STORIA- Pagina 67

Quelli che inventarono la tv privata. L’avventura leggendaria di Antennatre

45 ANNI: 3/11/1977 – 3/11/2022

La storia della mitica emittente lombarda fondata da Renzo Villa ed Enzo Tortora si intreccia con  il Piemonte: dalle origini di Tele Biella a Grp che ripeteva a Torino il segnale di Antennatre, agli spot del mobilificio Aiazzone che cambiarono il mondo della pubblicità. E il conduttore della “Bustarella”, Ettore Andenna, è ormai da tempo cittadino piemontese

di Cristiano Bussola

Era il 1977, nella prospera Lombardia, terra di fabbriche e mobilifici. L’uomo che fece l’impresa si chiamava Renzo Villa. Da sempre appassionato di recitazione e cabaret, impegnato nell’Acli e nelle compagnie teatrali della sua Varese si licenziò da dipendente comunale per dare vita al proprio sogno. Un visionario tanto “folle” quanto lucido.

Villa, che in cuor suo coltivava il desiderio di fare teatro e presentare spettacoli  in pubblico fu affascinato dagli albori dell’emittenza privata. Nel 1974,  dopo aver letto delle peripezie di Peppo Sacchi, altro  “visionario”, lui biellese, che sfidò il monopolio Rai creando la tv libera via cavo Tele Biella (prima tv privata italiana in assoluto) venne qui in Piemonte a conoscere quel temerario che osava mettersi contro la tv di Stato.
E fu così che incontrò Enzo Tortora, già celebre presentatore, allora in rotta con la Rai, che  si fece paladino della libertà d’antenna. Villa a quel tempo non era nessuno, ma la sua personalità e il  suo entusiasmo convinsero Tortora a sostenerlo nel progetto che nacque di lì a poco: una nuova stazione televisiva via etere, Tam – Tele Alto Milanese, di Busto Arsizio, nel 1975, una delle prime TV con trasmissioni a colori.
Quando Tam venne chiusa dopo pochi mesi, perché ritenuta illegittima (le trasmissioni erano concesse esclusivamente via cavo per le TV libere), il combattivo duo “Enzo & Renzo”, sconfisse il monopolio nel 1976 grazie a una sentenza storica che diede il via libera all’apertura di nuove televisioni seppure solo a livello locale.
Una tappa epocale che aprì la strada alle emittenti private, che meriterebbe di essere sempre ricordata attribuendone a Villa e Tortora l’indiscutibile  paternità.
Renzo Villa con la figlia Roberta sulla copertina del disco “Caro papà”

È a questo punto che nel 1977,  Renzo Villa ed Enzo Tortora, ancora una volta insieme (il loro rapporto di amicizia fu intenso e Villa sostenne pubblicamente l’innocenza del presentatore fin dal giorno dell’arresto di Tortora per il noto e vergognoso errore giudiziario) dopo l’esperienza di TeleAltoMilanese pensarono in grande e fondarono Antennatre Lombardia. A loro supporto una grande iniziativa di azionariato popolare che raccolse 50 mila quote da diecimila lire ciascuna.

La nuova televisione trovò sede a Legnano, con  studi e attrezzature all’avanguardia per l’epoca. Le avveniristiche telecamere Ampex costavano cento milioni di lire e fecero la prima apparizione i radiomicrofoni, quelli senza filo.
Lo studio Uno di Antennatre: ospitava 1200 spettatori

 

Il glorioso  studio 1, noi ci siamo entrati, oggi purtroppo in stato di abbandono,  suscita ancora emozione pensando a quando – allora il più grande d’Europa – era gremito da 1200 persone che, tutte le sere, acclamavano i loro artisti e conduttori preferiti. Sembra ancora di vederli tutti lì, dove ora ci sono solo sedie vuote.
Stiamo parlando  di  Ric e Gian, Lucio Flauto, Walter Chiari, I Gufi, Gerry Bruno, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Rettore, Giorgio Faletti, Maurizio Costanzo, Zuzzurro e Gaspare, I Gatti di Vicolo Miracoli, Roberto Vecchioni, il regista Beppe Recchia.
E naturalmente il conduttore della Bustarella (in Rai presentava Giochi senza frontiere) Ettore Andenna, da anni piemontese acquisito, residente in Monferrato.
Senza scordarci dello stesso Renzo Villa che, coronando finalmente il suo sogno, oltre ad essere amministratore e direttore dell’emittente, si trasformava in conduttore ed interprete delle proprie canzoni (il brano “Caro papà”, autoprodotto, vendette oltre un milione di copie!) ogni martedì quando presentava  il “Bingooo”, tombolone a premi entrato nella storia della televisione.
Enzo Tortora, Lucio Flauto e Renzo Villa
Antennatre non era puro  intrattenimento. E’ rimasta negli annali televisivi la famosa asta in diretta dallo Studio Uno nel 1980, dopo il terremoto in Irpinia. La gente portava oggetti, quadri, abiti da mettere all’incanto. Villa e Tortora che condussero quella antesignana maratona televisiva raccolsero ben due miliardi di lire che permisero di costruire il “Villaggio Antennatre” per i terremotati di Sant’Angelo dei Lombardi.
Gerry Bruno
Con un accordo innovativo per quei tempi, l’emittente strinse un’intesa con il quotidiano “Il Giorno”, la cui redazione realizzava le edizioni del telegiornale.
La Bustarella con Ettore Andenna
Da citare anche le interviste di Enzo Tortora ai grandi della politica di allora, mentre un barbiere faceva loro pelo e contropelo in diretta, con tanto di schiuma e pennello.
Molti ricorderanno, inoltre, che a  metà anni 80 la tv privata piemontese Grp replicava a Torino e sul territorio “sabaudo” i programmi dell’antenna legnanese, compresi gli spot del mobilificio Aiazzone di Biella, che grazie ad Antennatre divenne un caso di marketing nazionale.

 

 

 

Per mantenere viva quella irripetibile avventura che fu fenomeno culturale, imprenditoriale e di costume, oggi è preziosissimo il lavoro di Wally Giambelli Villa, la moglie del fondatore,  che ha dato vita all’Associazione Amici di Renzo Villa. Siamo andati a trovarla a Legnano, in via per Busto 15, nella sede storica di Antennatre.

Da sinistra: Angelo Costanza, Wally Villa e Alessandro Di Milia
“Tra le nostre iniziative merita particolare attenzione il sito  https://viaperbusto15.it/Oltre all’interessantissimo docufilm di Marco Pugno “Via per Busto 15. La tv commerciale è nata qui” https://viaperbusto15.it/film/  il sito propone un’ampia selezione della immensa produzione di Antennatre: le sigle delle trasmissioni storiche, gli spot pubblicitari di allora, interviste, fotografie”, ci spiega Wally Villa. “Vogliamo poi mantenere viva quell’esperienza – conclude – promuovendo iniziative a favore dei giovani che vogliono cimentarsi nel mondo della tv e della comunicazione”.
Renzo Villa e Walter Chiari

 

Inoltre, una decina di anni fa, prima della sua scomparsa, Renzo Villa scrisse a quattro mani con la figlia Roberta il libro “Ti ricordi quella sera?”, ricco di aneddoti e splendide fotografie che testimoniano quell’appassionante stagione. L’associazione promuove anche una mostra itinerante dedicata alle origini e al percorso di Antennatre, ospitata già da diversi comuni e presso il Pirellone di Milano, sede del Consiglio regionale.

