Se n’è andato a sessantotto anni Maurizio Martinotti, uno dei nomi più noti nella storia della musica tradizionale italiana.
Nato a Casale Monferrato nel 1953, dopo aver frequentato il liceo classico ‘Balbo’ ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca ed alla musica. Nel 1977 fondò ‘ La Ciapa rusa’, in piemontese ‘La pezza rossa’ soprannome con cui veniva chiamata una famiglia di cantori tradizionali di Bozzole. Neglianni il gruppo, ha raccolto registrazioni e filmati degli anziani cantori e suonatori, effettuando così una notevole operazione di recupero della memoria delle tradizioni musicali che altrimenti sarebbe andata perduta, soprattutto nell’area delle Quattro Province (Alessandria, Piacenza, Pavia e Genova). Nei vent’anni di attività, sino al 1997 ha prodotto 7 dischi, uno dei quali ‘Ten da chent l’archet che la sunada l’è lunga’ ha ottenuto nel 1982 il premio della critica discografica italiana. E Roberto Leydi, critico ed etnomusicologo italiano di grandissimo spessore già negli anni Settanta aveva scritto che ‘La Ciapa Rusa’ era uno dei principali e maggiormente meritevoli di attenzione gruppo di musica tradizionale a livello italiano. Il gruppo fu apprezzato anche a livello internazionale con tournee in Europa ed in Nord America. Maurizio Martinotti fu anche il motore della ‘Folkermesse’, rassegna internazionale di musica tradizionale nata nel 1983 quando assessore alla cultura era Guido Cattaneo (un politico casalese che pose le basi delle tante iniziative culturali di cui la città ha goduto negli anni successivi, dalla Gipsoteca Bistolfi, al Museo Civico, alla riapertura del Teatro e, appunto alla Folkermesse). La rassegna, collegata con il festival francese di Lorient ha calato definitivamente il sipario nel 2020.
Maurizio Martinotti è mancato nel giorno di San Silvestro all’ospedale di Alessandria. Era malato da tempo. Lascia la moglie Maura Guaschino che aveva conosciuto anni fa proprio durante delle ricerche sulle tradizioni musicali e con cui aveva effettuato anche diversi altri lavori. Lascia anche il fratello Massimo, che vive all’estero da diversi anni e la sorella Marina. E proprio grazie a Marina, mia compagna di scuola, avevo conosciuto ‘Martinez’ come lo chiamavano una vita fa, nella loro casa vicino al Duomo di Casale tanti anni fa, quando entrambi frequentavamo il Ginnasio ed il Liceo. Maurizio lo ricordo nella sua grande stanza, piena di dischi e libri , una prima volta che ero stato a casa loro per studiare insieme con Marina non ricordo se latino o greco. Ci siamo poi sentiti diverse volte negli anni Ottanta quando per ‘Vita Casalese’ seguivo le prime Folkermesse. Storie di altri tempi e dei primi anni Ottanta. Poi negli anni ci siamo, via via, persi di vista come sovente accade, anche se i nostri sporadici incontri sono sempre stati all’insegna della reciproca stima e cordialità. Sino ad aver appreso la notizia la mattina del 1 gennaio. La sua dipartita si farà sentire per tutto quello che di buono e di bello ha fatto in tutti questi anni nel campo della cultura e della musica.
Massimo Iaretti
Con e dopo il processo l’avrebbero definita “la vedova nera”, Patrizia Reggiani, la pietra angolare di una storia di “assassinio, follia, fascino e avidità”, se vogliamo prendere a prestito il sottotitolo del libro di Sarah Gay Forden, “House of Gucci”, da cui Ridley Scott è partito per dare vita ad una “Dinasty” della Milano più che bene e tutta da bere degli ultimi decenni del secolo scorso. Prima, umili origini, una nascita nella piana modenese, a Vignola il paese delle ciliegie, un padre biologico mai conosciuto, la madre che ricostruisce una vita per sé e per la figlia sistemandosi nel piccolo impero di un trasportatore, un bel numero di camion e di dipendenti, l’adozione e la tranquillità economica. Certo però che imbattersi, ventiduenne, nel rampollo Maurizio Gucci ad una festa, scambiandolo per il barman di turno, è un affare di tutt’altro tono e mica da tutti i giorni: il nome alletta anche se il bel Maurizio è al momento in rotta con il padre Rodolfo (un passato di attore, con vari film in curriculum, che nel cinema trovò pure una moglie) e del marchio con la doppia G non sa che farsene. Per il momento. Ma il nome alletta, certo, e Patrizia amerà travestirsi da gatta spregiudicata, innamorata, chi glielo nega? ma pur sempre inevitabile arrivista – femme fatale, a metà strada tra Cenerentola e Lady Macbeth -, per festeggiare un matrimonio osteggiato e un ravvicinamento, la nascita delle figlie soprattutto, per sfoderare, una volta messo il naso in azienda, tutta la spietata freddezza, come l’appoggio ad un marito piuttosto debole e inconcludente, sempre da spingere, sempre da consigliare, per ambientarsi assai facilmente nell’attico newyorkese e tra i nuovi amici come Jacqueline Kennedy Onassis, tra i disegni inconfondibili degli abiti, tra i conti bancari e le proprietà, tra i giochi al massacro che serpeggiano in quel covo di vipere, da cui nessuno è escluso. Figli contro padri, cugini contro cugini, zii contro nipoti, tutta una enorme lotta per porsi alla cima della piramide dei luccicanti quattrini (che tornano a circolare, italianissimi, e a scricchiolare amaramente, nella filmografia del più che ottantenne Scott, dopo “Tutti i soldi del mondo” sul rapimento del giovane Getty).
