STORIA- Pagina 10

Giuseppe Luigi Lagrange, nato Lagrangia a Torino

«Chi ha ottenuto notorietà all’estero, dovrebbe averla anche in patria» giusta affermazione, ma, e gli insuccessi? «in tal caso non tutto va detto» intervento pronto di qualcuno ….


Noi però crediamo che la verità storica non debba mai essere sottaciuta (e neppure addomesticata per soddisfare agli interessi di qualcuno). Cercherò allora di dirvi perché intendo parlare di Lagrangia (nome con il quale, nel 1736, il nostro personaggio venne registrato nell’atto che, primo, testimoniala sua venuta alla luce proprio a Torino).

Negli anni scorsi, Torino ha dedicato meritate attenzioni al matematico Giuseppe Luigi Lagrange (Torino, 1736 –Parigi, 1813), che, con il medico Cigna e il conte Saluzzo, fu fondatore della Società Privata che originò poi la nostra Reale Accademia delle Scienze. Così, nell’autunno del 2013, furono allestite una mostra e una pubblicazione di 128 pagine illustrate, sotto il titolo: «Lagrange. Un europeo a Torino». La scelta di quelle parole, però, non fu moltofelice perché, enfatizzando il cognome francese, sembravavoler dar lucro alla Città recuperando alla causa un transalpino! Operazione questa del tutto inutile e almeno non necessaria, perché si sa che, proprio da Torino,partirono personaggi e iniziative che ebbero successo in tutto il mondo.

Ora però andiamo alle pagine di quel volumetto, frutto dellacollaborazione di alcuni specialisti.

Nulla da eccepire sulle disamine attente degli storici della scienza, e meno male che si è anche ricorsi a studiosi come Maria Teresa Borgato e Luigi Pepe che al matematico«Lagrange» avevano già dedicato un elegante volumetto (illustrato di 206 pagine, edito a Torino nel 1990), nel quale, senza segnalarlo, si fece emenda della genealogia famigliare di Antonio Manno, sostituendo addirittura anchei nomi di alcuni personaggi riferiti da lui. – Disdicevole comunque era la divulgazione di questi nuovi elementi di storia famigliare, senza tener conto di quanto altri, più vicini a noi nel tempo, avevano scritto sull’argomento. Ricorderò allora che i nobili Lagrange sono stati argomentodel prezioso saggio, intitolato «Familles de La Grange La Grange –d’Arquien & La Grange – Trianon», facilmente accessibile in rete, dove fu pubblicato da Etienne Pattou nel 2006, con “dernière mise à jour: 21/02/2022 sur http://racineshistoire.free.fr//LGN, che nulla dice del nostro scienziato, delle sue origini e della sua famiglia. Per le commemorazioni torinesi del 2013, quindi, sarebbe stato auspicabile che si rendesse noto il luogo in cui, in Francia, nacque l’antenato suo che per primo si trasferì in Piemonte(evidentemente, i polverosi documenti dell’Archivio di Stato scoraggiarono le ricerche e si decise di lasciare le carte tranquille, tutelate dal loro silenzio centenario)!

Però, siccome quel nome di famiglia è presente negli Stati Sabaudi al di là dei monti, viene da segnalare che, su quelle zone, pubblicò Hippolyte Tavernier (Taninge et ses environs. Mémoire descriptif et historique, 1888,) rilevandola presenza dei Lagrange in Faucigny (la terra, fin dal XIV Secolo, frequentata dai nostri antenati). La circostanza ètaciuta non solo dal Manno, ma anche dal Pattou, che neppure nomina, in Savoia, l’esistenza storica di un marchese Lagrange, Jacques Abraham Raimond, morto nel 1854, e di un suo nipote, Marie Frédéric conte de Lagrange,sposo di Marie Antoinette Burdet (1828-1899), la figlia di quell’Aimé (1790-1862), libraio e tipografo della famosa stamperia di Annecy (il cui titolare, fregiato del titolo di «Imprimeur de l’Evêché et du Clergé», iniziò a operare nel 1732, con Jean-Baptiste da Seyssel, avolo di Aimé. mentresuo figlio Charles, che pure si era impratichito nella professione a Parigi, avrebbe ceduto la proprietà della libreria ad Abry nel 1872, e quella della tipografia a Niératnel 1876).

Ciò detto mi scuserò per questa digressione(genealogicamente basata su Geneanet-Albero genealogico Pierre Blanc, e storicamente su studi di S. Coutin, nostri e di altri), ho fatto cenno di un ramo collaterale del casato del quale porto il nome, quindi, forte dei miei studi ultraventennali sul XVIII Secolo, già opportunamente pubblicati (con contributo della Regione Piemonte e titolo:Carlo Antonio Napione (1756 – 1814), Artigliere e scienziato in Europa e in Brasile, un ritratto, Torino, Celid, 2005, 2 tomi illustrati di pp. XVI+940], farò una doverosaemenda puntualizzando quanto fu scritto, undici anni or sono, su Lagrange in merito al suo rapporto con le Scuole di Artiglieria torinesi.

