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Il paradosso della tecnologia, ragazzi connessi ma sempre più soli

Come ogni strumento inventato dall’uomo, anche la tecnologia rappresenta due lati di una stessa medaglia e se vogliamo vedere l’aspetto buono, anziché quello nocivo, dobbiamo impararne il corretto utilizzo ed insegnarlo ai nostri ragazzi.

Sebbene all’origine di questi strumenti vi siano degli scopi militari, sia i computer che Internet sono nati come strumenti di difesa, la tecnologia moderna sembra rappresentare un aiuto per connettere le persone e semplificare le nostre vite in ogni ambito.

Se pensiamo alla possibilità di comunicare seduta stante con una persona dall’altra parte del mondo, alla domotica che ci aiuta a gestire le nostre case o ancora all’elettronica delle nostre auto, i vantaggi sono tanti. Tuttavia, quando avviene un abuso di questi strumenti, ecco che il lato nocivo della medaglia inizia a palesarsi.

Nel momento in cui la tecnologia aiuta le persone in modo eccessivo e totalitario, gli esseri umani iniziano ad adagiarsi e a dimenticarsi delle loro capacità: la videochiamata o il messaggio con l’amico lontano diventano una scusa per videochiamare e messaggiare anche l’amico vicino, senza doversi alzare dal proprio divano; la possibilità di usare Alexa per dare comandi come l’avvio del robot che pulisce la casa o l’accensione della tv, rappresentano altre strategie per non scomodarsi da dove si è, così come il display dell’auto che si accende durante la retromarcia porta ad adagiarsi all’utilizzo dei sensori, mettendo in secondo piano le nostra capacità di attenzione e di percezione del campo visivo.

Ecco perché bisogna insegnare ai giovani, i quali vivranno in un mondo ancora più tecnologico, a comprendere bene l’utilizzo di questi strumenti.
Diventa necessario per loro che venga insegnata la capacità di riflettere sull’utilizzo della tecnologia, di capire quando diventa un eccesso e di trovare modi e spazi per prendere le distanze e disintossicarsi da tutto questo.

Basterebbe iniziare con pochi e piccoli accorgimenti come lasciare il telefono in un’altra stanza per almeno quindici minuti al giorno, far notare loro come ci si possa sentire senza vincoli quando la tecnologia non li rende succubi, invitare alcuni amici a casa e suggerire di trascorrere del tempo insieme senza avere sempre gli smartphone a portata di mano.

Non è facile attuare degli accorgimenti di questo tipo, soprattutto se gli adolescenti sono già grandi, ma vale la pena provarci perché, se è quasi certo che oggi faranno fatica a capirci, è altrettanto probabile che un domani, invece, verranno a ringraziarci.

IRENE CANE

Psicologa

Un intreccio di memoria, arte e territorio

DNA –Dominanti Nature Artistiche L’associazione culturale di Carlotta Micol De Palma,attrice e Giorgio Cecconi,scenografo,che intreccia memoria, arte e territorio.

Nel cuore di un panorama culturale sempre più frammentato, DNA – Associazione Culturale rappresenta un esempio concreto di come la creatività possa diventare strumento di connessione, riflessione e trasformazione. Fondata da Carlotta Micol De Palma e Giorgio Cecconi, DNA nasce con l’intento di riscoprire e valorizzare le storie, le memorie e le identità sommerse, spesso dimenticate o marginalizzate, attraverso linguaggi artistici e percorsi di ricerca partecipata.

L’associazione si distingue per un approccio che unisce sperimentazione artistica, rigore nella documentazione e profondo radicamento nei territori. De Palma e Cecconi, unendo competenze e sensibilità differenti, hanno dato vita a una realtà dinamica che opera al confine tra l’arte,e l’attivismo culturale. Al centro delle attività di DNA vi sono la narrazione dei luoghi e delle persone, la costruzione di progetti collettivi e la cura di archivi di memoria viva, frutto di ascolto, dialogo e coinvolgimento diretto delle comunità.