Se tutto fu straordinario, ancor più lo fu il ruolo della pubblicità. “Inventammo un nuovo modo di fare televisione commerciale – ci spiega il responsabile del marketing di allora, Angelo Costanza – Ric e Gian piuttosto che Andenna e tutti gli altri personaggi, improvvisavano battute, canzoni e sketch durante le trasmissioni citando lo sponsor che diventava così protagonista. Il boom fu immediato. Gli inserzionisti il giorno dopo la pubblicità vendevano immediatamente i loro prodotti. La “Bustarella” o il “Bingooo” fatturavano, e stiamo parlando della fine degli anni 70, 100 milioni di lire a puntata.”

Uno scaffale della nastroteca

Prosegue Costanza: “proponevamo spazi accessibili a tutte quelle piccole e medie aziende che non potevano permettersi la TV di Stato, e poi arrivarono anche aziende nazionali. Sono tanti gli aneddoti che potrei raccontare. Ad esempio i responsabili dell’azienda tedesca di elettrodomestici Braun, in visita agli studi di Antennatre mi dissero che avrebbero potuto tracciarmi una mappa precisa del territorio raggiunto dal segnale dell’emittente. Dissi: ma come è possibile? Semplice, mi risposero. Dove vendiamo il Minipimer (un frullatore, ndr) significa che Antennatre lì si vede, dove non lo vendiamo allora vuol dire che là, invece, il segnale non si riceve”.

Nella palazzina di via per Busto 15, che originariamente era una fabbrica metalmeccanica, incontriamo anche  l’unica persona che ancora vi lavora. E’ Alessandro Di Milia, amministratore del televideo della nuova Antennatre (che da anni si è trasferita a Milano ma nell’antica sede conserva ancora questa parte di attività). Di Milia è anche il “custode” del patrimonio di migliaia di videocassette conservate nella nastroteca dell’emittente, che poco per volta sta riversando in formato digitale. “Questa nastroteca – ci racconta- è probabilmente seconda solo a quella della Rai. Qui troviamo tutte le stagioni delle più note trasmissioni. Ci sono delle chicche come le parodie storiche del Quartetto Cetra. Una curiosità: le possiede anche la Rai, ma in bianco e nero. Le nostre sono a colori! Era un altro modo di fare televisione.

Ric & Gian

Poteva capitare che il conduttore facesse una introduzione di 20 minuti, impensabile per i tempi televisivi attuali.  Mentre duplico i video mi capita ancora di sorridere di gusto alle battute dei grandi protagonisti di quei programmi, segno che la comicità di allora era già molto moderna. Questa è storia. E per chi volesse ripercorrere le tappe dell’emittente, sul nostro televideo troverà una precisa cronologia dei personaggi e delle trasmissioni che hanno fatto epoca”.

Antennatre ebbe un successo strepitoso per un decennio. Rappresentò, senza dubbio, un fenomeno unico in Italia e non solo, come pure testimoniano le diverse tesi di laurea dedicate alla tv

Renzo Villa con il “Ciuffo”, mascotte del Bingooo creata da Maria Perego, l’ideatrice di Topo Gigio

 

 

 

lombarda. Poi, con l’avvento dei grandi network nazionali e con l’evoluzione dei gusti del pubblico, iniziò una lenta decadenza dell’emittente. Fino al fallimento del 1987, quando Villa si prodigò fino all’ultimo con fondi personali per ripianare il rosso e pagare i dipendenti.

La storia di Antennatre è  “solo”  la storia  della TV commerciale? No, è molto di più. E’ stata una avventura magnifica e leggendaria che va oltre il mezzo televisivo. Anche chi scrive appartiene a quella “generazione Antennatre”, cresciuta guardando trasmissioni e conduttori che parlavano linguaggi nuovi.  Le decine di migliaia di spettatori, molti dei quali piemontesi, ospitati negli anni sugli spalti dello Studio uno – così come i milioni e milioni succedutisi davanti al televisore – ricordano ancora con un sorriso e molta nostalgia quei giorni  belli e spensierati.

La potenza di una leggenda sta nella sua capacità di tramandarsi e di non morire mai. In particolare quando essa  solo leggenda non è ma trae origine da una storia realmente vissuta, anche se ormai conclusa e irripetibile. Una storia fatta di persone e di momenti che hanno lasciato traccia nella società e nel costume.

 

 

Quaglieni ricorda Prezzolini

A TORINO AL “CENTRO PANNUNZIO”APPUNTAMENTO LUNEDI 7 NOVEMBRE ALLE ORE 17,30

Presso la sede di Via Maria Vittoria 35h, Pier Franco QUAGLIENI (nella foto) parlerà, con l’ausilio di un filmato, di “GIUSEPPE PREZZOLINI, ANARCHICO CONSERVATORE”. Con Prezzolini (1882-1982) nasce la figura dell’intellettuale moderno, immerso nelle contraddizioni della società di cui è allo stesso tempo testimone e protagonista. Le avanguardie del primo Novecento, l’esperienza della “Voce”, la più importante rivista culturale del secolo, la Grande Guerra, la nascita del fascismo, la Seconda guerra mondiale, il dopoguerra: Prezzolini ha marcato la vita culturale e politica italiana sfuggendo sempre alla tentazione delle ideologie e del conformismo. Amico di Papini e Longanesi, ma anche di Amendola, Croce e Gentile, anarchico ma conservatore, ha fatto della libertà la sua religione e della sua vita un romanzo dove nulla è inventato.

Artigianato di trincea

Il salone comunale di Burolo ospiterà da venerdì 4 a domenica 6 novembre una mostra che affronta un argomento particolare, e in Italia poco conosciuto della Grande Guerra. Protagonista di ‘Soldati artigiani: la memoria della Grande Guerra nell’Artigianato di Trincea’ sarà l’esposizione di oggetti della collezione privata di Alida Caligaris e Stefano Viaggio.

‘Mio marito ed io – dice Alisa Caligaris- abbiamo sviluppato una passione per un aspetto della Prima Guerra Mondiale, quello degli oggetti fabbricati dai soldati nelle trincee, soprattutto sul Fronte Occidentale, che opponeva Francesi a Tedeschi. In questo settore c’è una maggiore sensibilità all’estero che non in Italia, dove tali oggetti sono più rari”.

La mostra verrà inaugurata venerdì 4 novembre, alle ore 21, con la proiezione di un video e sarà visitabile dalle 9.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 18.

 

Di seguito una interessane relazione di Alida Caligaris sull’argomento di cui si consiglia vivamente la lettura perché introduce su un universo che ai più e sconosciuto

 

Per Artigianato di Trincea (Artisanat de Tranchée / Trench Art Grabenkunst -Soldatenkunst a seconda delle lingue) si intende l’insieme degli oggetti, in metallo o altri materiali, fabbricati dai soldati nelle trincee di tutti i fronti della Grande Guerra, nelle retrovie, negli ospedali o nei

campi di prigionia : in realtà, per gli specialisti del settore tale definizione si estende anche ai prodotti “industriali” realizzati come souvenir nel dopoguerra e destinati a coloro che si recavano in pellegrinaggio

ai cimiteri e ai campi di battaglia, e ai manufatti realizzati dai soldati nei conflitti successivi del XX secolo.

 

Gli oggetti esposti in questa mostra provengono per la maggior parte dal Fronte Occidentale franco- tedesco, con alcune eccezioni, rappresentate da manufatti fabbricati su quello italo – austriaco, che sisviluppò nel Nord – Est del nostro Paese.

