STORIA- Pagina 3

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 22 FEBBRAIO

Sabato 22 febbraio ore 16.30

ONE WAY Together

MAO – Visita guidata in collaborazione con Orchestra Filarmonica di Torino

Arte e musica: un abbinamento dal quale sprigiona bellezza. Ispirati dai concerti della Stagione concertistica dell’Orchestra Filarmonica di Torino, i musei della Fondazione Torino Musei ogni sabato precedente il concerto propongono a rotazione un ciclo di visite guidate al proprio patrimonio museale.

SORRISI E ABBRACCI

Nella collezione di statuaria indiana, il dio Shiva e la sua consorte Parvati siedono abbracciati con un sorriso lieve, mentre alcune sale più in là, nei bronzi e nei dipinti tibetani, divinità terrifiche dall’aspetto feroce stringono la loro partner tantrica in un abbraccio furioso. A partire da questi spunti, il percorso si sviluppa tra la statuaria di soggetto buddhista e induista proveniente dall’Asia Meridionale e dal Sud-est asiatico e gli oggetti di arte religiosa dallo straordinario impatto visivo che rappresentano lo sterminato pantheon del Buddhismo tantrico.

Visita guidata a pagamento. Costo: 7 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com – è possibile effettuare l’acquisto online https://www.arteintorino.com/

 

 

DOMENICA 23 FEBBRAIO

 

Domenica 23 febbraio ore 11-13 e 15-17

LAMENTI/AMO         

MAO – performance a cura di YizhongArt

YizhongArt svolge un percorso di ricerca sull’incontro e la relazione che si esprimerà attraverso la serie di perfomance, “OUYU偶遇”.

“Lamenti/AMO” è il primo progetto performativo della serie in residenza al MAO e prende spunto dal concetto del lamentarsi sia come espressione di dolore o rammarico sia come azione che crea connessione. Attraverso di esso si comunica disagio, si condividono ostacoli e, paradossalmente, si costruiscono legami. In Italia, lamentarsi è spesso un atto che avvicina permettendo agli interlocutori di esprimere empatia e comprensione reciproca. “Lamenti/AMO” esplora questa necessità creando uno spazio dove il lamento diventa un mezzo per favorire l’incontro e il dialogo interculturale.

Nella cultura cinese, quando si menziona il carattere “怨” (yuan = lamento/lamentarsi), si percepisce spesso un’aura negativa. Si ritiene, infatti, che “怨” rappresenti l’irrisolto e quindi una delle cause per cui le anime non trovano pace dopo la morte.

Dal punto di vista della calligrafia, il carattere “怨” viene talvolta scritto con la parte superiore rappresentata dal carattere “死” (si=morte) e la parte inferiore dal carattere “心” (xin=cuore). Guardando la forma del carattere si può interpretare come uno stato di dolore e rimpianto che nasce nel cuore. Il carattere “怨” , sia nella sua forma sia nel suo significato, riflette la complessità del pensiero e dei sentimenti, il disappunto che persiste nel cuore (attaccamento), ma anche l’opportunità per una trasformazione (distacco).

La performance si svolgerà nel giardino zen del MAO e coinvolgerà i visitatori in uno scambio “uno a uno”, per dare la possibilità al singolo partecipante di potersi “lamentare con il performer”.

La partecipazione è gratuita. Gradita la prenotazione su yizhongart@gmail.com

Domenica 23 febbraio ore 11.30 e ore 16

DIANA LOLA POSANI

Un’esplorazione del non detto, come un urlo che si trasforma in silenzio

MAO – performance nell’ambito del public program della mostra Rabbit Inhabits the Moon

Diana Lola Posani è una sound artist, performer vocale e facilitatrice di Deep Listening certificata dalla Deep Listening Foundation. Si esibisce internazionalmente, scrive sulla rivista A Row of Trees, della Sonic Art Research Unit (SARU) – Oxford Brookes University e cura il sound art festival AKRIDA. Attualmente è interessata a indagare lo spazio comune tra suono e immaginario poetico, attraverso opere interdisciplinari e poesie sonore.

Il suo lavoro è stato presentato in diversi contesti tra i quali il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia 2024, MACRO museo d’arte contemporanea, Accademia di Spagna di Roma, Museo MADRE di arte contemporanea e Museo del novecento e del contemporaneo di Palazzo Fabroni.
A Marzo 2023 è stata pubblicata la sua traduzione del libro “Deep Listening – La pratica sonora di una compositrice” di Pauline Oliveros per la casa editrice Timeo e nel Dicembre 2023 è seguita la pubblicazione di “Quantum Listening” di Pauline Oliveros, di cui ha curato anche la prefazione.

Ingresso incluso nel biglietto di mostra.

(cs in allegato)

 

Domenica 23 febbraio ore 10.30

IMPRESSIONI DI COLORE

GAM – Attività per le famiglie

Bambini 3-5 anni

In occasione della mostra “Berthe Morisot. Pittrice impressionista”, la GAM propone un percorso che celebra la storia dell’unica donna tra i fondatori dell’Impressionismo.

Durante il percorso di visita I bambini verranno accompagnati tra le tele dell’artista che, attraverso l’uso sapiente di pennellate brillanti, trasmettono atmosfere vibranti e cromaticamente intense.

