Lunedì 3 luglio 2023
ore 17
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica
Sala Feste
Piazza Castello, Torino
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, lunedì 3 luglio 2023 alle ore 17, la conferenza Smalti bizantini tra Oriente e Occidente con Giampaolo Distefano, Università degli Studi di Torino.
L’arte bizantina, tra le sue varie manifestazioni, si distinse per una significativa produzione di smalti cloisonnés, realizzati soprattutto nella capitale dell’Impero ma ben presto anche nelle zone rientranti sotto la sua diretta influenza culturale. Tali smalti, dalle caratteristiche tecniche codificate e dai canoni stilistici assai riconoscibili, formano a oggi un corpus scalato su più secoli ma la cui età dell’oro si individua soprattutto tra il X e la fine del XII secolo. Si tratta per la maggior parte di piccoli esemplari con figure a mezzo busto, più raramente di grandi placche con vere e proprie scene neotestamentarie. Caratteristici di questa produzione furono anche minuti smalti con raffinati motivi ornamentali accostabili a quelli dei coevi manoscritti miniati o della pittura monumentale. Questo intervento ripercorrerà le vicende dello smalto bizantino attraverso le sue testimonianze più eclatanti senza tralasciare i rapporti che questo tipo di produzione ebbe con l’Occidente sia tramite l’arrivo di manufatti finiti, sia tramite i viaggi di artigiani specializzati.
La conferenza fa parte del ciclo, che approfondisce alcuni dei temi presentati nella mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario – in corso a Palazzo Madama fino al 28 agosto 2023 – attraverso 350 opere provenienti da importanti musei italiani e da oltre venti musei greci.
Gli incontri sono a cura di studiosi – archeologi, storici e storici dell’arte – che da prospettive e ambiti disciplinari differenti affrontano il millenario sforzo di un Impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.
Giampaolo Distefano ha studiato all’Università di Catania, Siena e Torino dove dal 2019 è assegnista di ricerca in Storia dell’arte medievale. Si è specializzato nello studio delle arti suntuarie di XII-XV secolo specialmente in Italia, Francia e nello spazio mediterraneo, da un punto di vista della circolazione artistica e con una particolare attenzione alle fonti. Ha contribuito ai cataloghi delle opere d’arte suntuaria della Cassa di Risparmio di Volterra, della Galleria Sabauda e del Museo di Palazzo Madama di Torino, del Museo del Bargello di Firenze e di Palazzo Venezia a Roma. Nel 2020 ha co-editato gli studi in onore di Danielle Gaborit-Chopin, nel 2021 ha pubblicato la monografia Esmaltis viridibus. Lo smalto de plique tra XIII e XIV secolo, dedicata allo smalto de plique nel contesto delle relazioni e degli scambi tra Parigi e le corti europee. Suoi articoli sono comparsi, tra le altre, nelle riviste Zeitschrift für Kunstgeschichte, Arte medievale, Convivium, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz. Dal 2019 è membro della Société nationale des Antiquaires de France.
Prossimi appuntamenti
Lunedì 10 luglio ore 17:
Con Paolo Cesaretti, Università degli Studi di Bergamo
Lunedì 17 luglio ore 17: Il nostro debito con Bisanzio
Con Mario Gallina, già Professore ordinario di Storia bizantina presso l’Università degli Studi di Torino
Ingresso libero fino a esaurimento posti
Prenotazione consigliata: t. 011 4429629 (da lunedì a venerdì, orario 9,30-13 e 14-16)
e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it
Il Palazzo del Lavoro, già Palazzo delle Nazioni, da sempre Palazzo Nervi in Corso Unità d’Italia angolo Corso Maroncelli a Torino, una straordinaria opera la cui paternità dell’ Ingegner Pier Luigi Nervi con la collaborazione del figlio Antonio e dell’architetto Gio Ponti, inaugurata il 6 Maggio 1961 alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nella giornata in cui l’indimenticabile Italia 61 aprì le sue porte al mondo.
