Sul palcoscenico dell’Alfieri, dall’8 al 13 marzo
Dice Red Canzian: “Ho cullato a lungo l’idea di comporre un’opera musicale dedicata alla città di Venezia, forse l’unica al mondo di tale notorietà a non avere un “suo” musical, e a Giacomo Casanova, uno dei personaggi italiani universalmente conosciuti, ma finora raccontato in una chiave sempre un po’ monotematica, mentre io volevo rappresentarlo nelle tante sfumature che fanno di lui una delle figure storiche più interessanti che l’Italia e Venezia in particolare possano vantare”. Ed ecco: tre anni di lavoro, un’immaginazione che dovrà acquistare concretezza e impadronirsi di un palcoscenico, la lettura del best seller (uscito nel 2018 e tradotto in oltre dieci lingue) di Matteo Strukul “Giacomo Casanova – La sonata dei cuori infranti” che ha fatto accendere la scintilla verso un’ispirazione che avrebbe allineato due ore di musica per 35 brani inediti, di cui 29 cantati e sei esclusivamente musicali, con la regia di Emanuele Gamba. E poi i 35 cambi di scena costruiti con una tecnica di proiezioni ad altissima definizione dall’effetto immersivo – catturare innanzitutto le immagini di una Venezia deserta, chiusa nei silenzi della pandemia, trattarle ripulendole di ogni elemento moderno e lasciare che lo spettatore si ritrovasse immerso nella città di Goldoni e degli impresari e delle sale teatrali, di Tiepolo e di Guardi e di Canaletto, dentro le calli e i palazzi della nobiltà, piazza San Marco e le chiese colme di tesori, la laguna e la prigione dei Piombi, oltre i confini tra le sale dei castelli del Nord -, per dare vita ad un’epoca, per ricreare in modo felicemente tangibile la città lagunare del 1755; e ancora i 120 costumi disegnati da Desirée Costanzo e realizzati dall’Atelier Stefano Nicolao (nomination all’Oscar per i costumi di “Eyes Wide Shut” di Kubrick), gli apporti di Chiara Canzian resident director, di Fabio Barettin e di Massimo Checchetto, rispettivamente lighting designer e direttore degli allestimenti scenici, le coreografie di Roberto Carrozzino e Martina Nadalini.
Senza dimenticare l’immagine sensuale che Milo Manara, già anima felliniana per il film del regista riminese, torna a regalare dopo quasi cinquant’anni al pubblico a presentazione e suggello dello spettacolo, l’abbraccio tra l’infallibile seduttore e la sua giovanissima fiamma, cui inaspettatamente non riuscirà a sfuggire. “Ho pensato a “Casanova Operapop” – aggiunge ancora Canzian – con lo sviluppo dell’opera all’italiana, nella quale la storia e i personaggi prendono forma attraverso la musica e le parole delle canzoni, scritte da Miki Porru, e dove i dialoghi punteggiano il racconto in pochi momenti, seppur importantissimi. Per rendere lo spirito epico delle composizioni, arrangiate magistralmente da Phil Mer, abbiamo registrato l’Orchestra Sinfonica di Padova e del Veneto, diretta dal Maestro Carmelo Patti, fusa con i suoni moderni di una band ”.
Dopo le repliche e il pieno successo di Bergamo e Udine, delle serate al Malibran veneziano e agli Arcimboldi milanesi, “Casanova” giunge finalmente all’Alfieri di Torino (da martedì 8 sino a domenica 13) per il cartellone del “Fiore all’occhiello” di Torino Spettacoli. L’attesa è molta, qualcuno ha definito lo spettacolo “maestoso” e imperdibile. A chi assisterà, un momento dell’esistenza di un uomo di circa trent’anni, non soltanto avventuriero e libertino, ma di un uomo che fu altresì scrittore, esoterista, alchimista, poeta, filosofo, diplomatico e agente segreto della Serenissima (più volte il cinema s’è “accorto” del personaggio, non solo Fellini, anche tra i tanti Steno e Comencini, Lasse Hallström e Scola con il suo capolavoro “Il mondo nuovo”, un Casanova vecchio, alle prese con la fuga del re Luigi verso Varenne, nella tragedia della Rivoluzione francese), che viaggiò nelle varie corti e frequentò i salotti di mezza Europa, che ebbe rapporti con Caterina di Russia e con Federico di Prussia, con Rousseau e con Voltaire, con la Pompadour e con Mozart (una tradizione vuole che abbia partecipato alla stesura del libretto del “Don Giovanni”), che scrisse la propria autobiografia in francese (“Histoire de ma vie”), che visse tutta la propria vita secondo le “leggi” e i precetti di quella aristocrazia da cui era stato escluso per nascita e nella quale cercava di rientrare, avvalorando con parole e scritti anche la voce secondo cui era il figlio di una relazione adulterina della madre Zanetta Farussi, attrice veneziana di un certo successo, con il nobile Michele Grimani.