In laboratorio il colore diventerà materia da plasmare e attraverso una vera azione di manipolazione, darà vita a una esplorazione creativa.

Grazie alla collaborazione tra la Fondazione Torino Musei e Biraghi al termine dell’attività sarà offerta la merenda a tutti i partecipanti.

Costo bambini: 8 € (biglietto d’ingresso al museo gratuito)

Costo adulti accompagnatori: biglietto d’ingresso alla mostra ridotto, ingresso gratuito ai possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Valle d’Aosta

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online entro il venerdi alle ore 18

Domenica 23 febbraio 2025, ore 15

I GIARDINI DI BERTHE

GAM – Attività per le famiglie

Bambini dai 6 anni in su

La visita alla mostra dedicata a Berthe Morisot permetterà ai bambini di scoprire una delle poche artiste legate all’impressionismo, che amava dipingere “en plein air” persone, paesaggi e momenti di vita quotidiana catturando con la sua pennellata luci e atmosfere uniche.

I suoi giardini saranno il punto di partenza per un’attività di laboratorio pittorico nello spazio dell’Educational Area, dove i partecipanti potranno creare colorate composizioni a colpi di pennello.

Grazie alla collaborazione tra la Fondazione Torino Musei e Biraghi al termine dell’attività sarà offerta la merenda a tutti i partecipanti.

Costo bambini: 8 € (biglietto d’ingresso alla mostra ridotto)

Costo adulti accompagnatori: biglietto d’ingresso alla mostra ridotto, ingresso gratuito ai possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Valle d’Aosta

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online entro il venerdi alle ore 18

 

 

LUNEDI 24 FEBBRAIO

 

Lunedì 24 febbraio ore 17

IL PROGETTO LEVINET: I CARTEGGI TEDESCHI DI PRIMO LEVI

Palazzo Madama – conferenza nell’ambito della mostra Giro di posta

Intervengono Martina Mengoni, Alice Gardoncini, Camilla Veneziani.

Quando Se questo è un uomo esce in una nuova edizione per Einaudi nel 1958, Primo Levi viene a sapere che un editore tedesco vuole tradurlo. Finalmente, il libro sarà letto dai tedeschi, dagli ex aguzzini, dai loro figli e figlie. Sul principio degli anni sessanta, Levi comincia a ricevere lettere dai suoi lettori tedeschi e germanofoni: nascono scambi, amicizie, vere e proprie reti di corrispondenza. Come raccontare Auschwitz per immaginare una nuova Europa? E come farlo in un’Europa già divisa in due blocchi? È possibile parlare con i tedeschi che ad Auschwitz stavano «dall’altra parte»? Lo straordinario carteggio tedesco di Primo Levi emerge per la prima volta grazie al progetto ERC Starting Grant LeviNeT, che sta costruendo un’edizione on line ad accesso libero in italiano e in inglese di queste lettere. Uno spaccato di storia culturale europea visto attraverso gli occhi di uno dei maggiori scrittori del novecento italiano.

Ingresso libero.

MERCOLEDI 26 FEBBRAIO

Mercoledì 26 febbraio
BIANCO AL FEMMINILE
Palazzo Madama – apre il nuovo riallestimento collezioni tessuti

In occasione del riallestimento della Sala Tessutimercoledì 26 febbraio 2025 Palazzo Madama presenta un’esposizione che racconta la stretta connessionemateriale e simbolica, che lega il bianco, il colore naturale della seta e del lino, alla donna.

Attraverso una ricca selezione di cinquanta manufatti tessili, di cui sei restaurati in occasione di questa occasione quattordici esposti per la prima volta, la curatrice Paola Ruffino tesse il filo di una storia secolare che passa per ricami minuti, intricati merletti e arriva al più iconico degli indumenti femminili di colore bianco: l’abito da sposa.

Ingresso incluso nel biglietto delle collezioni.

 

Mercoledì 26 febbraio ore 15.30-17.30

L’ARTE DELLA POTATURA

Palazzo Madama – appuntamento dedicato al giardinaggio nel Giardino Botanico

Rose e frutti, siepi e rampicanti: dare forma alle piante che ci circondano è un modo per mantenerle in salute e rendere più equilibrato il giardino. Nella parte teorica si discuterà delle motivazioni e delle scelte che portano a potare le piante, nella parte pratica si eseguiranno delle dimostrazioni dei tagli corretti sulle piante del giardino.

Costi: 5 € Ingresso giardino (gratuito abbonamento musei) + 5€ ogni incontro

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e- mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Prenotazione consigliata

GIOVEDI 27 FEBBRAIO

 

Giovedì 27 febbraio ore 20:30

CONCERTO IN MEMORIA DI PRIMO LEVI – DON’T FORGET ABOUT THAT

Palazzo Madama – concerto di Sira Hernandez nell’ambito della mostra Giro di posta

Il concerto si svolge nella Sala Concerti del Conservatorio “Giuseppe Verdi”

Musica e interprete: Sira Hernandez

«L’intera composizione è molto complessa e può essere letta in modi diversi. La struttura semplice su cui si basa, con un’alternanza di accordi angosciati e ossessivi che si ripetono come solidi blocchi e la sottile e dolce melodia che si insinua in questo cupo sottofondo, suggerisce che anche nelle immagini più dolorose c’è e può esserci serenità e speranza, nonostante tutto» (Enrico Fubini)

Sira Hernández è considerata una pianista tra le più brillanti del panorama contemporaneo spagnolo. Nata a Barcellona, ha studiato musica presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino sotto la guida del Maestro Remo Remoli e successivamente di Felice Quaranta. Ritornata a Barcellona ha perfezionato i suoi studi presso l’Accademia Marshall, ricevendo lezioni dalla grande pianista Alicia de Larrocha. Sira Hernández è conosciuta come una grande pianista, tuttavia la sua intensa attività non si è limitata all’esecuzione ma ha felicemente toccato anche il campo della composizione.

