STORIA- Pagina 21

Don Bosco santo da 90 anni

E’ festa sul Colle astigiano e a Torino per San Giovanni Bosco, il santo piemontese più famoso e fra i più noti in assoluto. Il fondatore dei Salesiani fu proclamato Santo novanta anni fa da Papa Pio XI nell’aprile del 1934. “Le opere e le grazie che lo contraddistinsero, scrive Pio XI nel decreto di canonizzazione, resero universale l’opinione che, allo scopo di promuovere la restaurazione cristiana dell’umana società, deviata dal sentiero della verità, Dio avesse inviato Giovanni Bosco”. Insieme al muratorino astigiano Bartolomeo Garelli don Bosco iniziò a radunare al Convitto ragazzi e giovani per il catechismo per formare tra i giovani del quartiere “buoni cristiani e onesti cittadini”. San Giovanni Bosco dedicherà la sua esistenza ai giovani scrivendo molti libri, creando scuole, seminari, oratori e proponendo un nuovo sistema educativo che sintetizza la filosofia educativa del santo in tre parole, ragione, religione e amorevolezza. Anche Papa Francesco è un suo grande ammiratore: “per migliaia di piccoli abbandonati, disperati e destinati a un’esistenza di stenti ed esclusione, ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza”. Don Bosco morì a Torino il 31 gennaio 1888 ed è sepolto a Maria Ausiliatrice. Il primo successore del santo fu il beato salesiano Michele Rua.          fr 

L’inno di Mameli affidato agli studenti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
A Carcare dopo il  convegno di ieri, tenuto nei  locali della  scuola media,   su chi scrisse per  davvero l’Inno nazionale (Mameli o padre Cannata)  il Comune corre ai ripari e affida ad una borsa di studio offerta agli studenti dell’Università di Genova la ricerca relativa all’autore dell’inno nazionale. Il relatore unico  del convegno, l’ottuagenario e prestigioso  prof. Aldo Alessandro Mola di Torre San Giorgio,   accademico e senatore del regno,  non deve aver molto  convinto con la sua tesi, vecchia di trent’anni, su padre Cannata, lo scolopo  che sarebbe  stato il vero autore dei versi (per altro orribili) dell’inno musicato da Novar . Si tratta di una tesi  senza  reali prove,  fondata  sul pettegolezzo di paese, che non ha mai trovato riscontri e che offende la memoria di Mameli morto eroicamente  nella disperata difesa della Repubblica romana. L’esito della tesi esposta a Carcare ha portato il Comune  ad affidarsi a degli studenti. Un esito incredibile, anche se  forse abbastanza  prevedibile. Per evitare di infierire non riporto cosa mi disse il pro . Umberto Levra  ordinario di Storia del Risorgimento a Torino e presidente del Museo nazionale del Risorgimento  su quella tesi bizzarra.
La decisione del  Comune di Carcare rende  un po’ ridicolo il convegno organizzato dallo stesso Comune, anche perché un convegno con un solo relatore, sia pure del livello del Mola di Torre San Giorgio, è cosa davvero insolita se non unica.  Affidare agli studenti di accertare la verità appare una dolorosa  smentita al celebre, anziano Maestro che non meritava  un affronto così  duro il giorno stesso del convegno che avrebbe dovuto celebrarlo insieme all’amato padre scolopo. Questa è una storia incredibile di cui mai avrei voluto scrivere, che però merita di essere conosciuta per come la storia  oggi è a volte considerata. Le vulgate non muoiono mai purtroppo. Quelle di sinistra e quelle di destra. Meriterà comunque  leggere la ricerca affidata agli studenti di Genova. A volte affidarsi ai giovani risulta essere la scelta migliore.

