STORIA- Pagina 22

“La Scintilla” racconta la Repubblica dell’Ossola

 

8.11.43 LA SCINTILLA

 

Proiezione del documentario

in occasione del 25 aprile – Festa della Liberazione

Regia di Marzio Bartolucci e sceneggiatura di Arianna Giannini

con le animazioni di Fabio Marascio

Lunedì 22 aprile 2024

ore 17:00

Palazzo Madama Torino – Sala Feste


Palazzo Madama
– Museo Civico d’Arte Antica presenta, in occasione della Festa della Liberazione, il documentario che racconta un episodio storico avvenuto l’8 novembre 1943 a Villadossola (VCO) dove ebbe luogo una delle primissime insurrezioni contro l’occupazione tedesca e la neocostituita Repubblica Sociale Italiana.

Grazie ad alcune testimonianze, immagini di repertorio e un’animazione in bianco e nero, il film racconta l’insurrezione dei partigiani affiancati da giovani e operai guidati dalla figura di Dante Zaretti, detto il “Barbarossa”. Il film è basato sul libro “8.11.43” di Carlo Squizzi ed è stato realizzato nel 2023 per l’80mo anniversario di ricorrenza dall’episodio storico.

Alla proiezione parteciperanno il regista Marzio Bartolucci, la sceneggiatrice Arianna Giannini e l’autore delle animazioni Fabio Marascio.

 

Palazzo Madama. Sala Feste

Ingresso libero / fino a esaurimento posti

Info: www.palazzomadamatorino.it ; madamadidattica@fondazionetorinomusei.

 

Garibaldi, l’animalista in camicia rossa

Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, uno dei padri della patria, oltre ad essere sempre pronto – come dice Massimo Bubola nel testo della sua bella canzone, “Camicie rosse” – “a menare le mani per la libertà”, nutriva uno sconfinato amore per gli animali. Ed è questo,  probabilmente, uno degli aspetti meno conosciuti della sua complessa e poliedrica personalità. Un amore, il suo, che lo spinse nel  1871 a fondare, assieme alla contessa di Southerland, la “Società Reale per la protezione degli animali“, divenuta poi l’attuale Enpa.

 

Sfogliando le note storiche dell’ Ente Nazionale per la Protezione degli Animali  – che custodisce documenti e lettere firmate di suo pugno da Garibaldi – si scopre infatti che le origini stesse dell’associazione vanno fatte risalire al 1° aprile 1871, anno in cui Giuseppe Garibaldi, su invito di una nobildonna inglese – lady Anna Winter, contessa di Southerland –  incaricò con una lettera inviata da Caprera il suo medico personale, dottor Timoteo Riboli, di costituire una società per la protezione degli animali, annoverando la signora Winter , il medico e se stesso come soci fondatori e presidenti onorari. Un atto fondamentale che costituisce il più antico documento conosciuto contro il maltrattamento degli animali.

 

Fu così che nacque la “Società Reale per la Protezione degli Animali“, con un ufficio provvisorio a Torino, al primo piano del n. 29 di via Accademia Albertina, di cui la storica tipografia di Vincenzo Bona stampò, nel 1872, uno Statuto Sociale, stilato in lingua italiana, inglese, francese e tedesca.

Marco Travaglini

Via dell’Arcivescovado, da Gramsci a Einaudi

In questo palazzo ebbe sede la redazione del giornale di Gramsci e degli altri futuri fondatori del Pcd’i, come prima l’aveva avuta l’edizione piemontese de “L’Avanti!” e, in seguito, si sarebbe insediata, il 15 novembre del 1933 e per qualche tempo, la casa editrice Einaudi

In via dell’Arcivescovado, a Torino, quasi all’angolo con via XX Settembre, su uno dei muri dell’ex convento che oggi ospita una banca, il 27 aprile del 1949 è stata posta una lapide da «Torino memore » dove si ricorda che lì «La forte volontà/ e la mente luminosa/ di Antonio Gramsci/ stretti attorno a lui/ gli operai torinesi/ contro la barbarie/ fascista prorompente/ “L’Ordine Nuovo”/ stendardo di libertà/ qui nella bufera/levarono e tennero fermo».