Ingresso libero.

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Quando la radio si fece piccola e portatile

Nell’agosto del 1955, venne commercializzata la piccola, mitica, radio portatile TR-55, interamente a transistor. Era una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo della radio e il costume. Sfortunatamente il TR-55 fu prodotto in piccola quantità e solo per il mercato interno

 

Non ho idea se vi è capitato di vedere “1941 – Allarme a Hollywood”, un film del 1979, diretto da Steven Spielberg  e interpretato, tra gli altri,  da John Belushi e  Dan Aykroyd.  Un bel film comico, che a suo modo narra la follia della guerra e, volutamente, mette in ridicolo l’esercito americano e prende di mira i valori della società a stelle e strisce. A dire il vero la comicità del film non è venne apprezzata dal pubblico statunitense, senza dimenticare che la ferita per la sconfitta in Vietnam ( appena quattro anni prima)  era ancora fresca e il pubblico sentiva il bisogno di vedere i propri valori esaltati e non sbeffeggiati. Fatto sta che la trama si svolge sei giorni dopo l’attacco di Pearl Harbor (7 dicembre 1941), con la California in preda dell’isteria, perché teme di essere la prossima vittima dei giapponesi. Un sommergibile nipponico, al largo delle coste statunitensi, ha come obiettivo colpire il simbolo dell’America: Hollywood. Ma quando la bussola e parte dei macchinari si rompe, i giapponesi devono catturare un americano per farsi dire l’esatta direzione per Hollywood. Così, rapiscono un certo Hollis P. Wood. Cosa accadrà, tra scene grottesche, le esilaranti gag di John Belushi ( il capitano Wild Bill Kelso) e la “missione” impossibile del sommergibile, non lo svelerò perché il film è da vedere. Una scena però è utile ad introdurre ciò che accadde sessantaquattro fa, il 7 di agosto del 1955. Ed è quella del tentativo,da parte dei marinai del Sol Levante, di far entrare nella torretta dello scafo la grande radio che il signor Wood portava con se. Non riuscendo nell’impresa, uno dice, sconsolato: “ricordiamoci di farle più piccole”. Così, film a parte, nel 1955, i fondatori della giapponese Sony,  Masaru Ibuka e Akio Morita,s’impegnarono a costruire una radio utilizzando un transistor, un nuovo straordinario dispositivo semiconduttore di proprietà dell’azienda americana Western Electrics. Ibuka e Morita si recarono più volte negli Stati Uniti, ma l’ambizioso progetto dei due non riuscì a persuadere i vertici della Western Electrics, piuttosto scettici. Nel libro che ha scritto, “ Made In Japan”, Morita affermò: “I responsabili di Western Electrics mi dissero che se avessimo utilizzato un transistor in un prodotto di consumo, l’unico dispositivo che avremmo potuto realizzare sarebbe stato un apparecchio acustico“.Malgrado i pareri degli esperti, i due giapponesi – determinati e testardi – non si lasciarono scoraggiare e continuarono a perseguire il proprio obiettivo. Così, dopo ricerche, sperimentazioni e analisi, con l’aiuto del fisico Leo Esaki e di un grande team di ingegneri, i due fondatori della Sony coronarono il loro sogno, riducendo sensibilmente le dimensioni del transistor e creando una radio che, nelle parole di Morita, “era più che portatile: era tascabile”. Così, nell’agosto del 1955, venne commercializzata la piccola, mitica, radio portatile TR-55, interamente a transistor. Era una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo della radio e il costume. Sfortunatamente il TR-55 fu prodotto in piccola quantità e solo per il mercato interno, tant’è che risulta oggi praticamente introvabile.  In Europa arrivò poco dopo il modello TR-63 a batteria da 9V dal costo di circa quaranta dollari. La  prima, piccola radio a transistor, da quel giorno ci accompagnò con notizie e musica. Con la certezza che, dalla torretta alla pancia del sommergibile, la TR-55 sarebbe scivolata dolcemente in giù, senza opporre resistenza.

