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Lo sconcio di Parco Michelotti

Dire che il degrado avanza a falcate è usare un eufemismo. Parco Michelotti, lungo il Po: che disastro. Uno dei più incantevoli posti della nostra città allo stato brado. Strutture senza tetto ovunque, sporcizia ovunque.

Siamo stati inutili profeti nel sostenere quattro anni fa che la situazione sarebbe peggiorata. Saranno contenti quelli che, appunto anni  fa, manifestava contro l’uso privato del Parco pubblico. Ci si sono fiondati i pentastellati ed il nulla impastato con il niente si è palesato. Che ricordi con lo Zoo, poi con Experimenta e le feste della sinistra sbrindellata, ma pur sempre
Feste.

Oggi degrado, degrado, degrado. Mi viene da singhiozzare. Quando arrivo in piazza Crispi piango a dirotto. Accampamento Rom. Sono stato politicamente corretto, ma la sostanza non cambia. Io ho pianto una sola volta,  residenti e ristoratori o commercianti piangono tutti i giorni. Arrivano da Napoli trovando maggior lavoro in Barriera. Piccoli furti e piccoli ricatti, e ragazzi Rom che circondano altri ragazzini per minacciarli. Insomma tutto nella norma. Carabinieri? Forze dell’ordine? Vigili Urbani? Fanno quel che possono, cioè poco o niente. Sicuramente non per volontà, ma per possibilità. Chi proprio non ci sta e non si dà per vinto è il padrone della Pizzeria Don Gennaro, tutti i giorni fa una telefonata di denuncia agli organi competenti. Esiste un numero e un nucleo dei Carabinieri che si occupa dei Rom. Ormai non gli rispondono neanche più. Le prime volte, gentilmente gli facevano presente che nulla potevano. Piazza Crispi  era uno dei cuori pulsanti di Barriera. Oggi, quando va bene, due banchetti di frutta e verdura. Che tristezza. Era talmente commerciale che la Banca SanPaolo fece una vantaggiosissima offerta economica al PCI di Barriera. Prima c’era un basso fabbricato di legno. Al suo posto un palazzone di 6 piani e la sede della Banca di zona. Intorno, mille attività artigianali. Non si vive di ricordi. Ma almeno ci fa un po’ respirare, visto che in questo presente proprio non ci riconosciamo. Tra le altre cose da Don Gennaro si mangia proprio bene, ed il servizio è buono. Se ricordo bene è una costola di Gennaro Esposito che con Cristina sono tra le prime pizzerie storiche di Torino. Mangiare bene rende felici, non bisogna esagerare, un po’ come tutte le cose, in medio stat virtus, con  senso del limite. In Barriera come al Parco Michelotti non c’era felicità tra le persone, e si è abbondantemente superato il limite. Non puoi e non devi convivere e sopportare simili comportamenti. Ne va anche della loro dignità, come della nostra. Basterebbe applicare quattro regole di elementare convivenza per ritornare ad essere, se non felici, almeno sereni. Ma sembra proprio che vogliamo l’impossibile.

Patrizio Tosetto

Distanziamento

Sembra essere stato profetico il lapsus freudiano introdotto dal governo con l’uso, secondo me improprio, dell’aggettivo “sociale” accanto al termine “distanziamento”, vocabolo di cui, durante tutti questi mesi di lockdown ed anche tuttora si continua a parlare come uno strumento fondamentale per la prevenzione del contagio da Covid 19.

Come sarebbe stato più appropriato, ritengo, invece, parlare di necessità di “distanziamento fisico”, espressione che implica, appunto, una distanza fisica, ma non psicologica tra gli individui.
Ma in fondo penso che la pandemia da Coronavirus abbia semplicemente accelerato ciò che già stava avvenendo prima, il fenomeno dell’assottigliarsi dei rapporti umani e di solidarietà autentici.
Ed allora i nostri governanti, che sotto tanti aspetti, secondo me, in questi mesi di emergenza Covid 19, hanno peccato, forse, inconsapevolmente, hanno anticipato, con l’uso dell’espressione di “distanziamento sociale”, ciò che sarebbe accaduto e che era già, in un certo qual modo, scritto nelle premesse. In quella premesse di un’epoca pre Covid, orientata all’individualismo più spinto, all’interesse verso il proprio particolare, al puro egoismo, in una società in cui valori come famiglia e patria sembrano essere sempre più desueti.

