STORIA- Pagina 17

Antenna 3: la recensione di Aldo Grasso e la storica serata del 1977

Sul sito viaperbusto15. it il video restaurato dell’epica trasmissione della serata inaugurale di Antenna 3 del 1977

Sul Corriere della Sera di giovedì 13 giugno scorso Aldo Grasso ha dedicato la sua prestigiosa rubrica “A fil di rete” al libro intitolato “Una fetta di sorriso” scritto da Cristiano Bussola, direttore del “Torinese”, e edito da Paola Caramella editrice, dedicato all’avventurosa storia di Antenna 3 Lombardia che, proprio negli anni Settanta, contribuì a cambiare il modo di fare televisione in Italia.

“È stata una piacevole sorpresa – commenta il nostro direttore Bussola – poter leggere un pezzo dedicato al mio libro scritto dalla penna arguta e celebre di Aldo Grasso, che ha evidenziato gli aspetti più importanti del testo e, quindi, la figura di Renzo Villa che, nel 1977, insieme a Enzo Tortora e attraverso una forma di azionariato popolare, diede vita alla prima televisione commerciale italiana”.

Fu Villa il primo a intuire che proprio gli sponsor, dai mobilieri, ai salumificio, alle case vinicole, ad Aiazzone certamente, dovevano costituire un tutt’uno con lo show”. Bussola nel libro ricorda come si debba, infatti, a Renzo Villa la nascita di programmi come “Il bingooo”, “La bustarella” “Dire, fare, baciare”” Bucce di banana”, “Il pomofiore” e “Non lo sapessi ma lo so”.

“Se da quella televisione di Legnano passarono molti comici destinati a diventare famosi, – scrive Aldo Grasso -come la coppia Massimo Boldi- Teo Teocoli, Walter Chiari, Riccardo & Gian, Giorgio Faletti, oggi di questo mondo ormai scomparso rimane comunque un testimone, Alessandro di Milia, che lavora ancora in un angolo dell’edificio ormai fatiscente e si dedica a un lavoro molto prezioso, riversare in digitale le vecchie cassette dei programmi, dando nuova vita ai nastri che conservano i primi passi di grandi comici e giornalisti come Enzo Tortora”.

MARA MARTELLOTTA

La moglie di Renzo Villa, Wally, ci racconta come è riuscita e recuperare grazie ad Alessandro Di Milia e Manuel Bencini, appassionato ricercatore, il video della serata inaugurale dell’emittente

Da anni, e soprattutto da quando, grazie al prezioso lavoro di Alessandro Di Milia e con il consenso della attuale proprietà dell’Emittente, abbiamo iniziato il salvataggio delle vecchie trasmissioni di Antenna3 Lombardia, il desiderio mio e degli aderenti all’Associazione Amici di Renzo Villa era quello di rivedere le immagini dell’inaugurazione (che si sviluppò per tre sere, 3-4-5-novembre 1977).

Queste serate erano state registrate su un ottimo supporto in uso all’epoca (due pollici) e, purtroppo, oggi sono pochissimi, nel mondo, coloro che sono in possesso di macchinari funzionanti atti a riversare nastri di questo formato. Fortuna ha voluto che qualche mese fa, entrassi in contatto con un vero “Indiana Jones delle registrazioni perdute” , Manuel Bencini, l’appassionato ricercatore, collezionista e restauratore che, oltre ad aver scovato, acquistato, restaurato e consegnata a me l’unica registrazione superstite di tutta la nastroteca di TeleAltoMilanese, ha fornito a Walter Veltroni il nastro del concerto di Lucio Dalla a NYC, su cui Veltroni stesso ha realizzato il suo documentario (il titolo Indiana Jones… gli è stato attribuito proprio da Veltroni).

Bencini ha contatti con una persona (Larry Odham) che sta negli U.S.A. (a Gray, in Tennessee, per la precisione) che è in grado di fare i riversamenti. Da qui parte l’operazione: 8 bobine (pesanti circa 8 Kg. l’una!) vengono spedite in America (alla Quad Tape Transfer) e, nel giro di un mesetto, ricevo un piccolo hard-disk contenente la registrazione integrale della prima serata (più di 4 ore ) e frammenti di mezzora circa sia della seconda che della terza serata.

Sempre Bencini effettua poi l’operazione di “finissaggio e restauro” dei filmati, togliendo disturbi audio e video (peraltro pochissimi, in quanto le bobine, chiuse per 46 anni in custodie a tenuta stagna e antincendio, si erano conservate benissimo!).

La prima delle tre serate di inaugurazione fu arricchita da un evento sportivo che fece molto scalpore, ai tempi. Il pugile Sandro Mazzinghi, a 39 anni, tornò sul ring dopo 7 anni dal suo ultimo incontro di boxe e questo avvenne quella sera, a Legnano, sul ring regolamentare allestito nello studio 1 di Antenna 3 Lombardia.

Enzo Tortora, oltre a tenere un piccolo discorso inaugurale e a brindare con un emozionato Renzo Villa nel breve prologo della serata , intervistò i due pugili prima e dopo l’incontro, intervenne nella telecronaca insieme al commentatore ufficiale e raccolse i commenti di alcuni spettatori-tifosi speciali che erano in sala (Cochi e Renato, Bruno Lauzi, ecc). Invece il compito di intervistare Nino Benvenuti, Sandro Lopopolo, Nereo Rocco e altri fu affidato a un ben documentato Lucio Flauto. Madrina dell’evento Loredana Berté.

La serata proseguì con i festeggiamenti per i 25 anni di Sorrisi e Canzoni (altro evento astutamente abbinato all’inaugurazione) con una sfilata di cantanti famosi introdotti da Ettore Andenna (tra cui Amanda Lear), con vari interventi di Lucio Flauto, l’esibizione di un ventriloquo famoso a livello internazionale, i saluti e gli auguri dei numerosi personaggi in platea e soprattutto con un Felice Musazzi in grande spolvero con l’interpretazione veramente spettacolare di un brano storico della Teresa.

