STORIA

Il marmo di Candoglia e il sigaro del signor Brusa

STORIE PIEMONTESI  a cura di https://crpiemonte.medium.com/

A monte della frazione di Candoglia nel comune di Mergozzo, sulla sinistra del fiume Toce, proprio all’imbocco della Val d’Ossola, si trovano le cave dalle quali proviene il marmo del Duomo di Milano

di Marco Travaglini

L’idea di usare quella pietra bianca, screziata di rosa, al posto del mattone per la costruzione della cattedrale fu di Gian Galeazzo Visconti che, per rifornirsi della materia prima, fondò la “Veneranda Fabbrica del Duomo”.

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Accendersi un sigaro

Il Signore di Milano, affascinato dalla bellezza cristallina del marmo, cedette in uso alla Fabbrica le cave di Candoglia, concedendo altresì il trasporto gratuito dei marmi fino al capoluogo lombardo, attraverso le strade d’acqua. Era il 24 ottobre 1387. E, da allora, per secoli, da quelle cave si è estratto il marmo che è servito a costruire il monumento simbolo del capoluogo lombardo, dedicato a Santa Maria Nascente, sormontato dalla madonnina che venne innalzata sulla guglia maggiore del Duomo negli ultimi giorni di dicembre del 1774.

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Il Duomo di Milano

Si trattava di un lavoro faticoso, ritmato da picconi, mazze, punte, cunei e palanchini. Così, partendo dall’impressionante caverna della cava Madre, la montagna è stata risalita, scavandola nel ventre, tagliando i blocchi di pietra con il filo in metallo. Il trasporto via acqua del materiale avveniva dal Toce al Lago Maggiore, lungo il Ticino e il Naviglio Grande per finire nel cuore della città fino alla darsena di S. Eustorgio, a Porta Ticinese. Così, grazie ad un ingegnoso sistema di chiuse, realizzato dalla “Veneranda Fabbrica”, il prezioso carico arrivava fino a poche centinaia di metri dal cantiere della Cattedrale. I barcaioli, per entrare in città senza pagare il dazio, utilizzavano una parola d’ordine — “Auf” — che in realtà era l’abbreviazione di Ad usum fabricae, cioè ad uso della Fabbrica, con la quale potevano passare senza versare il tributo imposto.

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Il naviglio grande di milano negli anni 50

In Lombardia, e non solo, è rimasta traccia di quell’usanza nell’espressione “A ufo” , intesa come “gratuitamente”. Chissà, poi, perché, a differenza del “gratis”, si è sempre più connotata con un profilo negativo, ma questa è un’altra storia… Il Cavalier Agenore Brusa, grossista di legname, proveniva da una delle famiglie che avevano, per generazioni, fornito il materiale alla Veneranda, un fatto che lo rendeva oltremodo orgoglioso. “Bei tempi quelli, caro Giovanni. Mio nonno, prima, e mio padre poi hanno lavorato per la Fabbrica di Candoglia tutta la vita. E ora, dopo che anch’io ho fatto la mia parte, tocca al mio Giulio tenere alto il buon nome dei Brusa” era solito ripetere all’amico Ambrogini.

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I sigari

Il ragionier Giovanni Ambrogini era il braccio destro del signor Brusa. Da oltre trent’anni, senza mancare un giorno dall’ufficio, teneva con scrupolo la contabilità della “Brusa & Figli”. Era diventato, per Agenore, quasi un fratello. E come tale lo trattava, chiedendo consigli e ascoltandone i punti di vista che, immancabilmente, teneva in gran considerazione. Per il resto, grazie all’impegno di tutti, la “Brusa & Figli” era un’azienda più che solida e al fidatissimo contabile l’anziano titolare garantiva un adeguato stipendio, commisurato ai suoi servigi. Da troppo tempo, per mille ragioni, il signor Agenore non si recava a Milano, in visita al Duomo. L’ultima volta, con uno sforzo di memoria, immaginò fosse stata quand’era nato il piccolo Giulio. Ma da allora, di anni n’erano passati ben trentadue. “Occorre andarci, a Milano”, comunicò al ragioniere. “E ci andremo insieme, caro Giovanni. Così vedrai anche tu come sono conosciuto in quella città. Devi sapere che è proprio grazie alla mia attività al servizio della Fabbrica del Duomo che mi hanno insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro”.

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La cava madre del Duomo a Candoglia

Agenore teneva moltissimo a quel titolo e amava, come lui stesso affermava, “vestirsi con l’abito giusto”, quello “da Cavaliere”, una divisa che, per l’imprenditore, equivaleva a pantaloni e giacca di fustagno scuro, camicia bianca e corto cravattino nero, scarpe comode e, in testa, un vecchio “Panizza” di feltro al quale teneva molto, regalatogli dal padre Igino. I due partirono dalla stazione di Verbania-Fondotoce con il treno delle 6,29. Era un sabato e non faticarono a trovare posto a sedere sul treno mezzo vuoto, dato che gran parte dei pendolari che si recavano ogni giorno a Milano per lavoro avevano terminato la loro settimana. A Porta Garibaldi presero la linea verde della metropolitana fino a Cadorna e da lì, con la linea rossa, giunsero a destinazione alla fermata “Duomo”. Uscendo dalla metropolitana, in cime alle scale, si trovarono davanti l’imponente e gotica sagoma del Duomo. “Ah, che meraviglia”, esclamò estasiato il Cavalier Brusa, agitando la mano destra dove, tra indice e medio, teneva l’immancabile sigaro toscano. Il ragionier Ambrogini, estrasse dalla tasca un piccolo bloc-notes , leggendo i suoi appunti. “La quarta chiesa in Europa per superficie, dopo San Pietro in Vaticano, l’anglicana Saint Paul di Londra e la cattedrale di Siviglia ;la più importante dell’arcidiocesi milanese, sede della parrocchia di Santa Tecla..”. Il buon Giovanni, preciso come un ferroviere svizzero, si era documentato ben bene. Al Cavaliere quell’accuratezza, diligente e meticolosa, piaceva molto. In molti consideravano l’Ambrogini un pignolo, persino un po’ pedante, ma ciò che i più consideravano un difetto, per Agenore Brusa rappresentava una qualità. E che qualità: cura, scrupolo e rigore! Il massimo che potesse desiderare dal suo più stretto e fidato collaboratore.