Studiando le origini dell’Artiglieria Piemontese infatti, ho ritrovato, letto, trascritto e pubblicato (nel tomo 1° di quella mia opera) diversi documenti conservati tra le Carte Antiche d’Artiglieria alle Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato di Torino. In particolare l’«Informazione rassegnata a S.M. dal Direttore Generale delle Scuole d’Artiglieria D’Antonj, nella quale si descrivono i motivi dello stabilimento di dette Scuole, le addizioni fatte in seguito al primiero Regolamento, i mezzi, ed i modi adoperati dal medesimo Direttore per conseguire il fine, cui mira tale Stabilimento, ed i progressi, che ne sono derivati da tutte le disposizioni prese a tale riguardo» datata 17 ottobre 1776. Poiché in quelle pagine è chiaro che «si è dato principio li 2. del 1770 a un quarto Corso di studj teorici colla scelta di nuovi Cadetti ... Questo corso, è stato terminato in fine d’Agosto 1776 coll’esito descritto nella memoria de’ 6. Luglio del Direttore generale, e nella relazione del primo Settembre dello stesso anno per le scuole teoriche. Le materie insegnate in questo Corso sono le medesime già spiegate nel Corso precedente a norma delle addizioni del 1755, con questo divario però che siccome i trattati matematici formati da’ due diversi soggetti (§10H) quantunque esimj in se medesimi, erano fra essi slegati a segno, che hanno non pocco imbarazzato gli studenti, così il Direttore generale ha per questo corso rifatti essi trattati, di modo che nell’escludere ogni diramazione non necessaria alla professione d’Artigliere, e d’Ingegnere, ha procurato di condurre gli Allievi per la strada più breve, e facile all’acquisto di quelle notizie, che per essi sono indispensabili» e, in nota, il generale  Papacino andava chiarendo: «Il talento sublime del sostituito La Grangia, che con tutta ragione lo ha collocato fra i primi Accademici d’Europa, non le ha permesso di sminuzzare i rudimenti a noi necessarj, onde hanno giudicato rettamente coloro, che nell’altro corso ne hanno censurato i trattati per essere troppo elevati, metafisici, difusi in materie estranee, e mancanti d’applicazione alle professioni d’Artigliere, e d’Ingegnere. Ma se taluno pronunciasse lo stesso giudizio sulli insegnamenti fatti in quest’ultimo corso, si dimostrerebbe digiuno in queste materie».

Grazie a quanto scrissi sul nostro Napione, queste notizie avrebbero potuto essere prese in considerazione, perLagrange, infatti i miei due tomi, già pubblicati da otto anni, erano presenti, non solo in Italia, ma nelle principali biblioteche del mondo però, su quell’opera, ritornerò ancora , in questa sede.

Carlo Alfonso Maria Burdet

La “pattuglia” che affondò con la torpediniera nella tempesta sul lago Maggiore

STORIE PIEMONTESI / La narrazione è costruita attorno a questo tragico evento realmente accaduto nella parte alta del lago, quasi al confine tra le acque italiane e quelle svizzere, in una gelida notte d’inverno di fine Ottocento

“Pattuglia senza ritorno”, il racconto storico felicemente uscito dalla penna di Elio Motella, si legge tutto d’un fiato e propone – nel quadro di una ben congeniata storia d’amore tra la maestra elementare Assunta Pedroli e il fuochista di Marina Matteo Ferrari – uno dei misteri ancora insoluti del lago Maggiore: quello del naufragio della “Locusta”. La narrazione è costruita attorno a questo tragico evento realmente accaduto nella parte alta del lago Maggiore, quasi al confine tra le acque italiane e quelle svizzere, in una gelida notte d’inverno di fine Ottocento.  Mescolando realtà e finzione, l’autore tratteggia la vita sulla sponda occidentale del Verbano tra il 1893 al 1896, dove i protagonisti sono i marinai e i militari della Guardia di Finanza del locale distaccamento, addetti al controllo lacuale con le torpediniere, gli “sfrusitt” ( i contrabbandieri ) che sfidavano leggi e autorità dedicandosi – tra fatiche e pericoli – al contrabbando, considerato a quel tempo una delle poche risorse per la sopravvivenza degli abitanti del lago e poi la gente e i luoghi tra Cannobio e Pallanza. Le rare foto d’epoca, a corredo degli avvenimenti, rendono bene l’atmosfera di quei luoghi e di quegli anni, in una terra di frontiera.

