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Padre Dall’Oglio nelle foto di Ivo Saglietti a Deir Mar Musa

È semplicemente un abbraccio ma intenso e carico di entusiasmo e di amicizia quello tra padre Paolo Dall’Oglio e un musulmano del monastero. É la fotografia scelta come immagine simbolo della mostra “Ritorno a Deir Mar Musa. L’utopia di padre Paolo Dall’Oglio”, negli scatti del fotoreporter Ivo Saglietti allestita nella splendida cornice del Castello Reale di Govone, in provincia di Cuneo, al confine con l’astigiano, fino al 26 maggio, in collaborazione con l’Associazione Govone Residenza Sabauda, Govone Arte e il Centro di promozione Culturale Govone e il Castello. Una foto in cui, afferma la curatrice dell’esposizione Tiziana Bonomo, “c’è la sintesi di tutta la capacità fotografica di un reporter in grado di cogliere il senso profondo dei sentimenti umani”. Non solo ma è anche un’istantanea significativa per la presenza sullo sfondo di una bambina siriana sorridente che guarda Paolo e l’amico Ivo, forse il simbolo di una via di dialogo e di speranza in una regione tanto tormentata e investita da guerre e terrorismo, quel dialogo che il missionario italiano cercava di continuo, tra cristiani e musulmani, nel suo monastero in Siria, Deir Mar Musa. I due protagonisti della mostra, il sacerdote gesuita e il reporter, non ci sono più: Saglietti è morto cinque mesi fa mentre Dall’Oglio, molto impegnato nel dialogo interreligioso, fu rapito il 29 luglio 2013 in Siria e da allora non si è saputo più nulla, forse sequestrato da agenti del regime siriano o da miliziani jihadisti. La mostra vuole ricordarli entrambi e far sapere chi erano questi due uomini molto diversi per formazione ed esperienze sul campo ma animati da una profonda amicizia.
Ivo Saglietti, più volte ospite nel monastero dove abitava Dall’Oglio, ha immortalato con il suo obiettivo la vita quotidiana dei monaci, dello stesso gesuita e della gente comune in una terra devastata dai conflitti. Le foto esposte parlano del dialogo possibile tra le religioni nella comunità rifondata da Padre Paolo Dall’Oglio nell’antico monastero siriano Deir Mar Musa al-Abashi (Monastero di San Mosè l’Abissino) luogo frequentato e vissuto da cattolici e musulmani, incastonato tra le montagne siriane del Qalamun, a circa 80 chilometri a nord di Damasco. Padre Paolo approdò in Medio Oriente negli anni Settanta “per servire l’impegno della Chiesa nel mondo musulmano”, come scrisse egli stesso. Dall’amicizia profonda con padre Paolo, rifondatore della comunità monastica cattolico-siriaca “Al Khalil”, erede di una tradizione eremitica del VI secolo, sono nati i libri “Sotto la tenda di Abramo” (Mario Peliti, 2004), “Ritorno a Deir Mar Musa, l’utopia di padre Dall’Oglio (Emuse, 2023) e la mostra fotografica a Govone. “Le tue foto per noi sono un richiamo, un monito, un programma e un incoraggiamento”.
Così padre Dall’Oglio, scomparso in Siria undici anni fa, scriveva al reporter Ivo Saglietti che varie volte si recò al monastero Deir Mar Musa per continuare il suo lavoro di fotoreporter. Saglietti nasce in Francia ma trascorre la sua adolescenza ad Alba e nel 1975 inizia ad occuparsi di fotografia proprio a Torino diventando cineoperatore. Premio World Press Photo nel 1992 è diventato famoso per aver girato documentari in Medio Oriente, Africa, America Latina e Balcani. Inoltre ha documentato in giro per il mondo la diffusione di malattie infettive di grande impatto come la tubercolosi, la malaria e l’Aids. Rimase affascinato da questo antichissimo sito siriano da cui lo stesso padre Paolo restò incantato dopo avervi trascorso una decina di giorni durante un ritiro spirituale. Nella mostra sono esposti anche alcuni testi, in parte tratti dalle lettere tra il gesuita e il reporter.
“Mi auguro che anche gli studenti vengano a vedere questa mostra”, osserva la curatrice Bonomo nonché fondatrice di ArtPhotò, convinta che le nuove generazioni devono conoscere questi luoghi anche solo attraverso scatti fotografici per rendersi conto dell’importanza della convivenza tra fedi diverse in una terra martoriata dalle guerre. Il fotoreporter Ivo Saglietti è protagonista di due esposizioni in contemporanea, al Castello di Govone e nella Chiesa di San Domenico ad Alba. In entrambe le sedi la curatrice Bonomo ha selezionato insieme a Federico Montaldo dell’Archivio Saglietti e alla casa editrice Emuse una trentina di fotografie in bianco e nero esposte al pubblico fino al 26 maggio, da venerdì a domenica ore 10-12,30/15-18.
Filippo Re
nelle foto:
L’abbraccio tra il gesuita Paolo e un musulmano
Il fotoreporter Ivo Saglietti con padre Paolo Dall’Oglio
Scene di vita nel monastero siriano Deir Mar Musa