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La Veneranda Fabbrica alle cave di Candoglia

Lo ascoltava, ammaliato, senza dimenticarsi di ricambiare — con un cenno di capo — al saluto che gli era stato rivolto da alcuni passanti. “Ci sono voluti cinque secoli per costruirlo, durante i quali si sono avvicendati nella Fabbrica del Duomo architetti, scultori, artisti e maestranze, provenienti da tutta Europa. Il risultato è un’architettura unica, una felice fusione tra lo stile gotico d’oltralpe e la tradizione lombarda. Con una decorazione impressionante di guglie, pinnacoli, cornici e un patrimonio immenso di oltre tremila statue. E sulla più alta delle 145 guglie, la celeberrima Madonnina che non è d’oro, ma ricoperta di fogli d’oro”. Il ragioniere era, come sempre, sintetico ed esauriente. A quel punto il Cavalier Brusa lo esortò a varcare il doppio portale in bronzo.

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La Veneranda Fabbrica del Duomo

Forza, Giovanni. Andiamo a vedere anche all’interno com’è stato magistralmente lavorato il nostro marmo! A proposito, hai visto che persone ben educate? Salutano, cortesemente. Si vede che anche qui conoscono i Brusa, con tutto quello che abbiamo fatto per Milano, eh?”. Spento il toscano sotto la suola della scarpa e riposto in tasca il resto del sigaro ( Brusa era un parsimonioso e il suo motto era “non si butta via niente”), entrarono in Duomo, rimanendo a bocca aperta davanti alle cinque navate. Quella centrale, poi, era davvero ampia e alta e ai lati si potevano ammirare magnifiche vetrate istoriate che raffiguravano scene religiose. Una di esse, superba, rappresentava il Giudizio Universale. Il Cavalier Brusa, informato dal fedele Giovanni, di ciò che conteneva la teca sopra il coro, voleva a tutti i costi ammirare quel chiodo che si riteneva provenisse della croce di Gesù e si avviò in quella direzione con ampie falcate. Mentre camminava, s’accorse degli insistenti sguardi da parte delle persone che incontrava.

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Una targa commemorativa della visita di Paolo VI alla cava

Alcuni sgranavano gli occhi, altri si davano di gomito. Mentre avanzava impettito, gli venne incontro un sacerdote in chiaro stato d’ansia, visibilmente affannato. Il prelato , rivolto al Cavaliere, ripeteva concitato la stessa breve frase, in milanese: “ Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”, “Sciur, al Brüsa”. Agenore Brusa, voltandosi verso il ragionier Ambrogini, disse soddisfatto: “Vedi, Giovanni. Qui mi conoscono tutti”. Solo in quel momento il povero ragioniere s’accorse che la marsina del suo principale stava andando in fiamme. Evidentemente il toscano non era stato spento bene e si era ravvivato nella tasca. Il prete, sicuramente lombardo e certamente alterato, aveva lanciato l’allarme rivolgendosi al Cavaliere in dialetto meneghino e quel “Sciur, al Brüsa”, più che ad una individuazione dell’identità del signor Agenore equivaleva all’allarmante fumo che proveniva dal vestito del medesimo, ignaro, visitatore del Duomo. Così, spento l’incendio, i due lasciarono la cattedrale e Milano, frastornato e ammutolito, Giovanni Ambrogini, contrariato e scuro in volto, il Cavaliere che, una volta tanto e suo malgrado, era stato costretto a venir meno al suo principio del “non buttar via niente”, lasciando in un bidone della spazzatura la giacca bruciacchiata e quel resto di sigaro che aveva tenuto per il viaggio di ritorno.