E’ uno dei capolavori dell’architettura del Novecento, uno di quei luoghi cui tutti, da che fu realizzato, hanno guardato con stupore per l’impegno occorso, con ammirazione per l’attuazione innovativa raggiunta. Ricordiamo infatti che fu progettato nel 1959 ed a tutt’oggi, se fosse ancora leggibile, parlerebbe di una sua carta d’identità senza tempo ed oltre il tempo, di strutture innovative per materiali e per talento creativo. Un immenso spazio progettato per durare, per farsi ammirare, per essere un esempio tutto italiano del genio costruttivo ed architettonico del Novecento, simbolo di un Paese in rinascita. Ed invece quello che sembrava a tutti essere il suo giusto e fausto destino, quello di una lunga vita all’avanguardia, contenitore felice e generoso quale era stato progettato, non si è realizzato. Chiedersi perché e per chi oggi non serve. Ciò che serve è che si comprenda urgentemente che è necessario arrivare in tempo a salvare questo testimone importante, questo gigante, fiore all’occhiello di un’Italia che stava vivendo il suo tempo d’oro, fatto di un miracolo economico quasi impensabile e di tanta voglia di mettersi continuamente in gioco, a qualunque costo e rischio.
Oggi appare come un eroe agonizzante ed umiliato, una grande carcassa arrugginita e drammaticamente abbandonata, rosa dal tarlo dell’incuria che la divora, testimone suo malgrado e simbolo di un degrado ambientale e non solo, lasciato a sé stesso, allo spreco più totale, mentre collassa e cede sul suo fasto di breve durata. Tutti elementi questi che dovrebbero far riflettere senza girarsi dall’altra parte per non vedere. Avvolto nel suo manto di ruggine, luogo prescelto da rovi e sterpaglie e da animali che vi scorrazzano, oggetto di incursioni vandaliche finché vi fu qualcosa da portar via, passato attraverso l’esperienza di un gravissimo incendio nel 2015, Palazzo Nervi non si stanca ancora oggi di lanciare il suo grido d’aiuto sotto gli occhi dei passanti impotenti. Una fine ingiusta la sua, non certo motivo di vanto per Torino in Italia né per l’Italia nel mondo, agonizzante monumento al genio di Pier Luigi Nervi, offerto così miseramente ridotto allo sguardo dei torinesi attoniti e di quanti ne hanno compreso il suo grandissimo, importante valore. Per chi transita in Corso Unità d’Italia in uscita o in entrata in città, per raggiungere le autostrade o arrivandovi, si trova a percorrere una vasta area verde con piante che ancora oggi ci parlano della cura con cui sono state scelte. Giardini disseminati di costruzioni particolarmente interessanti dal punto di vista architettonico che parlano di un fasto trascorso in cui sapienti mani e grandi progetti hanno contribuito a realizzare un sogno tutto italiano.
Correva l’anno 1961 e Torino era pronta a vivere un avvenimento che avrebbe segnato la storia del glorioso 900 della città. In pieno boom economico stava per concretizzarsi un evento unico ed indimenticabile. Venne ospitata infatti l’Expo 1961, la grande Esposizione Internazionale del Lavoro – Torino 1961, per festeggiare i cento anni dell’Unità d’Italia. E’ quella che fu definita una grande occasione per mostrare al mondo quale fosse il livello di progresso raggiunto da quella che venne definita la città dell’automobile per antonomasia, la Torino industriale ma anche quella storica, quella sabauda con la sua cultura millenaria e quella ingegnosa che sa continuamente riproporsi. Un’occasione unica, raccolta con entusiasmo la cui centralità fu l’Italia ed il lavoro. Il Made in Italy ebbe modo di far parlare di sé in tutto il mondo puntando l’attenzione sui punti di forza del nostro Paese nei tanti ambiti di cui è incontestata protagonista: dalla scienza all’arte passando per la tecnica e la cultura senza dimenticare il settore dell’imprenditoria: tutti erano presenti a questo imperdibile appuntamento. Furono invitati i nomi più illustri del globo a partecipare, ognuno nel proprio settore, alla realizzazione di questo sogno italiano. Notissimi architetti dei giardini per organizzare il verde della vasta area che fu scelta, nella zona Nizza Millefonti , su una superficie di 106.500 mtq fino a lambire le acque del Po, con un suo naturale fascino indescrivibile. Ingegneri edili, architetti, progettisti, tecnici, tutti chiamati a dare il meglio di sé e con loro il grande Ingegner Pier Luigi Nervi che aveva ideato e brevettato nel 1943 il ferro cemento e che realizzò per l’occasione il suo grande capolavoro torinese, il Palazzo del Lavoro. Costruzione innovativa realizzata in tempi brevissimi, gioiello dell’architettura e dell’ingegneria civile nerviana, si tratta di un avveniristico progetto incentrato sulla suddivisione della copertura quadrata dei 47.000 mtq totali della superficie, in sedici elementi tra loro indipendenti ad ombrello costituiti da una raggiera di travi in acciaio e da un pilastro centrale, caratteristica questa della progettualità di Nervi. Un’opera all’avanguardia di grande impatto emotivo e di straordinario fascino con l’uso dei suoi materiali preferiti.