Piace ricordare che queste trasmissioni rappresentano anche un viaggio nella comunicazione del passato e che, a volte, contengono frasi o riferimenti non “politicamente corretti” secondo i canoni attuali. Questo aspetto, che mi è stato fatto ben notare dalla giornalista Marta Cagnola di Radio24, si riferisce anche a modi a volte paternalistici e un po’ maschilisti nei confronti delle donne da parte dei presentatori, nell’uso di termini tipo “negher” (negro) nelle barzellette raccontate dai comici, ecc.

Molti aspetti della comunicazione televisiva di quegli anni verranno analizzati e studiati nel Progetto ATLas (Atlante delle televisioni private- Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale PRIN 2020) che è in corso di realizzazione da parte di quattro Università italiane, coordinate da un team dell’Università di Bologna con a capo il Prof. Luca Barra, Coordinatore del Corso di Laurea in Informazione, cultura e organizzazione dei media, insegnante di Storia della televisione e dei media digitali. In questo lavoro di ricerca ad alto livello, finanziata dal Ministero non poteva mancare Antenna 3 Lombardia e quello che ha rappresentato dalla fine degli anni 70 alla metà degli anni 80, nel campo televisivo.

Tornando al racconto dell’ultima perla aggiunta all’archivio di Antenna 3 Lombardia fin qui salvato, oggi, il frutto di questa ricerca, di questo lavoro di salvataggio di un evento, a modo suo storico, è fruibile sul sito viaperbusto15.it , insieme al documentario sulla storia dei primi nove anni Antenna 3 Lombardia e a molta altra documentazione video e fotografica. Naturalmente, il mio auspicio è che molti vadano a visitare il sito e non si accontentino di vedere i brevi video pubblicati sulla pagina Facebook TI RICORDI QUELLA SERA.

Anche i canali social che ricordano Sandro Mazzinghi e la storia dei Legnanesi hanno richiesto e pubblicheranno presto gli spezzoni che li riguardano.

Un altro piccolo ritrovamento è stato quello dei provini per diventare lettore del telegiornale di Antenna3 Lombardia (che era curato dalla redazione di Milano de Il Giorno). Questi provini furono trasmessi in diretta nei giorni precedenti l’inaugurazione vera e propria. Si può dire, pertanto, che è la più vecchia trasmissione presente nel nostro archivio…

Una curiosità: insieme alle bobine dell’inaugurazione ho fatto riversare la prima puntata di un programma per bambini, presentato da Renzo Villa e collegato all’UNICEF. La trasmissione si chiamava UNA FETTA DI SORRISO e, quella puntata, vide la partecipazione di Giulietta Masina (in qualità di Ambasciatrice UNICEF), oltre ad Enzo Tortora ed ai responsabili nazionali dell’UNICEF stesso.

La curiosità sta nel fatto che proprio a questa straordinaria partecipazione di Tortora fece riferimento, anni dopo, il pittore Margutti, per accusarlo di spaccio negli studi di Antenna3, causando al presentatore un’ulteriore aggravamento della sua posizione di accusato. Tutti ricordiamo che Tortora fu scagionato in pieno da ogni addebito. L’archivio dell’UNITA’ conserva ancora l’articolo di Vito Faenza dell’8 giugno 1985 con la cronaca della deposizione di Margutti e della reazione di Tortora raccolta dal giornalista. Nota a margine, per chi non ricordasse bene l’episodio: Margutti era già stato in precedenza condannato per calunnia.

Anche spezzoni di questa trasmissione e della seconda e terza serata di inaugurazione di Antenna 3 Lombardia verranno pubblicati sul sito www.viaperbusto15.it , che, già attualmente, è ricco di documenti video, di testo e fotografici

Per chi, invece, avesse il piacere di sfogliare delle pagine di carta per leggere l’autobiografia di Renzo Villa e la storia di Antenna 3 Lombardia raccontata direttamente da lui, ricordo i libri TI RICORDI QUELLA SERA? di Renzo e Roberta Villa e UNA FETTA DI SORRISO di Cristiano Bussola.

WALLY VILLA

Lo sbarco in Normandia e “i lunghi singulti dei violini d’autunno” di Verlaine

Per diverse settimane, dopo le imponenti celebrazioni ufficiali, la Normandia ospiterà le rievocazioni storiche in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco alleato del 6 giugno 1944 che aprì il secondo fronte europeo contro le armate del Terzo Reich, allo scopo di alleggerire il fronte orientale dove da tre anni l’Armata Rossa sovietica stava combattendo contro i tedeschi. Una vicenda che cambiò la storia europea, imprimendo una svolta al secondo conflitto mondiale, iniziata molto tempo prima quando venne pensata e organizzata l’imponente operazione militare tra la penisola del Cotentin e la zona di Caen, capoluogo del Calvados normanno, preparando mezzi e truppe, considerando il meteo, le distanze marine, le maree. L’annuncio dello sbarco venne dato con delle frasi in codice trasmesse da Radio Londra utilizzando la poesia Canzone d’autunno di Paul Verlaine. Furono utilizzati i primi versi (“I lunghi singulti dei violini d’autunno” ) il primo giugno e poi i versi successivi al massimo nelle 48 ore precedenti l’attacco per avvertire la Resistenza francese. Il terzo e il quarto verso della poesia (“mi lacerano il cuore di un languore monotono”) arrivarono la sera dal 5 giugno 1944. All’alba del giorno dopo ebbe inizio la più grande offensiva militare della storia. In quello che verrà ricordato come il “giorno più lungo” – in codice, operazione Overlord – gli anglo-americani impiegarono un impressionante numero di uomini e mezzi. Circa 150mila soldati americani, britannici, canadesi, polacchi e francesi attraversarono il Canale della Manica, trasportati o appoggiati da quasi 7 mila navi e 11 mila aerei, sbarcando su cinque spiagge – ribattezzate Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword– nel tratto di costa normanna che si estende per circa un centinaio di chilometri tra Le Havre e Cherbourg. I nazisti del Terzo Reich avevano costruito, dalla Norvegia al sud della Francia, un sistema di bunker e fortificazioni conosciuto come il Vallo Atlantico ed erano convinti che un eventuale sbarco alleato sarebbe avvenuto nel Pas de Calais, nel punto in cui la costa inglese e quella francese sono più vicine. E lì avevano concentrato gran parte delle loro forze.