Ma veniamo alla storia della “Locusta”, la torpediniera della “Regia Finanza” che  – affondò la notte tra l’8 ed il 9 gennaio 1896 dopo esser salpata dalla base di Cannobio per un normale servizio di pattugliamento sul Lago Maggiore. Quello della “Locusta” è stato uno dei più grandi punti interrogativi delle vicende che hanno interessato il lago. L’ unità, classificata come “torpediniera costiera di quarta classe” (lunga 19,20 metri, capace di una velocità di 17 nodi e dotata di un cannone a ripetizione “Nordenfeldt” )  era tra quelle acquistate dalla Regia Marina nei cantieri Thornycroft di Londra nel 1883, per essere imbarcata su navi da battaglia. All’atto pratico si dimostrò inadatta  all’impiego bellico e quindi ( insieme ad altre )  fu dislocata sul lago Maggiore ed affidata alla “finanza” per essere adibita alla vigilanza doganale sul confine con la Svizzera. Cosa accadde quella notte, è rimasto un mistero. Come se la torpediniera fosse sparita in una specie di “buco nero”. Dalle cronache dell’epoca si evince che era salpata da Cannobio in direzione di Maccagno, e il tempo risultava buono: “cielo sereno e lago calmo, con una fredda brezza spirante da nord dalla vicina Svizzera”. L’equipaggio era al completo. Erano in dodici, a bordo: otto marinai della Regia Marina e quattro guardie di finanza. Stando sempre alla cronaca, alla partenza, si trovavano a bordo anche il tenente dei “canarini”, comandante del reparto di confine, ed un elettricista,che però sbarcarono poco dopo sulla linea confinaria – al valico di Piaggio Valmara-  per effettuare una ispezione a terra. Durante la navigazione notturna sul lago, all’improvviso, il tempo volse al brutto: si alzò un vento impetuoso con raffiche di tramontana e, subito dopo la mezzanotte,si scatenò una furiosa tempesta.Le acque si agitarono, le correnti diventarono impetuose, i lampi squarciarono il cielo gonfio di nubi nere. La “Locusta”, sorpresa dall’improvvisa burrasca, dovette mutar rotta ,dirigendosi verso la vicina Punta Cavalla sulla riva lombarda del lago, per cercare riparo alla violenza della tramontana. Il riflettore della torpediniera venne avvistato da Cannobio per l’ultima volta poco dopo la mezzanotte del 9 gennaio 1896. Poi il buio e più nulla.Non ricevendo risposta ai ripetuti segnali di richiamo lanciati da terra, venne subito fatta uscire la torpediniera-gemella – la “21T Zanzara”- per le ricerche immediate ed il soccorso ai naufraghi, ma nonostante la lunga e minuziosa perlustrazione su tutto lo specchio d’acqua tra Cannobio e Cannero ( sulla sponda piemontese), Maccagno e Pino ( su quella lombarda), non venne trovata traccia alcuna di superstiti né di relitti. Il lago si eraletteralmente “inghiottito” l’unità navale con tutto l’equipaggio di bordo. I dodici militari risultarono così “dispersi in servizio, nell’adempimento del dovere”. Cosa accadde alla “Locusta”, quella notte, fu oggetto di molte ipotesi. Forse il natante venne  “rovesciato da una raffica impetuosa” e le acque si rinchiusero sull’equipaggio “rifugiatosi sotto coperta per ripararsi dalla burrasca, tranne il capo-timoniere comandante, bloccato anch’esso, ma nella cabina di governo”. Non si poteva neppure escludere che in quel momento fatale, furono i portelli aperti dell’osteriggio di macchina, a determinare l’allagamento dei locali di bordo”. E come non prendere in considerazione l’eventualità di “ una esplosione delle caldaie esterne, dovuta ad un’onda improvvisa”.

Supposizioni a parte, resta il fatto che tutte le ricerche ed anche l’inchiesta che venne aperta non diedero alcun risultato.Anche i vari tentativi intrapresi nel tempo, basati sulla ricostruzione della rotta e delle posizioni indicate dalle cronache dell’epoca, si sono conclusi senza troppa fortuna e nessuno con successo. Negli anni ’80 il relitto era stato ricercato in due occasioni: dapprima con il batiscafo dell’esploratore e ingegnere svizzero Jacques Piccard, poi con l’intervento di una unità della marina militare italiana, guidata da un ammiraglio, con l’intento di recuperare  almeno il natante per esporlo al museo nazionale di Ostia, in quanto unico esemplare rimasto della serie di torpediniere costruite all’epoca. Ma, come già detto, ambedue le immersioni diedero esito negativo poiché il fondale del lago è coperto da grandi depositi di terra e di melma. E anche gli ultimi tentativi non hanno sortito alcunché.  A memoria dei dodici dell’equipaggio della “Locusta” resta il monumento ( un timone sorretto da putrelle di ferro sopra un blocco di pietra con i nomi delle vittime), realizzato  sul Poggio delle Regie Torpediniere, nei pressi del porto militare della Guardia di Finanza a Cannobio. Elio Motella, con il suo “Pattuglia senza ritorno”, ha avuto il merito di riportare all’attenzione del pubblico questa vicenda. E di farlo con un libro davvero ben costruito e ancor meglio scritto.

 

Marco Travaglini

Campidoglio, il borgo torinese che riporta indietro nel tempo

 

Piccole case, il Museo di Arte Urbana, piole e piccoli negozi ricreano l’incanto di una volta con magica modernita’.

Incastonato tra Cit Turin, San Donato e Parrella, il borgo Campidoglio e’ un luogo d’altri tempi, impreziosito da contaminazioni moderne, dove il sapore di un’altra anima della citta’ e’ vivo e ben conservato.

L’origine del nome Campidoglio, riconducibile al VIX secolo, sembra che venga dalla sua antica destinazione, ovvero un’area rurale fatta di campi, e al nome dei proprietari della stessa, Doglio.

Il quartiere ebbe il suo sviluppo nel 1863 quando si creo’ una vera e propria borgata con vocazione residenziale con l’edificazione di nuove case, abitata perlopiu’ da operai e artigiani, ma anche del cinema teatro Savoia (oggi Astra) e di piccole fabbriche. Le strade, larghe non piu’ di 6 metri e a senso unico, sono caratteristiche per il loro selciato che le contrassegna come una (quasi) isola pedonale mentre le costruzioni sono le tracce piu’ significative di un luogo che si sviluppa come un paese dentro la citta’, come effettivamente era prima del 1900 quando un decreto regio lo inseri’ in un nuovo piano regolatore come quartiere di Torino all’interno, quindi, della cintura. Il borgo, con la sua struttura a scacchiera romana, negli ultimi 15 anni e’ stato riqualificato con l’obiettivo di ricostituirlo rispettando e conservando, tuttavia, le sue caratteristiche originarie: la struttura e le case basse, con bei cortili interni, che sanciscono il suo fascino e la sua unicita’.