 

La Prima Guerra Mondiale è stata una “guerra di materiali ” e di artiglieria: proprio i metalli, in genere ottone, rame e alluminio ricavati dai bossoli dei proiettili di tutti i calibri, sono stati riutilizzati e “promossi” a materia d’arte da parte dei soldati, che erano in tutti gli eserciti in maggioranza contadini,

operai e artigiani: capaci dunque di trasformare la corona di forzamento di un obice in oggetti di usoquotidiano o anche in semplici gioielli (braccialetti, anelli e pendenti), utili a mantenere il legame con la

famiglia e ricordare ai destinatari la precarietà e la tragicità della condizione di chi li aveva fabbricati…. anzi, questi oggetti sono rimasti spesso, con qualche lettera, unico ricordo dei moltissimi combattenti

privi di una sepoltura identificata.

Testimonianze di questa diffusa attività dei soldati si trovano in molti scrittori: Silvio D’Amico (“Lavigilia di Caporetto”), Guillaume Apollinaire (“Calligrammi”), Henri Barbusse (“Il fuoco”), BlaiseCendrars (“La mano mozza”), Ernst Junger (“Nelle tempeste d’acciaio”), solo per citarne alcuni.

 

Moltissimi di questi oggetti all’inizio del conflitto furono realizzati per supplire alle carenze di unequipaggiamento insufficiente o alle difficoltà di un ambiente ostile: esempio classico, gli accendini, fabbricati dai soldati con i materiali più diversi (monete, medaglie commemorative, bulloni, casse di orologio da taschino ecc.) perchè i fiammiferi si inumidivano rapidamente in trincea e diventavano inutilizzabili.

 

Altri accendini sono in forma di libro, con iniziali o toponimi.

Tabacco e fumo hanno generato altre tipologie di oggetti: vasi portatabacco o tabacchiere,posacenere, portapipe .

 

Rimanda invece alla scrittura, ai legami con le famiglie e con tutto il mondo di “prima della guerra” la vastissima produzione dei tagliacarte, realizzati generalmente lavorando le corone di forzamento in rame

degli obici, con i bossoli dei fucili o le schegge di granata: i soldati cercavano anche di recuperare talicorone da proiettili inesplosi con conseguenze talvolta fatali…

 

Sulla lama dei tagliacarte compaiono iniziali, toponimi, nomi di donna, date o motivi floreali: sono gli stessi elementi che decorano le penne (alcune delle quali conservano ancora il mozzicone di matita o il

pennino originale).

 

Questi oggetti sono da taluni interpretati come una sorta di ex-voto, che ricorderebbe forse, con la menzione di un luogo preciso, uno scampato pericolo.

 

Se la lama del tagliacarte è a forma di scimitarra o vi compaiono la Mezzaluna e la Stella, il soldato –artigiano è probabilmente mussulmano.

I tagliacarte servivano per aprire le lettere, elemento fondamentale per il combattente in trincea, e ogni soldato esercitava la propria fantasia nel fabbricarne.

 

La scrittura e le lettere erano del resto il principale canale attraverso cui si mantenevano i legami con le

famiglie lontane, le fidanzate o gli amici o si alleviava la solitudine in trincea (importanti le relazioni epistolari con le “Madrine di guerra”, incoraggiate dgli Stati maggiori e talvolta conclusesi con un

matrimonio) : alla moglie rimasta a casa e impegnata nel lavoro dei campi si davano indicazioni sulla gestione del podere, sui debiti o crediti da pagare o riscuotere, sul prezzo della vendita dei cereali ecc.

 

Il soldato, che non poteva rivelare la sua posizione, cercava altresì di rassicurare la famiglia sullapropria buona salute … anche per non incorrere nella onnipresente censura…!

 

Rimandano alla scrittura fermacarte e calamai, anche di elaborata struttura.

I portaritratti e le scatole sono spesso fabbricati nei campi di prigionia e le ossa di animaliprovenienti dalle cucine si trasformano in oggetti finemente scolpiti: utile moneta di scambio per acquistare cibo, vino o tabacco.

 

I giornali dell’epoca menzionano esposizioni di tali manufatti: il settimanale “Pays de France”organizza nel 1915 a Parigi una mostra e avvia un sistema di ordinazione-fabbricazione-vendita,destinando il ricavato ai soldati-artigiani; nei numeri di aprile-maggio 1918, il giornale di trincea “L’Astico” indice un concorso a premi “Esposizione di lavori di trincea” e vi riserva uno spazio permanente presso la redazione.

 

Se il recupero dei materiali che giornalmente procuravano la morte (benchè formalmente proibito da tutti gli Stati maggiori) era un fatto normale, lo diventò anche la riproduzione in scala delle armi di distruzione di massa: cannoni (il “75” francese compare spesso su bossoli e accendini) aerei, carri

armati e sommergibili.

 

Diffusissima è la produzione di bossoli decorati con motivi floreali (ispirati all’Art Nouveau, glioggetti più comuni che molti di noi ricordano nelle case dei nonni) e animali, riconducibili ad una precisa simbologia e alle credenze popolari dell’epoca.

 

Tutt’altro che trascurabile è la produzione dei bastoni da passeggio: ogni ufficiale, anche quelli dielevato livello, ne aveva uno e il motivo più comune è il serpente chi si avvolge tutto intorno.

 

La produzione degli orologi da tavolo è da ricondursi alle retrovie e all’industria.

Più rari e fragili sono gli strumenti musicali, realizzati con vari materiali, conservati nei Museieuropei e nelle collezioni private.

 

L’abilità e la fantasia dei soldati ha dunque prodotto un’infinita varietà di oggetti, talvolta difficilmente ascrivibili ad una categoria precisa: scaldini, candelabri, posate, tazze, bicchieri, lampade, vuotatasche, portafortuna, sigilli, tessuti ricamati e oggetti riconducibili alla devozione, come

Crocifissi o piccole Croci.

 

Lo studio di questa particolare forma di arte popolare è stato avviato tardivamente in Italia: altri paesi ci hanno preceduto, ma il collezionismo è diffuso anche da noi e anche nei Musei italiani (soprattutto nel

Nord-Est, coinvolto direttamente nel conflitto) sono esposti questi manufatti. Lo scopo è la conservazione della memoria di avvenimenti e persone coinvolte in un conflitto le cui

conseguenze hanno segnato il nostro passato recente.

La vita straordinaria di Riccardo Gualino  

Imprenditore coraggioso e raffinato mecenate, elegante viveur dal fiuto per gli affari, Riccardo Gualino ha segnato il secolo scorso come pochi altri hanno saputo fare.

Nato sul finire dell’Ottocento da una ricca famiglia biellese, Gualino fu presto protagonista nel mondo delle imprese. Acquisì banche, in società con Giovanni Agnelli fondò la SNIA, diventò azionista di riferimento e vicepresidente della Fiat, lanciò i filati artificiali senza tralasciare gli interessi nella chimica e nel settore  alimentare. Nel 1928 venne inserito nella rosa dei cinque uomini più ricchi d’Europa. Conobbe successi e vertiginose ascese e, all’opposto,  rovinose cadute senza perdere mai lo spirito d’avventura o rinunciando alle sue idee visionarie. Un personaggio straordinariamente unico  al quale è stata dedicata da Giorgio Caponetti un’importante biografia pubblicata da Utet: “Il grande Gualino. Vita e avventure di un uomo del Novecento”. Gualino fu un visionario per l’epoca al punto da puntare sul cinema in tempi non sospetti  con la pionieristica Lux che, come si legge nella sua biografia , “nel dopoguerra produsse i film di Visconti e Lattuada avvalendosi anche dei giovani Carlo Ponti e Dino De Laurentiis”. La sua è una vita talmente piena da sembrare quasi inverosimile, tra incontri con personaggi celebri ( da D’Annunzio ai Kennedy, da Curzio Malaparte a Winston Churchill, Liz Taylor e Solomon Guggenheim) e l’amore per le arti che divideva con l’inseparabile moglie Cesarina Gurgo Salice. Fu proprietario del palazzo Lascaris, attuale sede del Consiglio regionale, della bellissima villa che porta il suo nome in collina a Torino e ha lasciato una fantastica raccolta di capolavori che costituisce la “collezione Gualino” alla Galleria Sabauda). La sua ultima dimora è al cimitero monumentale di Oropa, la “piccola Staglieno” delle Alpi)  dove riposa nella tomba di famiglia con la moglie.