Ricordando Alda Farinella e il suo magico “Jana”

Il “Circolo del Design” di Torino omaggia, a pochi giorni dalla scomparsa, la visionaria protagonista della moda torinese dagli anni ’90 a oggi, fondatrice del celebre show room “Jana”

Fino al 10 maggio

Fino a qualche anno fa, al numero 45 di via Maria Vittoria, a Torino, si trovava “Jana”, iconico show room, davvero “unico” nella storia della moda subalpina, “più simile a una galleria d’arte che a un negozio di abbigliamento, nel quale prendeva forma l’arte di presentare una selezionatissima collezione di abiti e accessori di designer che, per la prima volta, venivano proposti in città e non solo”. Queste condivisibili e sincere parole sono state scritte non molti giorni fa, pochi giorni prima che la fondatrice di “Jana”, Alda Farinella, venisse a mancare, il 4 febbraio scorso. “Proprio mentre stavamo cercando – scrivono ancora gli organizzatori della mostra a lei dedicata e di cui scriveremo – le testimonianze della sua straordinaria storia professionale”.

E continuano: “Alda Farinella è stata un faro per la moda dagli anni ’90 in poi, la caratterizzavano una rara sensibilità istintiva, il fiuto per il genio creativo, il modo di fare schietto ed ironico con cui si rivolgeva alle proprie clienti agitando in aria la consueta sigaretta fumante”. Già, le sigarette. Si dice ne fumasse cinque pacchetti al giorno. Raccontava: “Non dormo mai e quindi fumo sempre”. A poco più di un mese dalla sua scomparsa, la mostra a lei dedicata – “Jana: l’universo di Alda Farinella” – dal torinese “Circolo del Design” diventa quindi una postuma celebrazione, un tributo doveroso (inserito anche come secondo episodio negli “Archivi d’Affetto” del Circolo) a un vero, estroso gigante della moda capace di portare per prima sotto l’austera “aura” subalpina brand e stilisti quali “Comme des Garçons,“Margiela”, “Paul Harnden”, “Carol Christian Poell” e “Vivienne Westwood”.

In esposizione, negli spazi di via San Francesco da Paola 17, a Torino, troviamo, fino a venerdì 10 maggio (dal lun. al ven., ore 14/19) l’inedita “capsule collection” (4 camicie ispirate a “Jana”) a cura di “Serien°umerica”, brand torinese fondato da Maria De Ambrogio e Stella Tosco, e una raccolta di immagini e video interviste che ricostruiscono appieno il valore del suo lavoro.

Con la curatela degli architetti Maurizio Cilli e Stefano Mirti e in collaborazione con “IAAD – Istituto d’Arte Applicata e Design” e “IED – Istituto Europeo di Design”, l’esposizione racconta, attraverso le voci di chi con lei ha lavorato e collaborato, la capacità intuitiva e ricercata di Farinella, la sua storia strettamente intrecciata con la città (fra i suoi clienti molta della “Torino da bere”, da artisti come Mertzfino ad Edoardo Agnelli e a Marco Camerana) e di quel suo immaginifico show room nel quale prendeva forma l’arte di presentare le sue imprevedibili collezioni e i suoi “oggetti di affezione”. Uno spazio dall’atmosfera essenziale. “Nulla di simile si era mai visto prima in città”.