Gli anni formidabili della Valanga Azzurra

IL LIBRO DI AUGUSTO GRANDI

Pare incredibile in un’epoca di turismo dello sci per altospendenti e bassopensanti, ma ci sono stati anni in cui l’Italia intera (o quasi) si fermava per ascoltare i risultati degli slalom e delle discese libere. Erano gli anni della Valanga Azzurra.  Teoricamente dal 1974 al ’76, ma in realtà i trionfi dello sci azzurro erano iniziati prima, con Gustavo Thoeni che aveva già vinto le Coppe del mondo generali nel 70/71/72 oltre ai successi alle Olimpiadi e ai Mondiali.
Dunque perché la Valanga nasce nel ’74?
Lo racconta il nuovo libro del giornalista Augusto Grandi,  “Giuliano Besson: il ragazzo terribile della Valanga Azzurra”, pubblicato dalla casa editrice Cicles. Un racconto che parte dai ricordi del grande discesista di Sauze d’Oulx – uno degli esponenti più pazzi di quella squadra irripetibile – per andare a svelare i retroscena non sempre edificanti di un’avventura che non fu solo sportiva.
La Valanga Azzurra nasce, formalmente, il 7 gennaio 1974 grazie alla definizione creata dal giornalista Massimo di Marco di fronte al successo nel Gigante di Berchtesgaden di 5 slalomisti italiana nei primi 5 posti: Gros, Thoeni, Stricker, Helmuth Schmalzl e Pietrogiovanna. Uno sport tipicamente individuale si trasformava in uno sport di squadra.
Ma Grandi e Besson non si accontentano delle rievocazione di facciata. E spiegano le ragioni che hanno portato al successo di una squadra che, nel momento di massimo fulgore, evidenziava già le crepe che ne avrebbero sancito la fine.
Dalla squalifica della squadra francese alla grande opera realizzata dall’allenatore transalpino degli Azzurri, Bernard Favre. Dagli scontri con Vuarnet all’arrivo di Cotelli, più attento ai giornalisti che agli atleti. E, infine, alla radiazione di Besson e Stefano Anzi, nel 1975, per aver osato mettere in dubbio l’operato della Federazione in ambito economico ed in quello della sicurezza soprattutto per le squadre giovanili.
Besson e Anzi, i gemelli della velocità, erano stati scelti dai compagni di squadra per rappresentarli nelle trattative con la federazione. Ma di fronte alla radiazione nessuno osò protestare.
I due non si persero d’animo e l’anno successivo diedero vita ad un’azienda di abbigliamento per lo sci, la AnziBesson, che alle Olimpiadi di Torino conquistò ben 11 medaglie con le  nazionali di Francia e Austria.
Ma il libro affronta anche i temi legati al turismo alpino. Che non si è sviluppato grazie alla Valanga Azzurra poiché già negli Anni 30 erano state costruite le colonie montane per i figli dei lavoratori (la Torre di Sauze era nata proprio per questo) e dopo la guerra era iniziata la trasformazione (non proprio entusiasmante) di Cervinia. Negli Anni 60 la Francia lancia il Plain Neige e lo stesso succede ad esempio a Viola St.Gréé nel cuneese.
Mentre i campioni della Valanga hanno il merito di essere stati i protagonisti del cambiamento dell’abbigliamento dello sci.
Non potevano mancare gli aneddoti sulle goliardate e sulle avventure erotiche di ragazzi che avevano 20 anni e volevano divertirsi, non solo sugli sci. Qualcuno preferiva andare a dormire presto, altri preferivano vivere. Dalle follie alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi in Giappone alla fuga in Brasile dopo un trionfo in Cile. Ragazzi terribili, non solo Besson…

Torino è libera: una mostra all’Archivio storico

All’Archivio Storico, in via Barbaroux, 32, è stata inaugurata la mostra “Aprile 1945: Torino è libera. La ripartenza della città” con fotografie, manifesti e documenti originali che raccontano la Liberazione e la ricostruzione del capoluogo piemontese.

La mostra che sarà visitabile per tutto l’anno, sino al 31 dicembre 2025 con orario dal lunedì al venerdì, dalle ore 8,30 alle 16,30, presenta alcune rarità.

Si va dalla copia  del quotidiano realizzato grazie all’utilizzo delle rotative de “La Gazzetta del Popolo” ed uscito la notte stessa della Liberazione, alle deliberazioni della  Giunta Popolare delle prime vie dedicate ai partigiani ed agli eventi collegati alla lotta per la libertà e tante altre curiosità tutte da scoprire.

Igino Macagno

Krumiri Rossi, un dolce pezzo di storia piemontese

Anche un biscotto può aggiungere fama ad una città come Casale Monferrato, già nota per aver dato i natali a grandi pittori e scultori, ad un politico della statura di Giovanni Lanza, a Stefano Guazzo autore della “Civil conversazione” oltre ad una nutrita presenza di chiese e palazzi settecenteschi, della Cattedrale con il magnifico nartece romanico, del castello Paleologo e di tutto quanto la rende la “Siena del Piemonte” come un tempo fu definita.

Ad attirare il turismo allo stesso modo concorrono i KrumiriRossi,  deliziosi biscotti inventati pochi anni dopo l’esito risorgimentale in una tranquilla serata allorché il pasticcere Domenico Rossi li sfornò nel suo laboratorio per farli gustare agli amici.

Ne uscì una prelibatezza dalla forma ricurva simile ai baffi di Re Vittorio Emanuele II di Savoia che con Cavour “Fece l’Italia”.

I dolci, attualmente forniti dagli eredi della famiglia Portinaro, che rilevò l’azienda nel 1953, sono rimasti identici a quelli originali ottocenteschi ottenuti con uova, farina, burro, zucchero, vaniglia a cui si aggiungeva un ingrediente, gelosamente tenuto segreto ancor oggi, al fine di ottenere il gusto inconfondibile ed inimitabile.

KrumiriLe belle scatole di latta rossa litografata contenenti i biscotti sono un ulteriore attrazione e talmente apprezzate da diventare oggetto di collezionismo.

Se l’arte, per essere tale, deve essere invenzione di qualcosa che prima non c’era e creatività, perché non pensare che i Krumiri, inventati e creati dal signor Rossi, non siano essi stessi opere d’arte.

Giuliana Romano Bussola

 

(Nella foto di copertina la latta gigante di Krumiri Rossi che riproduce un’antica confezione dei famosi biscotti)

 

La passione secondo Jaquerio. Visita guidata agli affreschi

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

20-21 aprile 2025

La passione secondo Jaquerio

Visita guidata agli affreschi del più grande esponente piemontese del gotico internazionale

 

La Salita di Cristo al Calvario è il capolavoro del pittore torinese Giacomo Jaquerio, maggior esponente del gotico internazionale, realizzata nella cappella adibita a sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso nel primo quarto del XV secolo.

Ciò che contraddistingue questa raffigurazione rispetto agli altri affreschi della cappella è la resa dei personaggi che appare più realistica all’interno di una scena drammatica. Per accrescere nei devoti la meditazione e la partecipazione alla sofferenza della Passione di Cristo, Jaquerio ha infatti accentuato i caratteri patetici e drammatici della scena. Lo spazio non è reso con una visione prospettica corretta, ma il senso di profondità è ottenuto disponendo i personaggi ad arco e collocando il volto dei soggetti più arretrati in una posizione più elevata rispetto a quella dei personaggi che sono in primo piano.