L’operazione Overlord avvenne invece più a sud, sulle spiagge di Nomandia e la battaglia divampò violentissima. Nel primo giorno dello sbarco furono più di diecimila le perdite alleate tra morti – oltre un terzo del totale – feriti, prigionieri e dispersi. Oltre novemila quelle tedesche. Sul litorale della Côte de Nacre, la splendida costa di madreperla, da Deauville a Cherbourg, da Arromanches al promontorio della Pointe du Hoc, si consumò una delle vicende più drammatiche e sanguinose della storia del Novecento. Il panorama stupendo che domina e s’affaccia sull’oceano rende quasi impossibile immaginare tanta violenza e dolore. Eppure basta guardarsi attorno per vedere ancora le ferite prodotte dai campi di battaglia: voragini aperte nel terreno dalle bombe piovute dal cielo e dal mare, resti delle casematte e dei pontoni sulle spiagge, bunker e postazioni d’artiglieria pesante, i tanti cimiteri e musei di guerra disseminati ovunque a testimoniare ciò che accadde ottant’anni fa. Lo sbarco in Normandia fu decisivo per la vittoria degli alleati che ad un prezzo altissimo riuscirono a conquistare una testa di ponte, combattendo per altri due mesi prima che l’esercito tedesco cedesse e cominciasse una ritirata che sarebbe finita soltanto ai confini della Germania. La battaglia di Normandia durò dal 6 giugno al 25 agosto del 1944, con la liberazione di Parigi, e fu una delle più cruente tra quelle combattute sul fronte occidentale, costando più di 70mila morti fra gli alleati e oltre 200mila fra i tedeschi. Altri 20mila furono i morti fra i civili. Moltissimi di quei soldati caduti riposano oggi nei 30 cimiteri distribuiti in tutta la regione, dei quali 22 nel solo dipartimento del Calvados. Ci sono quelli canadesi di Bretteville-sur-Laize e Bény-Reviers e quelli britannici (ben sedici), a partire da Bayeux, una delle prime città ad essere liberate dai nazisti dove, il 16 giugno 1944, il Generale De Gaulle tenne il suo primo discorso sul suolo francese libero. Il cimitero di Bayeux raccoglie le spoglie di quasi quattromila combattenti britannici e un memoriale che ricorda i 1809 soldati del Commonwealth che non hanno ricevuto una sepoltura. C’è quello imponente di Colleville-sur-Mer, il più famoso cimitero americano della seconda guerra mondiale in Europa che ospita, allineate sotto le croci bianche, le tombe di 9387 soldati caduti durante lo sbarco e i combattimenti che seguirono, situato sulle alture che sovrastano la spiaggia ribattezzata “bloody Omaha”, la sanguinosa Omaha. Quindici chilometri più a sud, quasi sperduto nella campagna, non distante dal piccolo abitato di La Cambe c’è il cimitero dove riposano i corpi di 21.222 soldati tedeschi, il doppio di quelli sepolti a Colleville. Non c’è vigilanza armata e nemmeno un religioso silenzio lì attorno, essendo quasi ai bordi dell’autostrada Parigi-Cherbourg, dove rombano le auto e i Tir. Non è a ridosso della linea del fronte, affacciato sulle spiagge del D-day. In quel tempo era una retrovia. Eppure, nonostante quello di La Cambe sia “un cimitero dei vinti” è pienamente percepibile forse più lì che altrove l’orrore, la violenza e l’incubo della guerra. Una scritta in pietra ammonisce in tedesco “dunkel ist”, è buio. Buio come il tempo che ci è dato vivere, con le guerre in Medio Oriente e ai confini europei dell’Est, a riprova che, con buona pace di Cicerone, la storia non è quasi mai maestra di vita. Buio come il destino dei tanti che caddero su entrambi i fronti nel 1944, sotto quella luce del nord di Normandia che gli impressionisti immortalarono sulle loro tele fondando la loro straordinaria corrente artistica che celebra quest’anno il suo secolo e mezzo di vita.