Tra le tante altre realizzazioni indimenticabili che composero Italia 61 l’ovovia che portava i visitatori direttamente in collina, il laghetto accanto all’ avveniristica monorotaia con le hostess ad accogliere i numerosissimi visitatori, la vita sui battelli del Po, Palazzo a Vela, in origine Palazzo delle Mostre, i bus panoramici a due piani ed altri palazzi per quei tempi modernissimi. Oggi ciò che appare di quelle storiche celebrazioni alimenta la nostalgia di un tempo d’oro, tra l’inspiegabile incuria di tanta bellezza ed il tempo che passa ma non cancella.
PATRIZIA FORESTO
“Storie di Barriera “, spettacolo che andrà in scena al teatro Gobetti venerdì 30 giugno prossimo alle 21 con Marco a Spinetta e Marco Congiu, rappresenta l’omaggio che il regista Giulio Graglia e non solo hanno voluto fare a dieci anni dalla scomparsa di Gipo Farassino, lo chansonnier che ha rappresentato la piemontesità nel mondo.
“La serata, promossa al teatro Gobetti vedrà sul palco l’attore Marcello Spinetta – spiega il regista Giulio Graglia, Direttore Artistico del Festival Pirandello e del ‘900 – con il quale ho lavorato su testi di Pirandello e Fenoglio, e il musicista Mario Congiu. Marcello proviene dalla Scuola del Teatro Stabile di Torino, nella cui Fondazione sono consigliere, mentre Mario ha lavorato fianco a fianco cin Gipo.
Ho volutamente intitolato la serata prendendo a prestito l’album di Gipo, e mi è sembrato un gesto doveroso nei confronti di una persona che ho stimato molto. Ricordo ancora quando, nel 2010, mi affidò la regia del suo Stasseira, come non posso dimenticare una delle ultime volte in cui l’ho visto a casa, ormai troppo affaticato dalla malattia”.
“Grazie all’aiuto dell’amico Bruno Quaranta, giornalista, scrittore, critico letterario, abbiamo intessuto un percorso a ritroso fatto di parole e musica. Come sostiene Valentina Farassino non c’è un erede di Gipo, per questo il nostro è uno spettacolo rispettoso che non vuole imitare, bensì esaltare la creatività dell’artista”.
“Storie di Barriera “ è sostenuto dal Consiglio regionale del Piemonte. Il Presidente Stefano Allasio ha voluto fortemente dedicare il 2023 alla memoria di Gipo Farassino. Lo spettacolo rientra nel programma del Festival Nazionale Luigi Pirandello e sarà riproposto durante le festività natalizie”.
“Mi auguro che lo spettacolo – conclude il regista Giulio Graglia – possa essere gradito a chi Gipo lo ha conosciuto ma anche ai giovani che, forse soprattutto in città, non hanno più l’abitudine di parlare in dialetto. A scanso di equivoci abbiamo previsto delle traduzioni in italiano per chi non conoscesse il dialetto”.
Mara Martellotta
Storie di Barriera
Teatro Gobetti Torino
30 giugno 2023 0re 21
Mare? No, arte romanica
Meravigliose gite in Piemonte in attesa della bella stagione
Il bel tempo quest’anno ci fa aspettare, poco sole, niente bagni e tintarella, almeno nella nostra parte della penisola. In attesa di dare ufficialmente il via alla stagione estiva possiamo passare il tempo libero, soprattutto nel fine settimana, visitando le meraviglie della nostra regione. Tra i tanti stili e architetture l’arte romanica e’ quella che personalmente preferisco, probabilmente per la sua semplicita’ che ha il potere di creare una strada diretta verso il divino, un accesso semplice alla spiritualita’. Gli elementi tipici di questo stile sono gli archi a tutto sesto, le volte a crociera, il matroneo ovvero un loggiato posto sopra le navate laterali, una volta dedicato alle donne, la facciata esterna costruita a capanna o a salienti, il rosone che somiglia ad una grande finestra rotonda che corrisponde alla navata principale interna.