Nella fortezza del Conte, il signore del Monferrato

Una domenica al castello del conte Calvi di Bergolo. Il proprietario, il conte Niccolò in persona, ci ospita nella sua dimora del Trecento tra torri, merli, fossati, scuderie e un vasto parco di 25 ettari con alberi secolari. Siamo a Piovera, piccolo comune di quasi 800 abitanti nelle campagne di Alessandria, un borgo rurale a una ventina di chilometri dal capoluogo.
È nato come fortezza per difendere il territorio circostante nel XIV secolo su antichi accampamenti di origine romana e longobarda e sui resti di un convento forse templare. E qui inizia la sua lunga storia, una storia piena di fascino e bellezza. É un complesso fortilizio a ferro di cavallo, con torri ovali e due massicce torri quadrangolari, difeso da un fossato, un tempo pieno d’acqua, e da una cinta muraria. Diventò una fortezza poderosa per mano dei Visconti di Milano e sotto i Balbi, potente famiglia genovese che lo acquistò nel Seicento, l’edificio fu trasformato in una residenza nobiliare alla fine del 1800. Oggi è proprietà del conte Niccolò Calvi di Bergolo che con la moglie Annamaria e il figlio Alessandro lo ha acquistato dai cugini Doria-Odescalchi, ultimi eredi dei Balbi. Il maniero è passato indenne sotto diverse dominazioni.
Dopo i Visconti il castello passò agli spagnoli e ai francesi, fu residenza dei Savoia fino a giungere nel Seicento nelle mani della nobile famiglia dei marchesi Balbi di Genova che diedero un doge alla Superba e che ebbero rapporti d’amicizia e di interesse con Napoleone. I Balbi lo trasformarono in una signorile e romantica residenza di campagna. Gli ultimi proprietari, i Doria Odescalchi, cedettero la proprietà a un cugino, il conte Niccolò Calvi di Bergolo che dal 1967 custodisce questo antico gioiello aprendolo ai visitatori. È interamente visitabile, dal salone degli stemmi alla biblioteca, dalle stanze da letto con arredi di gusto Barocco ai bagni di un tempo, passando per corridoi animati da manichini con abiti d’epoca, dalle cantine storiche al singolare e sorprendente museo degli antichi mestieri, dalla sala delle carrozze alle antiche scuderie. Non mancano le opere del conte, pittore e artista, che tiene lezioni di “arte creativa”. Il magnifico parco è un posto ideale per chi cerca un’oasi di pace dove trascorrere una piacevole giornata festiva mentre il Giardino all’inglese è una location per eventi di vario tipo. Il castello, aperto al pubblico da aprile a ottobre con visite guidate nella dimora e nella fattoria didattica, si trova a 5 chilometri dall’uscita di Alessandria est della Torino-Piacenza, dista circa un’ora e 20 minuti di auto da Torino e una ventina di minuti da Alessandria. Per informazioni sulle aperture del castello di Piovera: tel. 346 2341141, info@castellodipiovera.    
Filippo Re

Su RMC le residenze reali di Torino e del Piemonte

Sino al 31 dicembre Radio Monte Carlo è l’emittente ufficiale del circuito delle Residenze Reali Sabaude grazie alla collaborazione nata tra Turismo Torino e Provincia e l’emittente radiofonica del Gruppo RadioMediaset.
La partnership prevede una serie di attività on air, on field, digital & social per tutto l’anno per la promozione del circuito delle Residenze Reali Sabaude del Piemonte, Patrimonio Unesco dal 1997.
Tra le varie attività si evidenzia la programmazione da parte di Radio Monte Carlo di una serie di appuntamenti gioco on air per raccontare le diverse experience da vivere sul territorio: dalla Merenda Reale, il rito tanto amato da Casa Savoia a base di cioccolata calda o Bicerin abbinata alla pasticceria artigianale da assaporare in alcuni locali e caffè storici all’Aperitivo in Basilica proposto dal tour operator Il Mondo In Valigia; da Una notte a Palazzo Reale proposto da Somewhere Tours & Events al Royal Pass, il pass che consente di accedere gratuitamente al circuito delle Residenze Reali Sabaude di Torino e del Piemonte.
Siamo certi – sottolinea Guido Curto, Direttore Generale del Consorzio Residenze Sabaude – che l’attività con Radio Monte Carlo garantirà un’importante visibilità alle 16 Residenze Reali del Piemonte, attraverso la promozione del biglietto unico “Royal Pass” e delle tante attività che il sistema esprime nel corso di tutte le stagioni. Ringraziamo Turismo Torino e Provincia per la consueta collaborazione nella promozione e valorizzazione del patrimonio culturale piemontese“.
Grazie alla media partnership con Radio Monte Carlo iniziata nel 2022 – sottolinea Marcella Gaspardone, Dirigente Turismo Torino e Provincia – le Residenze Reali Sabaude del Piemonte saranno le protagoniste di un’importante comunicazione che permetterà ai radioascoltatori di vivere bellissime esperienze”.
I programmi dell’emittente, il sito web (radiomontecarlo.net) e i social network di Radio Monte Carlo daranno ampio risalto alla collaborazione. Turismo Torino e Provincia, per contro, garantirà la visibilità del logo di Radio Monte Carlo su tutti i materiali previsti di comunicazione legati alle iniziative selezionate e all’interno dei 15 Uffici del Turismo presenti sul territorio e nelle location coinvolte; non mancherà il coinvolgimento dei canali social ufficiali dell’ATL (FB corporate, oltre 66.000 follower, FB Press più di 1.730, IG più di 63.600 follower, Linkedin oltre 11.000 follower, Tik Tok oltre 4.790 follower) e delle newsletter mensili previste nel periodo della partnership per supportare le iniziative selezionate.