Tra le iniziative promosse, si trovano laboratori con giovani,mostre,laboratori teatrali e cinematografici,musica installazioni multimediali e produzioni video,tutto quanto fa arte e spettacolo. Ogni progetto è pensato come un processo aperto, che cresce nel tempo e si arricchisce delle voci di chi vi partecipa.
DNA è, in definitiva, un esempio di come l’arte, se mossa da una visione etica e collettiva, possa diventare spazio di rigenerazione, tanto culturale quanto sociale.

Enzo Grassano

Il dramma dei padri separati: tra speranze, difficoltà e nuove sfide

IL TORINESE WEB TV

La separazione è sempre un momento difficile, ma per molti padri diventa un vero e proprio dramma che coinvolge emozioni profonde, difficoltà pratiche e spesso anche un senso di ingiustizia. Sono tanti gli uomini che, dopo aver vissuto momenti di gioia e condivisione con i propri figli, si trovano a dover affrontare una realtà complessa e spesso dolorosa. Per molti padri, il desiderio più grande è quello di mantenere un rapporto attivo e significativo con i figli, anche dopo la separazione. Tuttavia, le dinamiche legali, le resistenze dell’ex partner e le difficoltà economiche possono rendere questa aspirazione difficile da realizzare. La battaglia per l’affidamento, le visite e il mantenimento diventano spesso un percorso fatto di ostacoli, tensioni e delusioni. Il dolore più grande si manifesta quando si sente di essere stati allontanati dalla vita dei propri figli, di non poter partecipare alle loro gioie e ai loro momenti importanti. Molti padri si trovano a dover lottare non solo contro le questioni legali, ma anche contro un senso di impotenza e di perdita. La mancanza di un ruolo attivo nella crescita dei figli può portare a sentimenti di tristezza, frustrazione e isolamento. Inoltre, il dramma si acuisce quando si affrontano le difficoltà economiche legate al mantenimento e alle spese per i figli. La legge prevede che entrambi i genitori contribuiscano, ma non sempre le possibilità economiche sono sufficienti, e questo può generare tensioni e sensi di colpa. Nonostante tutto, è importante ricordare che ci sono molte associazioni e movimenti che si battono per i diritti dei padri e per un’equa tutela dei loro ruoli. La società sta lentamente cambiando, riconoscendo sempre più l’importanza di un coinvolgimento attivo di entrambi i genitori nella vita dei figli. Ai nostri microfoni il presidente Luca Ronzani, dell’ Associazione Misericordia S.p.A., Società per Amore, spiega il dramma dei papà che, pur avendo un lavoro con un reddito medio, non riuscendo a far fronte, economicamente, a tutte le spese dovute alla separazione e all’assegno di mantenimento a moglie e figli, sono costretti, a volte a dormire in macchina o addirittura, sotto i ponti. Da non sottovalutare, inoltre, spiega l’avvocato Salvatore Dimartino, il danno “educativo” procurato ai figli dalla mancanza della figura paterna. Il papà rappresenta un punto di riferimento, un modello di sicurezza e protezione. La presenza di un genitore maschile può contribuire a sviluppare nei figli un senso di stabilità, autostima e fiducia in sé stessi. La mancanza di questa figura può portare a sensazioni di abbandono, insicurezza e difficoltà nel gestire le emozioni. È fondamentale che le istituzioni, le famiglie e la società nel suo insieme lavorino per creare un ambiente più giusto e solidale, dove i figli possano crescere con l’amore e la presenza di entrambi i genitori, e dove i padri possano vivere questa fase difficile con dignità e speranza

FRANCESCO VALENTE

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Torino secondo il Sole 24 Ore non è una città per giovani. Ma si piazza meglio di Milano

L’ultimo report de Il Sole 24 Ore  non è molto positivo per Torino. Il capoluogo piemontese  non ottiene risultati brillanti nella classifica sulla qualità della vita per i giovani tra i 15 e i 34 anni, ma riesce comunque a posizionarsi meglio di Milano, che occupa l’ultima posizione. Un piccolo motivo di soddisfazione nella storica rivalità con la metropoli lombarda, che attrae più ricchezza ma si rivela poco accessibile per gli under 35 a causa dei costi elevati degli affitti e della vita in generale.