In Piemonte, oltre ai fasti del barocco e alla regalita’ delle residenze sabaude, esiste una consistente presenza e di testimonianze di arte romanica risalente al secolo X e fino al XII.
Dalla via Francigena, ai borghi medioevali, dalle abbazie ai monasteri in questa terra sono molti i siti da visitare per immergersi totalmente in questo suggestivo periodo storico.
A Torino si puo’ ammirare il campanile della chiesa di Sant’Andrea, risalente all’XI proprio a lato della chiesa della Consolata che ha preso il posto della chiesa originaria. Uscendo dalla citta’, dirigendosi verso la Val di Susa a 960 metri di quota sul monte Pirchiriano troviamo la Sacra di San Michele, del X secolo, uno dei massimi centri della spiritualita’ benedettina e rosminiana.
L’Abbazia dei Santi Pietro e Andrea o di Novalesa, fondata nel 726 e situata in Val Cenischia (Susa), e’ un altro bell’esempio di arte romanica del nostro territorio. Affidata alla Congregazione Benedettina Sublacense ospita una serie di affreschi e un chiostro cinquecentesco.
A Staffarda di Revello in provincia di Cuneo si trova l’omonima abbazia, uno dei monumenti medioevali piu’ grandi del Piemonte, incorniciata dai monti soprattutto da sua maesta´il Monviso. Benedettina cistercense fu fondata tra il 1122 e il 1138 e, oltre alla chiesa, comprende un chiostro e una foresteria. In localita´Albugnano spicca l’Abbazia di Vezzolano, magnifico esempio di arte romanica che, secondo la tradizione, fu fondata da Carlo Magno. Una particolarita´ al suo interno e’ data dalla navata centrale che è divisa trasversalmente da un pontile decorato, elemento abbastanza raro se non in qualche altra chiesa oltrealpe. Tra le risaie del novarese si nota certamente l’Abbazia dei Santi Nazario e Celso fondata nel 1040 in un clima sobrio e raccolto e affidata anche questa ai benedettini. Con i suoi affreschi cinquecenteschi e il chiostro quadrangolare e’ un affascinante esempio di architettura gotico-lombarda. Se ci si sposta verso Alessandria, invece, c’e’ il maestoso monastero di Santa Giustina di Sezzadio risalente all’epoca Longobarda. Immerso nelle colline del Monferrato conserva il pavimento in marmo bianco e nero che raffigura immagini floreali stilizzate.
Inutile citare il Duomo di Vercelli, nella Biblioteca e Archivio Capitolare e nella Pinacoteca della più antica arcidiocesi del Piemonte o il Battistero di Biella, meravigliosi rappresentanti dell’arte romanica del Piemonte, e tante altre sparse per tutta la regione che si conferma una luogo ricco di storia, arte, tradizioni e riferimenti della spiritualita’.
MARIA LA BARBERA
Per informazioni
https://www.piemonteitalia.eu/it/esperienze/il-romanico-piemonte
https://www.visitpiemonte.com/it/esperienzeoutdoor/itinerari-spirituali/il-romanico
Al termine di un lavoro di ricerca durato molti anni è stata pubblicato in edizione ristretta l’interessante volume “ 45° parallelo. Similitudini, somiglianze, intrecci e fantasie nelle culture dialettali” nel quale Paolo Pozzi indaga e confronta vicende e sovrapposizioni lessicali, testi poetici e musicali su una linea ideale che scorre dalla sponda piemontese del Verbano fino alle coste dell’Istria.