Mara Martellotta 

Borse di studio negate ai violenti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La Giunta Cirio ha predisposto un regolamento per le borse di studio universitarie, prevedendo  la revoca del beneficio a chi trasgredisce ai regolamenti commette reati  o viene arrestato in una manifestazione 

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Forse può sembrare una norma troppo rigida almeno per chi  venga arrestato perché nella confusione di una manifestazione senza distanziamento sociale le responsabilità individuali vanno accertate in altra sede. Ma il principio è giustissimo perché chi ha comportamenti non conformi non deve fruire  di borse di studio. Sarebbe un non senso che ne possa fruire. Le recenti devastazioni di locali universitari e gli scontri violenti  scoppiati prima della pandemia al Campus Einaudi  sono solo l’ultimo degli episodi  che ricordano il ‘68. All’ Università si va soprattutto per studiare, magari anche per socializzare, ma si deve andare  non per trasgredire alla legge. E il nuovo regolamento, voluto dall’assessore Chiorino che dimostra anche in questa occasione coraggio, non fa che riflettere questo principio che non dovrebbe essere messo in discussione perché è un principio di  elementare buon senso. Chi ricorre alla violenza va sanzionato anche nei benefici oltre che dal rigore della legge. Appare davvero strano che il Rettore del Politecnico Saracco  dissenta sulla norma  anti-violenti, sostenendo che l’istruzione è un pilastro del recupero di chi sbaglia. Con questo ragionamento, che pure è giusto in linea di principio, si rischia di premiare con borse di studio non  i “capaci e meritevoli“ come stabilisce la Costituzione, ma chi si lascia andare alla violenza fisica e alla devastazione di beni pubblici come i locali dell’ Università. Con il permissivismo non si crea nulla di buono. Le regole della convivenza civile dovrebbero caratterizzare naturaliter gli studenti dei nostri atenei. Il ‘68 dovrebbe essere davvero tramontato in un Paese che sta uscendo faticosamente dalla pandemia.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Esercito Italiano, a Torino le lauree triennali

Centoventotto Ufficiali frequentatori del 199° Corso “OSARE” discutono le relazioni di laurea triennale in Scienze Strategiche.

Sono in corso di svolgimento in modalità virtuale, presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, le sessioni di discussione delle relazioni di laurea triennale in Scienze Strategiche. Centoventotto giovani Ufficiali frequentatori del 199° Corso “OSARE”, tra i quali anche quattordici di nazionalità straniera, saranno impegnati fino al 9 giugno nell’esposizione, alle commissioni formate da docenti civili e militari, delle relazioni di laurea triennale riguardanti approfondimenti di tematiche di grande attualità: armamenti, cyber security, effetti di una pandemia, energie rinnovabili, intelligence, logistica sostenibile, matematica, relazioni internazionali, sostegno sanitario.

Il percorso di Laurea Triennale in Scienze Strategiche concepito per gli Ufficiali è una peculiarità nel panorama universitario in quanto interateneo ed interdipartimentale; nasce, dalla collaborazione tra quattro Istituzioni: Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, Università degli Studi di Torino, Accademia Militare di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. 

Sin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica, il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito in sinergia con la Scuola Universitaria Interdipartimentale in Scienze Strategiche (SUISS) dell’Università degli Studi di Torino, tramite aule virtuali interattive appositamente predisposte e dedicate, ha consentito, a tutti gli Ufficiali frequentatori, di completare da remoto il percorso di studi nel pieno rispetto dei tempi previsti. La Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino dove ogni anno si formano oltre mille studenti militari e civili, italiani e stranieri, rappresenta un polo culturale d’eccellenza  in grado di coniugare aspetti quali rispetto per le tradizioni, innovazione didattica ed internazionalizzazione degli studi.