In realtà, tutti i grandi centri urbani faticano in questa analisi: Roma è ultima al 107° posto, Napoli al 104°, Milano al 101°, mentre Torino è 90ª, restando comunque nella parte bassa della classifica. La situazione occupazionale non è confortante: Torino è solo 63ª per occupazione giovanile, un risultato deludente se paragonato a Cuneo, che è settima. Se si guarda alla stabilità lavorativa, Milano offre le migliori garanzie con contratti a tempo indeterminato, mentre Torino si colloca al 57° posto. Anche il livello di soddisfazione dei giovani torinesi rispetto al proprio lavoro è piuttosto basso: la città è 52ª, ben lontana da realtà come Asti, che si posiziona al secondo posto a livello nazionale.

Ci sono però anche dati più positivi. Torino ottiene il 21° posto per imprenditoria giovanile, il 24° per percentuale di laureati e il 31° per l’offerta culturale e di spettacoli, dimostrando una certa vivacità in ambiti legati all’istruzione, all’iniziativa personale e alla cultura.

Dove invece la città soffre è nel comparto abitativo: il divario tra affitti in centro e in periferia la colloca all’80° posto, mentre per il costo medio degli affitti è addirittura al 99°. Poco incoraggianti anche i dati sulla partecipazione politica dei giovani, con un 92° posto per presenza di amministratori comunali under 40.

Infine, anche gli indicatori legati alla famiglia e alla sicurezza non sorridono al capoluogo piemontese. Torino è 93ª per età media al parto e 85ª per numero di matrimoni. La percezione di insicurezza è diffusa: molti giovani, dai 14 anni in su, dichiarano di non sentirsi al sicuro a camminare da soli nel proprio quartiere, facendo scivolare la città all’86° posto in Italia per questo indicatore.

Aumentano i casi di Hikikomori

NUMERI TRIPLICATI IN TRE ANNI
Hikikomori è un termine giapponese utilizzato per indicare l’isolamento e il ritiro sociale.
Il fenomeno, conosciuto in Giappone dagli anni ‘70, esordisce a causa delle restrittive regole sociali volte alla perfezione e all’imposizione di ruoli e carriere ben definiti.
Secondo le analisi del CNR-IRPPS (Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali), i casi di Hikikomori in Italia sono triplicati nel giro di tre anni, complici la pandemia da Covid-19 e la transizione digitale.
I ragazzi coinvolti nel fenomeno manifestano un ritiro sociale evidente, spesso non frequentano nemmeno la scuola dell’obbligo e faticano a uscire dalla porta della loro stanza, sempre chini sui loro dispositivi digitali.
I sintomi più manifesti sono l’ansia e la depressione, in alcuni casi con rischio suicidario.
I ragazzi hikikomori manifestano disinteresse nella cura di se stessi e prediligono la consumazione dei pasti all’interno delle mura della loro stanza.
L’incontro con amici virtuali, che popolano la rete, consente loro di interagire con un mondo fittizio ma controllabile e di sopperire al bisogno di relazioni sociali reali, tipico della loro età.
All’origine di questo fenomeno possiamo trovare situazioni di fallimento scolastico e sociale, un basso livello di autostima, delle aspettative troppo elevate da parte degli adulti, un utilizzo eccessivo della tecnologia e la presenza di episodi di bullismo o cyberbullismo.
I genitori dei ragazzi hikikomori faticano a gestire il disturbo dei loro figli, molto spesso sono anche impreparati davanti al riconoscimento dei segnali di allarme e non sanno come intervenire.
La terapia, solitamente, prende in carico sia i ragazzi che le loro famiglie, offrendo un intervento che possa lavorare non solo sul paziente, ma anche sul contesto in cui vive.
Accanto all’intervento dei professionisti specializzati, risultano indispensabili anche le attività di sensibilizzazione sul fenomeno, coinvolgendo così famiglie, scuole e, in senso più ampio, la società.
Dott.ssa Irene Cane, psicologa

Tengo i libri o li cedo?