Nella folla è evidente la contrapposizione tra il Bene il Male nella scelta di colori e in un certo tipo di gestualità. I personaggi che trattengono la croce o quello che tira Gesù con una corda presentano lineamenti talmente alterati e deformati che sembra abbiano quasi connotazioni non umane. Tra la folla, si riconoscono il fabbro, a cui i giudei si rivolgono per fabbricare i chiodi della croce di Cristo, nell’uomo che tiene in mano tre chiodi e un martello (la sua partecipazione agli eventi della Passione si trova in alcune rappresentazione teatrali popolari diffuse in Francia e Inghilterra) e Giuda con la barba e i capelli rossi (colore che richiama la violenza e le fiamme dell’inferno) e il vestito giallo per evocare il tradimento.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

20-21 aprile, ore 15

La passione secondo Jaquerio

Costo attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietto di ingresso: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Prenotazione obbligatoria

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603 ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Museo Nazionale della Montagna: “Guido Rey. Un amateur tra alpinismo, fotografia e letteratura”

Un’importante mostra dedicata all’eclettica figura del grande alpinista, pronipote di Quintino Sella

Fino al 19 ottobre

“Io credetti, e credo, la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede … La Montagna è fatta per tutti, non solo per gli Alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte”. C’è in queste parole tutta l’essenza e la complessità dell’uomo, grande appassionato di montagna e alpinismo, e, al contempo, profondo narratore e, pur anche (quale fu) attento illustratore per parole ed immagini di quell’universo roccioso che seppe tenerlo a sé legato per l’intera vita. Sono parole tratte dall’introduzione di “Alpinismo acrobatico” (1914), fra le varie opere dedicate alla montagna e scritte fra i primi del ‘900 e la metà degli anni ’30, da Guido Rey (Torino, 1861 – 1935) “figura chiave al crocevia tra alpinismo, fotografia e letteratura” della cultura piemontese e del panorama nazionale ed internazionale a cavallo di Otto e Novecento. Pronipote di Quintino Sella, ministro del Regno e fondatore nel 1863 del “Club Alpino Italiano” (in cui anche Guido tenne sempre un ruolo di primissimo piano) a lui il “Museomontagna” di Torino dedica, fino a domenica 19 ottobre, una nuova retrospettiva, dopo la monografica già proposta nel 1986. Il progetto, curato da Veronica Lisino e Mattia Gargano, nasce dal riordino del complesso dei “Fondi Guido Rey”, conservato dal “Centro Documentazione” del “Museo” di Piazzale Monte dei Cappuccini e catalogato nel 2024.

Curioso l’aggettivo amateur parte del titolo. Si tratta di un termine, spiegano i curatori, “che – privo dell’odierna accezione negativa ‒ indicava chi, tra XIX e XX secolo, si dedicava a un’attività per puro passatempo. L’essere ‘dilettante’ consentì a Rey di esprimersi in maniera più libera e disinvolta, tra scrittura, disegno e fotografia. Ciascuno di questi linguaggi diventa un filtro che gli permette di prendere le distanze da una realtà per lui limitata e di proiettarsi così in un ‘mondo altro’”. In un mondo ideale che accanto “all’intimità delle scene famigliari”, fu soprattutto per Guido rifugio inviolabile dove toccare vedere e ascoltare i luoghi amatissimi delle sue “terre alte”, in particolare di “quella montagna” a pronunciata forma piramidale che, per mano allo zio Quintino, Guido imparò a conoscere fin dal 1874, all’età di soli 13 anni. Era un bimbo e quello fu il suo primo grande grandissimo amore: quei 4.478 metri del “Cervino” (settima vetta e terza montagna italiana per altitudine), cui più tardi (1904) dedicò anche un libro “Il Monte Cervino”, con splendide vedute disegnate dall’amico – scultore Edoardo Rubino e l’introduzione di Edmondo De Amicis, al quale insieme al figlio Ugo, lo legò una profonda e sincera amicizia. Sul Cervino, Rey ebbe modo di salire più di cinque volte, attraverso imprese (anche letterarie e fotografiche) che ne fecero l’alpinista italiano più amato e tradotto prima di Walter Bonatti.

Al centro dell’iter espositivo, uno spazio dedicato alle sue vicende biografiche. Attorno si sviluppano quattro sezioni tematiche: Letteratura alpinistica, Fotografia di montagna, Fotografia tra montagna e pittorialismo, Fotografia pittorialista, quella attraverso cui Rey amava ricreare quadri famosi con effetti di “tableaux vivants”. Si tratta di aree da vedersi come ambienti in continua connessione tra loro che consentono al visitatore di muoversi liberamente, senza obblighi di percorso, tra le imprese alpinistiche, la cultura fotografica e gli interessi letterari, accompagnati dagli “occhi pieni di visioni” e dall’“animo ricco di ardimenti” di Guido Rey.

Sottolineano ancora i curatori: “La mostra ha l’obiettivo di riconsiderare la sua figura, confinata in passato entro schemi fin troppo rigidi e che invece merita di essere rivalutata nella molteplicità delle sue manifestazioni. Riprendendo le parole del suo amico e compagno di cordata Ugo De Amicis, è un pregiudizio pensare che l’acuta sensibilità artistica sia incompatibile con quella dell’uomo d’azione, poiché quel dualismo interiore ed esteriore, cioè del sentire e dell’agire, significa integrazione e ricchezza, invece che contraddizione e debolezza. Questa visione si riflette nella varietà dei materiali in mostra, che spaziano dalle fotografie e dagli apparecchi fotografici a schizzi, disegni, volumi, riviste, diari e lettere, fino all’attrezzatura alpinistica, offrendo un ritratto sfaccettato del suo universo creativo ”.