Marco Travaglini

Ivrea, il Castello dalle rosse torri torna a vivere

Il conto alla rovescia è scattato, c’è grande attesa in città, la riapertura del castello, simbolo di Ivrea, è sulla bocca di tutti gli eporediesi. Dopo quasi dieci anni di chiusura e di restauri, sono tutti pronti a tornare in possesso della dimora storica e a festeggiare il suo costruttore, il Conte Verde, Amedeo VI di Savoia (1334-1383) che lo volle fortemente ma non lo vide mai. Proprio quel Conte Verde che combatte eroicamente contro i turchi nel monumento di fronte al Municipio di Torino. Ma quando riaprirà i battenti? All’Ufficio eventi del Comune di Ivrea non si sbilanciano troppo e fanno capire che non c’è ancora una data precisa per l’apertura, forse entro un mese. Eh sì, il Conte Verde, quello straordinario personaggio chiamato così per il colore delle sue insegne e dell’abbigliamento che usava durante i tornei equestri. Interamente vestito di verde scuro, verde nell’armatura, verdi erano le protezioni del cavallo, bardate di verde erano le sue galee che solcavano i Dardanelli, verde era la tappezzeria delle camere, verdi gli arredi dei suoi palazzi e i vestiti dei suoi scudieri così come rosse erano le torri del castello di Ivrea, realizzate interamente in mattoni, come scrisse il Carducci in “Salve Piemonte”. L’anno è il 1358, nel Canavese i Signori di Valperga combattevano contro i Signori di San Martino, alleati dei Savoia.
Ivrea si sentiva minacciata, era indispensabile costruire una fortezza per difendere la cittadina. Bisognava fare in fretta, il Conte Verde coinvolse subito un migliaio di persone nella costruzione dell’edificio e fece venire manodopera qualificata da Ginevra, Milano e Vercelli. Ma ci volle molto tempo per costruirlo, i lavori iniziarono nel 1358 e si conclusero solo nel 1395. Amedeo di Savoia non fece in tempo ad ammirare il suo castello, morì quasi cinquantenne nel 1383 durante un’epidemia di peste. Eretto sull’altura che domina la città e la strada per la Valle d’Aosta doveva diventare il simbolo del dominio sabaudo e in particolare del Conte Verde su tutta quella zona del Canavese. Quattro imponenti torri circolari alte 34 metri fortificano la struttura, il fossato proteggeva le mura con merlature a coda di rondine, i soldati entravano dal ponte levatoio, da feritoie e caditoie si lanciavano frecce, pietre, pece o acqua bollente per mettere in fuga gli assedianti. Una delle torri, quella di nord-ovest, nel Seicento fece una brutta fine: fu distrutta parzialmente dall’esplosione, provocata da un fulmine, della polveriera. Le vittime furono una cinquantina e la torre crollò restando mozza come la si vede ancora oggi. Nel Quattrocento tornò la pace tra le dinastie in lotta tra loro e il castello divenne la residenza delle duchesse di Casa Savoia tra cui Jolanda di Francia, sorella del re di Francia Luigi XI e Beatrice del Portogallo, moglie del duca sabaudo Carlo II, che si dedicarono allo sviluppo delle arti e della cultura chiamando a corte pittori, poeti e musicisti. Ma la bella stagione durò poco e a causa delle guerre tra francesi e spagnoli nel XVI secolo il castello divenne un presidio militare. Con il trasferimento della capitale del Ducato da Chambéry a Torino nel 1563 iniziò la decadenza politica di Ivrea e del suo castello. L’interno del maniero fu sventrato del tutto quando fu trasformato in un carcere dal 1700 al 1970. Poi fu chiuso per il crollo di tegole e intonaci e le visite furono sospese. Nel 1994 lo Stato l’ha dato in concessione al Comune di Ivrea che lo ha acquisito definitivamente nel 2017. Le porte sono sbarrate da otto anni e da oltre 12 mesi è al centro di una ristrutturazione di ampia portata nell’ambito di un programma di valorizzazione del bene dal grande valore storico e artistico. La riapertura è attesa entro l’estate.
Filippo Re

Il MAUTO celebra la corsa leggendaria con una mostra dedicata alla Mille Miglia

12 giugno – 29 settembre

 

UN VIAGGIO LUNGO MILLE MIGLIA

Il MAUTO celebra la corsa leggendaria con una mostra

realizzata in collaborazione con il Museo Mille Miglia di Brescia.

 

Apre la giornata la seconda edizione de “La Millemiglia delle idee”, una maratona di talk con cinque ospiti d’eccezione moderati da Gianluigi Ricuperati.

Performances e visite guidate a seguire.

 

In occasione del primo traguardo di tappa a Torino della 42esima edizione della Mille Miglia, il MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile celebra la corsa più bella del mondo con la mostra UN VIAGGIO LUNGO MILLE MIGLIA: l’esposizione – realizzata in collaborazione con il Museo Mille Miglia di Brescia e visitabile nella project room del MAUTO dal 12 giugno al 29 settembre – racconta la storia della leggendaria corsa, un’epopea durata un trentennio – dal 1927 al 1957 – e per la quale gareggiarono su un percorso di “1000 Miglia” i campioni più celebri del periodo.

 

Il percorso espositivo racconta i tre decenni della corsa, con una particolare attenzione agli anni più significativi: il 1927, data della prima edizione, il rilancio dopo la guerra nel 1947 e il 1957, l’anno del trionfo di Taruffi e del tragico epilogo. A ciascuno di questi anni corrisponde una tappa fondamentale nella storia della Mille Miglia: Brescia, il luogo dove tutto ebbe inizio; Torino, simbolo della ripresa nel dopoguerra; Roma, la tappa che unisce l’Italia da nord a sud e città della vittoria amara di Taruffi.

 

Sono tre i livelli del racconto, ciascuno sostenuto da una specifica tipologia di materiale: il dietro le quinte della gara – illustrato da un’ampia selezione di materiali originali esposti in teca, in gran parte inediti, provenienti dall’archivio Mille Miglia che raccontano i preparativi alla gara, le lettere delle scuderie, i rapporti con gli organizzatori e i materiali degli addetti ai lavori; l’emozione della gara in presa diretta, con fotografie e filmati d’epoca che mostrano i protagonisti della corsa, le loro imprese sulle strade impervie del percorso e la partecipazione calorosa del pubblico; il fascino popolare della gara nel cinema: una selezione di filmati cinematografici – dalla cronaca dell’Istituto Luce al cinema d’autore di Wes Anderson – che rappresentano in maniera spettacolare, controversa e talvolta onirica una gara che ancora oggi affascina e offre spunti di riflessione.

 

LA MILLEMIGLIA DELLE IDEE

12 giugno / dalle h 17 alle h 19 – Talk / Piazza del MAUTO

In occasione della partenza della Mille Miglia da Torino e nella giornata di apertura della mostra – mercoledì 12 giugno, dalle 17 alle 19 – il MAUTO presenta la seconda edizione delle Millemiglia delle idee dal titolo Passaggi e paesaggi. Come la corsa più bella del mondo svela e rivela la storia e la geografia d’Italia: la rassegna di interventi e storie curata da Gianluigi Ricuperati che nel 2023 aveva inaugurato le celebrazioni per i 90 anni del Museo, portando esponenti dell’umanesimo contemporaneo a parlare di cultura dell’Automobile.