Da alcuni anni si è sviluppata la pratica del book crossing, ovvero lo scambio incrociato dei libri: io lascio un libro che mi apparteneva e ne prendo un altro, poi terminata la sua lettura ripeterò il procedimento e così via.

Ovunque, nelle città turistiche come nelle grandi aziende, nelle cabine telefoniche di alcuni piccoli Comuni piuttosto che in alcuni bar e ristoranti, si vedono libri a disposizione di chiunque voglia prenderli e leggerli, in cambio se possibile di uno o più libri lasciati.

In un periodo in cui si legge pochissimo (la media in Italia è di meno di un libro l’anno pro capite) da una lato questa pratica stupisce, dall’altro crea speranza.

Fino a qualche tempo fa vigeva la regola non scritta che i libri non si cedono mai, come se si trattasse di un bene prezioso o di un titolo di merito; in effetti il compianto senatore Spadolini vantava una biblioteca privata di oltre 60.000 titoli che sicuramente non avevo letto tutti (a leggerne uno al giorno occorrerebbero 164 anni); molte persone, più semplicemente, conservano con gelosia i libri ereditati, quelli ricevuti in regalo in particolari occasioni o autografati dall’autore o di particolare valore economico o storico.

Personalmente credo che leggere sia molto importante per diversi aspetti: la formazioni di una cultura, la comparazione tra il nostro pensiero e quello dell’autore, la confutazione di informazioni errate sulla cui veridicità eravamo certi.

Oggigiorno è possibile trovare libri usati a prezzi irrisori (1-2 euro); ciò nonostante pochissimi leggono; spero che il book crossing che quasi ti porta i libri sotto casa gratuitamente possa invogliare sempre più persone ad avvicinarsi alla lettura.

Ricordo quando cambiai casa a 9 anni andando a stare vicino ad un supermercato dove erano posti in vendita anche gialli per ragazzi, altre collane di libri economici e manuali di vario genere; ogni settimana, andando a fare la spesa con i miei, almeno un libro era mio, ed i miei soddisfacevano volentieri questo mio desiderio; la lettura, specie una volta coricatomi nel letto, era un mezzo per rilassarmi dopo una giornata, lasciare andare la fantasia immaginandomi ora questo personaggio ora quello, e preparandomi al sonno ristoratore.

L’utilizzo degli smartphone, oggi, ottiene l’effetto contrario; nessuna fantasia da cavalcare, eccitazione dovuta all’utilizzo di videogiochi stimolanti anziché rilassanti e isolamento perché se prima un libro poteva essere discusso con compagni di scuola e amici, ora il gioco sullo smartphone ci rende isolati anche quando siamo seduti uno di fianco all’altro.

Se prima aver letto quel libro poteva servire a fare breccia nel cuore di una ragazza, ora avere quel videogioco ti mette alla pari di quegli altri ipnotizzati dalla tecnologia e con il QI in caduta libera.

Ho verificato: la lettura non sviluppa effetti collaterali anche in concomitanza con altre pratiche culturali, quali lo sport, i giochi come gli scacchi o la meditazione; mi sento, dunque, di consigliare a chiunque la lettura di almeno un libro al mese: sarebbe un bel modo di differenziarvi dalla massa emergendo anziché omologarvi appiattendovi verso il basso.

Immaginate, quando state conquistando una persona (uomo o donna, non c’è differenza), di citare una frase come “ti accorgerai che nella tua vita incontrerai molte maschere e pochi volti” (Pirandello): salirete nella top ten.

Se poi riuscirete a presentare alcune tesi frutto della lettura di un classico o di un saggio o narrare la biografia di un personaggio storico salirete sul podio.