Gianni Milani

“Guido Rey. Un amateur tra alpinismo, fotografia e letteratura”

“Museo Nazionale della Montagna”, Piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino; tel. 011/6604104 o www.museomontagna.org

Fino a domenica 19 ottobre

Orari: mart. – ven. 10,30/18; sab. e dom. 10/18

Nelle foto: Ugo De Amicis “Guido Rey guardando il Cervino”, stampa alla gelatina bromuro d’argento, post 1910 e (tableau vivant) da Caspar David Friedrich “Il viandante sul mare di nebbia”, olio su tela, 1817, “Amburgher Kunsthalle”, credit WikimediaCommons; Guido Rey “Grandes Jorasses”, stampa alla celloidina, 1905 ca.; Guido Rey “L’Hotel del Giomein e il Cervino”, stampa alla gelatina bromuro d’argento, 1899 ca.

Castelli Aperti: un traguardo di 30 anni tra storia e cultura

A Pasqua e Pasquetta, come da tradizione, riparte la rassegna che propone un viaggio in Piemonte tra bellezza, cultura e meraviglia

Nel cuore della primavera, tra le colline e i borghi, torna puntuale l’appuntamento con Castelli Aperti, la rassegna che nel 2025 celebra trent’anni di apertura, conoscenza e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Piemonte.

Era il 1995 quando, con il sostegno della Regione Piemonte, prendeva vita un progetto ambizioso: restituire vitalità alle dimore storiche del territorio e renderle accessibili al grande pubblico. Da allora, edizione dopo edizione, il circuito si è trasformato in un vero e proprio viaggio collettivo nella memoria architettonica e culturale della regione, contribuendo in modo concreto alla salvaguardia e alla riscoperta di un patrimonio che oggi si conferma tra i più ricchi e articolati del panorama nazionale.

Quest’anno saranno oltre ottanta i luoghi che apriranno le loro porte: castelli medievali e manieri rinascimentali, giardini storici e ville aristocratiche, musei, borghi fortificati e residenze nobiliari disseminati in ogni angolo del Piemonte. Luoghi che non sono semplici contenitori di storia, ma organismi vivi, pronti a raccontarsi attraverso l’arte, la memoria, le architetture e le suggestioni paesaggistiche. Dimore reali, panorami incantati, sale affrescate, archivi preziosi: ogni visita è un’occasione di scoperta, conoscenza e meraviglia.

Il calendario della trentesima edizione prenderà il via domenica 20 aprile, come da tradizione proprio nel fine settimana di Pasqua e Pasquetta, per proseguire ogni domenica fino al 2 novembre. Una programmazione pensata per accogliere un pubblico ampio e variegato, dai turisti di passaggio agli appassionati di storia e architettura, dalle famiglie in cerca di esperienze culturali coinvolgenti fino a chi cerca atmosfere intime e suggestive per un fine settimana diverso dal solito.

A rendere l’offerta ancora più completa, la possibilità di soggiornare all’interno delle dimore storiche aderenti al circuito: hotel di charme, camere d’epoca, ville eleganti o appartamenti situati in borghi pittoreschi, per vivere un’esperienza immersiva che unisce ospitalità e bellezza.

Ma la trentesima edizione porta con sé anche importanti novità, a partire dal restyling completo del sito ufficiale www.castelliaperti.it, affidato alla matita contemporanea e raffinata della graphic designer e illustratrice Alice Lotti. Il nuovo portale si presenta con un design pulito e moderno, una navigazione intuitiva e un impianto visivo fortemente evocativo: fotografie in alta risoluzione, colori vivaci, una tipografia elegante e una struttura che guida l’utente in modo naturale alla scoperta del circuito. Non solo una vetrina, ma un vero archivio digitale del patrimonio piemontese, con approfondimenti, percorsi e strumenti per esplorare in autonomia un mosaico culturale di straordinario valore.

A coronare l’edizione celebrativa, un fitto programma di eventi speciali distribuiti su tutto il territorio regionale: incontri con autori, conferenze, concerti, spettacoli e iniziative tematiche che animeranno i luoghi coinvolti, rendendoli ancora più accessibili, partecipati e capaci di dialogare con il presente. Un modo per far vivere la cultura in forma attiva, non come reliquia ma come esperienza da condividere.

Trent’anni dopo la sua nascita, Castelli Aperti si conferma non solo un progetto di promozione culturale e turistica, ma un autentico strumento di cittadinanza, capace di educare alla bellezza, di creare connessioni tra passato e presente e di offrire a ogni visitatore l’occasione di sentirsi parte di una storia più grande.

Castelli Aperti, da trent’anni non si limita solo a proporre le visite alle dimore storiche – commenta Elisa Bogliotti neopresidente dell’Associazione Amici di Castelli Apertima invita anche a riflettere sul valore della conservazione e sulla necessità di tutelare questi luoghi così significativi per la storia piemontese. In un periodo in cui la riscoperta delle tradizioni locali è più importante che mai, Castelli Aperti, attraverso il suo programma ricco e variegato, continua a suscitare interesse e a promuovere la bellezza di una regione che è un autentico scrigno di tesori storici. Festeggiare il trentesimo anniversario di questa rassegna significa celebrare non solo il passato, ma anche guardare al futuro, incoraggiando nuove generazioni a scoprire e valorizzare il patrimonio culturale che ci circonda.”

Di seguito l’elenco delle aperture per il fine settimana di Pasqua e Pasquetta, organizzate per province, con costi e orari:

PROVINCIA DI ALESSANDRIA

Acqui Terme – Villa Ottolenghi: aperta a Pasqua e Pasquetta con visita guidata e degustazione alle 14.30; ingresso intero 15€, gratuito per i minori di 12 anni. 