Si alterneranno nella piazza del MAUTO nomi di spicco del panorama culturale italiano per esplorare i diversi modi con cui la corsa più importante d’Italia si è intrecciata con le vicende storiche del Paese, con il paesaggio e con i temi, oggi fondamentali, della mobilita sostenibile. 

 

Il link per la prenotazione all’evento è https://ticket.museoauto.com/categoria/un-viaggio-lungo-millemiglia/

 

IL MAUTO IN PIAZZA SAN CARLO CON TRE VETTURE DELLA SUA COLLEZIONE

11 giugno / dalle h 15 alle h 23.30

Esposizione/ Piazza San Carlo

Il MAUTO sarà presente in Piazza San Carlo – martedì 11 giugno, a partire dalle ore 15 – con tre esemplari della sua collezione, ciascuno dei quali rappresenta una tipologia di vettura che ha partecipato a “corse epiche” su strada. La Fiat 8 HP del 1901 ha preso parte al primo Giro d’Italia nel 1901, la Itala 34/45 Pechino Parigi del 1907 ha partecipato e vinto al 1° raid internazionale attraversando Asia ed Europa e la Lancia D24 del 1953 ha preso parte alla famosa Carrera Panamericana attraversando l’America da Nord a Sud.

 

 

Sandro Pertini, il “partigiano Presidente” che parlava al cuore degli italiani

Il 24 febbraio 1990, ci lasciava Sandro Pertini. Il “partigiano Presidente”, amatissimo dagli italiani. Nell’immaginario collettivo è diventata un’immagine leggendaria quella della sua esultanza allo stadio di Madrid, durante la finale del mondiale di calcio del 1982, vinta dall’Italia contro la Germania. L’intera vita di Pertini si presenta come un ritratto dai contrasti netti, marcati: un uomo di rara intelligenza e coraggio, dal carattere deciso, a volte irruento, generoso. Sandro Pertini fu il settimo Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985. Durante la prima guerra mondiale, Pertini combatté sul fronte dell’Isonzo. Nel dopoguerra aderì al Partito Socialista Italiano e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo che lo costrinse all’esilio in Francia. Alla caduta del fascismo, nel 1943 Pertini divenne una delle personalità di spicco della Resistenza italiana. Nell’Italia repubblicana fu eletto deputato all’Assemblea Costituente per i socialisti. Fu parlamentare dal 1953 al 1976 e per otto anni Presidente della Camera dei deputati. Al di là della sinteticità di questa nota biografica emerge prepotentemente l’impronta umana, l’incredibile empatia che gli valse una notevole popolarità. In un’intervista, precisando il suo pensiero sui valori fondamentali che ne segnarono l’intera vita, disse: “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. […] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”. In poche frasi, pronunciate con determinazione e chiarezza, sintetizzò il suo “spirito garibaldino”. Ma è un episodio lontano della vita di Sandro Pertini che vale la pena rievocare. I fatti accaddero durante l’Undicesima battaglia dell’Isonzo, combattuta tra il 17 e il 31 agosto del 1917. Sandro Pertini, all’epoca, era uno studente che non aveva ancora compiuto vent’anni, simpatizzante socialista e convinto neutralista, quando venne chiamato alle armi a metà del 1916. Destinato in un primo momento al 25° Rgt Artiglieria, 1^ Compagnia automobilisti, di stanza presso il Comando della I° Armata in Trentino, partecipò   controvoglia, a causa delle sue idee , al corso accelerato per allievi ufficiali dal quale uscì con il grado di aspirante. Durante quella che per gli italiani rappresentò la terza estate del conflitto, il sottotenente dei mitraglieri Fiat Pertini raggiunse il 227° Rgt Fanteria sul fronte isontino. Il capo di Stato maggiore italiano, il piemontese Luigi Cadorna, originario di Pallanza sul lago Maggiore, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe sull’Isonzo dove venne sferrato l’attacco su un fronte che da Tolmino (oggi comune sloveno) si estendeva fino alle coste dell’Adriatico.

