Vezzolano fu costruita intorno all’anno Mille (l’atto di fondazione risale al 1095), il sovrano era già morto da quasi tre secoli. Ma la leggenda, inventata nel Settecento, si è diffusa velocemente e viene ricordata ancora oggi. L’Abbazia di Vezzolano è stata vista anche da altri personaggi storici. Federico I Barbarossa, che nell’area tra Chieri e Asti distrusse città e paesi, prese la chiesa e il territorio circostante sotto la sua protezione. Lo Svevo fu infatti uno dei più importanti protettori dell’Abbazia ed è probabile che alcune opere interne siano state eseguite su incarico dello stesso imperatore. Come dimostra un’iscrizione sul pontile con il nome di Federico Imperatore il legame tra i canonici di Vezzolano e il Barbarossa furono sempre stretti e profondi. Sopra l’altare compare invece un trittico in terracotta con la Vergine in trono tra Carlo VIII, inginocchiato a sinistra, e, sul lato destro del dipinto, Sant’Agostino in abito da vescovo. Carlo VIII, re di Francia discese in Italia nel 1494-95 e si fermò per alcune settimane in Piemonte, ospite dei Solaro di Moncucco. È probabile, secondo le cronache del tempo, che non solo sia entrato nell’Abbazia ma, seduto nel refettorio insieme ai frati di Santa Maria, abbia mangiato perfino la bagna càuda preparata apposta per lui dai canonici. I documenti dell’epoca riportano la notizia che il sovrano, indebolito e affaticato, fu curato dai frati con le tradizionali erbe e con la bagna càuda senza aglio ma con il peperoncino piccante. Il Re guarì. A questo punto, una visita all’Abbazia, tra misteri e personaggi inquietanti, è più che consigliata. Orario di apertura: da giovedì a domenica ore 10.00 -18.00 (fino al 31 ottobre), ingresso gratuito, celebrazione della Messa domenica ore 17.00
Filippo Re
nelle foto  Chiesa canonica di Vezzolano, Contrasto dei tre vivi e dei tre morti, Trittico con Carlo VIII sopra l’altare