“Questa è una partnership cui teniamo molto perché Radio Monte Carlo ogni giorno sceglie di valorizzare luoghi d’arte e di cultura italiani” – afferma Stefano Bragatto, direttore di Radio Monte Carlo – “La collaborazione con Torino Turismo e Provincia è pienamente coerente con la vocazione della nostra emittente e l’attenzione che quotidianamente poniamo nell’accompagnare chi ci segue alla scoperta del nostro amato Paese”.

A Santhia’ apre il museo del carnevale

Santhià celebra il carnevale più antico del Piemonte:
inaugura il 14 aprile il Carvè Museum, interamente dedicato alla manifestazione folclorica
Santhià, 8 aprile 2024 – È in programma domenica 14 aprile, alla presenza del Sindaco Angela Ariotti e del Presidente della Provincia Davide Gilardino, l’inaugurazione del Carvè Museum. La cerimonia, prevista alle ore 16.30 nello storico “Palazzo del Capitano” di via De Rege Como, 7 a Santhià (VC), sarà il momento clou della giornata di festa che prevede numerose iniziative di celebrazione. Un importante appuntamento per gli appassionati di cultura e folklore locale perché il museo è interamente dedicato alla storia della più famosa manifestazione cittadina: il Carnevale più antico del Piemonte attestato fin dall’anno 1093.
Il Carvè Museum è un museo didattico che si sviluppa al primo piano e, grazie a un ricco assortimento di materiale originale e ricostruzioni artigianali, farà conoscere ai visitatori tutto quanto c’è da sapere su una festa che ha quasi mille anni di storia e colloca Santhià nel solco delle grandi tradizioni carnascialesche europee. Un viaggio unico nel suo genere alla scoperta di un’usanza che affonda le sue radici nella notte dei tempi, un inno alla libertà sorto – a seconda delle interpretazioni – per festeggiare la fine della tirannia, la celebrazione di un matrimonio ostacolato dai potenti locali, la scampata paura della fame. Un fenomeno collettivo capace di richiamare nell’edizione 2024 della manifestazione 40.000 turisti, 2.000 figuranti in maschera, una trentina di Compagnie del Carnevale e numerosi gruppi musicali.
Il Carvè Museum è stato realizzato grazie al finanziamento ottenuto dalla Direzione Generale dello spettacolo del Ministero della Cultura per i carnevali storici del 2023 e collocato all’interno dell’antica casa tardo-quattrocentesca denominata “Palazzo del Capitano”, che ospiterà anche la nuova sede della Pro Loco di Santhià. Quasi un ritorno alle origini per l’associazione, che ebbe qui la sua sede dal 1978 al 1986, che potrà contare su una struttura totalmente rinnovata oggetto di un profondo intervento di restauro reso possibile dall’opera del mecenate Alessandro Caprioglio.
“Con grande emozione invito tutti quanti a partecipare a questo importante appuntamento, che mi porta a ricordi lontani, ma che nello stesso tempo ci proietta verso nuove avventure” dichiara il Presidente della Pro Loco Fabrizio Pistono. “Come i visitatori potranno vedere, al piano rialzato della nuova Sede della Pro Loco si potranno ammirare le opere più significative della nostra Galleria d’Arte Contemporanea; ma la vera novità è al primo piano, dove si potrà ammirare il Carvè Museum, la cui realizzazione è stata affidata a veri maestri d’arte e di scenografia, quali la Ditta Garavaglia di Cinisello Balsamo specializzata in grandi scenografie, e a Gianni Franceschina in collaborazione con la ditta Fornace di Castellamonte. Lo abbiamo fortemente voluto e credo sarà una bellissima sorpresa, un vero museo didattico, dove si vivranno tutti i momenti del nostro Carnevale, con le sue antiche tradizioni”.
Il taglio del nastro sarà il culmine di una giornata di celebrazioni in grande stile che coinvolgeranno tutta Santhià, con un ampio programma di iniziative pubbliche dedicate alla cittadinanza e agli ospiti che vorranno cogliere l’occasione per visitare il borgo. Il fitto programma prenderà il via alle ore 15.00 con il corteo storico lungo Corso Nuova Italia che vedrà la Banda Musicale Cittadina, la Banda Musicale I Giovani, il Corpo Pifferi e Tamburi e lo Stato Maggiore Napoleonico sfilare insieme ai Cavalieri e Falconieri del Conte Verde fino in Piazza Roma. Al termine dell’esibizione ci si sposterà al Palazzo del Capitano dove, dopo la cerimonia di inaugurazione del Carvè Museum e della nuova Sede della Pro Loco, si terrà il convegno “Amedeo di Savoia, il Conte Verde”, a cura dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. La festa terminerà con un assaggio gratuito della famosa panissa santhiatese, il gustoso piatto tipico del territorio a base di riso e fagioli.