Il combattimento fu aspro e sanguinoso sull’altipiano della Bainsizza dove si lottò strenuamente per conquistare il Monte Santo. Fu un’esperienza che il futuro Presidente della Repubblica non potè mai dimenticare. La ricordava così: “Ho vissuto la vita orrenda della trincea fra il fango, fra i pidocchi. Sparavamo agli austriaci, che erano giovani soldati, giovani ufficiali come noi”. Temendo sommosse o diserzioni i comandi italiani osteggiavano gli ideali socialisti, reprimendoli con durezza e ferocia. Lo stesso Pertini, simpatizzante del partito fondato da Turati e frequentatore dei circoli operai genovesi, era segnalato e guardato a vista. Durante i durissimi scontri di quel terribile agosto sulla dorsale dei monti Descla- Jelenik il sottotenente Pertini si distinse per una serie di atti di eroismo e venne proposto per la medaglia d’argento al valore militare per aver guidato, in quella battaglia, un assalto contro i nemici, espugnando con pochi uomini delle postazioni austro-ungariche difese da nidi di mitragliatrici, con questa motivazione:”Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo, avanzava primo fra tutti verso le munitissime difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l’altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo ed audacia. Descla- M. Cavallo- Jelenik, 21, 22, 23 agosto 1917”. Ma la medaglia non gli fu mai consegnata. Forse dell’incartamento si persero le tracce durante la rovinosa ritirata di Caporetto o, più probabilmente, come scrisse lo stesso Pertini, non venne assegnata per motivi politici (“Sono stato proposto per la medaglia d’argento. Non me la diedero perché mi ero opposto all’intervento”). Il tenente Pertini, onorificenza a parte, non per scelta, ma per dovere combatté in prima linea, sul medio Isonzo e poi sul fronte del Pasubio, per tutto il resto della guerra. Ne scrisse, in seguito: “Ricordo quei massacri. Per prendere una collina, mandavano all’assalto i battaglioni inquadrati, ufficiali in testa con la sciabola sguainata. La sciabola brillava alla luce del sole e quegli ufficiali diventavano sagome per un tragico tiro al bersaglio. Ma in luogo di adottare una più intelligente tattica di assalto, fu deciso di brunire le sciabole”. A guerra finita, congedato con il grado di capitano, Pertini riprese gli studi, si laureò in Giurisprudenza e nel 1919 si tesserò al Partito Socialista. Qualche anno più tardi, nella seconda metà degli anni ’20, il distretto militare di Savona riuscì a ricostruire l’intera vicenda, ma il regime occultò la pratica di quell’impenitente sovversivo ben noto alle autorità per la sua irriducibile attività antifascista . Quell’incartamento “dimenticato” fece la sua ricomparsa dopo quasi settant’anni passati nei polverosi archivi del distretto militare, al tempo in cui l’ex eroe del monte Jelenik ricopriva la massima carica della Repubblica. Fu lo stesso Pertini a raccontare il fatto ai giornalisti con la consueta schiettezza: “Un giorno venne a trovarmi al Quirinale il capo di Stato maggiore della Difesa, Torrisi. Presidente, mi disse, sa cosa abbiamo trovato in una vecchia cassa di documenti? Una proposta del 1917 per darle la medaglia d’ argento. Io sapevo della proposta, ma non immaginavo che un giorno l’avrebbero ritrovata. Beh, quella notizia che mi portò Torrisi mi fece un grande piacere; che volete, ai miei vent’ anni ci tengo“. Ma il saldo di quell’antico debito d’onore nei confronti di Pertini dovette attendere lo scadere del suo mandato presidenziale poiché fu proprio lui a rifiutarsi di firmare il decreto finché fosse rimasto al Quirinale. Così, per sua stessa richiesta, la medaglia gli venne consegnata solo nel 1985, con un decreto firmato dal neopresidente Cossiga. Per la cronaca, quel decreto attribuì al decorato, secondo i dettami di legge, anche la considerevole somma di lire italiane duecentocinquanta mila. Anche da questo episodio emergono il profilo e lo spessore umano del “Presidente più amato dagli italiani”. Come dar torto a Indro Montanelli quando scrisse sul Corriere della Sera del 27 ottobre 1963 “non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità”.

Marco Travaglini

 

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

VENERDI 7 GIUGNO

Venerdì 7 giugno ore 18

PERDIZIONE – prima nazionale

MAO – performance nell’ambito del festival Interplay

Una performance site specific di e con Stefania Tansini adattata appositamente per il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, realizzata per la prima volta in forma di studio per gli spazi della Fondazione 1563 nel Palazzo Einaudi.

Il corpo si pone come elemento di passaggio in ascolto verso quello che offre l’attimo, il luogo, il suono. Sfugge e lascia una traccia. Un abbandono alla contingenza e al piacere del movimento. Un cambiamento di forme e dinamiche a partire dalla sensibilità della presenza in una costante ricerca di autenticità. La coreografia si sviluppa in parallelo all’andamento sonoro e accoglie le caratteristiche del luogo. Apre possibilità di esistenza inaspettate a partire dall’attenzione minimale del gesto. Corpo e suono sono attivatori di accadimenti effimeri: stanno, agiscono, rimangono, abbandonano.

Ingresso €10.  I biglietti sono disponibili in prevendita su Ticketone e in biglietteria il giorno dell’evento.

STEFANIA TANSINI. Danzatrice e coreografa, è diplomata all’Accademia Paolo Grassi. Ha lavorato per Romeo Castellucci, Cindy Van Acker, Simona Bertozzi, Luca Veggetti, Enzo Cosimi, Ariella Vidach, Motus. Ha intrapreso un percorso di ricerca sul corpo che porta avanti attraverso progetti coreografici e performativi. È vincitrice del premio UBU 2022 nella categoria “miglior performer under 35” ed è artista associata alla Fondazione Teatro Grande di Brescia. I lavori di Stefania Tansini sono stati presentati in numerosi festival, tra cui Romaeuropa Festival, Festival FOG di Milano, Festival di Sant’Arcangelo, Festival Gender Bender di Bologna, Festival La democrazia del corpo di Firenze, Festival Interplay. Stefania è stata vincitrice nel 2023 del Bando Air per L’ombelico dei limbi, nel 2022 Premio UBU miglior attrice/performer under 35 e nel 2021 Premio rete e critica per La grazia del terribile, per citarne alcuni.

SABATO 8 GIUGNO

 

Sabato 8 e domenica 9 giugno ore 10 – 17

LE ROSE

Palazzo Madama – workshop di acquerello botanico con Angela Petrini

Osserveremo la grande varietà di rose presenti nel giardino di Palazzo Madama: la rosa gallica, la rosa alba, la rosa damascena (di Damasco) colpiscono il visitatore con i colori dei petali e le forme delle corolle, a cui si accompagna l’intensità del profumo che da loro sprigiona.

L’osservazione delle caratteristiche botaniche si tradurrà nel disegno, a cui darà vita il colore studiato nelle sue possibili miscele e modalità di applicazione. Ai più esperti si proporranno, tra l’altro, più elaborate costruzioni compositive come la rappresentazione del fiore bianco.

Il corso ha una durata di 12 ore ed è accreditato per l’aggiornamento degli insegnanti (legge 170 del 21/03/2016 art. 1.5).

Angela Petrini, affermata acquerellista botanica, ha ottenuto il Diploma con lode in disegno e acquerello botanico dalla Society of Botanical Artists nel Regno Unito nel 2010, tra i suoi riconoscimenti più significativi la Golden Medal ricevuta dalla eminente Royal Horticultural Society al RHS London Orchid & Botanical Art Show 2018.