Figlia di Adriana Corino, specializzata in camiceria sartoriale da uomo, a partire dagli anni Ottanta, Alda apre i suoi negozi con il nome di “Jana”, soprannome dato alla madre. Inizialmente da corso Giulio Cesare a piazza Solferino. Ma i più rilevanti furono l’ultimo, al civico 45 di via Maria Vittoria e quello sotto i portici di piazza Vittorio Veneto. “Alda Farinella – scrivono i curatori della mostra – non disegna e non cuce: il suo talento è quello di selezionare e proporre abiti di designer e aziende emergenti”.

La mostra – secondo episodio di “Archivi d’Affetto” non vuole essere “solo un tributo ad Alda Farinella e a ciò che ha rappresentato per il mondo della moda e per il nostro territorio, ma anchespiega Sara Fortunati, direttrice del ‘Circolo del Design’ – uno stimolo e un’ispirazione per i tanti studenti che in città, in questo momento, hanno scelto di impegnarsi per diventare a vario titolo professionisti nell’industria della moda e del design”.

E a lei fanno eco Maria De Ambrogio e Stella Tosco, founder di “Serien°umerica”: “Siamofermamente convinte che il processo creativo non possa astrarsi dai vincoli produttivi e commerciali; pertanto, il lavoro di Alda è stato importante anche per aiutare i ‘brand’ più creativi nella comprensione del significato del proprio prodotto. In questo contesto, sottolineare la ricerca portata avanti da Alda Farinella equivale a celebrare la bellezza del nostro lavoro, che si caratterizza per un costante scambio con artigiani, ‘buyers’ e produttori. L’incontro con una personalità come quella di Alda genera immediatamente una grande forza, che si riflette sull’operato”.

Per info: “Circolo del Design” , via San Francesco da Paola 17, Torino; tel.331/4321195 o www.circolodeldesign.it

Gianni Milani

Nelle foto: Ritratto di Alda Farinella (ph. Alberto Nidola), Collezione Serien°umerica (ph. Ivan Cazzola), Allestimento mostra (ph. Tiziano Ercoli e Che Studio!)

Ti amo ma non troppo

Quanti di noi vorrebbero ricevere dal partner maggiori attenzioni, frasi dolci o anche solo maggior considerazione?

Alcune persone sono per loro natura poco propensi a manifestare i sentimenti, una sorta di avarizia emotiva; molti, invece, diventano così dopo una o più esperienze fallimentari in amore e, dunque, non hanno più il coraggio di lasciarsi andare, di comportarsi come prima, visti i risultati.

Io, però, vorrei concentrarmi su quelle persone che, non provando più interesse per l’altro, non hanno la capacità (o il coraggio) di dire basta o di palesare al partner il momento che stanno attraversando.

SI va dal caso limite del ghosting, cioè sparire dalla vita del partner non rispondendo a chiamate e messaggi, e non permettendo ad amici di fornire informazioni, ai casi meno patologici di raffreddamento del rapporto diradando la frequenza di messaggi e chiamate o riducendo la carica emotiva dei medesimi.

Parlo, naturalmente, di relazioni non conviventi ma di “fidanzamento” o relazioni adulterine, queste ultime in calo rispetto ad alcuni anni addietro, vuoi per il momento economico non favorevole (un hotel, una cena, un regalo comportano costi), vuoi per la paura di patologie a trasmissione sessuale.

A questo proposito non dimentichiamo che in Italia la vendita di profilattici è diminuita notevolmente negli ultimi anni, complice la convinzione che essere stati morigerati per qualche decennio abbia debellato le malattie inconfessabili, la cui diffusione è invece aumentata anche tra i soggetti più giovani.

Complice una scuola dove l’educazione sessuale è vista come il fumo negli occhi e una famiglia dove i grugniti sono più frequenti delle parole, il risultato non poteva essere diverso.

Pertanto, mancando il dialogo (in questo come in altri aspetti della vita umana), ogni problema, ogni scricchiolio nella relazione rimane irrisolto, non viene affrontato perché decidere è comunque faticoso, dimenticando che anche non decidere è, di per sé, una decisione.

Assistiamo, quindi, a rapporti che vengono mantenuti in vita in quello che chiamo accanimento terapeutico della relazione: abbiamo paura a dare un taglio per non ritrovarci nuovamente soli, perché tutto sommato non va così male, per non chiuderci una porta (dove la trovo un’altra che fa sesso così?) o perché non sappiamo che cosa vogliamo realmente.