Acqui Terme – Castello dei Paleologi – Civico Museo Archeologico: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 19.00 con visite libere. Ingresso: intero 4€, ridotto 2€.

Alfiano Natta – Tenuta del castello di Razzano: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 15.00 alle 17.00. Visita libera al Museo Artevino e alle cantine di invecchiamento: 5 €, visita libera al Museo Artevino e alle cantine di invecchiamento + degustazione di 3 vini: 15 €

Giarole – Castello Sannazzaro: aperto a Pasquetta con due turni di visita: alle 11.30 e alle 15.30; ingresso intero 15 €; ridotto (ragazzi tra i 12 e i 18 anni) 5 €, gratuito per bambini fino a 12 anni accompagnati dai genitori.

Rivalta Bormida – Fondazione Elisabeth de Rothschild – Palazzo Lignana: A Pasqua e Pasquetta visite guidate solo su prenotazione dalle 10 alle 19. Si consiglia di prenotare la visita almeno con un giorno di preavviso. Info e prenotazioni: tel. 345 8566039. Ingresso: intero 10€.

Trisobbio – Salita alla Torre del castello: a Pasqua e Pasquetta su prenotazione al 345 6044090. Ingresso 2 €

PROVINCIA DI ASTI

Castelnuovo Calcea – Area del Castello di Castelnuovo Calcea: visite libere a ingresso gratuito sia a Pasqua che Pasquetta dalle 10 alle 17.

Nizza Monferrato – Gipsoteca Formica: aperta a Pasquetta con visite guidate alle 11.30 e 16.30. Ingresso intero 7 eruo. Per informazioni e prenotazioni: 0141 441565, 379 1354571;  iat@comune.nizza.at.it.

Costigliole d’Asti – castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. IIngresso intero: 5€, ingresso gratuito per bambini di età inferiore ai 12 anni.

PROVINCIA DI BIELLA

Biella – Palazzo Gromo Losa: Pasqua e Pasquetta aperto in occasione della mostra “Steve McCurry. Uplands&Icons” (Palazzo Gromo Losa + Palazzo Ferrero), orario 10.00 – 19.00. Biglietteria presso Palazzo Gromo Losa con biglietto unico d’ingresso per le due sedi espositive: intero: 13,00€, ridotto: 10,00€

Candelo – Ricetto di Candelo: accesso libero tutti i giorni. Per visite guidate contattare: Tel. 015 2536728; ufficiocultura@comunedicandelo.it

Magnano – Collezione Enrico a Villa Flecchia: aperta a Pasqua e Pasquetta dalle ore 14.30 alle ore 18.30. La visita della villa è guidata. Prenotazione consigliata. Tel: 0125 778100; faiflecchia@fondoambiente.it Ingresso: Intero: 8 euro, ridotto (6-18 anni): 6 euro, iscritti FAI: 4 euro.

PROVINCIA DI CUNEO

Alba – Museo Diocesano di Alba: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 14.30 alle 18.30. Informazioni e prenotazioni: 345 7642123; mudialba14@gmail.com. Ingresso: intero 5€; ridotto 2,5€.

Barolo – Castello Falletti di Barolo e WIMU Wine Museum: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 19.00. Informazioni e prenotazioni: 0173 386697; info@wimubarolo.it; prenotazioni@wimubarolo.it Ingresso: Intero 9€; ridotto 7€. 

Bra – Museo Civico di Storia Naturale Craveri: Aperto solo a Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; info 0172 412010, turismo@comune.bra.cn.it Ingresso: Singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Museo Civico di Palazzo Traversa: Aperto solo a Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; info 0172 423880, turismo@comune.bra.cn.it. Ingresso: Singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Museo del Giocattolo Aperto solo e Pasquetta dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30; ingresso: singolo Museo 5€; Musei Civici Bra 10€.

Bra – Pollenzo Banca del Vino: Aperta a Pasquetta 10.00 alle 14.00. Per informazioni: 0172 458416  info@agenziadipollenzo.com

Caraglio – Il Filatoio: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.30 – 12.00 – 15.00 – 16.30 e 18.00. Ingresso: Intero 9€; ridotto 6€. 

Cherasco – Palazzo Salmatoris: Pasqua e Pasquetta dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30. Per Ingresso gratuito.

Dronero – Museo Civico Luigi Mallé: Aperto solo a Pasqua dalle 15.00 alle 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30); info Tel. 0171 908704 oppure Tel. 347 8878051; museo.malle@comune.dronero.cn.it. Ingresso gratuito.

Fossano – Castello dei Principi D’Acaja: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 13,00 e dalle 14.00 alle 18.00 con visite guidate Ingresso: Intero 6€; ridotto 3€.

Govone – Castello Reale: Aperto a Pasquetta dalle 10.00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.30). Info Tel. 0173/58103 oppure tel. 371 4918587; info@castellorealedigovone.it. Ingresso: Intero 7€; ridotto 5€.

Magliano Alfieri – Museo dei soffitti in gesso e Teatro del Paesaggio nel Castello degli Alfieri di Magliano: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.30-18.30 (ultimo ingresso 17.30). Biglietto intero: € 5 per un singolo museo; € 7 per entrambi i musei.

Manta – Castello della Manta: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.00. Ingresso al castello: iscritti FAI €0,00; Intero € 11,00; ridotto (6-18 anni) € 4,00

Ingresso con visita guidata: iscritti FAI €4,00; Intero € 15,00; ridotto (6-18 anni) 

Pamparato – Borgo Antico e Castello: a Pasquetta visite guidate alle ore 10.30 e 15.30. Intero 8€; ridotto 5€.

