RIFLESSIONI NEL GIORNO DELLA MEMORIA
Stamattina a Torino la temperatura era di -3° celsius. Oggi, la maggior parte di noi è sceso di casa, bardato di cappelli, sciarpe, guanti e cappotti caldi ed ha iniziato la giornata sbrinando i vetri dell’auto e probabilmente imprecando contro il freddo ed il gelo.
77 anni fa, milioni di persone, si sono svegliate da un sonno, che probabilmente non c’è mai stato, e con miseri indumenti addosso, scalzi e digiuni si apprestavano a sopravvivere ad un’altra giornata di lavoro, violenza ed umiliazione. Ignari che quel giorno avrebbe rappresentato per loro l’inizio di una nuova vita.
Il 27 gennaio 1945 la 60esima armata dell’esercito Sovietico entrò ad Auschwitz e quello che scoprirono fu agghiacciante. Milioni di corpi, vivi e morti, mischiati insieme, senza distinzione, tenuti prigionieri e schiavizzati solo perché appartenenti ad un’etnia differente, per credo politico, religioso, orientamento sessuale, malformazioni fisiche.
Gli orrori del nazismo sono inenarrabili e sicuramente ad oggi ognuno di noi fa fatica a concepire cosa significa morire di freddo, di stenti, perennemente malati, indeboliti da febbre, dissenterie, malattie respiratorie e nonostante ciò trovare la forza di lavorare, di sollevare carichi pesanti, di sopportare le continue vessazioni fisiche e mentali. Eppure questa forza, quasi in maniera inspiegabile ha accompagnato i più fortunati fuori da quell’incubo.
Tra questi, c’era mio nonno, Giuseppe Polesello, nato a Motta di Livenza, in provincia di Treviso, il 19 marzo 1917. Lui fu tenuto prigioniero a Linz, in Austria nel 1942 – 1943. La sua forza fu l’ingegno e senza dubbio il carattere mansueto che lo contraddistingueva. Si salvò perché riuscì a costruire con pezzi di fortuna, una macchina per fare la pasta per i generali nazisti, questi lo ritennero prezioso e così gli riservarono qualche buccia di patata e crosta di pane. In seguito lo fecero autista, trovandogli una funzione all’interno del campo, questo bastò a farlo rimanere vivo e a fornirgli in seguito la possibilità di scappare e ricongiungersi all’esercito italiano.
Anche se in maniera confusa, mio nonno, ogni Natale raccontava a me e alla nostra famiglia, spezzati di quel terribile periodo, l’importanza della memoria si manifesta oggi, perché mi offre la possibilità di rinnovare il suo ricordo e quello di tanti altri che non hanno avuto la fortuna di utilizzare le loro inclinazioni per vivere ancora. Come se servisse una funzione per continuare ad esistere; eppure ci hanno insegnato che ogni essere vivente è degno di vivere solo per il fatto di respirare.
In questa giornata desidero riportare le parole di Etty Hillesum, una ragazza ebrea, di 28 anni che scrisse un diario, indirizzando i suoi pensieri a Dio e che il 7 settembre del 1943 salì sul treno per Auschwitz senza più uscirne. “In un campo, bisogna pure che un poeta ci sia, che da poeta viva questa vita, proprio questa, e in futuro la possa cantare.”
Mio nonno, fu per me un poeta di quelle atrocità, si inventò una via di fuga per continuare a vivere, tornare da mia nonna e formare la mia famiglia, fino ad arrivare a me, che oggi vi chiedo: voi che cosa vi sareste inventati per aver salva la vita?
Eleonora Persico
Mirafiori è stata testimone, alla fine degli anni ‘50, della produzione della prima 500 con cui partì la motorizzazione di massa. Infatti, nonostante all’epoca la Fiat 600 stesse riscuotendo successo, il presidente Vittorio Valletta affidò a Dante Giacosa la realizzazione di una nuova vettura economica partendo dai disegni di Hans Peter Bauhof, impiegato nella sede tedesca della Fiat. Vennero prodotti i primi prototipi solo per quanto riguarda l’estetica della vettura, fino a raggiungere il giusto compromesso tra aerodinamica e spazio interno. La Nuova 500 viene così lanciata nel 1957: inizialmente non convince la l’allestimento spartano e la meccanica rudimentale del motore, ma pochi mesi dopo il tutto viene ottimizzato e l’estetica migliorata di nuovi dettagli.