In questo palazzo ebbe sede la redazione del giornale di Gramsci e degli altri futuri fondatori del Pcd’i, come prima l’aveva avuta l’edizione piemontese de “L’Avanti!” e, in seguito, si sarebbe insediata, il 15 novembre del 1933 e per qualche tempo, la casa editrice Einaudi. In via dell’Arcivescovado nei «due grandi cameroni, in cui lavoravano tutti i redattori e i cronisti», come ricordava Palmiro Togliatti, nacque, visse e morì “L’Ordine Nuovo” di Gramsci. In via dell’Arcivescovado  ci passa tanta gente, tutti i giorni. Chissà quanti alzando gli occhi, magari casualmente, si soffermano a leggere quella lapide. E quanti impegneranno almeno qualche attimo soffermandosi a pensare a quell’insieme di uomini e di cultura, immaginando il fervore delle idee, delle passioni, dei progetti che si addensarono in quelle stanze luogo. Probabilmente pochi. E per i più varrà quell’indifferenza che Gramsci condannò con veemenza in uno dei suoi scritti più noti, “Odio gli indifferenti”.  Lo scrisse per La città futura, numero unico pubblicato nel febbraio del 1917 a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista.

Scriveva, tra l’altro, Gramsci: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti..L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza…Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti…”.

Marco Travaglini

 

Un po’ di chiarezza sui liberali dopo la pubblicazione del “manifesto torinese”

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IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il manifesto “liberale”  torinese ha  creato un po’ di confusione a livello locale e nulla di più. Miei amici romani con cui sono stato, non ne sapevano nulla.
Per i non addetti andrebbe comunque distinto il termine “liberale”  contrapposto a quello “illiberale”  in senso molto ampio, anche se molti liberali senza virgolette sono “illiberali” e settari come molti dei grigi firmatari torinesi del manifesto, che è una dichiarazione anti destra  che rivela una certa ignoranza storica di fondo.  In primis andrebbe dimostrato che essere anti destra sia liberale. La destra storica erede di Cavour fu certamente liberale, come liberale fu la sinistra di Depretis, mentre quella di Crispi fu reazionaria e forcaiola ed anticipò la svolta reazionaria di fine ‘800.

Andrebbe anche fatta una riflessione sulla parola liberal-democratico con o senza  trattino che fu oggetto di raffinate ed inutili discussioni.  Nei liberal-democratici

Mario Pannunzio

rientrarono anche i repubblicani malgrado i due La Malfa rifiutassero quella appartenenza che ebbe solo Francesco Compagna, secondo il quale Pannunzio fu un “liberale duro e puro” e non un radicale. Pininfarina e Gawronski sono stati due deputati liberal-democratici al Parlamento come non fu neppure Bettiza. Una analoga riflessione dovrebbe riguardare Marco Pannella leader radicale profondamente liberale. Un autorevole giornalista ha citato come appartenenti alla cultura liberal-democratica  Bobbio e Alessandro Galante Garrone che invece si possono definire liberal-socialisti o socialisti liberali, ambedue vicini al PCI come lo fu Gobetti e  lo furono molti suoi seguaci. I gobettiani in genere come Antonicelli (che finì fiancheggiatore di “Lotta continua”) finirono tutti nel PCI: la sinistra indipendente – come mi disse Lucio Libertini con coraggio – fu indipendente da tutti salvo che dal PCI che faceva eleggere i vari intellettuali  comunisteggianti.

Giovanni Giolitti

Gobetti stesso non fu mai veramente liberale perché la sua “Rivoluzione liberale” fu un ossimoro: i rivoluzionari non sono mai liberali, ma sono giacobini e i liberali non sono mai rivoluzionari, ma riformisti o conservatori. Forse queste cose quasi tutti i cento firmatari torinesi non le sanno. Essi non dovrebbero ignorare che i grandi liberali furono Cavour, Minghetti, Lanza, Giolitti, Francesco Ruffini, Soleri, Croce, Einaudi, Malagodi, Gaetano Martino, Vittorio Badini Confalonieri, Pannunzio,  Matteucci, Leoni, oltre a Popper e agli Austriaci. Spesso siamo ancora fermi alle giravolte di Francesco Forte, socialista con conversione berlusconiana  o altre corbellerie del genere. Nei berlusconiani gli unici liberali di rilievo sono stati Antonio Martino, Alfredo Biondi e  Giuliano Urbani, mentre nella sinistra stento a riconoscere dei liberali.  Questa è una realtà oggettiva che attende smentite perché i Liberali veri non presumono di possedere la verità.