Carducci e la sua ode al Piemonte dalle “dentate scintillanti vette”

Su le dentate scintillanti vette salta il camoscio, tuona la valanga da’ ghiacci immani rotolando per le selve croscianti :ma da i silenzi de l’effuso azzurro esce nel sole l’aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero volo solenne. Salve, Piemonte! A te con melodia mesta da lungi risonante, come gli epici canti del tuo popol bravo,scendono i fiumi…”.

Chi non l’ha imparata a memoria e recitata a scuola questa poesia? Secondo alcuni esperti di storia della letteratura, i versi dell’ode “Piemonte” vennero composti da Giosuè Carducci durante il suo soggiorno al Grand Hotel di Ceresole Reale nel luglio del 1890.

 

Nato a Valdicastello, una frazione di Pietrasanta, nella Versilia lucchese, il 27 luglio 1835, il poeta e scrittore, fortemente legato alle tematiche “dell’amor patrio, della natura e del bello”, fu il primo italiano – nel 1906 – a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.  Questa la motivazione con la quale gli  venne assegnato, vent’anni prima di Grazia Deledda, l’ambito premio dell’Accademia di Svezia: “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”. Giosuè Carducci morì un anno dopo, il 16 febbraio 1907, all’età di 72 anni, lasciando alla cultura italiana una vasta produzione di poesie, raggruppate in diverse raccolte: dagli “Juvenilia” fino ai lavori della maturità. Tra questi ultimi si distingue in particolare la raccolta  “Rime nuove”, composta da 105 poesie, tra cui sono contenuti i versi più conosciuti dell’autore, presenti in “Pianto antico” ( “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano..”) e “San Martino” (“La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar..”).

Nella sua produzione non mancano anche alcuni lavori in prosa, tra cui la raccolta dei “Discorsi letterari e storici” e gli scritti autobiografici delle “Confessioni e battaglie“.  Alla notizia della sua morte – nella sua casa delle mura di porta Mazzini, a Bologna –  la Camera del Regno ( Carducci, dopo essere stato a lungo Senatore del Regno era stato eletto alla Camera nel collegio di Lugo per il gruppo Radicale, di estrema sinistra)   sospese la seduta. L’Italia intera vestì il lutto per la scomparsa del poeta  che aveva cantato il Risorgimento. Durante i funerali, che si svolsero il 18 febbraio, i cavalli che portavano il feretro alla Certosa avevano gli zoccoli fasciati. Il cuore di Bologna, piazza Maggiore, e molte case private si presentarono parate a lutto. I fanali lungo il percorso vennero accesi e “guarniti di crespo“. La salma del poeta, fu “rivestita dalle insegne della massoneria, alla quale fu affiliato, e molti massoni partecipano alle esequie”.  Pochi giorni dopo la casa e la ricca biblioteca del poeta vennero donate dalla regina Margherita al Comune di Bologna. 