Per salire al primo posto, però, dovrete dimostrare di aver capito ciò di cui parlate, e non fare una ripetizione a pappagallo.

Omologarsi è facile, basta copiare gli atteggiamenti altrui; distinguersi è veramente indice di intelligenza e di diversità.

Sergio Motta

Businness Game “IA- la quinta rivoluzione industriale” ai Ronchi Verdi

Formazione, creatività e innovazione sono le parole chiave della giornata di venerdì 23 maggio presso il Club Ronchiverdi di Torino, dove 60 studenti e 10 aziende di Exclusive Brands Torino uniscono le proprie forze per progettare il nuovo brand con il supporto dell’IA.

Gli studenti e le aziende, in un solo giorno, a Torino, immaginerai, svilupperanno e lanceranno un  nuovo prodotto sul mercato. È questa la sfida lanciata dal dipartimento di management e dalla SAA School of Mangement con la seconda edizione del Business Game (IA la quinta rivoluzione industriale), in programma venerdì 23 maggio dalle 9 alle 18, presso i Ronchiverdi. Si tratta di una giornata intensa di esperienza sul campo, pensata per offrire ai partecipanti un’opportunità di apprendimento insieme al mondo delle imprese. In palio un premio da 1200 euro per il team che si distinguerà per innovazione, creatività e capacità di Execution. Il format prevederne fase iniziale di formazione e di esercitazioni pratica con Giuliano Ambrosio “Founder and Managing Partner di Thinking Hat Innovation Studio specializzato nella produzione Generative IA, per poi entrare nel vivo della sfida: i partecipanti, suddivisi in squadre, lavoreranno fianco a fianco con i manager e i titolari di aziende appartenenti a Exclusive Brands Torino, tra cui Bava, Estetica, Gruppo Building, l’Opificio, Miroglio & Company, Sant’Agostino Casa d’aste, Spin-To, Vanni, Jeg alla creazione di un nuovo brand sulla base di brief aziendali e reali. Ogni team sarà dotato di un computer con Chat GPT attivo e altri strumenti alimentati da IA, per sperimentare l’applicazione dell’IA nella progettazione strategica. In palio 1200 euro per il team vincente nella fase di Challenge Creativa s Strategica Team, offerto da Thinking Hat per consolidare il suo percorso di società benefit, voltoma valorizzare i giovani talenti. Il percorso formativo si propone di potenziare le soft skills degli studenti, quali decision making, il team working e la gestione del tempo, oltre a sviluppare competenze pratiche in ambito marketing, comunicazione e innovazione. Al termine dell’esperienza ogni partecipante riceverà un Digital Open Badge, riconoscimento utile a valorizzare il proprio percorso formativo e professionale.

Mara Martellotta

L’altra Barriera sfila a Torino: cento bambini delle scuole primarie tra i banchi del mercato

Con Fondazione Mus-e Italia, Piazza Foroni a Torino, nel quartiere Barriera di Milano, si è accesa di musica e colori: ieri parata e flash mob 

 
Attraverso l’educazione all’arte e alla bellezza, Fondazione Mus-e contrasta la povertà educativa e promuove inclusione e multiculturalità nei quartieri marginali.
 