Questo quartiere, inoltre, e’ un meraviglioso museo a cielo aperto, con opere murarie che raffigurano diversi soggetti e panchine dedicate alle donne, che vengono illuminate dal sole e omaggiate dalla luna; ad oggi ce ne sono circa 200 dipinte sulle palazzine della parte vecchia del quartiere e costituiscono il cuore del Mau, Museo d’Arte Urbana, che e’ stato il primo progetto di arte pubblica in Italia, un meraviglioso concentrato di street art che si e’ trasformato in una associazione autonoma. Dal 2001 il Mau collabora con il Centro Commerciale Artigianale Naturale che gestisce 35 opere in teca della Galleria Campidoglio, con il Museo Diffuso della Resistenza che coordina le visite al Rifugio antiaereo, sito a piazza Risorgimento, ed e’ riconosciuto dalla Citta’ di Torino, convenzionato con l’Accademia Albertina e inserito nell’Abbonamento ai Musei della citta’ e del Piemonte.

Oltre ai magnifici murales sono presenti altri siti di interesse come la chiesa di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori, voluta nel 1880 dal teologo Domenico Bongioanni, allievo di don Giovanni Bosco; il Sacrario del Martinetto, il principale monumento di Torino dedicato alla Resistenza; Villa Arduino una bellissima costruzione in stile neo-gotico dove sembra che ci visse anche Macario; il teatro Astra, una volta Cinema Savoia, uno dei piu’ importanti edifici Art Deco’ a Torino, e Case Bocca e Comoglio.

E’ possibile fare tour guidati all’interno del borgo per approfondire e conoscere al meglio i suoi luoghi e le sue opere e inoltre, se si vuole passare una serata immergendosi in un mood d’altri tempi, sono diversi i locali caratteristici dove fare un aperitivo o una buona cena come l’Osteria Al Torchio, la Dogana o la pizzeria Oscar Wilde.

Per informazioni:

culturalway.it

museoarteurbana.it

MARIA LA BARBERA

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

1-7 marzo 2024

 

 

VENERDI 1 MARZO

 

Venerdì 1 marzo ore 16

FERRO, CEMENTO, VETRO E COLORI: MATERIALI E TECNICHE NELLE COSTRUZIONI LIBERTY

Palazzo Madama – visita guidata

Liberty: nuovi modi di costruire e nuovi materiali da utilizzare per esprimere linee fluide e curve sinuose. Gli architetti di inizi Novecento utilizzarono in modo del tutto nuovo il vetro, il ferro, l’acciaio o materiali “altri” come il litocemento. Finalità assoluta: infondere sensazione di leggerezza.

Una visita di approfondimento ricca di informazioni pratiche per meglio comprendere le tecniche e le architetture degli edifici Liberty che si ammirano in città.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

SABATO 2 MARZO

 

Sabato 2 marzo ore 15

MUSHI NO KOE. “Voce di insetto”

MAO – Visita guidata alla collezione giapponese e intervento musicale – primo appuntamento

A cura di Theatrum Sabaudiae in collaborazione con Il Fauno Bianco

Come l’Occidente immagina l’Oriente?

In accordo con la narrazione musicale che si fa tramite dell’essenza poetica dei suoni degli insetti evocatori del trascorrere delle stagioni, elemento ricorrente nelle arti tradizionali giapponesi, e il cui senso di transitorietà emana dalle sculture di ispirazione buddhista, la visita guidata alla galleria del MAO dedicata al Giappone sarà orientata ad avvicinare i visitatori alla ricerca artistica e spirituale giapponese tramite una selezione delle opere in esposizione.

Segue l’intervento artistico-musicale de Il Fauno Bianco, sul modo in cui la musica contemporanea occidentale descrive il Giappone e sulle tematiche più care all’arte giapponese (l’incedere del tempo e delle stagioni e le creature che le abitano), attraverso la presentazione al pubblico di pagine musicali tratte dal repertorio europeo novecentesco e contemporaneo, come il ciclo Mushi no Koe, scritto su haiku di Bashō dal compositore Giorgio Colombo Taccani, per Danilo Pastore (controtenore) e Vanja Contu (arpista).

Prenotazione obbligatoria entro mercoledì 28 febbraio, l’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti fino ad esaurimento posti disponibili.

Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

Costo: 38 € a persona

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei.

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

 

Il Fauno Bianco è il frutto dell’incontro fra Danilo Pastore (controtenore) e Vanja Contu (arpista) e ha come scopo la ricerca di modalità espressive non convenzionali, attraverso l’approfondimento del repertorio musicale contemporaneo (con l’esecuzione di brani appositamente scritti per questa formazione o per i suoi membri) e la rilettura del repertorio musicale del ‘900 in una chiave inedita, data dal particolare accostamento fra l’arpa e la voce di controtenore. Il Fauno Bicorne, divinità romana a cui il duo deve il nome, è una creatura mitica, a metà fra realtà terrena e iperuranica. È il connubio fra l’apollineo (dimensione che l’accostamento fra arpa e voce formalmente richiama) e il dionisiaco (dimensione che questo progetto intende esplorare); la musica che ne scaturisce è dunque “bicorne”: duale, dicotomica, totipotente. Attualmente collabora con artisti dalle esperienze varie e diverse (Fabio Zammito, arti figurative; Andrea Leonessa e Francesco Parolo, arti visive), offrendo un’esperienza artistica fluida e totale. Ogni membro di questo gruppo si è distinto nel suo campo, partecipando a festival e rassegne artistiche nazionali e internazionali e vincendo bandi di progetto e residenze artistiche, fra cui: residenza artistica internazionale ArtOmi Music (New York), bando Ora X della Fondazione Compagnia di San Paolo (regione Piemonte), residenza artistica Invasioni Contemporanee (regione Marche). Attualmente, Il Fauno Bianco è artista in residenza presso il Museo d’Arte Orientale di Torino (MAO), dove è impegnato nel suo nuovo progetto Mushi no Koe (Voce di insetto), volto a indagare, tramite improvvisazioni e creazioni site-specific, le declinazioni più sottili dei rapporti tra musica e natura, con particolare riferimento al micro e macro-universo entomologico.