Marco Travaglini

Le stanze chiuse del re. La Palazzina di Caccia di Stupinigi apre le porte dei suoi spazi segreti

5-6 novembre 2022  “Le stanze chiuse del re” è il nome della visita guidata straordinaria, in programma sabato 5 e domenica 6 novembre, all’appartamento di Ponente di Carlo Felice con le sue particolari decorazioni a tema marino. Opposto allo speculare appartamento di Levante, l’appartamento in attesa di restauro è l’insieme delle stanze appartenute al Re Carlo Felice e alla duchessa Cristina di Borbone.

Gli spazi vennero ampliati sotto la direzione di Benedetto Alfieri nel XVIII secolo per accogliere le stanze di Vittorio Emanuele, duca d’Aosta e figlio di re Vittorio Amedeo III. L’appartamento si apre all’ingresso con un atrio contraddistinto da due statue in marmo dei fratelli Collino rappresentanti rispettivamente Meleagro e Atalanta. Le due anticamere successive sono contraddistinte da una decorazione della seconda metà del XVIII secolo ascrivibili alla scuola del Cignaroli con scene di caccia e di vita agreste. Tutte le sovraporte degli ambienti raffiguranti Marine, datate 1755, sono riconducibili alla maniera di Francesco Antoniani. Nelle camere da letto i lampadari in vetro di Murano con bracci a cornucopie, risalgono alla fine del XVIII secolo così come i letti intagliati e laccati. I camini di tutto l’appartamento sono in marmo di Valdieri, il pavimento in seminato alla veneziana.

La visita rientra nel programma di Passepartout, le visite guidate straordinarie alla (ri)scoperta degli spazi segreti, normalmente chiusi al pubblico, della Palazzina di Caccia di Stupinigi. L’appartamento di Ponente, gli ambienti della servitù e la cupola juvarriana sono gli spazi della corte, in alcuni casi aperti per la prima volta ai visitatori, che raccontano la storia della Palazzina nelle sue diverse fasi abitative e il progetto architettonico alla base della sua costruzione.

 

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Le stanze chiuse del re – Visita all’appartamento di Ponente

Sabato 5 novembre, ore 10.30, 12, 14.30 e 16

Domenica 6 novembre, ore 10.30, 12, 14.30 e 16

Durata: un’ora circa.

Prossimi appuntamenti: 12 novembre

Costo del biglietto: 17 euro.

Per partecipare alle visite guidate è obbligatoria la prenotazione.

Prenotazione obbligatoria al numero: 011 6200633, dal martedì al venerdì 10-17,30, entro il venerdì precedente la visita.

www.ordinemauriziano.it

Un ciclo di conferenze su manoscritti miniati e biblioteche tra Medioevo e Rinascimento

MINIATURE RIVELATE

Palazzo Madama e le Biblioteche civiche torinesi propongono, dal 24 ottobre al 14 dicembre, un ciclo di conferenze gratuite, dedicate ad approfondire l’arte del libro tra Medioevo e Rinascimento attraverso le collezioni di arte antica del Museo Civico di Torino.

Una serie di incontri per approfondire i materiali e le tecniche di realizzazione dei manoscritti, per scoprire come erano organizzate le biblioteche e chi vi accedeva e per cogliere, infine, quel passaggio cruciale dal libro scritto a mano al libro stampato che oggi conosciamo e amiamo. L’iniziativa, legata al territorio, si svolge a Palazzo Madama e in tre biblioteche civiche della città: Villa Amoretti (Santa Rita), Cesare Pavese (Mirafiori Sud) e don Lorenzo Milani (Falchera).

Il ciclo di conferenze intende portare il museo fuori dalle sue mura per promuovere la conoscenza di un patrimonio significativo e sostanzialmente ignoto, non solo al pubblico di Palazzo Madama, ma anche ai cittadini torinesi che frequentano più abitualmente le biblioteche e che con l’oggetto “libro” hanno un rapporto privilegiato. Gli appuntamenti sono un invito a conoscere attraverso le collezioni del museo non solo il contenuto intellettuale di creatività, ma anche i materiali e le tecniche di realizzazione – a mano prima e a stampa poi – e ad approfondire il tema della diffusione della lettura nel mondo antico.

Le Biblioteche civiche, da sempre attente alla storia del libro attraverso specifiche attività di mediazione, proporranno nello stesso periodo laboratori per famiglie e scuole del territorio. Nel corso dell’iniziativa i partecipanti agli incontri riceveranno un voucher che permetterà loro di visitare gratuitamente Palazzo Madama e la mostra Margherita di Savoia, Regina d’Italia, allestita nella Sala del Senato dal 13 ottobre 2022 al 30 gennaio 2023. Per gli insegnanti gli incontri in biblioteca costituiscono occasione di formazione, per i quali è possibile richiedere certificato di partecipazione.

Il ciclo di incontri si concluderà poco prima delle festività natalizie, nella settimana tra il 12 e il 16 dicembre, con un appuntamento finale a cura dei lettori che selezioneranno il proprio libro “in salsa” medievale da presentare al gruppo attraverso brevi stralci di lettura ad alta voce. In questa occasione la comunità cittadina potrà usufruire di materiali di approfondimento creati in sinergia dalle biblioteche e dal museo con schede bibliografiche, consigli di lettura e focus sulle collezioni di Palazzo Madama.

L’iniziativa intende disseminare le conoscenze e i risultati del progetto “Miniature rivelate”, avviato nell’ottobre 2020 da Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica in partnership con l’Università di Torino e l’Università del Piemonte Orientale (Dipartimento di Studi Storici e Dipartimenti di Chimica), grazie a un cofinanziamento di Fondazione CRT e UNITO. La ricerca è nata dalla volontà di approfondire la conoscenza della collezione di manoscritti e miniature ritagliate del Museo Civico di Torino: un patrimonio costituito da 19 codici miniati, un fondo di 81 fogli e miniature ritagliate e una preziosa raccolta di 50 pergamene dal XIII al XVI secolo.

La prima fase del progetto si è svolta dall’ottobre 2020 alla primavera 2022. Durante questi mesi è stato condotto il censimento sistematico, con la campagna fotografica e la pre-catalogazione, che ha comportato anche la ricerca bibliografica e lo studio liturgico per individuare l’area di provenienza dei testi sacri.

La seconda fase, a partire dall’autunno 2022, prevede i restauri di due codici, le analisi scientifiche non invasive e l’analisi storico artistica; in calendario saranno programmate attività per il pubblico, laboratori didattici per le scuole e per gli adulti.

La terza fase si concluderà nell’autunno 2024 con una mostra dossier a Palazzo Madama, che presenterà al pubblico un percorso visivo attraverso l’esposizione di una selezione delle opere del museo.