Torino, 22 maggio 2025 – Il quartiere Barriera di Milano, a Torino, è stato invaso ieri da un centinaio di bambini delle scuole primarie del territorio, protagonisti di una coinvolgente parata artistica tra musica e circo, organizzata da Fondazione Mus-e Italia, in collaborazione con gli artisti Manuel Vennettilli e Alessandro Bucchieri.
Durante la mattinata, le vie del mercato di Piazza Foroni si sono animate con giochi circensi, strumenti musicali e l’entusiasmo travolgente di bambine e bambini, in un’iniziativa pensata per restituire voce e visibilità all’infanzia del quartiere. I piccoli allievi di quattro classi dell’Istituto Comprensivo Gabelli – Pestalozzi hanno attraversato il mercato con una parata colorata e gioiosa, culminata in un emozionante flash-mob nella zona centrale. Tra acrobazie, strumenti a percussione e improvvisazioni musicali, i giovanissimi partecipanti hanno offerto una performance ricca di energia e significato, cui hanno assistito anche altre classi della scuola, coinvolte come pubblico.
Nell’ambito di un quartiere ad alto rischio sociale, recentemente al centro di gravi episodi di cronaca nera, questa parata è stata un gesto simbolico ma potente, che ha voluto far sentire la presenza e la voce dei bambini che qui vivono e frequentano quotidianamente la scuola: bambini e bambine che rappresentano il presente e il futuro del quartiere, e che oggi hanno dimostrato che questo territorio può essere vivo, creativo e coeso” ha dichiarato Concetta Mascali, coordinatrice locale di Fondazione Mus-e a Torino.
Questa iniziativa rappresenta pienamente la missione di Fondazione Mus-e Italia: portare l’arte là dove ce n’è più bisogno, per costruire ponti, non muri. Attraverso il linguaggio universale della creatività, oggi abbiamo dato voce ai bambini di un quartiere spesso lasciato ai margini, celebrando la bellezza della diversità e il valore della comunità. Eventi come questo dimostrano come l’arte possa essere uno strumento concreto per contrastare la povertà educativa, promuovere l’inclusione e rafforzare i legami sociali. È qui, nelle scuole pubbliche dei territori più fragili, che si costruisce il futuro del nostro Paese – un futuro fatto di rispetto, ascolto e partecipazione” ha concluso Maria Garrone, presidente di Fondazione Mus-e Italia.

La Tilde che parla ai colombi in piemontese e… un po’ in latino

Diario minimo urbano … Vedere e ascoltare per credere

Gianni Milani

L’orario più o meno è sempre quello. E lo stesso dicasi per il luogo. Metà mattina, al centro del giardino che attraverso per andare al mio solito bar, dal mio solito barista per la mia solita colazione … Caffè, brioche ai frutti di bosco o se non c’è all’arancia o – ultima richiesta, ma non meno meritevole – strudel di mele con pasta sfoglia … Se ci passate a tempo, prima ancora di vederla, sentirete arrivare con un roboante strider d’ali, pari a una “flottiglia aerea” in missione bellica, un gruppone affamato di colombi o piccioni (unica differenza il colore delle piume, grigio verde/blu per i piccioni, generalmente bianco per i colombi) che ben sanno attorno a chi effettuare l’atterraggio – è proprio il caso di dirlo – di fortuna. Al centro della “pista”, la loro grande amica, generosa dispensatrice di cibo che, subito, apre il carrello della spesa e dispensa a man larga le leccornie sicuramente più idonee ai suoi protetti con le ali. Granaglie e quant’altro. Lei sa bene cosa dare loro in pasto. Non le solite briciole di pane o di brioches in caduta libera dai tavolini dei bar con dehors esterni ancora resistenti al freddo invernale. E credo sappia anche bene delle ordinanze comunali che disciplinano le modalità di alimentazione dei piccioni in città, individuando aree apposite, una ventina a Torino (quasi tutte aree-parco), ma tutte lontane per le sue deboli gambe.