 

Marco Travaglini

Polledro, il violinista ritrovato di Piová. Dal Teatro Regio al concerto con Beethoven

A Piová Massaia, borgo del Monferrato astigiano, nacque Giovanni Battista Polledro (1781-1853) violinista e compositore allievo del maestro Maurizio Calderara di Casale Monferrato che impartì lezioni quotidiane per oltre tre anni al musicista piovese attivo nella prima metà del 1800, oggi dimenticato, che raggiunse una celebrità di dimensione europea. Il padre Teodoro, vista la passione del figlio per il violino già sviluppatasi dall’infanzia, lo affidò al primo violino astigiano Gaetano Vay apprendendo l’arte e l’abilità che lo distingueranno tra gli altri violinisti.
Nel 1796 il quindicenne Polledro si trasferì a Torino e diventò allievo del maestro Pietro Paris della Regia Cappella, trovando impiego l’anno successivo nell’orchestra del Teatro Regio con un compenso di 100 lire tramite Gaetano Pugnani, uno dei migliori violinisti dell’epoca e primo virtuoso della Camera Reale. Polledro si trasferì nel 1805 da Torino a San Pietroburgo e Mosca, nel 1811 a Varsavia e Bratislava, nel 1812 a Berlino e Lipsia, raggiungendo una fama continentale che nessun musicista avrebbe potuto vantare, tranne Mozart. Il 6 agosto 1812 a Karlsbad avvenne l’incontro tra il modesto Polledro e il grande Beethoven che rese celebre il nostro violinista. I due musicisti organizzarono in sole dodici ore un concerto di beneficenza definito “un povero concerto dei poveri”, dedicato ai superstiti dell’incendio della città di Baden.

Beethoven lo accompagnò al pianoforte riferendo che il “signor Polledrone aveva suonato bene dopo aver superato il suo abituale nervosismo”. Nel 1816 la competizione tra i monarchi europei proiettò Polledro dal re di Sassonia come primo violino per 1500 talleri e Dresda fu definita la città della musica di Corte grazie al suo virtuosismo. Definito uno dei più eccellenti concertisti dell’epoca, fu assunto a Praga nel 1821 come maestro di cappella. In quello stesso anno si concludeva il regno di Vittorio Emanuele I° il quale, costretto anche dalla ribellione al suo governo dei militari della Cittadella, abdicava in favore del fratello Carlo Felice. Molto assente da Torino, Carlo Felice preferiva soggiornare a Genova e in Savoia, oppure nei castelli di Govone e di Agliè. Per risollevare le sorti del suo Teatro, ritornato all’antico appellativo di Regio, richiamò in patria Giovanni Battista Polledro conosciuto in Europa come uno dei pochi emuli di Paganini.

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Il compenso per il suo ritorno fu di 5000 lire equivalenti ai 1500 talleri percepiti in Sassonia, oltre ad un alloggio nei Palazzi Reali, facendo conoscere ai torinesi le grandi composizioni del classicismo viennese acquistando partiture di editori tedeschi. Nel 1831 Polledro rivendicava l’importanza della funzione del direttore d’orchestra in sostituzione del tradizionale ruolo del primo violino che imponeva un ruolo subalterno all’orchestra e al direttore. Fu fortemente contestato dall’autoritarismo della Società dei Cavalieri, rinato gruppo di aristocratici avversi alla sua ventata di novità. Dopo la morte di Carlo Felice la società fu sciolta con l’avvento di Carlo Alberto, non incline alla musica, assegnando ad una gestione impresariale le sorti del Teatro Regio ed il Teatro Carignano.

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Le sue più importanti composizioni furono la Missa Solennis per coro e orchestra e la Sinfonia Pastorale. Acquistò due violini, un Amati e un Guarneri del Gesù, le industrie cremonesi che produssero l’eccellenza della liuteria mondiale unitamente a Stradivari. A Torino nel 2012 è stata fondata l’orchestra da camera Giovanni Battista Polledro diretta dal maestro Federico Bisio, intitolata all’ultimo rappresentante della scuola violinistica piemontese. La storia dell’illustre piovatese è emersa grazie alle ricerche dell’avvocato Paolo Lupo e della professoressa Clelia Parvopassu.

Armano Luigi Gozzano 

La marchesa Beatrice Bergera Gozzani. Da Chieri a Casale Monferrato

 