L’autore, dirigente industriale in pensione e appassionato ricercatore, nato al Mottarello di Masnago (Varese) e residente sulle colline di Stresa, ha potuto attingere sia dalla cultura lacustre dell’ Insubria sia dalle tradizioni friulane, soprattutto della destra del Tagliamento, la terra dei suoi nonni materni. Un volume di 140 pagine dove il testo è accompagnato da numerosissimi rimandi a fonti esterne attivabili semplicemente con un click e da una chiavetta usb dove sono raccolti numerosissimi documenti. Il lavoro di Paolo Pozzi sui parallelismi nelle culture dialettali tra ovest ed est, viaggiando idealmente sulla linea del 45° parallelo, è molto interessante. La splendida espressione tradotta dall’yiddish di Weinreich (“una lingua è un dialetto con un esercito e una marina“) riassume l’importanza e la nobiltà delle tradizioni vernacolari. Non a caso l’autore cita il cardinal Tonini che, acutamente, sosteneva come le nostre radici non si trovano solo nella terra dove siamo nati ma anche nell’educazione che abbiamo ricevuto. Così, accompagnati dai parallelismi, si può viaggiare tra le pagine confrontando lingue e tradizioni dei progenitori di Pozzi, come nei casi della nonna materna, friulana, e di quella paterna, originaria del varesotto. Un confronto che chiama in causa i poeti lungo quel filo immaginario che corre tra le terre dell’Ossola e del lago Maggiore fino a Pinguente, nella valle del fiume Quieto, un tempo sede della Serenissima nell’entroterra istriano. Il richiamo a Pier Paolo Pasolini che precisa il senso del canto popolare e il viaggio proposto da Pozzi ( dove, pur stando seduti, ci si sente sempre in movimento) tra storie, migrazioni di uomini e parole, contaminazioni maturate su strade polverose battute dalle truppe napoleoniche formate dai grognards de la grande armée, vecchia e fedele guardia napoleonica proveniente da territori larghi e transnazionali, sono immagini straordinarie. I Savoia che diffondono la lingua italiana per combattere ignoranza e analfabetismo e, al tempo stesso, favorire sentimenti unitari; il popolo che salva il dialetto dalla protervia del fascismo che imponeva l’italianizzazione forzata ( come fece in Istria e Dalmazia, territori occupati) aprono squarci sulla storia. La ricerca sulle similitudini nei vocaboli tra i dialetti bosino e friulano, l’arguto confronto sui diversi significati della parola “briciola” o la scoperta che “Madonna” nel dialetto bresciano è un termine con tre significati ( appellativo di Maria – come nel resto del Paese – , suocera e persino una brutta parola). Nanni Svampa fondatore del gruppo cabarettistico e musicale dei Gufi, immaginato in parallelo con George Brassens mentre il padre Nino a Cannobio scriveva poesie e coltivava la passione velistica, raccontate nel libro “Boff de Canobina” (vento di Cannobina), consente a Paolo Pozzi di tracciare un altro parallelo con Biagio Marin, il poeta di Grado che nacque in territori a quel tempo appartenenti all’impero austro-ungarico. Il libro propone spunti e riflessioni offerte in un lavoro che non ha nulla di accademico, come precisa l’autore, ma si trasforma in un vitalissimo affresco di culture e storie. Le vicende narrate si ripetono nelle vicissitudini dei migranti di ieri e di oggi, tra chi conobbe l’esodo da Pinguente e chi raggiunge con una imbarcazione di fortuna Lampedusa dopo aver attraversato un braccio di mare che è diventato un cimitero di disperati in cerca di fortuna o in fuga da guerre e fame. Le suggestioni che si offrono al lettore sono tante e c’è una continuità, un filo rosso che lega personaggi e luoghi, profili come quello di Toti Dal Monte e paesi come Pieve di Soligo. La solida ricerca condotta da Paolo Pozzi confrontando canzoni e poesie e la parte che dedica a Trieste e alla terra friulana dove si dipana parte del suo “lessico famigliare”, è una sorta di compendio alle tracce che si trovano leggendo “Gli aghi”, un suo libro di qualche anno fa. Se ci si può permettere un ulteriore parallelismo questo è possibile chiamando in causa il Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejević, un libro che sembra una finestra spalancata sul mare nostrum, su moli e banchine,