Marco Travaglini

Il Torino Club “Giorgio Ferrini” di Giovanni Rosso

Cronistoria di un casalese appassionato di calcio dotato di visionario parallelismo tra personaggi di diverse epoche che, incontrandosi in una realtà quotidiana, hanno trasformato la sua esistenza in testamento sportivo. 
La mitica grinta del capitano per eccellenza Giorgio Ferrini, vecchio cuore granata e indomito combattente simbolo dei tifosi del Torino scomparso nel 1976 che ha incarnato tutte le caratteristiche che quella maglia rappresenta, ha scatenato in Giovanni Rosso la scintilla che ha permesso di creare il Torino Club “Giorgio Ferrini”, fondato a Casale Monferrato nel 1977. Il club casalese è stato riconosciuto ufficialmente nel 1978 e per l’occasione il presidente Giovanni Rosso fu ricevuto nella tribuna d’onore dello stadio comunale dal presidente del Torino F.C. Orfeo Pianelli che gli consegnò il Gran Cordone Granata, importante riconoscimento per la fede sportiva e l’attaccamento ai colori granata registrato sul mensile ufficiale “Alè Toro” nel gennaio dello stesso anno. Giovanni Rosso istituì il premio della combattività, consistente in un trofeo annuale simboleggiato dal leone d’argento che caratterizzava la proverbiale grinta di capitan Ferrini. Il premio fu assegnato al miglior giocatore della stagione durante i pranzi svoltisi nel Ristorante del Castello di Cereseto proprietà del cavalier Luigi Antonioli, grande tifoso del Toro e sbigottito spettatore.
L’assegnazione del primo trofeo a Claudio Sala coincise con il riconoscimento del club nella storica stagione del 1978 a cui partecipò anche l’omonimo Patrizio Sala. Nel 1979 il trofeo fu assegnato a Paolino Pulici, accompagnato dai colleghi Terraneo, Vullo, Santin e Danova. L’anno successivo l’ambito premio andò a Roberto Salvadori, giunto a Cereseto con Pileggi, Volpati, mister Rabitti e con il vice presidente del Torino F.C. Salvadore Aldo. Al pranzo partecipò Secondo Perona, responsabile del Torino Club “Alberto Pavese”, uomo positivo e pittoresco dal cuore granata che aveva aperto a Torino in via Palestrina il primo negozio di gadget sportivi, prodotti ufficiali del Torino F.C. impiegati come strumenti di marketing strategico. Sempre nel 1980, Giovanni Rosso fu nominato cavaliere al merito della Repubblica Italiana dal presidente Sandro Pertini.
Dal 1981 al 1984 altri giocatori del nuovo corso furono insigniti dello speciale trofeo annuale partecipando con altri colleghi di squadra al pranzo di Cereseto, nell’ordine Luigi Danova (con Mariani, Cuttone e Copparoni), Renato Zaccarelli (con Dossena e Bonesso), Giuseppe Dossena (con Ferri ed Hernandez) e Paolo Beruatto (con Selvaggi). Nel 1985 Giovanni Rosso, con un’idea geniale, fu il primo presidente dei club granata italiani a consegnare direttamente sul campo il trofeo durante la partita Torino-Pisa a Leovigildo Junior, il giocatore che più si accostava al temperamento del mitico Ferrini. L’anno successivo, il presidente Rosso premiò mister Gigi Radice prima della partita Torino-Fiorentina e in rappresentanza della società granata partecipò Bruno Broggia, responsabile dei club granata esterni. La premiazione del 1987 a Giacomo Ferri fu effettuata a Torino nella sede storica granata di corso Vittorio Emanuele. Per il primo decennale di presidenza, a Giovanni Rosso fu assegnato il premio “Fedeltà Granata” a Monteforte d’Alpone (Verona) e il sodalizio casalese fu definito il club granata esterno più numeroso d’Italia da Gian Mauro Borsano, presidente del Torino F.C. dal 1989 al 1993. Le premiazioni ritornarono a Cereseto nel 1989 assegnando il trofeo a Sergio Vatta, allenatore del Torino F.C. in quella stagione e dal 1973 al 1975 della JuniorCasale.
Vatta fu denominato il mago delle squadre giovanili granata scopritore di Vieri, Cravero, Dino Baggio e Gianluigi Lentini, quest’ultimo premiato nello stessa giornata a Cereseto unitamente a Sauro Tomà (1925-2018), il terzino ultimo rappresentante del Grande Torino degli anni ’40 arrivato al Toro nel 1947 per la tournée in Brasile in sostituzione di Virginio Maroso. Un infortunio al ginocchio gli permise di non salire sull’aereo che si schiantò nell’evento drammatico di Superga dopo l’amichevole di Lisbona del 1949. Tomà pubblicò a Bari nel 1955 “Me Grand Turin”, storia della squadra di calcio più forte del mondo ed era soprannominato “2 metri e 70” a causa dei suoi deboli rilanci dalla propria area di gioco non superiori ai tre metri. Nel 1991 il presidente Rosso ebbe l’intuizione di creare il gemellaggio con i tifosi ultras viola in occasione della partita Torino-Fiorentina, scambiandosi le sciarpe ed entrando insieme per assistere all’incontro allo scopo di riflettere sulle tensioni e violenze negli stadi dell’epoca. Il club di Rosso fu anche ospitato nel centro sportivo nazionale di Coverciano, accompagnato dal casalese Sergio Castelletti membro dello staff azzurro ed ex difensore del Casale, Torino, Fiorentina e dell’Italia. Da ricordare che nel primo torneo internazionale giovanile Umberto Caligaris a otto squadre (4 italiane e 4 straniere) del 1957 a Casale Monferrato, parteciparono Giorgio Ferrini e lo stesso Sergio Castelletti. La finale fu disputata tra Torino e Lanerossi Vicenza, vinta da quest’ultima squadra per sorteggio.
La tradizionale premiazione al ristorante di Cereseto riprese nel 2008 e il trofeo fu assegnato al fantasista Alessandro Rosina, alla presenza del direttore sportivo del Torino F.C. Fabio Lupo. Durante i festeggiamenti dedicati anche ai 30 anni di attività del club casalese, fu donato al presidente del Museo Storico Grande Torino Domenico Beccaria un filmato ritrovato nell’archivio del cinema casalese Vittoria gestito da Giovanni Rosso, reperto storico più antico della squadra granata. La pellicola in 16 mm. documenta l’incontro di calcio Casale-Torino del 27-1-1929, dove si possono vedere gli spettatori che si erano arrampicati sugli alberi per poter assistere all’esibizione devastante dell’attacco granata formato da Libonatti, Baloncieri e Rossetti, autori di 89 reti nell’anno dello scudetto. Dopo 35 anni, la presidenza del sodalizio casalese è stata ereditata nel 2011 dal figlio Massimo con lo stesso ardore entusiastico del padre, a cui è stato intitolato il nuovo corso del Torino Club “Giovanni Rosso” per ricostruire un passato che si allontana inesorabile.
Il club casalese organizzò nel 2016 la presentazione del libro “Oggi torniamo a casa”, scritto e pubblicato dal giornalista Domenico Beccaria già presidente della Memoria Storica Granata, dedicato alla rinascita dello stadio Filadelfia di Torino oggi utilizzato per gli allenamenti della prima squadra, consegnando 1000 euro per una poltrona dedicata allo scomparso Giovanni Rosso nello storico stadio. Per il 40° anno dalla fondazione, il Torino Club “Giovanni Rosso” ha organizzato nel 2018 una cena granata al ristorante Villa Rosa di Crescentino, ospitando il figlio di Ossola del Grande Torino, gli ex granata monferrini Pigino e Depetrini, l’ex presidente del Casale Calcio Giuseppino Coppo e i responsabili del Museo Grande Torino, Beccaria e Muliari. Il presidente Massimo Rosso, marito di Aura Gozzano, è un esperto collezionista di circa 6000 distintivi in metallo smaltato dei club calcistici Italiani e di oltre 1200 biglietti di ingresso allo stadio di tutte le partite di campionato e coppe europee a cui ha partecipato il Torino F.C. dal 1950 ad oggi.
Armano Luigi Gozzano 