 
Genealogia di un territorio e il canto 
popolare di Cavoretto 
Le proprietà della nobildonna torinese residente nel palazzo Gozzani San Giorgio di Casale Monferrato furono molto ambite e oggetto di svariate controversie e cause civili tra l’avvicendamento dei successori e le comunità di Asti e Villanova d’Asti (vassalla di Dusino) per la giurisdizione del territorio del Ducato di Savoia e Principato di Piemonte. Il feudo di Cly nel comitato di Aosta risalente al XII° secolo che comprendeva Verrayes, Dièmoz, Saint-Denis, Chambave, Torgnon e tutta la Valtournenche apparteneva alla famiglia Bosoni Challant visconti di Aosta, signori di Cly e Châtillon. Pietro, ultimo esponente Challant, ereditò il feudo dal padre Bonifacio ma il conte verde Amedeo IV° di Savoia confiscò i suoi beni per fellonia nel 1376, privandolo del titolo a causa della collera, prepotenza e tirannia verso i sudditi. Il conte, visto l’atteggiamento nei suoi confronti, cedette per transazione allo Challant il feudo di Chatel Saint-Denis nel 1384, amministrato dai suoi castellani fino al 1500, in cambio del mandamento di Cly assunto dai signori di Vernier. Il feudo di Cly fu venduto dal duca Carlo III° di Savoia, il despota illuminato, a Cesareo Cristoforo Morales nel 1550, capitano delle truppe spagnole in guerra contro i francesi ed in seguito confinato a Lipari per tradimento.
Il duca Emanuele Filiberto di Savoia lo vendette con beneficio di riscatto al suo segretario di Stato Giovanni Fabbri di Aosta nel 1562, baroni di Cly fino al 1637. Il marchese di Caselle Pietro Filiberto Roncas ereditò la proprietà nel 1638 trasferendo i resti delle vecchie mura del castello di Cly segnandone l’inevitabile declino per edificare il proprio palazzo con torre a scalare. Il feudo fu ereditato dal barone Giacomo Francesco Antonio Bergera nel 1735, marito di Giovanna Margherita dei conti Possavino di Chieri, conti di Brassicarda dal 1580 e baroni di Cly. Beatrice Teresa Bergera marchesa di San Giorgio Monferrato, contessa di Cly e Brassicarda fu infeudata dei territori nel 1778 con il marito Giovanni Battista Gozzani marchese di San Giorgio, Perletto e Pontestura, detto il marchese d’Olmo Gentile che edificarono i palazzi San Giorgio di Casale e Torino. I feudi furono ereditati da Carlo Antonio Gozzani e da Sofia Doria di Ciriè, immortalati nei ritratti casalesi di Vittorio Amedeo Grassi di Agliè, pittore ufficiale di Corte a Torino e nel 1816 da Carlo Giovanni Gozzani, cresciuto sotto tutela della zia Clara Gozzani contessa di San Giorgio.
Il groviglio feudale si concluse con Evasio Gozzani detto il cavaliere di Brassicarda (Roma 1838-Pisa 1913) nipote del più famoso Evasio detto il marchese pazzo, amministratore del principe Camillo Borghese e di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Da ricordare il vescovo di Torino Giulio Cesare Bergera (1593-1660) dei conti di Beinasco, Piobesi e consignori di Villarbasse e Cavallerleone che ingrandì la chiesa di Chieri. La bergera è anche un canto arcaico dal testo pastorale amoroso in  dialetto piemontese originario della collina di Cavoretto, elaborato secondo la lirica da camera tedesca senza stravolgere la forma da Leone Sinigaglia, compositore torinese dell’alta borghesia ebraica perseguitato dal nazifascismo. Trasferitosi a Vienna incontrò Brahms, Mahler e a Praga conobbe Dvorák, da cui ereditò l’interesse per il canto popolare, raccogliendo oltre 500 melodie  quasi scomparse. Il brano fa parte del repertorio del Casale Coro diretto dal maestro Giulio Castagnoli. Per ricordarlo è stata posta una pietra d’inciampo davanti al Conservatorio di Torino dove fu direttore del liceo musicale e Chivasso gli ha intitolato un istituto musicale comunale.
Armano Luigi Gozzano

Le case floreali di Gribodo: l’edilizia gentile a Torino

Torino è la città del Liberty, si sa. Passeggiando per le belle ed eleganti vie della citta’, soprattutto nei quartieri di Cit Turin e di San Donato, e’ facile innamorarsi dei palazzi che rappresentano questo stile raffinato che, tra fine ‘800 e i primi del 1900, diede un tocco di gusto ai progetti urbani. Conosciamo bene i capolavori di Pietro Fenoglio come Villa Scott, Casa Lafleur, il Villaggio Leuman, ma anche le case popolari di Via Marco Polo e di Via Ravello. La citta’ della prima Esposizione di Arte Decorativa Moderna del 1902 ci regala scenari affascinanti e particolari unici e di pregio presenti non solo negli edifici residenziali ed industriali, ma anche nelle insegne, nelle vetrine dei negozi e dei caffe’.

Tra coloro che contribuirono alla realizzazione di queste palazzine e villini romantici e floreali, ornati da graziose minuzie, troviamo Giovanni Gribodo che visse a cavallo del 1800 e 1900. Ingegnere e architetto, laureato presso la Scuola di Applicazione di Torino, particolare che lo accomunava a Fenoglio, era anche un entomologo; un uomo dalle diverse passioni e interessi, dunque, dallo studio degli insetti, a cui si dedico’ di piu’ a fine vita, alla progettazione di residenze dal volto gentile.

I giri turistici della citta’ pianificano sempre piu’ percorsi dove queste belle opere edilizie del Liberty sono le protagoniste, ma passeggiare fuori dal centro ed ammirare questi veri e propri capolavori attira anche i cittadini che non si stancano di visitare le meraviglie affascinanti della loro Torino.

Tra gli edifici piu’ importanti realizzati da Giovanni Gribodo ne troviamo cinque solo a via Piffetti:

Cominciamo con il civico 3, la Palazzina Mazzetta con i suoi balconi in ferro dai disegni intrecciati su un fondo grigio che le da’ un tono austero; al numero 5, invece, c’e’ Casa Masino, un edificio in mattoni rossi caratterizzato dal balcone centrale che ospita due volti femminili in pietra. Le finestre sono decorate da fregi floreali come il bel portone d’ entrata. Al 7 scopriamo, con il suo stile un po’ fiabesco, una palazzina a due piani chiamata Pola-Majola come il suo committente, edificata nel 1907 che non ebbe speciali decorazioni come le altre, ma possiede un fascino particolare che ci riporta allo stile gotico. Le Palazzine, che si trovano al civico 10 e 12, sono probabilmente le piu’ famose opere di Gribodo, due villini magnifici decorati con un centrino di motivi naturalistici in pietra bianca, inferriate in ferro battuto, balconi e vetrate con particolari preziosi.