Spesso, poi, ci accorgiamo di avere iniziato una relazione con la persona sbagliata: nessun difetto, nulla da recriminare, semplicemente non è come pensavamo; ammettere di aver sbagliato ci esporrebbe ad un giudizio da parte del partner e, al contempo, significherebbe ammettere a noi stessi di aver sbagliato, magari nuovamente.

Ecco, quindi, che cominciamo a diradare i messaggi, a non chiamare più tesoro o amore, usando il nome proprio, come si fa con gli amici; poi se prima erano cinque telefonate al giorno, diventano in breve tempo tre e poi una, causa giornate intense.

In alcuni casi, per la verità non moltissimi, tale cambiamento di abitudini è dovuto ad una nuova relazione parallela, magari appena abbozzata, che sta effettuando il periodo di prova, che ancora non sappiamo come sarà, ma che comporta per noi, per i maschietti soprattutto, l’incapacità di scindere le due storie e dare ad ognuna il giusto tempo, la giusta importanza e, soprattutto, il giusto merito; la donna, in questo caso, è molto più determinata e razionale dell’uomo e, oltre a decidere più in fretta, non ha tentennamenti.

Di fatto, proprio questa impulsività delle donne le porta a restare deluse dalle decisioni adottate senza riflettere.

Proprio oggi una signora, quasi cinquantenne, separata, mi ha detto di aver interrotto una relazione con un uomo sposato, rincontrato dopo quasi 40 anni, perché si era resa conto, dopo poco più di tre mesi, che desiderava un uomo libero sempre, che potesse dormire fuori, ecc. Chiedendole alcuni particolari, è venuto fuori che lui difficilmente avrebbe potuto fermarsi fuori abitando a 75 km da lei (di cui solo 35 di autostrada), che lei è molto più impegnata di lui avendo due figlie sempre con lei e non rinunciando ad alcuni impegni familiari e di altro genere. E’evidente che gli incarichi professionali, politici e di altra natura di lui, da quanto mi ha spiegato, l’abbiano disorientata al punto di essersi sentita strangolata, cosa che all’inizio non avrebbe mai pensato. Fin dall’inizio della loro relazione, infatti, lei aveva precisato di non voler dedicare a lui il giorno di riposo settimanaleper non modificare le proprie abitudini.

Non dico che non dovete provare emozioni, ma procedete per piccoli passi all’inizio: siete sicuri che così com’è la situazione vi vada bene? E se lui/lei non potesse poi separarsi per motivi di salute del partner? E se venisse trasferito? Se diventasse meno ricco, meno potente, meno qualcosa? Vi piacerebbe ancora?

Prendete tempo: se è il partner giusto, e ricordate che nulla accade mai per caso, lo troverete ancora lì. Se no, era destino che rimaneste nuovamente soli. Non saltate da un rapporto all’altro o la frustrazione aumenterà ad ogni fallimento.

Sergio Motta

Accordo di collaborazione tra VolTo ETS e Piemonte Innova

Con  l’obiettivo della digitalizzazione del Terzo Settore

 Vol.To ETS e la Fondazione Piemonte Innova hanno siglato un accordo di collaborazione, ponendo la firma su un protocollo destinato a imprimere nuovo slancio al Terzo Settore.

Con l’ avvio di questa partnership, i due enti si impegnano a tracciare una rotta di modernizzazione per le associazioni di volontariato, mettendo al centro l’adozione di tecnologie digitali e lo sviluppo di una gestione più efficace. Questo accordo, con un orizzonte temporale di tre anni, supera i confini della mera collaborazione presente, aprendo la strada alla creazione di sinergie innovative per il futuro.

VolTo ETS e la fondazione Piemonte Innova collaboreranno attivamente per esaltare le rispettive competenze ed esperienze. L’intento è quello di soddisfare con efficacia le necessità delle associazioni e dell’ambito del Terzo Settore, semplificando alcune attività quali l’integrazione delle tecnologie digitali e la formazione professionale.