Vercelli tra risaie, arte e gastronomia

Il prezioso e singolare passaggio per il Piemonte.

E’ tra le città che Dante ha citato più spesso nella Divina Commedia ricordandola per la ricchezza del suo armonioso e suggestivo paesaggio, il Monte Rosa che la domina dall’alto, il “mare a quadretti” di risaie che orna i dintorni come un florido e umido tessuto, le ricchezze artistiche e architettoniche di coinvolgente bellezza.

Stiamo parlando di Vercelli, la porta di accesso al Piemonte dallavicina Lombardia, probabilmente celtica di origine,  Wehr-Celt il suo antico nome, deliziosa città densa di bellezze , di misurata e gentile atmosfera.

L’ho visitata di domenica, una gita in giornata da Torino per celebrare la fine del lockdown  e immergermi nuovamente in questa regione meravigliosa che è il Piemonte. La sensazione è stata di sospensione onirica, di una realtà d’altri tempi, forse per i suoi borghi silenziosi, per la sobrietà e l’eleganza che la caratterizzano, per la dovizia di tracce e  sigilli storici.

Oltre che per la sua piacevole frugalità Vercelli è nota per importanti impulsi sociali ed economici. L’appellativo di “citta delle 8 ore” le è stato conferito per il limite ad otto ore lavorativeche si concesse alle mondine sancito successivamente a  livello nazionale, è la capitale europea del riso, con una propria Borsa del Riso e  la Stazione Sperimentale di Risicoltura e delle Coltivazioni irrigue; viene inoltre gloriosamente chiamata “la città dei 7 scudetti” grazie alle conquiste sportive del Pro Vercelli tra il 1908 e il 1922.

Arrivando si intuisce subito che ci si addentra in un territorio unico e prezioso ma forse poco conosciuto e sottovalutato livello turistico cosa che credo si debba prontamente rettificare, Vercelli e i suoi dintorni sono certamente da visitare.