In via Belfiore 66, in zona San Salvario, si trova un altro edificio realizzato dall’ architetto Gribodo che fu un po’ dimenticato rispetto agli altri suoi colleghi che divennero piu’ noti. Si tratta di Casa Audiberti Mottura, una bella palazzina con balconi decorati e una scala interna con particolari vivaci e colorati. Nella zona della Crimea, sull’altra sponda del Po, lo stesso architetto ha studiato e costruito il Villino Giuliano, in via Luigi Gatti 17. Composto da tre piani, questa casa dai colori caldi, e’ caratterizzata da molti dettagli tipici all’Art Nouveau: immagini di fiori, pietra scolpita e disegni geometrici morbidi classici del periodo. Nel quartiere Cenisia, in via Perosa 56, c’e’ un piccolo edificio che rappresenta un esempio in miniatura del periodo Liberty: una piccola palazzina, con un portone davvero insolito, incastonata tra edifici piu’ moderni e dai toni delicati, chiamata Casa Bosco Tachis. Tornando al quartiere di San Donato non si puo’ rimanere indifferenti davanti ad edificio piu’ corposo e perfino possente dal nome Casa Cooperativa, un palazzo in mattoni rossi ornato con rose, foglie e con dei balconi caratterizzati da disegni che si ispirano ad un floreale piu’ moderno e tondeggiante. All’interno troviamo un meraviglioso scalone bianco e nero dalla forma ovoidale davvero suggestivo

A un’ora circa da Torino e precisamente a Coazze e’ si trova un’altra opera di questo fantasioso architetto: Villa Martini, divenuta poi Antonietta, dove il Liberty viene esaltato sia all’esterno, ma anche all’interno con i suoi mobili in stile. Questa casa, edificata al centro un bellissimo giardino, ebbe ospiti illustri come `Luigi Pirandello, il Conte Cavour e Vittorio Emanuele II.

MARIA LA BARBERA

Re Umberto I, il conservatore che abolì la pena di morte

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo

Nel piazzale, davanti alla Basilica di Superga, si innalza imponente il monumento dedicato al Re Umberto I di Savoia. Su un basamento di marmo si erge un Allobrogo, guerriero capostipite dei piemontesi, con indosso un elmo alato, lunghe trecce, ascia e corno di guerra. Il guerriero tiene un braccio levato mentre con l’altro punta una spada sulla corona ferrea circondata dalle palme del martirio, in segno di fedeltà e con accanto uno scudo sabaudo lambito da due serpenti, simboli rispettivamente della dinastia reale e del tempo. Alle spalle del guerriero si trova un’ alta colonna corinzia di granito, il cui capitello in bronzo si prolunga in una figura d’aquila imperiosa ad ali spiegate, trafitta da una freccia; allegoria del re assassinato.

 

Umberto I nacque il 14 marzo 1844 a Torino, precisamente a Palazzo Moncalieri, da Vittorio Emanuele II (allora duca di Savoia ed erede al trono sabaudo) e da Maria Adelaide d’ Austria. Ebbe, come da tradizione sabauda, un’educazione essenzialmente militare e nel marzo del 1858 intrapreseproprio la carriera militare, cominciando con il rango di capitano; successivamente prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo.

Assunse, sul fronte della politica interna, una posizione rigida e autoritaria soprattutto in senso anti-parlamentare: le insurrezioni e i moti, come quelli dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia e l’insurrezione della Lunigiana (1894), che minacciavano l’ordine interno e l’unità stessa dell’Italia, lo portarono a firmare provvedimenti come ad esempio lo Stato d’Assedio. A seguito di questi e di altri gravi avvenimenti, si procedette, ad opera del governo Crispi,allo scioglimento del Partito Socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. Il suo regno fu contrassegnato da opinioni e sentimenti opposti, infatti se da alcuni venne elogiato per per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l’epidemia di colera a Napoli del1884 ( si prodigò personalmente nei soccorsi), o ad esempio per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli che portò all’abolizione della pena di morte, da altri fu aspramente avversato per il suo duro conservatorismo. Fu aspramente criticato dall’opposizione anarchico-socialista e repubblicana italiana, soprattutto per la decorazione del generale Fiorenzo Bava-Beccaris che fece uso dei cannoni contro la folla a Milano per disperdere, il 7 maggio 1898, i partecipanti alle manifestazioni di protesta scatenate dalla tassa sul macinato. Dopo esser sfuggito a due attentati, Umberto I venne ucciso a Monza il 29 luglio del 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.

A pochi mesi di distanza dall’attentato di Monza, il vice-presidente dell’Unione Artisti ed Industriali di Torino, Alessio Capello, propose l’erezione di un monumento in memoria di Umberto I, con l’idea di farlo sorgere sul colle di Superga, presso le tombe degli avi di Casa Savoia. L’assemblea dell’Unione Artisti ed Industriali, presieduta da Giacomo Rava, acconsentì all’ iniziativa e venne immediatamente costituito un Comitato esecutivo che aprì una sottoscrizione e raccolse, nel giro di pochissimo tempo, una somma di 15.000 lire provenienti da oltre ottanta comuni piemontesi e da circa cento Associazioni. L’incarico di scolpire il monumento fu affidato allo scultore Tancredi Pozzi che concluse l’opera in poco più di un anno dall’approvazione del progetto. L’inaugurazione avvenne l’ 8 maggio del 1902 alla presenza del sindaco di Torino Severino Casana, del presidente del Comitato esecutivo Alberini e del canonico Amedeo Bonnet, prefetto della Basilica di Superga, che prese in custodia il monumento per conto della Casa Reale. 