 

Sabato 2 e domenica 3 marzo ore 10 – 17

I COLORI DELL’INVERNO: BACCHE ELLEBORI E SEMPREVERDI

Palazzo Madama – workshop di acquerello botanico con Angela Petrini

Agrifoglio, pungitopo, edere ed ellebori saranno i soggetti del workshop dedicato alla flora che ravviva il quieto inverno. Rappresentare la lucentezza delle foglie coriacee dell’agrifoglio, la delicatezza dei fiori dell’elleboro saranno gli obiettivi che raggiungeremo attraverso lo studio attento del chiaroscuro e dei colori nella vasta gamma di tonalità sfoggiate dalla natura e proposte dalle varietà presenti nel giardino di Palazzo Madama.

Il corso ha una durata di 12 ore ed è accreditato per l’aggiornamento degli insegnanti (legge 170 del 21/03/2016 art. 1.5).

 

Angela Petrini, affermata acquerellista botanica, ha ottenuto il Diploma con lode in disegno e acquerello botanico dalla Society of Botanical Artists nel Regno Unito nel 2010, tra i suoi riconoscimenti più significativi la Golden Medal ricevuta dalla eminente Royal Horticultural Society al RHS London Orchid & Botanical Art Show 2018.

 

Materiale occorrente: acquerelli; pennelli tondi a punta fine numeri 4, 2, 0; matita HB; gomma morbida; carta liscia satinata 300 gr. formato 30×40 circa. A chi non avesse il materiale l’insegnante può fornire carta, pennelli e colori necessari per lo svolgimento del seminario al costo di 5 €. È necessario segnalarlo al servizio prenotazioni.

 

Costo: € 140 / ogni incontro

Posti disponibili per ogni appuntamento: 8
Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

DOMENICA 3 MARZO

 

Domenica 3 marzo ore 16

HINA MATSURI, LA FESTA GIAPPONESE DELLE BAMBOLE

MAO – attività famiglie

L’appuntamento è dedicato alla ‘Festa delle bambole’ o ‘Festa delle Bambine’, Hina Matsuri, che ricorre ogni anno il 3 marzo. Dopo una passeggiata nella collezione giapponese del museo, scopriremo insieme il significato e le usanze di questa festa e realizzeremo un modellino in carta di soggetti a tema.

Consigliato dai 6 anni in su.

Costo: bambini € 7, adulti accompagnatori ingresso ridotto alle collezioni.

Prenotazione obbligatoria entro il venerdì precedente l’attività: t. 0114436927-8 oppure maodidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

MERCOLEDI 6 MARZO

 

Mercoledì 6 marzo ore 18

GERANI E PELARGONI

Palazzo Madama – conferenza botanica a cura di Edoardo Santoro

Il colore rosso dei balconi cittadini fioriti è ormai una consuetudine grazie ai fiori sudafricani del Pelargonium, quello che d’abitudine chiamiamo geranio e che in realtà non ha quasi nulla a che fare con i gerani europei, numerosi e frequenti in prati e boschi dal mare alla montagna. Infatti è solamente a metà del 1700 che compare nelle serre reali il cosiddetto ‘Geranio zonale’ che oggi, grazie anche a inverni miti, trionfa fiorito in quasi ogni stagione. Per chi ha un giardino e non vuole correre rischi ci sono invece infinite possibilità di scelta coi Geranium rustici, riportati in auge da abili giardinieri che ne hanno fatto il piatto forte del giardino all’inglese.

La conferenza è l’ultima del ciclo Le piante nella storia del giardinovolto a svelare aspetti storici, botanici e ornamentali di piante che nei secoli hanno avuto un ruolo fondamentale in giardini, parchi e orti botanici.

Costo: €15

Prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.comhttps://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Al Mastio tra bombarde, falconi e cannoni

Dopo 15 anni di abbandono è tornato a casa sua, al Mastio della Cittadella, ma solo in parte, in piccolissima parte.