Il programma 

 

NELLE BIBLIOTECHE

7 – 11 novembre 2022
Cos’è un codice miniato
Cos’è un codice miniato
Con Simonetta Castronovo, conservatore di Palazzo Madama

Quali sono le operazioni che portano alla realizzazione di un codice manoscritto nel Medioevo? Quali gli strumenti di lavoro dello scriba e del miniatore? Com’era organizzato uno scriptorium? Nel corso della conferenza scopriremo le operazioni necessarie a produrre un codice, dalla preparazione della pergamena alla rigatura, dalla scrittura ai pigmenti e alla decorazione con iniziali figurate e istoriate o intere scene a pittura, senza dimenticare la doratura e la legatura.

lunedì 7 novembre ore 17.30:  Biblioteca civica Cesare Pavese – via Candiolo 79

mercoledì 9 novembre ore 17.30:  Biblioteca civica Villa Amoretti – corso Orbassano 200

venerdì 11 novembre ore 10.30:  Biblioteca civica Don Milani – via dei Pioppi, 43

Le biblioteche medievali 

Con Simonetta Castronovo, conservatore di Palazzo Madama

Dove si trovavano e come erano organizzate internamente. Quale il loro contenuto. Chi poteva accedere, chi leggeva e studiava nel Medioevo. Biblioteche monastiche, ecclesiastiche, signorili; libri dei mercanti e Statuti dei Comuni.

lunedì 21 novembre ore 17.30 Biblioteca civica Cesare Pavese – via Candiolo 79

mercoledì 23 novembre ore 15.00 Biblioteca civica Don Lorenzo Milani – Via dei Pioppi, 43

mercoledì 23 novembre ore 17.30 Biblioteca civica Villa Amoretti – corso Orbassano 200

28 -30 novembre 2022 

La nascita del libro a stampa decorato da xilografie (XV secolo)

Con Alessia Marzo, Università degli Studi di Torino

Oltre a codici miniati, le collezioni del museo civico possiedono alcuni incunaboli, libri a stampa realizzati a partire dalla seconda metà del Quattrocento e illustrati da xilografie con scene sacre e margini decorativi che venivano dipinti per assomigliare quanto più possibile ai codici miniati in pergamena.

lunedì 28 novembre ore 17.30 Biblioteca civica Cesare Pavese – via Candiolo 79

mercoledì 30 novembre ore 15.00 Biblioteca civica Don Lorenzo Milani – Via dei Pioppi, 43

mercoledì 30 novembre ore 17.30 Biblioteca civica Villa Amoretti – corso Orbassano 200

12-14 dicembre 2022

Il mio Medioevo. Il nostro Medioevo

Incontro finale nelle biblioteche a cura dei lettori delle Biblioteche civiche

Il Medioevo fa da sfondo a diversi romanzi della letteratura occidentale: da Il nome della rosa di Umberto Eco, I pilastri della Terra di Ken Follett, Notre-Dame de Paris di Victor Hugo o il più recente La Cattedrale del mare di Ildefonso Falcones. Ogni partecipante potrà proporre al gruppo il proprio libro del cuore, selezionando e leggendo ad alta voce la pagina o i passaggi che maggiormente ha amato.

lunedì 12 dicembre ore 17.30 Biblioteca civica Cesare Pavese – via Candiolo 79

mercoledì 14 dicembre ore 15.00 Biblioteca civica Don Lorenzo Milani – Via dei Pioppi, 43

mercoledì 14 dicembre ore 17.30 Biblioteca civica Villa Amoretti – corso Orbassano 200

Ingresso libero fino a esaurimento posti

 

 

Il Barbarossa Re d’Italia nel Duomo di Torino?

Davvero Federico I Barbarossa è stato incoronato Re d’Italia nel Duomo di Torino e non in Lombardia?
Per molti storici l’imperatore ricevette la corona in terra lombarda nel 1155, a Pavia, forse a Monza o a Milano, ma non in Piemonte. Nella biografia di Federico I Hohenstaufen (A. Mondadori 1985) Franco Cardini scrive che l’imperatore cinse la corona regale d’Italia a Pavia nella basilica di San Michele Maggiore nell’aprile 1155 mentre l’Enciclopedia Treccani parla di incoronazione a Monza. Invece la Storia per fortuna ci riserva ancora qualche sorpresa e che sorpresa! Secondo le ricerche di due storici inglesi, Anthony Cardoza e Geoffrey Symcox, riportate nella loro “Storia di Torino” (Einaudi) e rilanciate dalla rivista “Torino Storia”, dopo aver distrutto la ribelle Milano, il Barbarossa arrivò a Torino e il 15 agosto fu incoronato Re d’Italia nel Duomo dell’epoca che si trovava nello stesso luogo dove oggi sorge la cattedrale rinascimentale ed era costituito da tre chiese paleocristiane i cui resti si possono vedere sotto l’attuale Duomo. Si tratta delle chiese di San Giovanni Battista, San Salvatore e Santa Maria de Dompno, erette in epoca longobarda e in seguito unite. “Torino Storia” ricorda che già a metà Ottocento lo studioso Giovanni Battista Semeria contestava “le frottole degli scrittori milanesi” che collocavano l’incoronazione del Barbarossa in Lombardia. E non è l’unico, il torinese Luigi Cibrario scrive che l’imperatore venne per la prima volta a Torino nel 1154 prima di recarsi a incendiare Chieri e Asti e lo storico Francesco Cognasso sostiene che Federico I arrivò a Torino nell’estate 1162 per farsi incoronare in cattedrale. Un dubbio resta però senza risposta, conclude la rivista: perché a Torino il Barbarossa non ha lasciato tracce?
Filippo Re

Il ritratto aureolato di “Margherita di Savoia. Regina d’Italia”

A palazzo Madama, nella sala del Senato, sino al 30 gennaio

Ricordate, dai banchi della scuola? “Onde venisti? quali a noi secoli / Sì mite e bella ti tramandarono? / Fra i canti de’ sacri poeti / Dove un giorno o regina, ti vidi?” Carducci, mangiapreti e tritura monarchi, la vide passare per le vie di Bologna e ne rimase folgorato, cancellando in un attimo il suo passato repubblicano e beccandosi ogni tipo di critica dai compagni di un tempo: caduto anche lui sulla strada di Damasco, il giorno dopo era al cospetto dei sovrani, avviando con lei un’amicizia (il gossip dell’epoca ci andò a nozze e i rumors sulle visite alle regali stanze invadevano salotti e mercati), una fitta corrispondenza e la sana abitudine delle camminate estive tra i sentieri della Val d’Aosta. Fino al 30 gennaio, nella Sala del Senato di Palazzo Madama, l’antico foglio originale, ripensato e corretto, de “Alla regina d’Italia”, è uno dei tanti oggetti che trovano spazio, nell’elegante quanto arioso allestimento dell’architetto Loredana Iacopino e per la cura di Maria Paola Ruffino, all’interno della mostra “Margherita di Savoia. Regina d’Italia”. Oltre settanta opere d’arte, tra ritratti, dipinti, sculture, abiti e gioielli, strumenti musicali e manoscritti, tappezzerie e mobili, un racconto prezioso attraverso i settantacinque anni di vita della sovrana (nacque a Torino, a palazzo Chiablese, nella notte del 20 novembre 1851 e morì a Bordighera all’inizio del 1926) raccolto dal Musée d’Orsay di Parigi, dalle Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti, dal Palazzo del Quirinale e dal Museo di Palazzo Boncompagni-Ludovisi di Roma, dal Palazzo Reale di Napoli e dalla Reggia di Caserta, dai Musei Civici di Venezia, dai Musei Reali e dalla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, dal Polo Museale del Piemonte.