L’intesa prevede un piano di supporto incentrato su elementi cruciali, quali la sicurezza informatica, il GDPR ( Regolamento Generale sulla Protezione dei dati) e la gestione efficace delle relazioni con i clienti (Customer Ralationship Management) oltre a iniziative specifiche. La collaborazione tra VolTo ETS e Piemonte Innova mira a valorizzare le abilità di ogni ente e rafforzare l’offerta formativa, favorendo al contempo uno scambio proficuo di conoscenze ed esperienze. Questa collaborazione include anche la gestione degli spazi di VolTo ETS all’interno dell’”innovation block”, l’area di sperimentazione innovativa realizzata da Camera di Commercio di Torino con la riqualificazione e degli edifici storici di piazzale Valdo Fusi, contribuendo a rafforzare la dinamicità dell’ambiente innovativo torinese. Si prevedono inoltre incontri regolari per favorire l’apprendimento reciproco, e azioni specifiche per consolidare le competenze dei giovani, promuovendo la loro esperienza nel campo del volontariato, del servizio civile, della mobilità internazionale, nonché attraverso attività di informazione sull’uso degli strumenti digitali. Agendo come agenzia di servizi per gli enti del Terzo Settore, VolTo ETS si dedica a rafforzare il loro impatto sociale, a migliorare le pratiche gestionali e accrescere le competenze. Nel 2022 ha fornito 14.038 servizi a 1.133 enti, rappresentando l’82% dei 1.377 enti accreditati. Partecipe nel Comitato per l’imprenditoria sociale della Camera di Commercio di Torino, VolTo ETS è tra i principali attori di Torino Social Impact, un’iniziativa volta a stimolare l’imprenditorialità e gli investimenti a impatto sociale. Fondazione Piemonte Innova, già Torino Wireless, fin dal 2003 è stata al centro dell’innovazione come fulcro del primo distretto tecnologico italiano nel settore delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT), oggi è un partneriato pubblico e privato che ha la missione di accelerare le imprese su programmi di ricerche e innovazione, supportare innovazioni di comunità e territori e abilitare la digitalizzazione dei soggetti più fragili, come piccole e medie imprese, organizzazioni no profit e piccoli comuni. La Fondazione Piemonte Innova collabora con il settore cooperativo e l’organizzazione di rappresentanza, come partner di Torino Social Impact e con progetti dedicati al Terzo Settore, come ad esempio il progetto 13 S Innovazione per il Terzo Settore, finanziato dalla Camera di Commercio di Torino e PINS (Piemonte Innovazione per il Sociale), finanziato dalla Regione Piemonte.

Mara Martellotta

Workshop sensoriale e creativo ispirato al testo di Munari Disegnare un albero”

 

 

Domenica 21 aprile 2024 alle ore 11 e alle ore 16 il MAO, Museo di Arte Orientale, ospiterà nelle sue sale un’esperienza sensoriale e creativa ispirata  al testo di Munari “Disegnare un albero”. L’evento sarà  curato da Marta Grespan e si propone di esplorare come ciascuno di noi osservi e presti attenzione al mondo circostante, scoprendone leggi e paradigmi, e come utilizzi la fantasia e la creatività per riprodurlo e ricrearlo.

Durante il workshop al MAO i partecipanti andranno alla ricerca degli alberi e delle loro raffigurazioni in museo e, trovata un’opera a loro congeniale, la riprodurranno con un carboncino su un cartoncino delle dimensioni delle stampe surimono. Seguirà  un’introduzione alla mostra di chasen di Tanimura Tango e la dimostrazione di cerimonia a cura di Leaves powder and…, liberamente ispirata alle cerimonie del tè giapponesi (senchado e sado) e cinese (chayi)

Marte Grespan, di origini trevigiane,  a diciassette anni si è  trasferita in Cina e, quindi, a Londra, Milano e Taiwan. Dal gennaio 2020 vive in Giappone. È  appassionata di tè da anni e, dopo essersi trasferita in Giappone, ha cominciato a praticare diversi tipi di cerimonia, il senchado, il sado e lo chayi. Progetta e realizza  chakai Tea esperienze che mettono in relazione lepersone attraverso culture e discipline diverse, in quanto per lei la diversità è un elemento di arricchimento da condividere con gli altri.