Lo storico Museo nazionale dell’Artiglieria verrà riordinato in una caserma torinese e si potrà visitare forse tra un anno o due. Per adesso bisogna accontentarsi, ed è già un bel vedere, dei pezzi esposti al Mastio che resterà la sede nobile del Museo. Lentamente Torino si riappropria di uno dei musei più significativi del suo patrimonio storico e culturale. Con oltre 12.000 pezzi il Museo è uno dei più antichi d’Europa e per ricchezza e varietà della raccolta è considerato uno dei più importanti istituti di storia e tecnologia militare del mondo. Fu costituito nel 1731 da Carlo Emanuele III di Savoia nei locali dell’Arsenale ma in seguito all’occupazione francese del 1798 le collezioni vennero disperse.
Venne ripristinato nel 1842 da re Carlo Alberto e nel 1893 trovò la sua definitiva sistemazione al Mastio della Cittadella. Nel 2008, con un trasloco imponente, le collezioni furono trasferite nella caserma Amione in piazza Rivoli per consentire la ristrutturazione del museo durata dieci anni. Grazie alla collaborazione dell’Esercito che lo gestisce è stato possibile riaprire al pubblico solo alcune sale del museo allestite con una preziosa vetrina di reperti che rappresenta una minima parte della ricca collezione composta da armi bianche e da fuoco d’epoca, raccolta di uniformi e bandiere, una biblioteca con oltre 10mila volumi, un archivio storico e uno fotografico.
Al Mastio della Cittadella una cinquantina di pezzi raccontano l’evoluzione della tecnologia militare, dal neolitico al cannone rigato. Si vedono bombarde e bombardelle del XV secolo, cannoni del Cinquecento, alcuni dei quali riprodotti nell’Ottocento, gli smerigli della Repubblica di Venezia con l’immagine di San Marco e il leone alato, falconetti di bronzo del XV secolo, mortai del 1800 e obici del Settecento, fucili del ‘500, il moschetto per le Guardie del Re del 1891. E ancora mitragliatrici e pistole dell’Ottocento, modellini di obici, di cannoni e di colubrine, cannoni da campagna e da montagna fine 700, un modello di catapulta del Duecento, corazze ottocentesche, spade del ‘400 e ‘500, una corazza medievale persiana, un’armatura medievale europea, un elmo di bronzo con pugnale e cuspide di lancia del V secolo a.Cristo. I ritratti di re Carlo Alberto e del generale Vincenzo Morelli di Popolo, comandante dell’Artiglieria del Regno di Sardegna che fondò il museo nel 1842, chiudono la vetrina. Il Museo può contare ora su due sedi, quella storica, il Mastio e il deposito della caserma Amione in piazza Rivoli che verrà poi trasferito nella caserma Dabormida, un tempo sede del distretto militare di corso Unione Sovietica.
Negli ampi spazi della Dabormida vedremo nuovamente, prima o poi, l’intero Museo nazionale di Artiglieria che spazia dai reperti preistorici a uno dei giganteschi cannoni ottomani, del peso di 15 tonnellate, che abbatterono le mura di Costantinopoli nel 1453 fino ai missili della guerra fredda, dal diario di Carlo Alberto al carro funebre che portò la bara di Umberto I al Pantheon dopo il regicidio di Monza nel 1900. La bombarda turca del Quattrocento usata durante l’assedio di Bisanzio è uno dei pezzi più straordinari e interessanti del museo (era esposta nel giardino davanti al Museo) insieme a un’antica bombarda di ferro del Trecento proveniente dal castello di Morro d’Alba (Ancona), a un falconetto del Quattrocento, a un cannone a retrocarica in ghisa e a numerosi pezzi della “Fonderia di Torino” di fine Ottocento. Il Museo è visitabile con ingresso gratuito tutti i giorni (9,30-19,30) dal lunedì alla domenica, al Mastio della Cittadella, in corso Galileo Ferraris angolo via Cernaia a Torino. È possibile effettuare visite su prenotazione al numero 011-56033124. L’attuale deposito museale alla caserma Amione in piazza Rivoli è chiuso al pubblico.                             Filippo Re 

Le sere torinesi di Gozzano: la malinconica poesia del quotidiano

Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.

Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.

È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.

Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.

Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.

Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).

Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.

Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.

Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.

Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.

Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”

Alessia Cagnotto

Linea Cadorna, la Maginot italiana

Il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale

Linea Cadorna” è il nome con cui è conosciuto  il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale. Un’opera fortemente voluta dal generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito (originario di Pallanza, sul lago Maggiore), con lo scopo di contrastare una eventuale invasione austro-tedesca proveniente dalla Svizzera.

Lo scoppio della guerra – il 23 luglio del 1914 –  e gli avvenimenti successivi tra cui l’invasione del Belgio neutrale e i cambi di alleanze tra le varie potenze europee, accentuarono i dubbi sulla volontà del governo elvetico di far rispettare la neutralità del proprio territorio. Così, una volta che l’Italia entrò in guerra  contro l’Austria  – il 24 maggio 1915 – , il generale Cadorna, per non incorrere in amare sorprese, ordinò di avviare i lavori difensivi, rendendo esecutivo il progetto di difesa già predisposto. Da quasi mezzo secolo erano stati redatti studi, progettazioni, ricognizioni, indagini geomorfologiche, pianificazioni strategiche, ricerche tecnologiche. E non si era stati con le mani in mano: a partire dal 1911 erano state erette le fortificazioni sul Montorfano, a difesa degli accessi dalla Val d’Ossola e dal Lago Maggiore,  e gli appostamenti per artiglieria sui monti Piambello, Scerré, Martica, Campo dei Fiori, Gino e Sighignola, tra le prealpi varesine e la comasca Val d’Intelvi. Anche la Svizzera, dal canto suo,  intensificò i lavori di fortificazione al confine con l’Italia, realizzando opere di sbarramento a Gordola, Magadino, Monte Ceneri e sui monti di Medaglia, nel canton Ticino. In realtà,tornando alla Linea Cadorna,quest’opera, nella terminologia militare dell’epoca, era definita come ” Frontiera Nord” o, per esteso, “sistema difensivo italiano alla Frontiera Nordverso la Svizzera”. E, ad onor del vero, più che una fortificazione collocata a ridosso della frontiera si tratta di una linea difensiva costruita in località più arretrate rispetto al confine, con lo scopo di presidiare  i punti nevralgici. Un’impresa mastodontica.