 Simona Pili Stella

 

Foto Xavier Caré / Wikimedia Commons

Furio Colombo che insegnò a raccontare New York

Se oggi si racconta New York, come Federico Rampini o Antonio Monda, lo si deve soprattutto a lui: Furio Colombo.
È giusto precisare New York, perché le corrispondenze dalla Grande Mela, prevalevano su quelle dal resto degli Stati Uniti. Si che ormai da decenni, ogni rete Rai o Mediaset ha il suo inviato dal Nuovo Mondo. Lo ricordo da universitario aggirarsi a Torino, ‘visiting professor’ per le aule di Palazzo Nuovo, col suo andare dinoccolato e un po’ snob. Classe 1931, nativo di Chatillon in Val d’Aosta, da una famiglia ebraica laica e assimilata, laurea in giurisprudenza. Iniziai a leggere le sue corrispondenze americane sulla “Terza Pagina” della Stampa. Nel suo “Mille Americhe” sempre per i tipi della casa editrice del quotidiano di Torino, uscito nel lontano 1988, racconta l’America da curioso indagatore, raccogliendo proprio gli elzeviri, scritti negli anni per quella rubrica. Sapeva porre domande al lettore, suggerendo che non tutte aspettano una risposta. Allargava lo sguardo alla società italiana, con la lente di ingrandimento americana, si che sovente intercettava un fenomeno a ‘stelle e strisce’, che poi poco tempo dopo si sarebbe riverberato in Italia e in Europa, con maggiore o uguale pervasività. Conosceva come pochi il macrocosmo giovanile, lui che rimase sempre con spirito giovane nell’ interpretarlo. Indicando strade da percorrere, idee, ma anche pericoli e insidie che questo universo di riferimento poteva nascondere ai suoi fruitori, nel mondo professionale, nel costume, nella cultura e nella morale corrente.

Sodale di Umberto Eco e Gianni Vattimo, con loro militando nell’Azione Cattolica del conservatore Luigi Gedda, fu con Angelo Guglielmi fondatore dell’avanguardia letteraria che prese il nome di Gruppo 63. Scrisse anche sotto lo pseudonimo di Marc Saudade, alcuni romanzi di spionaggio, anticipando di qualche decennio la moda del ghost writer. Diresse le Edizioni di Comunità con il sociologo Franco Ferrarotti alla Olivetti di Ivrea. Ma tutte queste cariche di rappresentanza industriale alla Olivetti e successivamente alla Fiat, non obnubilarono mai la sua vera passione, il giornalismo. Lo insegnò alla Columbia University di New York. Ricordo un bell’ articolo per la Stampa, che narrava la storia di una vecchietta, tale Olive Freud, che nei lontani anni ottanta, non si fece espropriare da Donald Trump della sua piccola casa in Amsterdam Avenue a Manhattan. Subendo pressioni legali e minacce fisiche dai suoi sgherri, impedì al tycoon di edificare nel suo quartiere, il grattacielo dei grattacieli. Vincendo la causa. Negli anni successivi fondò un associazione, contro l’abusivismo edilizio che stava facendo della Big Apple sempre più, un unica giungla di asfalto e cemento. Facendo ridurre di molti piani, edifici che violavano palesemente i piani regolatori, la intrepida nonnina, divenne un eroina americana a cavallo dei due secoli. Anticipatrice del movimento Occupy Wall Street. Furio Colombo prese anche posizioni in difesa di Israele durante la Guerra del Golfo in Iraq. Fu primo firmatario e promotore in Parlamento da Onorevole , della legge sulla Giornata della Memoria. Riposa a Roma accanto a Antonio Gramsci. Giornalista di cui oggi si è persa la stoffa, capace come pochi a dare una lettura a volte forse faziosa, ma comunque sempre puntuale per qualunque punto di vista ideologico, alla crisi di valori e alle tensioni del nostro tempo.

Aldo Colonna

Giulia di Barolo, la progressista della beneficenza e della compassione

Una straordinaria figura del nostro ‘800

Nata nel 1786 a Maulevrièr, in Francia, Juliette Françoise Victurnie Colbert discendente di una importante famiglia che aveva visto il padre Ministro delle Finanze del Re Luigi XIV, in seguito alla Rivoluzione Francese, dopo aver perso beni e parenti, si trasferi’ in Germania e in Olanda. Nel 1804, quando Napoleone Bonaparte si incorono’ imperatore dei francesi, Jiuliette, tornata in patria, divenne una delle dame di compagnia dell’imperatrice ed e’ proprio in questo rinnovato contesto che conobbe il suo futuro marito: il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo appartenente ad una delle più importanti famiglie aristocratiche del Piemonte. Nonostante fu un matrimonio combinato, come si usava ai tempi, la loro unione si trasformo’ in un sodalizio molto forte dovuto sia alle loro affinita’ d’interessi, di cultura e ad una spiccata sensibilita’ per le questioni sociali, ma anche alla reciproca compensazione caratteriale, “più ardente, generosa e volitiva, intransigente nelle idee per temperamento e tradizione” lei ,” meno espansivo, più liberale e facilmente remissivo, ma non meno ricco di sentimento e di bontàlui.