Materiale occorrente: acquerelli; pennelli tondi a punta fine numeri 4, 2, 0; matita HB; gomma morbida; carta liscia satinata 300 gr. formato 30×40 circa. A chi non avesse il materiale l’insegnante può fornire carta, pennelli e colori necessari per lo svolgimento del seminario al costo di 5 €. È necessario segnalarlo al servizio prenotazioni.

Costo: € 140 / ogni incontro

Posti disponibili per ogni appuntamento: 8
Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

Sabato 8 giugno ore 14:30, 15:30 e 16:30

UNA VALIGIA DI SOGNI. STORIE DI VIAGGI E DI GRANDI AVVENTURE

MAO – attività per famiglie in collaborazione con Comune di Torino, Crescere Leggendo e Centro di documentazione e biblioteca pedagogica

Un appuntamento dedicato alle bambine, ai bambini e alle loro famiglie, alla scoperta dell’Asia, della sua storia, all’interno degli spazi espositivi del MAO Museo d’Arte Orientale, accompagnati da letture di storie di viaggi.

Ingresso libero. Prenotazione obbligatoria a: maodidattica@fondazionetorinomusei.it – 0114436928


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Al Museo del Risorgimento i cimeli della Contessa di Castiglione

 

Il Museo Nazionale del Risorgimento partecipa ad Archivissima, la Notte degli Archivi che è dedicata quest’anno alle “Passioni”, con l’esposizione di due cimeli unici appartenuti alla Contessa di Castiglione: l’album di fotografie, donatole dal diplomatico Costantino Nigra e conservato negli archivi storici del museo, e un prezioso bracciale intarsiato appena acquisito dal Museo grazie a una donazione privata, che viene per la prima volta esposto al pubblico.

La piccola exhibition “Passioni allo specchio: la Contessa di Castiglione e l’album Nigra”, allestita nella Sala Plebisciti del Museo dal 6 al 30 giugno, si propone di far conoscere la passione di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, per l’arte della fotografia: sia come autorappresentazione, che come espressione di una novità mondana. Raccoglie una selezione di scatti eseguiti fra il 1856 e il 1857 all’Atelier Mayer & Pierson di Parigi, riferimento dell’élite parigina del Secondo Impero.

La contessa fu una delle protagoniste segrete del Risorgimento e del processo di unificazione dell’Italia. Cugina di Cavour, si prodigò in attività di spionaggio e diplomazia, e fu al centro dei più importanti avvenimenti dell’epoca: il Congresso di Parigi del 1856 dove Cavour tessé le alleanze con Francia e Inghilterra; la seconda guerra d’indipendenza, che portò alla vittoria dell’alleanza franco – sabauda sull’Impero Asburgico, e le trattative di pace della guerra franco-prussiana.

La Castiglione, considerata fra le donne più belle della sua epoca, fu incaricata segretamente da Cavour e dal Re Vittorio Emmanuele II della missione di spingere l’imperatore di Francia Napoleone III ad allearsi con il Regno di Sardegna. Ci riuscì divenendone l’amante.

La visita all’esposizione dei due cimeli è inclusa nel biglietto del Museo. Per la Notte degli Archivi, il Museo propone diverse iniziative. Dalle 18 alle 21 (ultimo ingresso alle 20), apertura straordinaria con ingresso gratuito; alle 19.30, visita guidata tematica (su prenotazione al Museo tel. 0115621147); poi alle 21, in Sala Plebisciti, l’incontro “Passioni allo specchio: la Contessa di Castiglione e l’Album Nigra” con Roberto Coaloa, storico e scrittore, e il contributo video di Benedetta Craveri, critica letteraria e scrittrice, autrice nel 2021 della biografia “La contessa. Virginia Verasis di Castiglione”. L’ingresso all’incontro è libero fino a esaurimento posti disponibili. Prenotazione consigliata su Eventbrite.

TORINO CLICK

Ultimi giorni per la mostra sul Liberty a Palazzo Madama

Chiude lunedì 10 giugno 2024 la mostra, LIBERTY. Torino capitale allestita nella Sala Senato di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino, che sta raggiungendo il traguardo di 90.000 visitatori in circa 7 mesi di apertura al pubblico, con una media giornaliera di 460 persone.

Per l’occasione, venerdì 7 giugno alle ore 15:45 e alle 17:00 il Direttore di Palazzo MadamaGiovanni Carlo Federico Villa sarà lieto di accompagnare i visitatori in due visite guidate speciali e gratuite.

L’esposizione, a cura di Palazzo Madama e della SIAT – Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino con la collaborazione di MondoMostre racconta con un centinaio di opere il fondamentale ruolo di Torino per l’affermarsi del Liberty, un’arte che nella capitale sabauda diviene il fulcro di una storia che travolge ogni aspetto della vita e della società, definendo un’esperienza architettonica e artistica che dalle suggestioni torinesi si diffonderà in tutto il mondo.

La mostra è articolata in cinque sezioni con un allestimento emozionante e coinvolgente, che affronta ogni aspetto delle manifestazioni artistiche del Liberty, consentendo al visitatore di comprendere i meccanismi della creazione architettonica ed estetica, siano esse di architettura, di design d’interni, pitture, sculture,  lavori grafici o di decorazione, oggetti d’uso, testi letterari, poesia o musica, tutti lavori caratterizzati dalla particolarissima linea strutturale della natura, generatrice eterna di forme.

Chi non avesse ancora avuto l’opportunità di visitare la mostra può farlo in quest’ultima settimana.