Maria La Barbera

Cronache della peste. Le fate

Papà, esistono le fate?“ Alzo gli occhi dal libro… ma stai sempre leggendo, direte. Certo. È l’abitudine di una vita. E in questi frangenti – quarantena ed altre bazzeccole di cui inutile parlare… – un’ancora di salvezza…

Perché me lo chiedi?
Sai, ho visto una luce… Una luce piccolina, di là, nella camera…

E perché pensi che debba essere proprio una fata? Poteva essere qualsiasi altra cosa…
Beh, ma in quel cartone, Peter Pan, la fatina, sua amica, Trilly è piccola e luminosa… proprio come quella luce che ho visto. Così ho pensato…

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Cronache della peste. Le fate

Poche idee per la scuola

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’anno scolastico è finito, o meglio, è formalmente finito in giugno , ma è stato interrotto di fatto dal contagio del Coronavirus. Per mesi le scuole sono rimaste chiuse e si è cercato di supplire con la didattica a distanza per la quale la maggioranza dei docenti non era pronta e meno che mai erano pronti gli allievi che in un numero significativo soprattutto al Sud non possedevano un pc o un tablet di cui disporre.

Se fossero possibili delle verifiche serie, si vedrebbe che le la didattica a distanza è stata insufficiente e discontinua , in ogni caso incapace di stabilire un rapporto adeguato tra discente e docente. Forse la questa grave crisi  ad uscirne con le ossa massacrate è in particolare  proprio la scuola . Una cosa paragonabile al ‘68 i cui danni si sono prolungati per cinquant’anni, come predisse Renzo De Felice. Ad una settimana dagli Esami di Maturità non è ancora chiaro come si debbano svolgere, ma soprattutto non si sa come riprendere la scuola a settembre. La follia delle gabbie in plexiglass nelle aule sembra essere tramontata, ma le distanze di sicurezza restano un problema che va affrontato.
Certo, la ministra Azzolina che ha paragonato gli allievi a degli imbuti da riempire , non si sta rivelando adeguata al gravoso compito di dirigere in questa situazione drammatica quella che un tempo definivano  la “Minerva“. I grandi  ministri della Pubblica Istruzione in Italia sono stati pochissimi, il ministero è stato gestito per lo più da politici – spesso democristiani – abbastanza  incapaci e insensibili al ruolo della scuola pubblica statale. Per trovare nomi di alto livello bisogna riandare molto indietro a Francesco De Sanctis, a Michele Coppino,  a Luigi Credaro,a Benedetto Croce, a Giovanni Gentile e a Giuseppe Bottai. Nella storia della Repubblica  nessun ministro è stato all’altezza, salvo Salvatore Valitutti e in parte Giovanni Spadolini. Anche nella seconda Repubblica i ministri sono stati modesti . Certamente la ministra Azzolina è riuscita a commettere errori più di ogni altro ministro, anche se le vanno riconosciute delle oggettive attenuanti perché chiunque fosse stato a capo del  suo ministero avrebbe trovato delle serie, inedite difficoltà. Anche l’apparato ministeriale e’ modesto e direttori generali come Romano Cammarata sono impensabili. I sindacati della scuola sono stati sempre autolesionisti e non hanno mai difeso le ragioni dei docenti, in particolare la CGIL e anche in questa occasione hanno fallito. Lo sciopero da loro proclamato ha avuto un’adesione irrisoria  al  di sotto dello 0,50. Oggi di fatto non si hanno idee chiare su come riprendere la scuola dopo un quadrimestre perduto. C’è chi dice che si dovranno ridurre le ore di scuola, rimediare nuovi locali, aumentare il numero degli insegnanti, rivedere i programmi, sfoltendoli con una “didattica informale“, una espressione davvero fantasiosa ed inquietante. Sta accadendo un qualcosa di simile agli Anni Settanta  del secolo scorso quando si fecero i doppi turni a scuola e via via scadette la sua qualità della scuola   attraverso la voluta e demagogica  confusione tra il diritto allo studio e il diritto al titolo di studio. Anche nei giorni scorsi si sono svolti scrutini in cui è tornato prepotente il 6 politico e la promozione d’ufficio. Anche agli esami di maturità c’è da prevedere il cento per cento dei promossi. Capisco che i problemi posti dalla pandemia avessero la più assoluta priorità, ma va ricordato il ruolo insostituibile della scuola che è  in primis una questione di civiltà. Io sono abbastanza vecchio da ricordare i laureati del tempo di guerra e quelli che si laurearono subito dopo, magari indossando  la “divisa”da partigiano, gente che in tempi normali non avrebbe mai conseguito una laurea. Non vorrei che ci si avviasse su questa strada. Sia chiaro, è meglio essere asini che morti, ma almeno cercare di fare qualcosa come in tutti gli altri Paesi europei per la scuola è indispensabile. Anche la sorte della scuola non statale è  importante perché rischia davvero  di chiudere in modo definitivo. Istituti gloriosi come il “ San Giuseppe” o il “Sociale“ con storie secolari devono essere salvaguardati come un patrimonio della nostra cultura e della nostra storia. Forse dar voce ai docenti e ai presidi, alla scuola più in generale, nei prossimi Stati Generali convocati dal Premier sarebbe doveroso. Ad oggi non credo sia previsto.
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Movida, coronavirus e mal vivere