sagome di chiese e architettura di case, sui fari delle coste e gli itinerari delle carte nautiche. Leggerlo equivale a sfogliare le pagine di un dizionario di gerghi, espressioni, idiomi, parlate che cambiano nel tempo e nello spazio. Quello di Paolo Pozzi è un breviario poetico sull’uso della lingua e di quello che, volgarmente, viene definito dialetto ma che a ben guardare , essendo “una varietà della lingua”, ne ha la stessa dignità, trasmettendo emozioni e calore, traducendo i sentimenti in parole spesso più appropriate di quanto possano fare le lingue ufficiali. Già nella sua silloge “Le rime migranti” usò le varietà delle “sue lingue” con garbo e maestria, sia quella bosina che svela la radice paterna, legata al territorio della provincia di Varese, che le friulane e istriane, rispettivamente della madre e della moglie, frutto del pluralismo linguistico che si trova sulla linea del confine orientale, dove la tradizione mitteleuropea sfuma nei Balcani. Lì si toccano due mondi: l’Occidente, dove la verità è adeguamento della cosa all’intelletto; e l’Oriente, dove la verità è ciò che sembra che la cosa sia. Così, sfogliando le pagine, si respirano le atmosfere del Verbano, dove si sente “l’acqua che sciaborda contro i sassi” e s’intuisce il profilo dei monti che lo circondano ( “come stirate dalle dita del vento, delle nuvole grigie si strappano sulle cime della Val Grande”) fino all’Istria e dell’Adriatico (“Non si può solo camminare sulla riva per capire cosa vuol dire Mare! Ma con l’impeto di un’onda che ti spinge a vele tese, prova a navigare..”). E’ il lievito del racconto, dell’impasto dei suoi pensieri. Ci sono le riflessioni sociali, immagini d’attualità, i segni di una sensibilità ricca, profonda, mai banale – in questo peregrinare tra le brume e le nebbie del lago Maggiore e l’ombra del campanile “dritto e aguzzo” di Pinguente (la croata Buzet di oggi). Quella di Paolo Pozzi è una ricerca che meritava d’essere conosciuta perché lasciarla chiusa e al buio nel fondo di un cassetto sarebbe stata davvero un peccato.
Marco Travaglini
Oggi compirebbe ben 132 anni uno dei più grandi ingegneri ed accademici italiani di tutti i tempi che, con il suo genio costruttivo, ha dato molto a Torino. Parliamo di Pier Luigi Nervi, nato a Sondrio nel 1891 da genitori liguri e morto a Roma nel 1979.
Partendo dal suo personale concetto secondo cui l’arte non è concepibile soltanto come estetica ma anche come pura funzionalità e staticità, portano la sua firma alcune tra le più significative opere architettoniche contemporanee dell’edilizia civile italiana e mondiale. Innovativo nelle sue soluzioni spaziali e strutturali, ogni sua realizzazione racchiude in sé l’innovazione oltre all’ eleganza, alla modernità in risultati sempre nuovi e sorprendenti dovuti anche ai suoi studi su nuove tecniche e nuovi materiali, studi di cui ci ha lasciato importanti scritti.
Ricordiamo soltanto alcuni tra i suoi tantissimi lavori: lo stadio di Firenze negli anni 30, i grandi hangar per l’aviazione italiana ad Orvieto degli anni 40, la sede dell’Unesco a Parigi degli anni 50, il grattacielo Pirelli a Milano e la Sala Nervi in Vaticano. A Torino porta la sua firma il salone di Torino Esposizioni al Valentino del 1949 ed il Palazzo del Lavoro anche giustamente ricordato come Palazzo Nervi, del 1960, quando fu eretto per la grande manifestazione di Italia 61. Si tratta di uno dei capolavori dell’architettura edile del Novecento, che ora arrugginito e vergognosamente abbandonato sta cadendo a pezzi senza che si stia facendo alcunché per salvarlo.
Dicono di questo indimenticabile genio italiano che racchiuse in sé l’audacia dell’ingegnere, la fantasia dell’architetto con la concretezza dell’imprenditore. E dicono bene. Auguri quindi a questo grande italiano che le sue opere hanno reso immortale alla memoria collettiva nei secoli.