Come ci ha suggerito la guida ci dirigiamo subito a Piazza Cavouressenza del centro storico dalla forma a trapezio, luogo di incontri e del mercato bisettimanale, dedicata allo statista che fu uno dei maggiori promotori della risicoltura con la realizzazione di opere dedicate come il Canale Cavour e l’istituzione dell’Associazione Ovest-Sesia. Diversi sono i locali dove mangiare e godersi lo scenario urbano costituito dagli edifici più antichi della città, i portici e la leggendaria Torre dell’Angelo. Non lontano , a Via Foà, troviamo la Sinagoga, opera dell’architetto Giuseppe Locarni, una bellissima espressione di arte moresca in pietra arenaria decorata da merlature, torri e cupole a cipolla e la Chiesa di San Cristoforo, denominata la Cappella Sistina di Vercelli, che lascia senza fiato con i suoi meravigliosi dipinti del ‘500 di Gaudenzio Ferrari. A pochi passi Piazza di Palazzo Vecchio, conosciuta anche come Piazza dei Pesci per il mercato ittico che vi si teneva, ma soprattutto il “broletto” della città dove, nelMedioevo, si radunava il popolo.

Nella direzione opposta si trovano il Duomo dedicato al Patrono della città, Sant’Eusebio, che domina la verde e omonima piazza;più volte distrutto e ricostruito la struttura attuale è stata edificata tra il 1500 e il 1800,  l’importante campanile risale invece al XII secolo.   All’interno troviamo

un imponente crocifisso in legno e oro realizzato nell’anno mille e la cappella con le spoglie del santo. Uscendo dalla Cattedrale vale la pena di dare uno sguardo esterno al Castello Visconteo che fu residenza sabauda, alloggio militare, e attualmente tribunale e carcere.

A pochissimi passi spicca la Basilica di Sant’Andrea, meraviglioso esempio di architettura gotica e romanica completata nel 1227. Simbolo della città, ci meraviglia con la sua bellezza e maestosità; percorriamo il suo perimetro esterno e poi entriamo a visitare la chiesa e il pacifico chiostro. Uscendo troviamo il Salone Dugentesco ex ospedale militare che ospitava pellegrini e viandanti che percorrevano la via Francigena, di cui Vercelli è la decima tappa fino a Robbio; sul lato esterno si può leggere la targa con un passo della Divina Commedia dedicato alla città.

A   Vërsèj, in dialetto piemontese, diversi sono i musei da visitare: sicuramente la Casa-Museo Borgogna, seconda pinacoteca della regione, che vanta numerose opere d’arte collezionate da AntonioBorgogna appunto, viaggiatore e amante dell’arte, Il piccolo Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Leone risalente ai primi del 1900 presso la Casa Alciati e il barocco Palazzo Langosco, cheospita una collezione varia: armi preistoriche, corredi di tombe egizie, vasi etruschi, mosaici medievali, porcellane, quadri di epoca moderna e il MAC – Museo Archeologico Civico L. Bruzzadove sono raccolti reperti archeologici “moderni” che ripercorrono il periodo dalle origini della città fino al Medioevo.Davvero interessante è l’Arca, un polo espositivo contemporaneoin vetro e acciaio collocato nella navata centrale della chiesa di San Marco.

Svariate sono le  visite che si potrebbero fare, anche nei dintorni, sostando più giorni.

Consigliato a più voci è il giro delle risaie in bici, soprattutto quando sono allagate in aprile e maggio, (sicuramente evitando l’estate piena per non godere della compagnia di numerose e fastidiose zanzare),  il Sacro Monte di Varallo, Valduggia e la chiesa di San Giorgio.

Un altro validissimo motivo per visitare questo luogo delizioso è l’arte culinaria. Fare un salto alla pasticceria Follis per comprare i bicciolani, i biscotti speziati, è una tappa obbligata come fare colazione o merenda alla Pasticceria Tarnuzzer per gustare la torta tartufata. Il piatto tipico di Vercelli è la Panissa, ma anche il risotto alla Gattinara, il vino che profuma di viola, è notevole! E ancora le patate masarai, la toma valsesiana e i fagioli rossi di Saluggia. Da bere? Dei buonissimi Gattinara, Bramaterra, Coste della Sesia ed Erbaluce.

Quando deciderete di visitare questa bellissima città e i suoi dintorni verificate gli orari di apertura e chiusura delle chiese, dei musei e delle attrazioni in genere, soprattutto nel weekend alcune di queste chiudono alle 12.

Per informazioni www.atlvalsesiavercelli.it

 

MARIA LA BARBERA

“Gli Egizi e i doni del Nilo”: l’’Egizio, Villa Bertelli e il Comune di Forte dei Marmi in mostra

 

 

Esiste un sottile fil rouge tra una località turistica come Forte dei Marmi e la città di Torino, creato dalla mostra che il Museo Egizio allestirà al Forte Leopoldo I quest’estate, dal titolo “Gli Egizi e i doni del Nilo”, curata da Paolo Marini, a sua volta curatore e coordinatore scientifico delle mostre itineranti del museo. Promossa dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi, la mostra sarà inaugurata giovedì 1 agosto prossimo dal Sindaco di Forte dei Marmi Bruno Murzi, dal Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci e dal Direttore del Museo Egizio Christian Greco, e si concluderà il 2 febbraio 2025.