 

Mara Martellotta

“Sorella acqua” … omaggio alla Giornata della Terra

Per l’edizione 2024 della “Giornata della Terra”, il valdostano “Forte di Bard” coinvolge , sul tema dell’“acqua”, gli alunni delle scuole locali

Lunedì 22 e martedì 23 aprile

Bard (Aosta)

“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”. Certo, non ho scomodato, nel mio incipit, qualcuno di poco conto, ma niente meno che il “poverello d’Assisi”, San Francesco, con alcuni degli “immensi” versi, tratti dal suo “Cantico delle creature” (1224, il testo poetico, di cui si conosca l’autore, più antico della nostra letteratura e in cui la lode alla “creazione” si fa essa stessa “grandioso mezzo di lode al Creatore”), per introdurre il tema centrale, quello dell’“acqua”, su cui si incentrano le celebrazioni (per il terzo anno consecutivo) dedicate dall’ottocentesco “Forte di Bard” alla “Giornata Internazionale della Madre Terra”, proclamata per ogni 22 aprile, da una risoluzione dell’“Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, adottata nel 2009. Proprio quella “sor’acqua”, ormai da anni e anni così tanto vilipesa e maltrattata da un indifferente e cieco “genere umano”, per il quale l’acqua è invece sempre, e oggi più che mai, “molto utile et humile et pretiosa et casta”. Ah, ricordarselo!

Per ricordarlo allora, e ben ribadire il concetto, la “Fortezza” savoiarda ha messo in calendario (con il sostegno dell’“Assessorato ai Beni e alle Attività Culturali”, di quello allo “Sviluppo Economico, Formazione e Lavoro, Trasporti e Mobilità Sostenibile” della Regione Autonoma Valle d’Aosta e di “CVA – Compagnia Valdostana delle Acque”) una serie di iniziative che coinvolgeranno lunedì 22 e martedì 23 aprilegli 821 alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado della Vallée.

Il via,  lunedì 22 aprilealle 9,30, con l’accoglienza delle varie scuole all’interno del padiglione allestito in Piazza d’Armi e il saluto delle autorità. Nell’occasione saranno anche premiati i lavori realizzati dalle classi nei mesi scorsi sulla base del tema di questa edizione – l’“acqua” – che resteranno esposti al pubblico all’interno della “Cappella” fino a domenica 5 maggio. Le classi prenderanno poi parte ad attività di formazione e scambio interamente dedicate all’educazione ambientale e all’acqua, come fonte di vita e risorsa fondamentale per tutti gli aspetti nella nostra vita quotidiana. La scoperta dell’acqua e del suo valore sarà il filo conduttore di giochi e laboratori che si protrarranno fino alle 16. Gli alunni assisteranno anche ad uno spettacolo realizzato per l’occasione da “Leo Scienza”, Associazione Culturale di Bologna. Il programma verrà replicato nella giornata di martedì 23 aprile. Sarà possibile, inoltre, per le classi, visitare le mostre fotografiche “Wildlife, Photographer of theYear” e “Non c’è più tempo. L’emergenza climatica nelle immagini dell’‘Agence France-Presse’”, affiancate da un laboratorio sulle energie rinnovabili curato dagli studenti del “Liceo ad indirizzo Elettronica ed Elettrotecnica” dell’“Isiltp” di Verrès, destinato agli alunni delle scuole medie. Le due giornate si concluderanno con una merenda a base di prodotti del territorio e con la consegna del gadget ricordo di quest’anno, un “portamerenda” logato “Forte di Bard”.

Sottolinea Ornella Badery, presidente dell’ “Associazione Forte di Bard”: “Le ‘Giornate della Terra’ coniugano l’attenzione che il ‘Forte’ pone da sempre da un lato al mondo della scuola e, dall’altro, alle tematiche connesse all’ambiente e alla tutela della biodiversità. Uno sforzo importante che, quest’anno, si è aperto a tutte le scuole della regione e che ha raccolto un’ampia adesione. La tematica scelta per questa edizione, l’‘acqua’, ha consentito di rafforzare ulteriormente le collaborazioni con il mondo della scuola e dell’impresa”.

Gianni Milani

Nelle foto: Immagini di repertorio e di Leo Malafaia, “Un ragazzo emerge dalle acque invase dal petrolio davanti alla spiaggia di Itapuama”, dalla mostra “Non c’è più tempo”

FROM/TO cartoline da Torino, il racconto per immagini della Torino di Piero Ottaviano

#dodiciperdiciassette. Inaugura giovedì 18 aprile, alle ore 18

 

Il progetto diffuso di Piero Ottaviano si articola in 48 scatti in bianco e nero, formato12×17, che racconta per immagini la Torino dagli anni Novanta fino ad oggi. Saranno esposte da giovedì 18 aprile a venerdì 10 maggio presso Phos, centro fotografia Torino, Flashback Habitat.