A raccontare la decadenza della Serenissima, il ritorno dall’esilio a Vienna, i duelli e le trame dell’inquisitore Garzoni per impadronirsi del potere, le figure di una vecchia passione, Gretchen, e della contessa Margarethe von Steinberg, le sfide amorose e le conquiste, la bellezza e il fascino, la prigione e la fuga, sono Gian Marco Schiaretti (Casanova), Angelica Cinquantini (la giovane Francesca che ne catturerà il cuore), Gipeto come potente e corrotto inquisitore e Manuela Zanier che è la contessa. E ancora Paolo Barillari, Jacopo Sarno, Roberto Colombo, Antonio Orler, Silvia Scartozzoni, Rosita Denti e Alice Grasso. Con loro il corpo di ballo con dieci ballerini, non solo impegnati a danzare ma a ricoprire i tanti piccoli personaggi e il popolo sconosciuto di una città nei diversi momenti corali della storia.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono firmate da Jarno

Poi, il 15 agosto 1969, i “troubles” tra Cattolici e Protestanti riducono in cenere la convivenza tra le persone, improvvisamente. La famiglia di Buddy ne è coinvolta, loro sono protestanti ma non sicuramente accesi, le invasioni e i saccheggi (certo la tentazione c’è, il fustino di polvere per lavare fa gola anche a lui ma ci pensa sua madre a farglielo restituire) li lasciano al teppistello che, tra macchine bruciate e barricate a difendere l’entrata della strada, cerca di imporre a tutti la propria legge. Il mondo in un attimo è cambiato, magari si buttano in un angolo i giochi con l’obbligo di scendere in strada. Ahimè, è anche il mondo in cui il film presenta delle crepe, accusa il “non tutto è perfetto”, diventa a tratti retorico o troppo sentimentale o anche furbetto e “facile”. E ancora: si rivela un susseguirsi di episodi, di momenti, alcuni eccellenti nel grande valore delle immagini, nella ricercatezza che è propria del regista (lo notavamo anche nel recente “Assassinio sul Nilo”), altri di tono minore. Vuol dire troppo e fa vedere troppo, in una realtà che a volte non sai se intendere come tale o rivoltarla in gioco o immaginazione del piccolo protagonista: la scena in cui il padre, da sempre considerato un eroe, colpisce il cattivo di turno con un sasso e gli toglie la pistola di mano, è un momento francamente non del tutto apprezzabile o credibile. Come, per alcuni tratti, ne soffre lo sguardo del Buddy del più che volenteroso ma ancora inesperto Jude Hill, con i suoi stupori, le sue ansie, i suoi pianti, la sua allegria, il suo dire sì alla decisione dei genitori di lasciare Belfast, un ragazzino di oggi che s’impegna a “costruire” il Branagh ragazzino di nove anni di ieri mentre lo stesso Branagh avrebbe dovuto avere il coraggio di lasciarlo andare a briglia sciolta, recuperando con maggior sincerità, con più efficace naturalezza i tanti diversi sentimenti secondo la sua “inesperienza”.
Ad aprire il concerto sul palco di Collisioni, avremo il piacere di ascoltare La Rappresentante di Lista, nell’unica tappa piemontese del suo MY MAMMA – CIAO CIAO EDITION dopo il successo a Sanremo con la canzone che già si annuncia un tormentone estivo. Un successo su tutti i livelli, con numeri in crescita sui social media, sin dall’inizio della settimana sanremese: i follower su Instagram sono più che raddoppiati, quelli su Tik Tok arrivati a 50mila, con più di 6 milioni di visualizzazioni, il brano è stato utilizzato in oltre 50mila video, rendendo “CIAO CIAO” il terzo brano sanremese più utilizzato sulla piattaforma.
Il primo incontro tra i due avvenne sette anni fa allorché Maurizio De Giovanni adattò per il palcoscenico “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Kesey, poi arrivò il successo del commissario Lojacono e dell’avamposto poliziesco dei “Bastardi di Pizzofalcone” (una sorta di 87° distretto newyorkese con stanza a Napoli), con le sue facce, con i drammi personali, con i casi da risolvere. Una collaborazione, fatta di amicizia e di desiderio di sperimentare su più fronti, quella nata tra Alessandro Gassmann e il giallista più acclamato di casa nostra (il pubblico che corre in libreria o punta gli occhi sulla tivù di casa per i casi del commissario Ricciardi, di Mina Settembre o dell’ex agente segreto Sara), da cui è nato “Il silenzio grande”, visto al cinema e giunto finalmente al Carignano per la stagione dello Stabile torinese.
Da buon giallista, anche in quella biblioteca che parrebbe immersa nella vivace linearità del racconto, De Giovanni trova modo di costruire inaspettatamente l’essere e l’apparenza, di unire il mondo dei vivi e quello dei morti (ma più non si può dire, scoprirà felicemente ogni cosa lo spettatore). La regia di Gassmann srotola a poco a poco lo svolgersi della vicenda, le cose mai dette, gli angoli dei sentimenti negati, a volte con piccoli particolari, con gesti o con giochi di luci, con gli attimi di un tempo impressi nel velo che divide il pubblico e la scena. Il teatro mette ancora più a fuoco l’ambiente claustrofobico che il cinema poteva spezzare in qualche respiro all’esterno, forse qui spinge il pedale della comicità ma senza mai interrompere il clima di drammaticità sottile che riempie il palcoscenico. Ha un prezioso alleato in Massimiliano Gallo, chiuso saldamente nel bozzolo di Valerio, nella sua moderna misantropia, nella propria ingenuità, nella volontà di voler rimanere intimamente ancorato al passato, e pronto a esplodere nelle verità che gli si concretizzano davanti, dialogo dopo dialogo, una prova davvero matura, giocata tra mille sfumature, dove l’attore attinge, nella parola e nei gesti, nel modo di muoversi attraverso la scena, al panorama eduardiano o a certi dialoghi spezzettati che ricordano da vicino il compianto Troisi. Accanto a lui, Stefania Rocca, Pina Giarmanà dalla schietta umanità, e i figli Paola Senatore e Jacopo Sorbini, capaci di costruire nei loro interventi due personaggi pieni di precisi, apprezzati chiaroscuri. Un vero successo alla prima. Repliche sino a domenica 6 marzo.