La movida o, meglio, la mala-movida ringrazia il coronavirus; non così i cittadini residenti nella zona di Piazza Vittorio e in San Salvario nelle zone, cioè, destinate all’ampliamento dei dehors ed alla “pedonalizzazione temporanea”.

In via di superamento gli effetti sanitari del coronavirus siamo tutti protesi a riprendere la vita personale e collettiva, a riprendere, finalmente, le attività. Nel corso della quarantena molti sono stati gli appelli a ripensare la qualità della vita, i propositi su una migliore e civile convivenza. Passata la festa, gabbato lo santo … paradossalmente dove non c’è stata festa e nessun santo.

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La quarantena vissuta non viene utilizzata per migliorare la vita collettiva, ma strumentalizzata per ampliare i momenti di disagio per la fascia di torinesi residenti nelle zone della movida. Nei musei si entra col contagocce, limitato il numero dei visitatori nelle sale, i Tribunali praticamente chiusi come le scuole ….non così i locali in zona movida che godono di un trattamento speciale. I locali movida (che pur devono riaprire) potranno ampliare lo spazio finora occupato, saranno chiuse al traffico e pedonalizzate alcune vie per consentire una maggiore occupazione di suolo pubblico ed il libero sciamare degli avventori; naturalmente le ore previste sono quelle del riposo serale e notturno. Insomma, sarà peggiorata la situazione preesistente al coronavirus.

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Per meglio gabbare viene usata la solita tecnica “in via sperimentale e temporanea” ; forse si intende sperimentare gli effetti che tali provvedimenti avranno sulla salute dei residenti . Sulla “temporaneità” il sarcasmo è d’obbligo. C’è di più e di meglio: saranno i titolari dei locali che dovranno occuparsi di contingentare l’arrivo dei frequentatori , non nei loro locali, ma nella zona pedonalizzata (sic!). Questo modo di procedere da parte di chi , per competenza istituzionale, si occupa del problema denota disprezzo nei confronti dei residenti ed incapacità a gestire la vita comunitaria. Si dovrà invocare “Arrridateccci il coronavirus!”.

Elle

La talpa. Finalmente liberi di… azzuffarci

Gli uomini tengono comportamenti contraddittori: con la ripartenza sembra che stiano cercando a ogni costo il loro annientamento che il virus non ha realizzato.

Pur avendo a disposizione un pianeta, gli uomini tendono a raggrupparsi, a organizzarsi in tribù, a inurbarsi, cioè a rinunciare al distanziamento individuale a favore dell’avvicinamento collettivo: così gli uomini hanno sempre fatto perché sono animali politici che dovrebbero dare il meglio di loro in spazi ristretti.