L’inaugurazione del 18 aprile avverrà con il talk FROM/TO iconografia di una città tra documento e immaginazione, in conversazione con Elisabetta Buffa, presidente di Phos.

FROM/TO è un progetto fotografico che si prefigge di suggerire quanto la cartolina rimandi ad una relazione tra i media, nell’interazione tra scrittura e immagine. L’autore sceglie una caratteristica che possa dare realmente forza, valore e riconoscibilità all’operazione, la sua diffusione. La cartolina, per sua natura, viaggia, porta il suo messaggio altrove e sopravvive nel tempo.

Nell’occasione dell’inaugurazione sarà possibile scegliere una cartolina già affrancata per spedirla, scrivendo una dedica e dando vita al concept del progetto, che consiste nello scambio. Un viaggio tra mittente e destinatario che lega in un unico fil rouge il corpus delle cartoline, trasformate in opere d’autore. Un’esperienza di viaggio vissuta attraverso le immagini . Alcune lasciate tra le pagine di un libro per segnalare un punto di partenza o di arrivo, altre clandestine e riposte in un cassetto, altre ancora appese alle pareti di casa.

Con l’obiettivo di portare Torino nel mondo il percorso della città avviene attraverso un medium nato nella seconda metà del Novecento, tradizionale, analogico, materico che racconta mediante scorci e riprese frontali la passione per la cartolina di Piero Ottaviano, per sottolinearne le valenze simboliche. La collezione di fotografie torinesi è cresciuta e si è ampliata nel tempo, attraversando le trasformazioni e le contraddizioni sociali di una città, che sembrano non averla sfiorata. Piero Ottaviano prosegue nel corso degli anni la sua narrazione, cambiando macchine fotografiche, ottiche, sperimentando modi e visioni differenti per testimoniare una bellezza mai scalfita, quella di Torino.

MARA MARTELLOTTA

Food for profit: domenica 21 aprile al cinema Esedra

Una proiezione da non perdere quella di domenica 21 aprile presso il Cinema Esedra di Torino (Via Bagetti 30) dove l’associazione Slowfood Torino Città in collaborazione con Slow City Turin (Comunità SlowFood) daranno la possibilità di assistere alla proiezione di un documentario che sta già facendo parlare di sé raccogliendo molteplici consensi: “Food for profit“.

Si tratta del primo lungometraggio che mostra il filo che lega l’industria della carne alle lobby e al conseguente legame con il potere politico, in grado di “far aprire gli occhi sull’industria della carne e sulle spaventose torture degli animali negli allevamenti intensivi sovvenzionati con i nostri soldi, sulla nostra salute e su quella del pianeta“.

Un documentario investigativo, ma dall’approccio cinematografico, scritto e diretto da Giulia Innocenzi e Pablo D’ambrosi, che tenta di mostrare “non solo l’orrore degli allevamenti intensivi e la connivente protezione politica di cui godono, ma con una squadra di esperti internazionali affronta le principali problematiche legate a questo tipo di produzione industriale: inquinamento delle acque, sfruttamento dei migranti, perdita di biodiversità e antibiotico resistenza“.

Un po’ di chiarezza sui liberali dopo la pubblicazione del “manifesto torinese”

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IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il manifesto “liberale”  torinese ha  creato un po’ di confusione a livello locale e nulla di più. Miei amici romani con cui sono stato, non ne sapevano nulla.
Per i non addetti andrebbe comunque distinto il termine “liberale”  contrapposto a quello “illiberale”  in senso molto ampio, anche se molti liberali senza virgolette sono “illiberali” e settari come molti dei grigi firmatari torinesi del manifesto, che è una dichiarazione anti destra  che rivela una certa ignoranza storica di fondo.  In primis andrebbe dimostrato che essere anti destra sia liberale. La destra storica erede di Cavour fu certamente liberale, come liberale fu la sinistra di Depretis, mentre quella di Crispi fu reazionaria e forcaiola ed anticipò la svolta reazionaria di fine ‘800.