E allora … Certo non se la sente di lasciare a stomaco vuoto i suoi animaletti. Che paiono per lei essere unico rattoppo a una vita di quotidiana  solitudine. Indifferente agli improperi che le arrivano dalle solite madamin sedute a cianciare sulle panchine – sverniciate, imbrattate, indecorosi siti graffitari dimentichi delle loro originarie utilità – e che, a volte, senza astio la rimbrottano: ma Tilde (ecco il suo nome) lassa perde, lur lì a portu mac ‘d malattie. E questo è pur vero. Ma lei continua imperterrita. Di età possiamo definirla diversamente giovane. Sempre sola e, fra le labbra, un via vai continuo di sigarette. Cappottone nero, sciarpone grigio, pantofoloni imbottiti e colbacco di pelliccia o  (più facile) simil-pelliccia nero: Tilde è una perfetta, impeccabile madamin d’antan. Sempre sola, mai che si fermi a parlare con qualcuno. Unici suoi interlocutori, quei beati, starnazzanti e tubanti piccioni o colombi. E con loro parla. Eccome! E per tutti ha un nome e tutti sembrano riconoscerla. Al passo, prima ancora che alla vista. Fa nen parei, Clementina, non essere così ingorda, ce n’è per tutti! Il più recente incontro proprio ieri mattina. Mi sono seduto anch’io, giornale sotto le natiche, su una panchina. Spiavo incuriosito, armeggiando, per non dar nell’occhio, con il telefonino.

E ne ho scoperte delle belle. Intanto Clementina anche ieri s’è dimostrata fra le più insaziabili. Ma, quasi al par suo, ho scoperto esserci anche la Graziella, la Totina sempre attaccata alla Cate e poi, fra i maschietti (come farà a capirne il sesso?) quel gadan del Berto e poi Fredo (tses propi ‘n balòs), e Tromlin (che bërlicafojòt ca tses!). E così con tanti altri. Incredibile! Li aveva battezzati tutti. E tutti sembravano rispondere alle sue “cazziate” e ai suoi complimenti. Chissà in “piccionese” come avranno chiamato lei, la Tilde? Perché di sicuro, quando la vedevano arrivare, si passavano con il loro classico “gru gru” la voce … arriva la Tilde … arriva la Tilde, finalmente si mangia! Sulla panchina meno sporca del giardino, osservavo, spiavo e sempre più mi sentivo “basito”. Fuori dai giochi, come tutto il resto di quel piccolo delimitato mondo: le madamin che spettegolavano, i cani al guinzaglio che innaffiavano ciò che resta dei miseri o degli strapieni e incolti “tappeti verdi”, il pakistano seduto sulle cassette di frutta, in un misero cono di sole, a vendere i giornali del mattino e qualche bimbo, con nonni annessi, nel malconcio spazio–giochi lasciato lì, senza mai la soddisfazione di qualche new entry (qualche passatempo un po’ meno agé) da anni e anni.

E non basta. Dopo una mezz’oretta di quello spettacolo, davvero curioso, la stridula, aggraziata vocina di Tilde ha profferito “verbo” che mi ha letteralmente stravolto e sconvolto … Giùsep fa nen l’ambrojon … e gnanca vuiautri … Réddite quae sunt Caésaris Caésari … Come dire, per chi non sa di latinorum: date a Cesare quel che è di Cesare … e adesso basta, ci vediamo domani!… Stesso posto, stessa ora! Aggiunsi mentalmente io. Incredulo. La Tilde parlava ai suoi “piccioncini” in piemontese e un po’ anche in latino! Sì, sì avete capito bene … in latino! E mentre se ne andava pian pianino, mani al carrello della spesa senza rivolgere un bé a nessuno, riprendendosi addosso il valigione della sua triste solitudine e, in bocca, l’ennesima sigaretta, i suoi “protetti” per un po’ la seguivano (quasi a proteggerla) sempre in modalità “flottiglia aerea” per poi, “rotte le righe”, lanciarsi alla ricerca di altri improvvisati (quelli sì, nocivi) street food. Io? Basito. Riconciliato con il pigro grigiore di un mattino qualunque. Ad maiora, Tilde. Qualche volta mi piacerebbe sedermi con te sulla “mia” panchina, “a giornal protettivo”, per scambiare insieme due chiacchiere. Per scoprire (scusa la curiosità) la tua storia. I tuoi rifiuti rancorosi al mondo e, di contro, il tuo grande amore per la Totina, la Cate o per quel bërlicafojòt del Tromlin.