Visite guidate speciali a cura del Direttore di Palazzo Madama Giovanni Carlo Federico Villa:

Venerdì 7 giugno ore 15:45 e 17:00

Visita guidata gratuita

Ingresso alla mostra secondo regolamento

Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629 e-mail:madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Torino, 1872: quando la statua di Balbo traslocò

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / I lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo

Cari amici lettori e lettrici, eccoci nuovamente pronti per un’altra piacevole (si spera) ed interessante passeggiata per le vie della città alla scoperta delle sue affascinanti opere. Questa settimana vorrei parlarvi di un noto personaggio storico nato nel capoluogo piemontese e divenuto un personaggio di rilevante importanza per la città di Torino; sto parlando di Cesare Balbo e del monumento a lui dedicato. (Essepiesse)

La statua è situata in via Accademia Albertina sull’asse centrale dell’Aiuola Balbo, ai margini della vasca d’acqua centrale. Cesare Balbo è ritratto in posizione seduta, vestito in abiti borghesi con un ampio mantello sulle spalle; con la mano destra stringe gli occhiali, mentre sul ginocchio sinistro tiene aperto con la mano il libro “Le speranze d’Italia”, libro da lui scritto, pubblicato nel 1844 a Parigi e dedicato all’ideale politico dell’unificazione italiana.

 

Cesare Balbo nacque a Torino il 21 novembre del 1789 da Prospero Balbo già sindaco di Torino e ambasciatore di Parigi ed Enrichetta Taparelli D’Azeglio, fu un uomo politico, scrittore e Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna. Cesare Balbo maturò culturalmente in varie città europee a causa della continua peregrinazione che il padre dovette subire nei difficili anni del regno di Vittorio Amedeo III di Savoia; fu così che venne a contatto con le nuove teorie illuministiche che, in quegli anni, stavano prendendo sempre più piede nei maggiori centri culturali europei.

Fu propugnatore dell’indipendenza d’Italia dal dominio austriaco ed uno dei più importanti esponenti della cultura liberale piemontese. Nel 1848, dopo la concessione dello Statuto Albertino, divenne presidente del primo Ministero costituzionale piemontese e fu deputato del Parlamento Subalpino fino alla sua scomparsa. Immediatamente dopo la sua morte, avvenuta a Torino il 3 giugno 1853, alcuni cittadini torinesi decisero di erigergli una statua alla memoria. Venne istituito il “Comitato per l’erezione di un monumento a Cesare Balbo” presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno e del quale facevano parte Giuseppe Arconati, Ottavio di Revel, Federico Scoplis e Luigi Torelli.

Apertasi una pubblica sottoscrizione, in pochi mesi la cifra raggiunta superò le 10.000 lire delle quali circa la metà fu costituita da oblazioni private, mentre la restante parte venne donata da enti pubblici. Per ciò che riguardava invece il concorso del Municipio di Torino, si fu inizialmente orientati su due ipotesi diverse: rendere disponibile un’area all’interno del Camposanto generale oppure, nel caso il Comitato avesse voluto erigerlo in sito pubblico, concorrere economicamente alla sua realizzazione. Essendo scelta la seconda opzione, il Municipio decise di stanziare la somma di 3.000 lire, alla quale si aggiunsero i contributi dei Municipi di Pinerolo, Susa e della Provincia di Torino (1.000 lire), raggiungendo così la cifra di 10.554 lire.

Della realizzazione dell’opera venne incaricato Vincenzo Vela (lo stesso autore dell’opera già vista da noi “Alfiere dell’ Esercito Sardo”), da pochi mesi professore di scultura dell’Accademia Albertina di Torino. Vela scelse di rappresentare Cesare Balbo in una posa “naturale”, in un atteggiamento anche posturale, che ricordasse la sua vita, il suo lavoro ed anche il suo impegno di letterato e di scrittore. Per la realizzazione del monumento vennero versate a Vela circa £ 10.000, mentre le rimanenti 554 lire furono spese per la realizzazione di una cancellata di protezione.

Nei primi mesi del 1856, Cesare Alfieri propose al Sindaco Notta di posizionare l’opera nel Giardino dei Ripari, tra il nascente Borgo Nuovo e la città storica; il 5 giugno 1856 il Consiglio Comunale, venendo incontro a questa richiesta, diede il suo consenso alla collocazione della statua in cima al declivio che dalla via della Madonna degli Angeli conduce al Giardino. Il monumento a Cesare Balbo venne inaugurato l’8 luglio del 1856 ed in questa occasione venne donato al Municipio che lo accettò ufficialmente nella seduta del Consiglio Comunale del 15 novembre 1856.

In seguito però, nel 1872 delle nuove politiche condussero alla riconfigurazione dell’area occupata dal Giardino dei Ripari; i pesanti lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo dove ancora oggi si può ammirare. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale l’opera venne danneggiata durante i bombardamenti.

 

Visto che abbiamo accennato alla realizzazione della “nuova” Aiuola Balbo, ricordiamo che essa è un giardino d’origine tardo ottocentesca; è caratterizzata dall’essere realizzata su terrapieno e quindi delimitata da un perimetro murario che la isola, sollevandola, dalle strade che la circondano. Di forma rettangolare, ha come fulcro una importante fontana centrale ed è piantumata con alberi disposti in modo naturale lungo tutto il perimetro.

Il disegno definitivo dell’Aiuola Balbo venne realizzato nel 1873 dall’ingegnere capo Pecco, che progettò un giardino totalmente verde, sollevato di circa un metro e mezzo al di sopra del piano stradale. I monumenti a Cesare Balbo, Eusebio Bava e Daniele Manin vennero ricollocati in modo simmetrico e armonico nell’Aiuola Balbo, nel centro del giardino sul suo asse longitudinale; l’ inserimento dell’ importante fontana centrale vennedeciso solo più tardi, nel febbraio 1874. L’Aiuola Balbo, inaugurata il 19 settembre 1874, oggi ospita complessivamente sei monumenti che la caratterizzano come un giardino dedicato ai patrioti attivi nei moti per l’indipendenza degli stati europei.

Simona Pili Stella

Foto  G i a n n i  C a n e d d u