Andrebbe anche fatta una riflessione sulla parola liberal-democratico con o senza  trattino che fu oggetto di raffinate ed inutili discussioni.  Nei liberal-democratici

Mario Pannunzio

rientrarono anche i repubblicani malgrado i due La Malfa rifiutassero quella appartenenza che ebbe solo Francesco Compagna, secondo il quale Pannunzio fu un “liberale duro e puro” e non un radicale. Pininfarina e Gawronski sono stati due deputati liberal-democratici al Parlamento come non fu neppure Bettiza. Una analoga riflessione dovrebbe riguardare Marco Pannella leader radicale profondamente liberale. Un autorevole giornalista ha citato come appartenenti alla cultura liberal-democratica  Bobbio e Alessandro Galante Garrone che invece si possono definire liberal-socialisti o socialisti liberali, ambedue vicini al PCI come lo fu Gobetti e  lo furono molti suoi seguaci. I gobettiani in genere come Antonicelli (che finì fiancheggiatore di “Lotta continua”) finirono tutti nel PCI: la sinistra indipendente – come mi disse Lucio Libertini con coraggio – fu indipendente da tutti salvo che dal PCI che faceva eleggere i vari intellettuali  comunisteggianti.

Giovanni Giolitti

Gobetti stesso non fu mai veramente liberale perché la sua “Rivoluzione liberale” fu un ossimoro: i rivoluzionari non sono mai liberali, ma sono giacobini e i liberali non sono mai rivoluzionari, ma riformisti o conservatori. Forse queste cose quasi tutti i cento firmatari torinesi non le sanno. Essi non dovrebbero ignorare che i grandi liberali furono Cavour, Minghetti, Lanza, Giolitti, Francesco Ruffini, Soleri, Croce, Einaudi, Malagodi, Gaetano Martino, Vittorio Badini Confalonieri, Pannunzio,  Matteucci, Leoni, oltre a Popper e agli Austriaci. Spesso siamo ancora fermi alle giravolte di Francesco Forte, socialista con conversione berlusconiana  o altre corbellerie del genere. Nei berlusconiani gli unici liberali di rilievo sono stati Antonio Martino, Alfredo Biondi e  Giuliano Urbani, mentre nella sinistra stento a riconoscere dei liberali.  Questa è una realtà oggettiva che attende smentite perché i Liberali veri non presumono di possedere la verità.

Nuovi Gobetti un po’ attempati

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Un manifesto di circa cento persone, in verità non tutti intellettuali (evito di citarne i nomi), merita sempre attenzione.  Se poi a ispirarlo e illustrarlo è un avvocato di lungo corso come Fulvio Gianaria, esso merita di essere letto e meditato. A due mesi dal voto, appare strumentalizzabile e anche un po’ fuori tempo perché il manifesto di Croce del 1926 ebbe ben altre firme e guardava al fascismo con una profondità di pensiero che qui non si coglie anche perché oggettivamente non ci sono le condizioni per scriverlo. Manca anche l’interlocutore Giovanni Gentile e il delitto Matteotti. Fa sorridere Elena Caffarena, figlia del più noto Mino, funzionario e dirigente del PLI , quando scrive: “ Ci unisce il desiderio di vedere un nuovo Risorgimento. Vogliamo ispirare chi la pensa come noi”. L’idea sarebbe buona,  ma mancano gli ispiratori. Neanche una parola diretta a sostegno di Israele, ma solo giri di frase. I liberali, i liberal-democratici sono stati sempre dichiaratamente filoisraeliani. Stupisce la conversione al liberalismo di Massimo Negarville, figura oggettivamente lontana da vecchi e nuovi risorgimenti, anche lui autorevole firmatario. Gobetti nel suo slancio non sempre rigoroso aveva un’attenuante: era giovane ed immaturo. Un‘attenuante che non si può concedere a molti dei firmatari. Sempre cento o quasi,  come quelli che ebbero bisogno dell’Ungheria invasa per dimettersi dal PCI togliattiano che difendeva i carri armati di Mosca.  I liberali non si agitano per l’eguaglianza sociale ma per libertà che consente ai più capaci e meritevoli di liberarsi dal soffocante egualitarismo livellatore. Farmacisti, politicanti vari della I repubblica e improvvisati saggisti provenienti dal pci, si sono dimenticati anche di denunciare la corruzione correntizia in particolare del  Pd odierno  che allontana dal voto i cittadini e dà il potere ai capi bastone, fomentando il populismo di ogni colore, anch’esso incompatibile con il liberalismo. Non sono dimenticanze da poco. Ma molti il liberalismo l’hanno conosciuto in un corso al Cepu, come dice Dino Cofrancesco.