Dopo il matrimonio si stabilirono nella Torino dei Savoia, ma anche di Cavour e di D’Azeglio, a Palazzo Barolo in via delle Orfane, dove iniziarono le loro attivita’ benefiche in una citta’ che soffriva molto di poverta’, vagabondaggio, criminalita’ e dove le carceri affollate versavano in terribili condizioni di igiene e invibilita’. Tutto comincio’ durante una passeggiata domenicale quando Jiuliette, oramai Giulia, incrocio’ una processione che portava il viatico ad un carcerato che ribellandosi disse che non voleva conforto, ma piuttosto del cibo. Giulia volle subito visitare le carceri, quelle maschili prima, le femminili dopo, che trovo’ in uno stato disumano. Questo terribile scenario la convinse subito a voler fare qualcosa e chiese al Re di poter insegnare loro a leggere e il catechismo, ma soprattutto di restituirgli una dignita’ oramai persa. Ci riusci’ e cosi’ comincio’ il suo percorso di supporto alle carcerate che divento’ un vero e proprio impegno istituzionale quando divento’ sovraintendente delle prigioni di Torino. Come prima cosa fece trasferire le “forzate” nelle Torri Palatine, un luogo piu’ luninoso e salutare, ma la cosa piu’ importante, per cui mise tutto il suo impegno, fu la riforma per le carceri piemontesi che si ispirava a quelle inglesi e danesi. Riusci’ a far commutare le pene in lavoro, accorcio’ i processi e trasformo’ le leggi discutendone prima con le detenute. Nacquero cosi’ dei “refugium peccatorum” dove si poteva lavorare, guadagnare, ma sopra ogni cosa era possibile essere reinserite all’interno della societa’. Dopo questi epocali cambiamenti che impattarono sul tessuto sociale i coniugi di Barolo crearono scuole e asili nido che affidarono alle suore di Sant’Anna, ma anche orfanotrofi, dove passava a dare la sua benedizione anche Don Bosco che collaboro’ molto con Giulia, e l’Ospedaletto per i bambini disabili. Per essere sicura che il suo impegno si protraesse anche quando non ci fosse stata piu’ istitui’ l’Opera Pia Barolo e fece costruire la chiesa di Santa Giulia, nel quartiere Vanchiglia, dove riposa dal 1899. Le sue iniziative, le sue idee, i progetti, ma anche i suoi pensieri sono raccolti in un diario da cui si evince la personalita’ di Giulia di Barolo, una donna straordinaria, romantica, generosa, una eroina di tutti i tempi.

E’ possibile rivivere la storia dei marchesi di Barolo visitando il Palazzo omonimo a Torino che fu il piu’ famoso salotto del Risorgimento di Torino e dove venne ospitato Silvio Pellico.

MARIA LA BARBERA

Il Giorno del Ricordo, quando era vietato parlare di foibe

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
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In questo giorno del ricordo voglio raccontare per la prima volta un episodio. Amico per molti anni di Valerio Zanone, di cui ho sempre apprezzato la cultura, ho avuto con lui un qualche dissenso. In particolare una volta  gli chiesi come mai i laici, i liberali, i democratici per decine di anni avessero ignorato il tema delle foibe e dell’esodo. Anche i democristiani si comportarono in modo analogo.  Zanone non ebbe esitazione nel rispondermi  che le foibe erano un tema missino e che non si doveva portare acqua alla destra fascista senza aggiungere altro. Rimasi senza parole. In tempi successivi posi la stessa domanda a Giovanni Spadolini che in modo più articolato e raffinato culturalmente disse le stesse cose di Zanone. Solo l’onesta’intellettuale dell’ antifascista nativo di Fiume Leo Valiani che in giovinezza era stato comunista  portò’ il vecchio senatore a dirmi che  bisognava superare l’errore di aver ignorato le foibe , “una tragedia della storia italiana”. Mi disse anche che Mario Pannunzio non aveva ignorato quella tragedia e che era un dovere dei giovani riscattare l’errore grave che “la mia generazione” aveva commesso. C’erano ancora in circolazione politici che erano stati fascisti e che avevano tentato di cancellare il passato da nascondere anche ignorando la storia. Ricordo che una  volta Davide Lajolo,  già gerarca fascista e combattente in Spagna dalla parte di Franco, diventato  poi partigiano e deputato comunista, si alzò da tavola dove stavamo cenando perché ritenne una provocazione intollerabile il fatto che io avessi avviato un timido discorso sulle foibe alla presenza della poetessa esule da Zara Liana De Luca. Intervenne un altro commensale e l’ira di Lajolo si mitigò, anche se ribadì : “questi discorsi lasciamoli ai fascisti”. E non aggiunse altro, riprendendo il pranzo. Questo era il clima degli anni 70. I comunisti negavano perfino la possibilità di parlare delle foibe, ma anche i non comunisti non erano tanto meglio. Il trattato di Osimo che Valiani definì “indegno” e che fu una capitolazione definitiva  e impacciata  nei confronti di Tito fu opera di un governo di centro – sinistra del 1975 . Dietro c’era la regia del PCI, ma   il
Ministro degli Esteri era Mariano Rumor Dc e doroteo.