Il padre era Ferdinando di Savoia-Genova, fratello di Vittorio Emanuele II, e la madre Elisabetta di Sassonia, al suo battesimo parteciparono Massimo d’Azeglio, allora Presidente del Consiglio, Cavour con le differenti cariche di ministro della Marina e dell’Agricoltura e Commercio, Alfonso La Mormora. Rimasta orfana di padre a soli quattro anni, appena tredicenne fu adocchiata come futura sposa dell’erede Umberto, ma i tempi non erano ancora maturi. Maturarono in maniera definitiva il giorno del matrimonio, il 22 aprile 1868: matrimonio che risultò essere, anche questo, “troppo affollato”, dal momento che già da quattro anni circolava e aveva preso il cuore del futuro re una innamoratissima Camilla, questa davvero bella, la duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta, di sette anni maggiore di lui, della miglior nobiltà milanese, un amore eterno e un figlio adulterino da crescere. Margherita all’inizio mal sopportò quel triangolo di cui tutti erano a conoscenza; ma poi seppe creare intorno a sé e all’immagine della coppia reale una perfetta cornice di finzione, di felicità e di salda unione che ebbe il proprio primo sfolgorante traguardo nei festeggiamenti delle nozze d’argento nell’aprile del 1893.

Era l’Italia di quel lungo periodo un paese che, nella propria diseguaglianza, guardava ai grandi sviluppi, all’espandersi a piccoli o grandi passi delle ferrovie, dell’industria, dell’istruzione, si poneva di fronte alle prime organizzazioni dei lavoratori, passava dalla carrozza all’automobile, dalla storia risorgimentale a quella coloniale: al centro, per lunghi decenni, Margherita, nella Storia – come nella mostra di Palazzo Madama – aureolata, posta al centro nelle vesti di icona di stile, di “eterno femminino regale”, di madre – quante volte sarà stata accanto alla culla del piccolo Vittorio Emanuele, disegnata da Domenico Morelli, uno dei pezzi più belli della mostra? -, di benefattrice, di musa, di illuminata sovrana, di colei che promuove la diffusione dell’istruzione e della formazione professionale, che accresce il consenso attorno a Casa Savoia, che crea salotti portando cultura e arte e li allieta con la sua voce e con il suono del pianoforte (era innamoratissima di Beethoven), che guarda alla modernità con occhio sempre attento e con cuore aperto al popolo (“La regina Margherita mangia il pollo con le dita”) e forgia frasi come “A che servirebbe essere principi se non si potesse fare il bene che si vuole?” o “Tutto quel che viene dal popolo deve ritornare al popolo”. Diremmo grandiosa. Ma è anche la sovrana che appoggiava l’operato di Bava Beccaris, nel maggio 1898, in occasione dei moti di Milano, che guardava con fiducia al fascismo e a Mussolini, unico argine ai disordini del biennio rosso, che forse non era di parere poi molto lontano da quello di Marco Minghetti, suo amato maestro di latino, che nel 1864 portò la capitale a Firenze e fu il responsabile dell’eccidio di piazza San Carlo, a Torino, che causò la morte di 47 persone, tra militari e civili.

Margherita si circondò del bello, molto dell’arredamento di palazzo Reale trovò posto nelle sale del Quirinale, i mobili intarsiati del Piffetti e la ricchezza barocca di Valentino Besarel, bellunese, occuparono i grandi saloni come gli ambienti di Monza e le abitazioni private della sovrana, i servizi di Meissen e di Sèvres, oggi in mostra, ornarono le tavole dei grandi pranzi, gli abiti alla moda – quella moda che la regina seguiva, con gli abiti parigini di Worth, o per molte occasioni dettava – rivestirono le dame della aristocrazia in occasione di balli e feste a corte. Margherita è la sovrana che si mostra al popolo ed elargisce sussidi a congregazioni religiose e istituzione laiche, asili d’infanzia, scuole, associazioni caritative; promuove la moda del pizzo nelle toilette femminili, aiutando nello stesso tempo la scuola di merletto di Murano e le tante donne che con le loro famiglia da quel lavoro dipendono. Come riporta in auge la moda del corallo (le lavorazioni sono ambientate in una delle sale più belle della mostra), amante dei libri crea biblioteche, nel ’93 tiene a battesimo la Biennale di Venezia. Il regicidio a Monza, ad opera di Gaetano Bresci, decreterà la fine di un epoca forse dorata e la sovrana, lasciando il Quirinale al figlio e ad Elena di Montenegro andrà ad abitare il palazzo romano che da lei prenderà il nome, dedicandosi ancor più ai viaggi e al mondo dell’arte. L’ultima sala accoglie immagini dei Lumière, i viali torinesi con i tramvai, le piazze e le folle, gli antichi panorami, le precedenti e le teche che abbiamo attraversato ci hanno mostrato la sovrana nei tanti ritratti, uno per tutti quello di Pietro Paolo Michetti, le porcellane preziose e le tante componenti dell’arredamento, i mandolini e le chitarre, il ritratto di un giovane Vittorio Emanuele III ad opera di Giacomo Grosso, la pace di Gressoney La Trinité rappresentata da Demetrio Cosola e un altro capolavoro dell’arte di Andrea Tavernier, “Finita la messa”, due diversissime opere di Giacomo Balla, “Le risaiuole” di Angelo Morbelli, un abito nero con manto a striscio, in velluto di seta, ricamato con paillettes e jais e merletto lavorato a macchina, datato 1905-1915, appartenuto alla sovrana. In una teca, una piccola etichetta con il numero 239/B legata con un filo rosso, la Rivoltella Harrington & Richardson, modello “Massachusetts”, con cui in un nero 29 luglio, in tarda serata, venne assassinato il sovrano Umberto I. Tre coli l’avevano colpito al volto e alla gola, uno era andato a vuoto.

Elio Rabbione

Immagini dell’allestimento della mostra a Palazzo Madama (ph. Perottino)

Tutti gli eventi nei musei della Fondazione

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

28 ottobre – 3 novembre 2022

 

SABATO 29 OTTOBRE

 

Sabato 29 ottobre ore 15

ARTE E TÈ IN ORIENTE

MAO – Visita guidata alla mostra Buddha10 con degustazione di tè.

A cura di Theatrum Sabaudiae in collaborazione con The Tea

Nella mostra temporanea, un’installazione di composizioni vegetali accoglie il pubblico e depura l’aria: un momento di purificazione che prepara ad accedere agli spazi successivi della mostra, custodi di icone buddhiste sacre e devozionali.

L’incontro con straordinarie statue buddhiste delle collezioni del MAO, alcune delle quali mai esposte al pubblico, messe in dialogo e in contrasto con alcuni esemplari provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma e dal Museo d’Arte Orientale E. Chiossone di Genova e con significative opere di artisti contemporanei, diventa l’occasione per riflettere su molteplici tematiche, spaziando dall’originaria collocazione e funzione delle opere, alle modalità di importazione in occidente, dalle logiche e procedure di restauro, alle complesse relazioni fra vero e falso.

Questi e altri interrogativi saranno al centro della visita guidata che si propone come momento di condivisione e riflessione su questioni che si celano dietro a soggetti dalla natura e funzione essenzialmente sacra.

Segue La fragranza celeste dell’autunno: l’osmanto, una proposta autunnale per la degustazione di tè Gui Hua, a cura di Claudia Carità (The Tea – Torino), studiata come ideale prosecuzione dell’esperienza in mostra.

I fiori di osmanto e la loro inebriante fragranza autunnale, costituiscono un’icona dell’immaginario orientale. Nelle regioni remote di Cina e Giappone è possibile trovare arbusti di osmanto coltivati nei giardini dei templi buddhisti per ricordare la riconoscenza alle divinità lunari.

La mitologia cinese e, successivamente, la poesia Tang e Song hanno attribuito ai fiori di osmanto origini paradisiache associandolo alla luna. Essenza amata durante la dinastia Ming, per la gente comune l’osmanto simboleggiava oro e giada, fama e fortuna.