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La talpa. Finalmente liberi.. di azzuffarci

Il teppismo che macchia la manifestazione antirazzista

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Una macchia sulla manifestazione antirazzista, scrive “La Stampa”, limitandosi a dare la notizia con una fotografia e due righe di didascalia in cui si dice dell’ imbrattamento dei monumenti e dei muri di Palazzo Civico da parte di alcuni manifestanti: un atto di teppismo che non ha giustificazioni di sorta 

La manifestazione antirazzista che si è tenuta quasi nel rispetto delle norme no Covid in piazza Castello, forse non merita la macchia che le attribuisce il giornale. Se fossi stato a Torino, sarei intervenuto anch’io perché il razzismo di ogni  tipo va sempre condannato.
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Certamente ci sono persone che colgono ogni occasione – specie dopo il digiuno forzato di tre mesi – per scendere in piazza e protestare. Per altri versi, per manifestare solidarietà ad Hong Hong, ad esempio, eravamo in pochi insieme all’associazione “Marco Pannella” e Gian Piero Leo sempre presente in difesa dei diritti civili. C’è nuova aria di sardine che stanno uscendo dalla scatoletta in cui si erano rifugiate durante la pandemia per combattere la quale non hanno mosso un dito. E poi ci sono i centri sociali che resistono al Covid e rappresentano da sempre  l’anima violenta che non si ha il coraggio di reprimere, limitandosi a vedere ottusamente la violenza solo in Casa Pound. I Centri sociali rappresentano una mina vagante e la loro adesione ad una manifestazione che si tingeva per l’occasione anche come antiamericana e contro Trump, era prevedibile. Certo,  i promotori non potevano impedire a nessuno di  andare in piazza , anche se la partecipazione, sicuramente non ricercata, degli estremisti deve far pensare. Essere antirazzisti è sicuramente importante, ma ancora più importante è il rifiuto di ogni violenza. Condannare quanto è accaduto negli USA significa anche ribadire la condanna del ricorso alla violenza. Ma chi fa della violenza la sua ragion d’essere non può capire. E allora, per distinguersi e farsi notare, imbratta la statua di Vittorio Emanuele II in piazza Palazzo di Città. Un gesto cretino da parte di chi forse non sa neppure chi e  cosa ha imbrattato. Un atto di inciviltà che non può ricadere sulla manifestazione in sé. In ogni caso, se io avessi partecipato e avessi visto la presenza dei centri sociali, quasi sicuramente mi sarei allontanato dalla piazza, non accettando le cattive compagnie. Dopo il Covid forse è giunto  davvero il momento di chiudere i covi sovversivi e spesso abusivi dell’estrema sinistra e dell’esterna destra : un permanente assembramento di gente abituata ad usare le mani più che il cervello. Un potenziale elemento sovversivo capace di soffiare sul fuoco del disagio e della crisi in cui ci stiamo dibattendo. Il virus della violenza va combattuto con decisione e l’Italia messa a tappeto dalla pandemia non può più tollerare che ci sia gente che pratica il teppismo e ricorre alla violenza.  Il confine della manifestazione di un pensiero e della tolleranza o meno passa proprio attraverso il rispetto delle regole della democrazia e del civismo.
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Un tavolo permanente per i senza fissa dimora

Il Consiglio comunale è tornato ad occuparsi della situazione dei soggetti senza fissa dimora in questo periodo di emergenza sanitaria. 

Dopo ampie discussioni sul tema già in Commissione, il presidente della IV^ Commissione (Assistenza), Fabio Versaci (M5S), ha presentato una mozione sottoscritta da sette consiglieri di maggioranza (Imbesi, Buccolo, Tevere, Sganga, Giovara, Napolitano e Chessa) che invita la Sindaca e la Giunta ad avviare un tavolo permanente con la Città Metropolitana, la Regione Piemonte, la Prefettura, la Protezione Civile e le realtà associative e del Terzo Settore attive sul territorio per mettere in campo azioni di sostegno a favore delle persone e delle famiglie in condizioni di maggiore vulnerabilità e marginalità. L’atto è stato approvato all’unanimità dall’assemblea di Palazzo civico con trenta voti favorevoli.