Si tratta, per il Museo, della prima e unica mostra itinerante, in occasione di un anno di ristrutturazioni della sede torinese dedicate al bicentenario della sua fondazione. L’importanza di questa mostra coincide anche col fatto che il 26 aprile prossimo si celebreranno i 110 anni dalla nascita del Comune di Forte dei Marmi.

“Gli Egizi e i doni del Nilo” proporrà un viaggio nel tempo alla scoperta dell’antica civiltà nilotica in 24 reperti che risalgono dall’epoca predinastica del 3900 – 3000 a.C. all’età greco-romana(332 a.C. – 395 d.C.). Vasi, stele, amuleti e papiri, oltre alla maschera funeraria di età romana (30 a.C. – 395 d.C.), una riproduzione del volto del defunto realizzata in cartonnage e destinata alla protezione magica della mummia, offriranno al pubblico un’idea del museo più antico al mondo, l’Egizio di Torino, dedicato alla civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo. Proprio nell’autunno 2024 il Museo Egizio, che custodisce circa 40.000 reperti, di cui 12.000 in esposizione, celebrerà il suo bicentenario. La mostra di Forte dei Marmi rientra tra le iniziative che, nel corso dell’anno, celebreranno questo importante traguardo, non solo a Torino. Tra i reperti in mostra un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del primo periodo intermedio (2118 – 2180 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scavo. Queste imbarcazioni, in genere, rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla galleria della cultura materiale del Museo Egizio proviene il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 – 722 d.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare gli organi del defunto. Il percorso espositivo verrà arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimento storico/scientifico sui reperti di diversi periodi storici. Sarà anche presentata una riproduzione digitale in 3D della monumentale statua di Ramesse II, uno dei reperti singoli del Museo Egizio, considerato inamovibile. In preparazione una audioguida in italiano e in inglese con la voce dello scrittore fortemarmino Fabio Genovesi.

“Dopo una prima trasformazione del Museo Egizio, avvenuta nel 2015, oggi si appresta a vivere una nuova stagione di cambiamenti in occasione del suo bicentenario. Verranno effettuati lavori che porteranno alla ricollocazione dei reperti e a interventi strutturali di abbellimento, a cominciare dal cortile, che diventerà un vero e proprio ‘giardino egizio’ aperto al pubblico, con bar e bookshop annessi. In quest’ottica, proprio nell’anno del bicentenario, è nata la collaborazione col Comune di Forte dei Marmi e con la Fondazione Villa Bertelli – hanno dichiarato la Presidente del Museo Egizio Evelina Christillin e il Direttore Christian Greco”.

“Il Comune di Forte dei Marmi, per la prima volta in Toscana – ha dichiarato il Sindaco Bruno Murzi – ospiterà la mostra ‘Gli Egizi e i doni del Nilo’, a cura del Museo Egizio di Torino, prima realtà museale in Italia e seconda nel mondo, in grado di raccontare questa meravigliosa storia millenaria. Con fiera soddisfazione abbiamo messo a disposizione gli spazi del Forte leopoldino nel cuore del paese, dove sarà possibile visitare la mostra e altre iniziative capaci di far diventare la nostra città, per qualche mese, centro pulsante di storia e cultura al fianco di una realtà italiana che è vanto per l’intero Paese”.

“Per la Fondazione Villa Bertelli è un onore e una grande gioia – ha spiegato il Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci – presentare questa prestigiosa mostra, che ci ha permesso di collaborare col Museo Egizio proprio nel bicentenario della sua fondazione. Forte dei Marmi è una realtà turistica che, seppur nota in Italia e nel mondo, non vanta una storia antica. Tuttavia deve il suo nome alla realizzazione del simbolo del paese, il Fortino, che è una struttura fortificata voluta da Leopoldo I Granduca di Toscana, nonno di Leopoldo II, finanziatore, congiuntamente a Carlo V di Francia, della spedizione franco-toscana in Egitto nel 1828, diretta dal grande egittologo francese Jean François Champollion e dal giovane collega italiano Ippolito Rosellini. Si tratta di un legame storico che si riallaccia in questa occasione e che passa anche da Lucca, nostro capoluogo di provincia, dove nel Museo di Storia Naturale ha trovato dimora una collezione egizia comprensiva, fra gli altri, di un sarcofago e di una mummia di donna e di bambino. Ospitare questa mostra è anche una sfida di rinnovamento dell’immagine di Forte dei Marmi non solo come meta turistica ma anche culturale e artistica”.

 

Mara Martellotta