Patrizia Foresto
Diario Italiano è l’ultimo libro di Pier Franco Quaglieni, storico e saggista, colto polemista che ha abituato i lettori a riflettere su testi che brillano per lo spiccato anticonformismo che ne accompagna da sempre l’assoluta libertà di pensiero, riluttante nei confronti della piaggeria e dei condizionamenti che abbondano in gran parte delle pubblicazioni più o meno engagé che affrontano i temi della storia e del costume contemporanei. Risulta di grande interesse la raffigurazione della storia contemporanea attraverso le biografie di questi ventinove personaggi che hanno saputo influenzare le vicende della nazione e del territorio piemontese. Un’ impresa italiana per nulla scontata e assai ardua poiché Quaglieni ha inteso puntualizzare che i personaggi descritti sono solo alcune delle più importanti personalità che hanno impresso il loro segno in questa storia. Eppure il quadro d’insieme che scaturisce è quanto mai interessante, testimoniando una profonda conoscenza e quello spirito libero e critico che da sempre contraddistingue il direttore del Centro Pannunzio. Sono ritratti di personaggi a loro volta scomodi, capaci di intuizioni o imprese non scontate, molto diversi tra loro come, per fare qualche esempio, Giovanni Agnelli e Carlo Donat-Cattin, Alberto Asor Rosa e Luigi Firpo, Frida Malan e Gino Strada, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e Carol Rama. Oltre a queste personalità e ai loro profili tratteggiati vanno segnalati i due contributi finali contenuti nel libro ( Il mio 25 aprile tra ricordi e storia e I conti con il fascismo) dove Pier Franco Quaglieni riprende e affronta la riflessione sui grandi temi delle ideologie novecentesche, dal comunismo al fascismo, all’antifascismo post bellico e odierno, ai sovranismi del Terzo Millennio. Lo fa con le sue opinioni destinate a far discutere, scegliendo deliberatamente di rappresentare anche le ragioni dei vinti “perché una storia scritta dai soli vincitori appare non accettabile”. In fondo tutto il libro riprende la riflessione “su destra e sinistra nella storia del Novecento, andando oltre le contrapposizioni manichee”. Il male e il bene assoluto, secondo l’autore, “sono assolutizzazioni incompatibili con la ricerca e la comprensione storica che esige invece il distacco dai fatti di cui fu capace Federico Chabod nella sua Storia dell’Italia contemporanea del 1950”. La sua scrittura è animata da una passione civile che, come in più occasioni ha avuto modo di sottolineare, affonda le sue radici culturali nel Risorgimento e nei suoi valori ideali. E la passione per la libertà, il piacere del confronto delle idee e della discussione viene esternata con chiarezza, senza il timore di apparire scontroso o persino urticante nell’esprimere i suoi giudizi, pur rispettando le varie posizioni. Non è del resto una novità per chi conosce la sua ampia produzione culturale, improntata saldamente su alcuni principi come la difesa dell’oggettività storica e l’allergia nei confronti di ogni fondamentalismo, in nome e per conto di una idea di moderno umanesimo che non può che far bene in questi tempi pigri e opachi.
Marco Travaglini
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica segnala mercoledì 21 giugno 2023 alle ore 18l’incontro di approfondimento, che si terrà all’Accademia Albertina di Belle Arti, Salone d’onore, via Accademia Albertina 6, Torino.
L’evento, in collaborazione con Rai CRITS e Palazzo Madama, propone un excursus sulla storia dei simboli dell’identità cittadina, a pochi giorni dalla festa patronale di San Giovanni Battista: dal timpano della chiesa della Gran Madre di Dio alla mazza d’argento di Torino, oggi conservata a Palazzo Madama.
A guidare il pubblico saranno gli interventi diFabio Amerio ed Enrico Zanellati per l’Accademia Albertina e la sua Pinacoteca, diClelia Arnaldi di Balme, conservatrice di Palazzo Madama, e degli ingegneri Davide Zappia e Alberto Ciprian del Centro Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione della RAI, che descriveranno le tecnologie messe a disposizione dell’indagine storico artistica e della sua valorizzazione.
Ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti disponibili
Prenotazione consigliata: 0110897370 –comunicazione@albertina.academy
Riaprirà il “Ristorante della Posta”. In strada comunale di Superga 323 – nel tratto finale della strada che porta alla Basilica – il piano terra di un edificio di fine Ottocento ha ospitato per decenni un luogo di ristoro per i contadini locali, i viaggiatori e i pellegrini nel contesto di una piazzetta del borgo caratterizzata da una trattoria e un tabaccaio.
L’attività è proseguita sino ai primi anni Settanta del Novecento, poi la chiusura e il cambio di destinazione d’uso a residenziale. Da alcuni anni il locale dell’ex ristorante è sfitto e inutilizzato; un elemento di degrado edilizio che si riflette sul fabbricato e il contesto circostante.
Con il cambio di destinazione d’uso alla funzione originaria approvato oggi all’unanimità dal Consiglio comunale – Legge 106/2011 in materia di costruzione in deroga al piano regolatore generale – i circa cento metri quadri del piano terreno potranno tornare a ospitare il ristoro; un’occasione per riqualificare l’edificio ampliando l’offerta commerciale del borgo in virtù della sua vocazione turistica.