Tre giorni di vita per ogni fiore e un’essenza spirituale che in 2000 anni non è mai svanita anche attraverso il tè, la bevanda elitaria d’eccellenza, servita alla corte degli imperatori.

Il percorso di degustazione affronterà la dolcezza e la complessità aromatica del fiore dell’osmanto. Terroir, cultivar e grandezza delle foglie si combineranno con la stagione autunnale a raccontare l’inebriante fragranza fruttata e floreale di questi piccolissimi fiori che colorano di ambra. Infusioni differenti per apprezzare la freschezza del Gui Hua Cha con provenienza Guangxi e le note calde da Red Osmanthus da piccole tea cake originarie di Lincang – Yunnan.

La degustazione si accompagnerà con dolcezze e piccole preparazioni ideali in abbinamento ai tè proposti, servite in monodose ad ogni partecipante presentate su un piccolo vassoio dedicato.

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Claudia Carità, selezionatrice di té, laureata in economia e commercio presso l’Università di Torino, fonda nel 2011 il marchio The Tea che identifica un catalogo di tè scelti attraverso il confronto diretto con produttori e importatori con preferenza per chi si avvale del marchio ETP (Ethical Tea Partership). Dal 2013 The Tea è stato scelto da Slow Food Italia e valutato dal Laboratorio Chimico della Camera di Commercio per rientrare nel progetto “Maestri del Gusto” di Torino e Provincia.

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Prenotazione obbligatoria, l’iniziativa verrà attivata con un minimo di 10 partecipanti, fino a un massimo di 20 persone.

Info 011.5211788 –  prenotazioniftm@arteintorino.com  (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

Costi: 19 € a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alla mostra; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio.

 

Sabato 29 ottobre, ore 15 e domenica 30 ottobre, ore 10 e ore 15

CACCIA AI MOSTRI. ATTIVITÀ PER LE FAMIGLIE IN OCCASIONE DI HALLOWEEN

GAM – Attività per le famiglie

La GAM per le famiglie ha in serbo un’insolita visita in museo per il weekend più terrificante dell’anno: Halloween! Attraverso le opere del ‘900, in un viaggio tra i mostri di Francis Picabia e le suggestioni animalesche di Alberto Savinio fino alle forme fantastiche di Pinot Gallizio, i bambini e i loro genitori potranno confrontarsi con la paura del diverso, del brutto e mostruoso. Vedremo insieme che spesso dietro le apparenze si nascondono personaggi molto meno spaventosi di quello che la nostra fantasia vuol farci credere e le maschere sono spesso una protezione contro ciò che ci spaventa.

In laboratorio negli spazi dell’Educational Area utilizzeremo carta, forbici colori e fantasia i bambini potranno creare un mostro a regola d’arte. Al termine dell’attività verrà offerta a ogni bambino una sacca piena di dolci e sorprese a tema Halloween!

Costo: Euro 10 a partecipante

Costo aggiuntivo: adulti biglietto di ingresso al museo ridotto; gratuito per i possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Valle d’Aosta

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

DOMENICA 30 OTTOBRE

 

Domenica 30 ottobre ore 15

TERRIFICHE PARVENZE. DIVINITÀ IRATE NELLE COLLEZIONI DEL MAO

MAO – visita guidata in occasione di Halloween

Ghirlande di teste umane, cadaveri come seggi e calotte craniche che fungono da ciotole sono solamente alcuni fra gli innumerevoli simboli apparentemente macabri che costellano l’immaginario tantrico buddhista e induista. Attraverso una selezione di opere d’arte indiana e himalayana, l’itinerario si sofferma su immagini e simboli strettamente connessi alla morte che, molto spesso, si trovano in associazione a divinità dalle fattezze terrifiche, illustrandone i particolari significati e funzioni, in un totale rovesciamento di prospettiva nel quale anche parvenze feroci e mostruose sono strumenti per allontanarsi dalle angosce del samsara.

A cura di Theatrum Sabaudiae.

Costo: € 6 a partecipante; costi aggiuntivi: ingresso alla mostra temporanea (gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte)

Info e prenotazioni: t. 011.5211788, prenotazioni ftm@arteintorino.com

 

LUNEDI 31 OTTOBRE

 

Lunedì 31 ottobre

MUSEI DA BRIVIDO! HALLOWEEN AL MUSEO

musei aperti e ingresso gratuito per gli under 35 alle collezioni di GAM, MAO e Palazzo Madama

 

Per festeggiare il ponte di Ognissanti i musei della Fondazione Torino Musei propongono numerose iniziative dedicate alle famiglie e al pubblico adulto che, nel lungo weekend di festa, potranno trascorrere un pomeriggio al museo fra mostre, visite guidate e attività tematiche.

Inoltre, per celebrare la Giornata nazionale “Giovani e Memoria” del Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie, GAM e MAO saranno eccezionalmente aperti lunedì 31 ottobre e, insieme a Palazzo Madama, offriranno l’ingresso gratuito alle collezioni per tutti gli under 35: un’occasione da non perdere per tutti i giovani che desiderano conoscere il patrimonio artistico dei Musei Civici e, per tutte le famiglie, l’opportunità di trascorrere un Halloween diverso dal solito!

 

COSA SI PUÒ VISITARE:

 

  • GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Nella giornata del 31 ottobre ingresso gratuito per gli under 35 alle collezioni permanenti e alle mostre Ottocento. Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del NovecentoFlavio Favelli I Maestri Serie Oro e Jannis Kounellis in Videoteca.

  • MAO Museo d’Arte Orientale

Nella giornata del 31 ottobre ingresso gratuito per gli under 35 alle collezioni permanenti custodite nelle cinque gallerie del Museo. Ingresso alla mostra temporanea Buddha10   secondo le tariffe ordinarie (gratuito per possessori di Abbonamento Musei e Torino Card).

 

  • PALAZZO MADAMA – Museo Civico d’Arte Antica

Nella giornata del 31 ottobre ingresso gratuito per gli under 35 alle collezioni permanenti e all’allestimento nella Corte Medievale La porta della città. Un racconto di 2.000 anni.

Ingresso alla mostra temporanea Margherita di Savoia, Regina d’Italia secondo le tariffe ordinarie (gratuito per possessori di Abbonamento Musei e Torino Card).

I musei osserveranno il consueto orario di apertura dalle 10 alle 18 (le biglietterie chiudono un’ora prima). Ultimo ingresso ore 17.

 

Lunedì 31 ottobre ore 15

TERRIFICHE PARVENZE. DIVINITÀ IRATE NELLE COLLEZIONI DEL MAO

MAO – visita guidata in occasione di Halloween

Ingresso gratuito alle collezioni per under 35.

Ghirlande di teste umane, cadaveri come seggi e calotte craniche che fungono da ciotole sono solamente alcuni fra gli innumerevoli simboli apparentemente macabri che costellano l’immaginario tantrico buddhista e induista. Attraverso una selezione di opere d’arte indiana e himalayana, l’itinerario si sofferma su immagini e simboli strettamente connessi alla morte che, molto spesso, si trovano in associazione a divinità dalle fattezze terrifiche, illustrandone i particolari significati e funzioni, in un totale rovesciamento di prospettiva nel quale anche parvenze feroci e mostruose sono strumenti per allontanarsi dalle angosce del samsara.

A cura di Theatrum Sabaudiae.

Costo: € 6 a partecipante; costi aggiuntivi: ingresso alla mostra temporanea (gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte).