La versione di maggiore successo è stata senza dubbio la 500 F, lanciata nel 1965, premiata per le finiture cromate all’esterno e nell’abitacolo, il motore potenziato e l’aumento di capienza del serbatoio. Ad oggi, Mirafiori è rinata con l’avvio dell’era elettrica: nel 2019 in occasione degli 80 anni del complesso, FCA ha annunciato l’intenzione di fare dello storico stabilimento, la casa della nuova generazione della 500, il primo modello 100% elettrico, investendo una cifra pari a 700 milioni di euro per allestire linee di assemblaggio nuove, altamente automatizzate e creare un Battery Hub, un centro di competenza per le batterie.
Avviata nella seconda metà del 2020, poco prima dell’annuncio della storica fusione con PSA Group – racchiude Peugeot, Citroën, DS Automobiles, Opel e Vauxhall Motors – che ha dato vita al colosso Stellantis, la produzione della 500 elettrica impiega circa 1200 addetti con una capacità massima di 80.000 unità l’anno ed è stata accompagnata dalla realizzazione, sempre a Mirafiori, dell’ambizioso progetto di applicazione della tecnologia Vehicle to Grid il quale consente, tramite sistemi di carica capaci di far viaggiare l’energia in entrambe le direzioni – dalla rete dell’auto e viceversa -, di utilizzare le auto stesse come riserve da cui l’energia possa essere prelevata per stabilizzare il sistema nei momenti critici. Infine lo scorso ottobre, Stellantis ha annunciato lo spostamento a Mirafiori dell’intera produzione delle Maserati Ghibli e Quattroporte, prima assemblate a Grugliasco, con la creazione de Stellantis Turin Manufacturing District, il quale guiderà Maserati nel passaggio graduale all’elettrico, mantenendo la produzione della 500 elettrica e della prossima generazione.
Cuneo
Fra i Santi sociali torinesi, fondatore delle Congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, canonizzato da Papa Pio IX nel 1934, Don Bosco (al secolo Giovanni Melchiorre Bosco) visse per dieci anni, dal 1831 al 1841, a Chieri dove frequentò le scuole pubbliche ed il Seminario. Al suo arrivo in Chieri aveva 16 anni. E proveniva dai Becchi di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), dov’era nato il 16 agosto del 1815 da una poverissima famiglia contadina e dove trascorse gli anni della fanciullezza e della prima adolescenza, guidato in particolare dalla figura determinante della madre Margherita Occhiena, rimasta vedova del marito Francesco quando Giovanni aveva solo due anni e che affrontò sacrifici d’ogni genere per permettere al figlio di studiare e di seguire la sua fortissima vocazione spirituale. Chieri (dove si stabilì a pensione presso la casa di Lucia Matta e dove per mantenersi agli studi fece molteplici lavori, dal garzone al cameriere all’addetto di stalla) ebbe dunque nella vita del giovane Giovanni Bosco un ruolo di primaria importanza, mantenendo a tutt’oggi tracce indelebili del suo passaggio. Di qui l’organizzazione – da parte del Comune, dell’Istituto Salesiano “San Luigi” e dell’Istituto “Santa Teresa” – di eventi celebrativi tradizionalmente dedicati al “Santo dei giovani”, scomparso il 30 gennaio del 1888, a Torino, dov’era stato ordinato sacerdote il 5 giugno del 1841 nella Cappella dell’Arcivescovado. Quest’anno, l’appuntamento è per domenica 30 gennaio. In programma un itinerario fra strade e piazza del centro storico di Chieri alla scoperta dei luoghi che videro allora la presenza del Santo, beneficiando negli anni successivi delle sue innumerevoli opere. “Siamo profondamente lieti – sottolinea Antonella Giordano, assessore comunale alla Cultura – nel giorno della Festa del fondatore dei Salesiani, organizzata in collaborazione con la rete delle istituzioni salesiane, di proporre un itinerario in alcuni dei luoghi significativi della presenza salesiana a Chieri, a cominciare dal ‘Centro Visite Don Bosco’, museo e luogo di documentazione gestito dal Comune, ubicato all’interno dell’edificio che nell’Ottocento ospitava il Seminario di ‘San Filippo Neri’ dove don Bosco studiò. Dando così anche seguito a un preciso impegno assunto in Consiglio comunale per rilanciare il percorso museale Don Bosco”.