 

Basta scorrere, in sintesi,  la consistenza dei lavori eseguiti e delle spese sostenute per la loro realizzazione: “Sistemazione difensiva – Si svolge dalla Val d’Ossola alla Cresta orobica, attraverso le alture a sud del Lago di Lugano e con elementi in Val d’Aosta. Comprende 72 km di trinceramenti, 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, mq 25000 di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di carrarecce o mulattiere. La spesa complessiva sostenuta, tenuto conto dei 15-20000 operai ( con punte fino a trentamila, nel 1916, Ndr) che in media vi furono adibiti, può calcolarsi in circa 104 milioni”. Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle materie prime,recuperate sul territorio. Si aprirono cave di sabbia, venne drenata la ghiaia negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci e furono adottati ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque. Gli scalpellini ricavarono il  pietrame, boscaioli e falegnami il legname da opera, e così via. I requisiti per poter essere arruolati come manodopera, in quegli anni di fame e miseria, consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i necessari certificati sanitari. L’età non doveva essere inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta e, in più, occorreva che i lavoratori fossero muniti di indumenti ed oggetti personali. A dire il vero, in ragione della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi con meno di 15 anni, addetti a mansioni di manovalanza, di guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri o di addetti alle pulizie delle baracche.  La manodopera femminile, definita con apposito contratto, veniva reclutata nei paesi vicini per consentire alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Il contratto era diverso a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private.

 

Quello militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto ( il rancio)  uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro era impegnativo e  prevedeva dalle 6 alle 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. Delle paventate truppe d’invasione che, come orde fameliche, valicando le Alpi, sarebbero dilagate nella pianura padana, non si vide neppure l’ombra. Così, senza il nemico e senza la necessità di sparare un colpo, con la fine della guerra,  le fortificazioni vennero dismesse. Quelle strutture, negli anni del primo dopoguerra, furono in parte riutilizzate per le esercitazioni militari e , negli anni trenta, inserite in blocco e d’ufficio nell’ambizioso  progetto del “Vallo Alpino”, la linea difensiva che avrebbe dovuto – come una sorta di “grande muraglia” –  rendere inviolabili gli oltre 1800 chilometri di confine dello Stato italiano. Un’impresa titanica, da far tremare le vene ai polsi che, forse proprio perché troppo ardita, in realtà, non giunse mai a compimento. Anche nella seconda guerra mondiale, la Linea Cadorna non conobbe operazioni  belliche, se si escludono i due tratti del Monte San Martino (nel varesotto, tra la Valcuvia e il lago Maggiore) e lungo la Val d’Ossola dove, per brevi periodi , durante la Resistenza, furono utilizzati dalle formazioni partigiane. Infine, come tutte le fortificazioni italiane non smantellate dal Trattato di pace siglato a Parigi nel febbraio 1947, a partire dai primi d’aprile del 1949, anche la “linea di difesa alla frontiera nord” entrò a far parte del Patto Atlantico istituito per fronteggiare il blocco sovietico ai tempi della “guerra fredda”. Volendo stabilire una data in cui ritenere conclusa la storia della Linea Cadorna, almeno dal punto di vista militare, quest’ultima può essere fissata con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989.

 

Da allora in poi, le trincee, le fortificazioni e le mulattiere sono state interessate da interventi di restauro conservativo realizzati dagli enti pubblici che hanno permesso di recuperarne gran parte  alla fruizione turistica, lungo gli itinerari segnalati. La “Cadorna” si offre oggi ai visitatori come una  vera e propria “Maginot italiana”,  un gigante inviolato, in grado di presentarsi senza aloni drammatici, come un sito archeologico dove è possibile vedere e studiare reperti che hanno subito l’ingiuria degli uomini e del tempo ma non quella dirompente della guerra. Tralasciando la parte lombarda che si estende fino alla Valtellina e restando in territorio piemontese, sono visitabili diversi percorsi, dal forte di Bara  – sopra Migiandone, nel punto più stretto del fondovalle ossolano –  alle trincee del Montorfano, dalle postazioni in caverna del Monte Morissolo al fitto reticolo di trincee e postazioni di tiro dello Spalavera  ( la sua vetta è uno splendido belvedere sul Lago Maggiore e le grandi Alpi), dalle trincee circolari con i camminamenti e la grande postazione per obici e mortai del Monte Bavarione fino alle linee difensive del Vadà e del monte Carza, per terminare con quelle  della “regina del Verbano”, un monte la cui vetta oltre i duemila metri, viene ostentatamente declinata al femminile dagli alpigiani: “la Zeda”.

Marco Travaglini

Scurati il Commendatore

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Il prof. Quaglieni

Anch’io nel lontano 1987 venni nominato dal presidente Cossiga commendatore dell’ordine della Repubblica, ma nessuno allora disse o scrisse che quella nomina avesse un qualche rapporto con la mia carriera di docente e di studioso e che desse ad essa una qualche autorevolezza aggiuntiva. Poi mi  promossero con onorificenze più importanti, ma nessuno pensò che esse mi dessero titoli scientifici maggiori. Anzi qualcuno mi prese un po’ in giro su un giornale  perché solo chi non ha titoli più importanti si fregia di queste titoli che Vittorio  Emanuele II non negava a nessuno insieme ad un sigaro. Vi racconto queste piccole annotazioni personali perché in Liguria c’è stata una presentazione di uno dei soliti libri faziosi di Antonio Scurati presentato  come commendatore della Repubblica e Ambrogino d’Oro. I titoli scientifici non ci sono perché  Scurati è un romanziere che si è proposto di scrivere libri pseudo-storici, avrebbe detto Croce, contro l’odiato Mussolini contro cui conduce una sua crociata personale. Scurati non sa che la storia non è mai giustiziera e che ascolta, anzi deve ascoltare anche l’altera pars. Forse non ha neppure studiato il latino e quindi il commendatore non sa di cosa stia parlando. Non citiamo neppure Renzo De Felice che ha dedicato la vita a studiare il fascismo e Mussolini e che il romanziere non deve avere mai aperto perché considerata da Nicola Tranfaglia un’opera da mettere all’indice dell’antifascismo. Una volta si ironizzava sui ricchi commendatori con tanto di pancia che erano protagonisti  di barzellette spesso sconce. Scurati che non ha la pancia e scrive libri, non suscita ilarità né barzellette. Lui è un reduce dell’antifascismo che combatte una battaglia che invece di creare nuovi adepti rischia di incrementare le truppe della Meloni. Senza voler  esibire  un pizzico di cultura elitaria, è proprio il caso di parlare  di “eterogenesi dei fini”. Detto più semplicemente, il libro raggiunge scopi diversi, anzi opposti, da quelli che si proponeva.