Mombasiglio – Museo Gnerale Bonaparte nel castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10 alle 18. Ingresso 8€; ridotto 6€.

Priero – visita guidata al borgo e alla torre medievale: visite guidate a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 18.00. Prenotazioni su www.castelliaperti.it

Roddi – castello: aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 18.30. Partenze visite ogni ora: 10.30, 11.30, 12.30, 14.30, 15.30, 16.30, 17.30. Ingresso intero 6€.

Saluzzo – Casa Cavassa: Aperta a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 6€; ridotto 3,5€. 

Saluzzo – Casa Natale di Silvio Pellico: Aperta a Pasqua e Pasquetta dalle 14:00 alle 19:00.

Ingresso: intero 3,5€; ridotto 2,5€. 

Saluzzo – La Castiglia: Aperta a Pasqua e Pasquetta orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 8€; ridotto 6€. 

Saluzzo – Torre Civica e Pinacoteca Olivero: Aperta a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 14.00-19.00. Ingresso: intero 3,5€; ridotto 2,5€.

Saluzzo – Villa Belvedere: aperta a Pasquetta dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00. Intero 5 €; ridotto 3€

Savigliano – Palazzo Muratori Cravetta: aperto solo a Pasqua dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.30. Ingresso intero 3€

Savigliano – Museo Civico A. Olmo e Gipsoteca D. Calandra: aperto a Pasquetta con orario 10.00-13.00 e 15.00-18.30. Ingresso: intero 5€; ridotto 3€.

Serralunga d’Alba – Castello di Serralunga d’Alba: Aperto a Pasqua e Pasquetta con visite guidate alle ore 10.30; 11.15; 12.00; 12.45; 14.30; 15.15; 16.00; 16.45; 17.30. Informazioni e prenotazioni: 0173 613358; info@castellodiserralunga.it; Ingresso: intero 6€; ridotto 3€.

PROVINCIA DI NOVARA

Oleggio Castello – Castello dal Pozzo: Aperto a Pasqua e Pasquetta con visite guidate su prenotazione alle 10.00 di mattina. Ingresso 15€; Per informazioni e prenotazioni: Tel: 0322 53713, 335 6121362, contact@castellodalpozzo.com

Vinzaglio – Castello di Vinzaglio: Aperto a Pasqua e Pasquetta solo su prenotazione contattando il numero 346 7621774 

PROVINCIA DI TORINO

Arignano – Castello Quattro Torri: aperto a Pasquetta con visite alle 11 e alle 15.00 e possibilità di ordinare un cesto pic nic. Ingresso intero € 10, ridotto €8

Caravino – Castello e Parco di Masino: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.00 (ultimo ingresso ore 17.00). Ingresso castello e parco: iscritti FAI*: ingresso gratuito, intero: € 15, ridotto (6-18 anni): € 8

Pralormo – Castello di Pralormo: Aperto a Pasqua e Pasquetta dalle 10.00 alle 18.00. Ingresso: intero 9€; ridotto 8€

San Secondo di Pinerolo – castello di Miradolo: Aperto a Pasqua e Pasquetta con orario 10.00-18.30. Ingresso solo su prenotazione: Tel. 0121/502761 prenotazioni@fondazionecosso.it Ingresso Solo Parco: Intero 6€; Parco + Mostra: Intero 15€.

Foto dei lettori: il raffinato barocco di palazzo Barolo

Ci scrive e ci invia questi scatti la nostra lettrice Alessandra Macario: Palazzo Barolo è una delle residenze nobiliari più affascinanti di Torino, un esempio raffinato dell’architettura barocca. Le sale affrescate e lo scalone maestoso narrano la storia della famiglia Falletti di Barolo, un intreccio di arte, musica e mecenatismo.

Una cappella tra templari e cavalieri di Gerusalemme

Per vederla bisogna varcare i cancelli del cimitero. Si trova al centro del camposanto di Buttigliera d’Asti, a pochi chilometri da Castelnuovo don Bosco e da Riva di Chieri, è ricca di storia e di fascino.
Ci sono entrati crociati, cavalieri di Gerusalemme e forse templari. È la cappella romanica di San Martino, è lì da quasi mille anni. Dedicata a San Martino, vescovo di Tours, è la più antica chiesa del territorio e risale probabilmente all’epoca carolingia(774-887) quando i Franchi dominavano nell’Italia del nord. Nella prima metà del 1100 i conti di Biandrate, che di Crociate in Terra Santa ne hanno fatte tante, almeno le prime quattro, donarono la cappella di San Martino all’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, il futuro Ordine di Malta, nato nell’XI secolo per assistere pellegrini e viandanti diretti oltremare, ai luoghi santi nel Levante crociato. Nelle vicinanze della chiesa fu aperto un “hospitale”, un piccolo ricovero che metteva a disposizione posti letto, forniva cibo e curava i poveri e i malati che passavano da quelle parti, tra Villanova e Buttigliera. Un tempo chiesa dell’Ordine Gerosolimitano e ora cappella del cimitero, conserva elementi romanici dei secoli XII e XIII con affreschi sull’abside del Quattrocento. La chiesa si fa risalire al X secolo ma in realtà sarebbe molto più antica. Nel 2013 durante alcuni restauri fu trovato il coperchio di un antico sarcofago con un’iscrizione risalente al V-VI secolo, nell’epoca in cui era molto diffuso il culto del vescovo di Tours nella Gallia e nel nord d’Italia. La cappella di San Martino restò proprietà della commenda. Alla fine del Settecento, con la soppressione dell’Ordine di San Giovanni, passò al Comune di Buttigliera che ricostruì la facciata e restaurò l’altare e gli affreschi dell’abside. Sulle pareti esterne della chiesa si vedono antiche scritte e graffiti lasciati dai fedeli e dai pellegrini nel corso dei secoli, oltre a molte iscrizioni in latino e in italiano risalenti ai secoli XVI-XIX che si riferiscono ad abitanti deceduti in paese. Il luogo conserva un mistero legato alla presenza dei Cavalieri del Tempio. I possedimenti templari in Piemonte erano molto numerosi e tra questi figuravano chiese, domus, terreni, tenute agricole, allevamenti e altro. Le fonti storiche sulle proprietà dei Templari nella nostra regione fanno riferimento anche a un presunto insediamento templare a Buttigliera d’Asti. Secondo la studiosa Bianca Capone, sulla commenda di Buttigliera non ci sono fonti certe: “la carta più antica risale al 1543 in cui viene citata la commenda con dedica a San Martino, nome più templare che gerosolimitano, e i beni della commenda erano cospicui come si rileva da numerosi inventari”.                             Filippo Re