Gianni Milani

I molteplici volti del cibo

Presentato al Salone del Libro il volume di indagine  alla presenza degli autori Vincenzo Gesmundo, Roberto Weber e Felice Adinolfi

 

Il cibo è ancora una volta protagonista non solo della vita quotidiana, ma anche dei dibattiti letterari e pubblici, come ha dimostrato la presentazione del libro dal titolo “Il cibo a pezzi”, con il sottotitolo emblematico “La guerra nel piatto”, edito da Bompiani e uscito in libreria nel febbraio del 2025.

Il volume è stato presentato e dibattuto nella giornata di lunedì 19 maggio presso il Salone Internazionale del Libro di Torino, con la moderazione di Andrea Tramontana, editor Bompiani, e alla presenza degli autori Vincenzo Gesmundo, Segretario generale della Confederazione Nazionale Coldiretti, la più grande organizzazione di rappresentanza agricola italiana ed europea, Roberto Weber, sondaggista e Presidente dell’Istituto Ixè, dedito all’attività di ricerca e consulenza per soggetti pubblici e privati relativa al trend di opinione alla comunicazione editoriale e al marketing politico. Il terzo autore intervenuto alla presentazione è il Professore ordinario di Economia Agraria ed Estimo all’Università di Bologna Felice Adinolfi.

Il libro, che reca anche un importante saggio del filosofo Massimo Cacciari, si presenta come un’analisi e un reportage che tocca, a livello di citazioni letterarie, anche scrittori del calibro di Melville, Orwell e Calvino.

Questo libro rappresenta una narrazione di ciò che Coldiretti ha fatto in questi anni, un segnale d’urgenza verso il mondo della produzione di cibo, oggi minacciata – ha dichiarato Vincenzo Gesmundo – Il cibo tocca anche temi importanti quali la società e la politica, non solo a livello nazionale, ma europeo. Fino agli anni ’99 – 2000 si parlava di cibo semplicemente come materia prima, in cui il produttore si occupava anche di trasformare il prodotto in cibo. Oggi è necessario forse recuperare questo aspetto per ristabilire il fondamentale incontro tra l’aspetto della salute e quello dell’alimentazione. Vale la pena sottolineare quanto gli studi scientifici prevedano un aumento esponenziale delle malattie metaboliche, tra cui il diabete, causate dalla trasformazione, da parte dell’industria alimentare, del prodotto”.

Il cibo svuotato di significato è uno dei grandi temi contenuti nel libro – ha sottolineato Felice Adinolfi – Il suo svuotamento, in considerazione del fatto che in Italia il cibo è sinonimo di grande tradizione e cultura locale, mette a rischio persino il concetto di democrazia creato attorno al cibo. Si può considerare un catalizzatore di socialità, un collante che unisce un popolo”.

Il cibo rischia di ‘andare a pezzi’, e questo è il significato del titolo della nostra opera, a causa della mancanza di volontà d’ascolto nei confronti delle culture differenti dalla nostra – ha commentato Roberto Weber – Il cibo rappresenta sicuramente un grande simbolo identitario, ma è importante ricordare quanto sia anche ‘condivisione’”.

Una politica che vada contro gli interessi degli agricoltori, hanno condiviso i tre autori del volume, fa si che un Paese non possa essere governato.

Fin dai tempi di Socrate, il “Simposio” rappresenta un momento di nutrimento profondo, del corpo come dello spirito, insaziabile di conoscenza. Così, oggi più che mai, il gesto del nutrirsi è al centro non solo delle nostre vite, ma anche dei complessi intrecci economici, strategici, etici, che determineranno le sorti del pianeta in cui viviamo.

Attraverso una trattazione ricca di dati, esempi e punti di vista, le pagine di questo libro ci parlano del cibo, delle nuove frontiere tecnologiche applicate all’alimentazione, come la necessità di proteggere la biodiversità; lo fanno attraverso una tesi forte, vale a dire che il cibo sia oggetto di una vera e propria guerra su cui opposti fronti si confrontano su due modalità di produzione degli alimenti, figlie di due diverse visioni della società, della salute e della democrazia.

 

Mara Martellotta