Il Museo del Risorgimento si rinnova con l’audioguida

La culla dell’Unità nazionale si rinnova attraverso una mostra, un convegno internazionale, un ciclo di incontri e un mese di aperture straordinarie del Parlamento Subalpino: la prima Assemblea italiana: il  Museo Nazionale del Risorgimento Italiano vuole caratterizzarsi sempre più come “un luogo culturale attivo, attrattivo, relazionato con la città” e relazionarsi con il mondo della ricerca e con le altre istituzioni a livello nazionale.

E’ la visione del nuovo direttore del Museo, Alessandro Bollo, che  ha presentato ai giornalisti, insieme con la presidente Luisa Papotti, il programma culturale 2024, all’interno della biblioteca storica di Palazzo Carignano, uno scrigno di 100mila volumi e oltre 200mila documenti dell’epoca, un patrimonio su cui è in corso un importante lavoro di digitalizzazione.

Il programma inizierà con  l’apertura straordinaria del Parlamento Subalpino, visitabile tutte le domeniche dal 5 maggio al 2 giugno. Una sperimentazione che permetterà di valutare i costi, con l’obiettivo di tenerlo sempre aperto.

Più giovani e più turisti saranno coinvolti in autunno grazie alla videoguida di nuova generazione per fornire percorsi differenziati, rivolti ai ragazzi e alle famiglie. “Vogliamo un nuovo rapporto tra il museo e la città – ha spiegato Bollo – e per questo realizzeremo in autunno un nuovo sistema informativo e narrativo, cartaceo e digitale, che consentirà ai visitatori di scoprire e conoscere i luoghi del Risorgimento di Torino”.

La mostra “Rileggere il Risorgimento. Torino- Italia 1884 – 2024”, a metà ottobre racconterà di un momento fondativo della storia del Museo, così come di molti altri Musei del Risorgimento in Italia: il primo allestimento del Tempio del Risorgimento, all’interno dell’Esposizione Generale Italiana del 1884 che si tenne a Torino al Valentino. La mostra sarà anche un grande esercizio di riflessione sull’oggi, che coinvolgerà i principali musei del Risorgimento in Italia, ai quali sarà chiesto di selezionare oggetti e simboli capaci di “comunicare” alle persone e ai giovani d’oggi il valore simbolico del Risorgimento e dei suoi ideali nel presente.

Dal 4 al 6 dicembre, invece, i più importanti studiosi italiani ed europei si riuniranno per il Convegno Internazionale dal titolo “Rileggere il Risorgimento. Torino 1884 – 2024”, organizzato insieme all’Università di Torino e al Comitato di Torino dell’Istituto di Storia per il Risorgimento Italiano con l’obiettivo di fare il punto sullo stato dell’arte sugli studi storiografici risorgimentali.

Il numero dei visitatori è già cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: nei primi tre mesi dell’anno il Museo ha registrato 36mila presenze, a fronte delle 31mila dello stesso periodo dell’anno precedente. Complessivamente le presenze nel 2023 erano state 128mila.E per il futuro si vuole fare ancora di più.  (il Torinese.it)

Al MAO incanti e misteri di Al-Ula e dell’Arabia Saudita

PETRA D’ARABIA

Conferenza di Sherif El Sebaie alla scoperta del sito di Alula

Mercoledi 17 aprile 2024 ore 18
MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

Mercoledi 17 aprile il MAO è felice di ospitare una conferenza di Sherif El Sebaie – consulente scientifico in fase di allestimento museale della galleria dei Paesi Islamici del MAO – di ritorno da un lungo periodo di permanenza in Arabia Saudita, in qualità di Coordinatore Organizzativo e Supervisore Logistico della prima missione di formazione per giovani restauratori sauditi guidata dal Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale.

Sherif El Sebaie svelerà i segreti di Alula, crocevia geografico e culturale, luogo di incontro e di scambi lungo le antiche rotte commerciali dell’incenso e del pellegrinaggio islamico. Capitale degli antichi regni di Dadan e Liyhan, poi ultimo avamposto del Regno dei Nabatei prima della conquista romana, Alula è un museo a cielo aperto che culmina a Hegra, primo sito in Arabia Saudita dichiarato Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco, dove monumentali tombe ben conservate, scavate negli affioramenti di arenaria, testimoniano il prestigio e i legami internazionali dei suoi antichi abitanti.