Trasferta cinese dei sabaudi “Musei Reali”

In mostra per la prima volta in Cina su prestito dei torinesi “Musei Reali”

Fino al 22 giugno

Titolo e sottotitolo chiariscono subito i contenuti della grande rassegna organizzata in Cina, al “Nanshan Museum” (7mila metri quadrati espositivi) di Shenzhen (città meridionale sul delta del Fiume delle Perle, al confine con Hong Kong) dai nostri prestigiosi “Musei Reali”, costituitisi fra XVI e XX secolo, di pari passo con la storia dei Savoia, inglobando nei loro (a oggi) 30mila metri quadrati anche reperti ben più antichi all’interno delle proprie Collezioni, composte da più di 400mila opere, fra dipinti, sculture, reperti archeologici, tessuti, oreficerie, armi e armature, per finire con libri e disegni. Opere che oggi parlano di Torino e dell’Italia riuniti, fino a domenica 22 giugno, in ben 140 pezzi in un sito museale fra i più prestigiosi della Cina e in una città di 18milioni di abitanti, dichiarata negli anni Ottanta “Zona Economica Speciale” e oggi principale centro tecnologico della Repubblica Popolare, con sede di giganti come “Huawei” e “Tencent”, nonché della “Byd”, fra le maggiori industrie di automobili elettriche del Paese.

Titolo e sottotitolo, si diceva: “Steel of Glory” e “A Knight’s Life of Armor, Blade and Honor”. Come dire “Acciaio di Guerra” e “Una vita da cavaliere fatta di armature, lame e onore”. E’ infatti l’epopea degli antichi cavalieri, con le loro armature, i miti e le leggende a farla totalmente da protagonista della grande, sorprendente esposizione in trasferta dalla Mole a Shenzhen, che, offrendo al pubblico cinese la possibilità di ammirare preziose opere mai uscite dalla loro sede subalpina, “ripercorre la storia della cavalleria e la creazione del suo mito, dalle premesse tra l’VIII e il IX secolo, quando in Europa si verificano le condizioni economiche e sociali favorevoli alla nascita del sistema feudale, fino all’età dell’oro che coincide con il periodo dall’XI al XIII secolo quando la categoria dei cavalieri diventa un ceto sociale”.

Una nutrita selezione di capolavori provenienti dalle collezioni dei “Musei Reali”, in particolare dall’“Armeria Reale”, una delle più importanti al mondo (insieme a quella di Madrid, a quella imperiale di Vienna e a quella dei Cavalieri di Malta) darà la possibilità di ammirare la produzione europea di armi e armature da parata e da torneo tra il XVI e il XVII secolo. In esposizione, il pubblico potrà dunque ammirare pezzi di altissimo valore storico e artistico-artigianale. Fra i più pregevoli un’“armatura completa per cavallo e cavaliere” uscita dopo duecento anni e per la prima volta dall’“Armeria Reale”, insieme ad una rara “armatura da bambino” e a un “elmo modellato a forma di animali fantastici”, tutti risalenti al Rinascimento. Per non dire della “Spada” appartenuta al primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, autentico capolavoro di cesellatura.

Sottolinea Mario Turetta, direttore delegato dei “Musei Reali” torinesi: “Collaborare con un’importante istituzione cinese come il Museo di Nanshan rientra tra le iniziative di valorizzazione volte a promuovere i rapporti tra la Cina e l’Italia attraverso l’organizzazione di attività espositive, straordinaria fonte di accrescimento culturale e di confronto metodologico sulla gestione e sulla conservazione delle collezioni”.

E a lui fa eco Valerio De Parolis, Console Generale d’Italia a Canton: “A Shenzhen presentiamo con orgoglio una pagina di storia italiana che mette in risalto il nostro inestimabile patrimonio di cultura e tradizioni, attraverso questa esposizione molto scenografica e di assoluto prestigio delle collezioni dei ‘Musei Reali’ di Torino. È una mostra che suggella l’incontro tra una delle maggiori istituzioni museali del nostro Paese con un polo museale di prim’ordine del Sud della Cina, e che consente di rafforzare ulteriormente lo scambio culturale e la conoscenza reciproca tra l’Italia e la Provincia del Guangdong”.

Curata dai “Musei Reali” di Torino e ideata e organizzata da “Arteficio”, la mostra resterà a Shenzhen fino a domenica 22 giugno per poi spostarsi in altri tre Musei della Repubblica Popolare Cinese.

Gianni Milani

Nelle foto: “Steel of Glory” Allestimento; “Armatura di ragazzo”, acciaio inciso, 1560/1570; “Armatura di uomo e cavallo” (Particolare), acciaio inciso a bulino e all’acquaforte, circa 1550; Eusebio Zuloaga “Spada d’onore di Vittorio EmanueleII”, acciaio damascato, oro e argento, 1852/1853