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

23 – 29 febbraio 2024

 

 

SABATO 24 FEBBRAIO

 

Sabato 24 febbraio dalle 11 alle 17

CUERDA SECA

MAO – workshop di decorazione ceramica

La cuerda seca è un’antica tecnica ceramica utilizzata per la decorazione delle piastrelle (azulejos) e introdotta in Spagna dagli arabi attorno al XV secolo. Questo metodo prevede una prima stesura di cuerda seca, un impasto a base di manganese utile a delimitare i confini delle decorazioni, e una seconda stesura di smalti ceramici impastati con acqua: dopo una cottura a circa 960° si ottiene un bellissimo disegno colorato ad effetto rilievo.

L’attività condotta dall’esperta Giada Bianchi fornisce ai partecipanti le basi minime per poter realizzare decorazioni in cuerda seca. Dopo una sezione iniziale di prove su modelli forniti, i partecipanti, ispirati dalle opere del MAO, potranno progettare il proprio disegno e realizzare una piastrella personalizzata.
È prevista una breve visita alla sezione di arte islamica del museo.

Prenotazione obbligatoria maodidattica@fondazionetorinomusei.it

Costo €50 (inclusi materiali, cottura finale delle piastrelle e consegna dei pezzi finiti al MAO) + ingresso ridotto alle collezioni

 

DOMENICA 25 FEBBRAIO

 

Domenica 25 febbraio ore 10.30

UN NUOVO QUARTIERE AL POSTO DELLA CITTADELLA

Palazzo Madama – percorso guidato in città

Il percorso guidato, legato alla mostra Liberty. Torino Capitale, in corso a Palazzo Madama fino al 10 giugno 2024, intende presentare un’area della città fortemente caratterizzata da costruzioni sorte durante il periodo del Liberty con esempi di edifici destinati sia alla residenza che alla produzione e all’istruzione. Passeggiando lungo le strade sarà possibile cogliere esempi di architetture e decorazioni ispirate sia all’Art Nouveau floreale che ai modelli più geometrici tipici dello Jugendstil.

Dopo la demolizione della Cittadella, Torino vide una rapida espansione urbana nell’area prossima al Maschio salvato dalla distruzione; nel nuovo quartiere scuole e palazzi sorsero prima secondo il modello definito “Umbertino” e successivamente con spiccati riferimenti al Liberty.

Ritrovo davanti al monumento di Pietro Micca in via Cernaia angolo corso Galileo Ferraris

Costo singolo itinerario: 14€ intero; 11€ ridotto (possessori di Abbonamento Musei e under 18); gratuito under 6

Durata: 2 ore

Pacchetto tre visite: 38€ intero; 29€ ridotto

Ai visitatori che parteciperanno alla visita guidata della mostra Liberty. Torino Capitale (in calendario ogni lunedì alle ore 11 e ogni venerdì, sabato e domenica alle ore 16.30) abbinata a uno o più percorsi tematici sul Liberty sarà riservata una tariffa speciale:

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + itinerario singolo Liberty in città: 18€

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + pacchetto itinerari Liberty in città: 36€

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun – dom 9 – 17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

Prossimi appuntamenti

Giovedì 14 marzo ore 14.30Liberty in Borgo Crimea

Venerdì 22 marzo ore 14.30: Palazzina Lafleur e la bizzarria del nuovo stile Liberty

 

MARTEDI 27 FEBBRAIO

 

Martedì 27 febbraio

JACOPO BENASSI. Autoritratto criminale

GAM – apre la mostra in Wunderkammer (conferenza stampa e inaugurazione 26 febbraio)

A cura di Elena Volpato, sarà aperta nello spazio Wunderkammer. Presenta la nuova acquisizione Panorama di La Spezia, 2022, della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per la GAM: una grande installazione autoritratto in cui l’artista si specchia nella sua città natale attraverso dipinti, fotografie e calchi in gesso. La mostra è attraversata dal tema del ritratto e dell’autoritratto in confronto con la matrice culturale della fotografia criminale, per questa ragione sarà esposto il prezioso studio in gesso realizzato da Leonardo Bistolfi per il Monumento a Cesare Lombroso (1910 ca.) alla cui eredità si rifà anche il video di Jacopo Benassi “Autoritratto criminale”, 2024, in cui la collezione di maschere mortuarie e manufatti del Museo Lombrosiano di Torino sembra condensarsi in un unico moltiforme teschio di gesso modellato e rimodellato dall’artista in una continua metamorfosi della forma umana.


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html