Info e prenotazioni: t. 011.5211788, prenotazioni ftm@arteintorino.com

GIOVEDI 3 NOVEMBRE

 

Giovedì 3 novembre

HIC SUNT DRACONES. ATELIER DELL’ERRORE • CHIARA CAMONI

GAM – apre la mostra

3 novembre 2022 – 5 marzo 2023

Hic sunt Dracones si compone di due percorsi intrecciati: quello di Chiara Camoni e quello del collettivo Atelier dell’Errore. È un racconto in cui le due storie artistiche, molto diverse, si fronteggiano e si rispondono l’una all’altra. Dopo la precedente mostra a cura di Elena Volpato, Sul principio di contraddizione, questa esposizione riconosce la presenza di un pensiero metamorfico nell’arte contemporanea o, quanto meno, nei suoi territori più fertili, quelli distesi a cavallo del suo confine estremo, dove i cartografi un tempo avrebbero lasciato scritto il loro avvertimento e disegnato draghi d’ogni specie e forma.

Infohttps://www.gamtorino.it/it/hic-sunt-dracones-chiara-camoni-atelier-dellerrore

Giovedì 3 novembre

POETICIZZARE IL DESERTO INVECE DI SAPERE DOVE TERMINA

GAM – opera inedita di Riccardo Benassi (galleria Zero…, Milano) in occasione di Artissima

3 novembre 2022 – 8 gennaio 2023

A partire dal 3 novembre 2022 e fino all’8 gennaio 2023 la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea presenta nei suoi spazi l’opera inedita di Riccardo BenassiPoeticizzare il deserto invece di sapere dove termina, 2019-2022. Originariamente composta nel 2019, come colonna sonora temporanea dello shopping mall/concept store disegnato da Zaha Hadid per City Life a Milano, è ora rielaborata da Benassi in forma di scultura sonora la cui presenza, nello spazio della GAM, agisce attraverso la forza minimale di un segno grafico. La traccia audio, 4 secondi in loop, è interamente realizzata con la voce dell’artista, attraverso un uso non convenzionale dell’Autotune, una scelta che sottolinea la commistione tra il soggettivo corporeo delle corde vocali e la ‘rettificazione’ oggettivante della griglia digitale. La commistione si trova ribadita nella particolare scelta di utilizzare l’unico speaker morbido attualmente disponibile. Il suo corpo flessuoso si sovrappone idealmente alla corporeità dell’artista che ha generato i suoni, in una duplicazione tecnologica che sembra desiderare l’identificazione col biologico e persino il suo superamento in una forma assoluta. Benassi riconduce la traccia audio alla tipologia di suoni chiamata Mallwave, un sottoinsieme della Vaporwave, musica pensata per insinuarsi, come un sottofondo quasi inavvertito, nel vuoto psicologico degli ascoltatori distratti, dallo shopping, dalla necessità di spostarsi da un luogo all’altro, dai propri pensieri. Il dislocamento di quel vuoto nello spazio di un museo che, al contrario, è intessuto di significati e di volontà di ascolto e osservazione da parte del pubblico, rivoluziona la vacuità del centro commerciale e dei cosiddetti non-luoghi del contemporaneo, ne fa realmente la poesia di un deserto incastonato in un’architettura: una proiezione, o il miraggio, di uno spazio che non possiede un termine e forse neppure un tempo.

L’esposizione fa parte del progetto di Artissima, in collaborazione con la Fondazione Torino MuseiSo will your voice vibrate (Così vibrerà la tua voce), che comprende anche un’installazione sonora al MAO con Charwei Tsai (galleria mor charpentier, Parigi, Bogotà) e una performance a Palazzo Madama di Darren Bader (galleria Franco Noero, Torino).

Info: ingresso con acquisto del biglietto del museo (gratuito Abbonamento Musei)

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Ma chi era davvero Enrico Mattei?

 

“Nel luglio del 1987, dopo un colloquio con Mario Ronchi alla cascina Albaredo di Bascapè, raggiungo il breve prato della notte del 27 ottobre.

C’è una lapide sul terreno, in memoria di Mattei, Bertuzzi, McHale. All’intorno, tanti alberi e una fitta siepe. In un angolo, un cancello bianco, chiuso. Di quando in quando il silenzio è rotto dal rombo di un aereo che passa basso scendendo su Linate”. Con queste parole Italo Pietra concludeva il suo libro ‘Mattei La pecora nera’ il libro dedicato ad Enrico Mattei, uno dei più geniali ed autorevoli figli dell’Italia del Novecento, partito dalle Marche come operaio e giunto alla presidenza dell’Eni, la sua creatura, dopo aver salvato l’Agip dalla liquidazione cui era condannata alla fine della seconda guerra mondiale, considerata un inutile residuato del regime fascista. La sua vita ebbe termine, come tutti sanno, il 27 ottobre del 1962 mentre rientrava da una due giorni in Sicilia, di cui molto di è detto e scritto. Il Morane-Saulnier mentre era in fase di avvicinamento a Linate cadde e con lui morirono il pilota Irnerio Bertuzzi, asso dell’aviazione della Repubblica Sociale ed il giornalista americano William McHale, della testata Time-Life, incaricato di scrivere un articolo su di lui. Il testo di Italo Pietra, già comandante partigiano nell’Oltrerpo Pavese e direttore de ‘Il Giorno’, quotidiano voluto da Mattei, dal 1960 al 1972 è una delle pietre miliari, anche se datato, dei lavori a lui dedicati. L’aereo cadde in territorio del comune di Bascapè, piccolo centro della Provincia di Pavia incuneato tra i territori di quelle di Milano e di Lodi. Qui si trova l’area commemorativa dei 3 scomparsi in quello che all’epoca venne classificato come un incidente ma che oggi la caparbia tenacia di un magistrato, l’ex procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, può ragionevolmente fare ritenere un attentato. Il magistrato ha riassunto i risultati degli anni di lunghe indagini e ricostruzioni giudiziarie in un testo che vale davvero la pena di leggere: ‘Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità’. Oggi, anche a distanza di oltre trent’anni dalla descrizione che diede Italo Pietra l’area di Bascapè non è molto dissimile. Al suo esterno dei cartelli posti ‘a ricordo del fondatore di Eni nel luogo in cui perse la vita’ spiegano sinteticamente chi era e all’interno una lapidericorda i tre scomparsi nel tragico incidente. In questi giorni sono state organizzate alcune iniziative per ricordare il presidente Mattei ed i suoi 2 compagni di sventura. I Pionieri dell’Eni hanno posto corone e fiori davanti a quella lapide. Personalmente, e d’intesa con l’Associazione Culturale Tigulliana, di Santa Margherita Ligure mi recato sul posto per deporre un vaso di  fiori al Memoriale Enrico Mattei, rimanendo in raccoglimento per pochi istanti. E’ stato un modo per omaggiare una persona che ho sempre stimato sin da ragazzo, di cui ho letto quasi tutto quello che c’è attualmente in circolazione, di cui ho rivisto la pellicola ‘Il caso Mattei’  magistralmente diretta da Franco Rosi

Ma chi era veramente Enrico Mattei ?  Un Uomo che vedeva molto al di là del tempo in cui viveva, che sapeva creare lavoro ed assicurare al lavoro italiano energia a buon mercato, un Uomo che capiva i tempi, che capiva che il mondo stava cambiando, che sicuramente non si faceva troppi scrupoli per arrivare agli obiettivi che si prefissava, ma che sognava un’Italia aperta al mondo

 

. Forse la definizione sentita in un bar di Bascapè è quella che gli si cuce maggiormente addosso: “Era un grande italiano, un patriota, un partigiano’. E la sua opera andrebbe studiata maggiormente nelle scuole perché è comunque un pezzo di storia dell’Italia odierna.

Massimo Iaretti