L’incontro, organizzato a margine della mostra Tradu/izioni d’Eurasia e reso possibile grazie alla collaborazione con la Royal Commission for Al-Ula e al sostegno di Assointerpreti – Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria nell’ambito delle celebrazioni del cinquantenario dell’Associazione Nazionale Interpreti di Conferenza, è anche l’occasione per interrogarsi su fenomeni quali la circolazione delle idee, delle lingue, degli stili e delle tecniche artistiche e artigianali avvenute fra paesi, popoli ed epoche diversi e di come, al variare del contesto, i significati si trasformino e si adattino. Il polo archeologico di Alula, esempio concreto di questa circolazione, di questi continui scambi, testimonia della fragilità del concetto di altro da sé ed evidenzia legami dove si ipotizzava ci fossero confini, in un gioco di prossimità e fascinazione reciproca.

 

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

 

Don Bosco santo da 90 anni

E’ festa sul Colle astigiano e a Torino per San Giovanni Bosco, il santo piemontese più famoso e fra i più noti in assoluto. Il fondatore dei Salesiani fu proclamato Santo novanta anni fa da Papa Pio XI nell’aprile del 1934. “Le opere e le grazie che lo contraddistinsero, scrive Pio XI nel decreto di canonizzazione, resero universale l’opinione che, allo scopo di promuovere la restaurazione cristiana dell’umana società, deviata dal sentiero della verità, Dio avesse inviato Giovanni Bosco”. Insieme al muratorino astigiano Bartolomeo Garelli don Bosco iniziò a radunare al Convitto ragazzi e giovani per il catechismo per formare tra i giovani del quartiere “buoni cristiani e onesti cittadini”. San Giovanni Bosco dedicherà la sua esistenza ai giovani scrivendo molti libri, creando scuole, seminari, oratori e proponendo un nuovo sistema educativo che sintetizza la filosofia educativa del santo in tre parole, ragione, religione e amorevolezza. Anche Papa Francesco è un suo grande ammiratore: “per migliaia di piccoli abbandonati, disperati e destinati a un’esistenza di stenti ed esclusione, ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza”. Don Bosco morì a Torino il 31 gennaio 1888 ed è sepolto a Maria Ausiliatrice. Il primo successore del santo fu il beato salesiano Michele Rua.          fr 

L’inno di Mameli affidato agli studenti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
A Carcare dopo il  convegno di ieri, tenuto nei  locali della  scuola media,   su chi scrisse per  davvero l’Inno nazionale (Mameli o padre Cannata)  il Comune corre ai ripari e affida ad una borsa di studio offerta agli studenti dell’Università di Genova la ricerca relativa all’autore dell’inno nazionale. Il relatore unico  del convegno, l’ottuagenario e prestigioso  prof. Aldo Alessandro Mola di Torre San Giorgio,   accademico e senatore del regno,  non deve aver molto  convinto con la sua tesi, vecchia di trent’anni, su padre Cannata, lo scolopo  che sarebbe  stato il vero autore dei versi (per altro orribili) dell’inno musicato da Novar . Si tratta di una tesi  senza  reali prove,  fondata  sul pettegolezzo di paese, che non ha mai trovato riscontri e che offende la memoria di Mameli morto eroicamente  nella disperata difesa della Repubblica romana. L’esito della tesi esposta a Carcare ha portato il Comune  ad affidarsi a degli studenti. Un esito incredibile, anche se  forse abbastanza  prevedibile. Per evitare di infierire non riporto cosa mi disse il pro . Umberto Levra  ordinario di Storia del Risorgimento a Torino e presidente del Museo nazionale del Risorgimento  su quella tesi bizzarra.
La decisione del  Comune di Carcare rende  un po’ ridicolo il convegno organizzato dallo stesso Comune, anche perché un convegno con un solo relatore, sia pure del livello del Mola di Torre San Giorgio, è cosa davvero insolita se non unica.  Affidare agli studenti di accertare la verità appare una dolorosa  smentita al celebre, anziano Maestro che non meritava  un affronto così  duro il giorno stesso del convegno che avrebbe dovuto celebrarlo insieme all’amato padre scolopo. Questa è una storia incredibile di cui mai avrei voluto scrivere, che però merita di essere conosciuta per come la storia  oggi è a volte considerata. Le vulgate non muoiono mai purtroppo. Quelle di sinistra e quelle di destra. Meriterà comunque  leggere la ricerca affidata agli studenti di Genova. A volte affidarsi ai giovani risulta essere la scelta migliore.