società

Risparmio: torinesi più formiche che cicale

Far fronte alle necessità del presente come primo obiettivo. Ricerca dell’Osservatorio Sara Assicurazioni

 

 

Far fronte alle difficoltà economiche del momento (25%) è il principale obiettivo di risparmio e investimento dei torinesi. Le soluzioni più considerate? Polizze vita (30%) e mercato finanziario (14%).

 

 

 Prudenti sì, ma con lo sguardo rivolto al futuro. È il ritratto del rapporto tra torinesi e risparmio che emerge dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Sara Assicurazioni.

Nel guardare al proprio futuro economico, quasi un abitante di Torino su due (45%) vede un po’ di incertezza, un 33% si dichiara ottimista e fiducioso e il 22% si dice pessimista.

Le principali preoccupazioni riguardano soprattutto l’inflazione e i rincari (55%), le retribuzioni (39%) e le tasse (37%).

Ma quali sono gli obiettivi di risparmio e investimento dei torinesi? Al primo posto, la volontà di far fronte alle necessità del presente (25%), seguito dal desiderio di incrementare il proprio tenore di vita (22%) e di proteggersi da imprevisti futuri (22%). Un ulteriore 12% dichiara invece di pensare al futuro della famiglia e dei figli.

Tra le forme di investimento cui guarderebbero i torinesi per incrementare il proprio capitale, le più considerate sono le soluzioni assicurative e previdenziali (30%), che precedono il mercato finanziario (14%) e il mattone (10%).

Dalla ricerca è poi emerso come a Torino vi sia un significativo desiderio di informazione su questi ambiti, tanto che il 27% si dice propenso a restare aggiornato anche tramite i social network. Quando si tratta tuttavia di valutare nella pratica decisioni di investimento, si conferma fondamentale il ruolo dei consulenti professionisti (37%), seguito da quello dei familiari (18%) e della propria banca (14%).

La nostra ricerca evidenzia una buona propensione dei torinesi a investire nel proprio futuro e in quello della propria famiglia, con una chiara preferenza per soluzioni che garantiscano sicurezza (43%) e rendimenti (43%)” – dichiara Emiliano De Salazar, Direttore Vita di Sara Vita – “Le polizze assicurative per il risparmio e l’investimento rappresentano un’opportunità per far crescere il proprio capitale in modo vantaggioso, professionale e flessibile, adattandosi agli obiettivi e agli orizzonti temporali di ciascuno. In questa direzione, anche il welfare aziendale può giocare un ruolo chiave: non a caso, quasi 9 torinesi su 10 apprezzerebbero l’inserimento di queste soluzioni tra i benefit offerti dal proprio datore di lavoro”.

Cultura e inclusione sociale, Città di Torino e Museo Egizio aiutano chi si trova condizioni di difficoltà abitativa

Favorire l’accesso ad opportunità culturali, attraverso visite guidate e laboratori al Museo Egizio, a vantaggio di persone e famiglie che si trovano in condizioni di disagio e precarietà abitativa.

È l’obiettivo della convenzione rinnovata tra Città di Torino e Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, approvata questa mattina dalla Giunta comunale con una delibera proposta dall’assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli.

L’accordo, che dopo la sperimentazione di un anno viene ora rinnovato per un triennio, prevede nello specifico una serie di interventi interdisciplinari mirati a sviluppare percorsi di avvicinamento alla cultura e alle collezioni custodite dal Museo Egizio, rivolti in modo particolare alle famiglie ospiti dei social housing della città e a persone senza dimora coinvolte nei progetti di inclusione sociale dell’amministrazione.

«Con il rinnovo e l’ampliamento di questa convenzione la Città continua nel suo impegno nel favorire l’inclusione sociale, qui in particolare attraverso la cultura. Offrire a persone e famiglie in difficoltà la possibilità di accedere a esperienze culturali di grande valore è un passo fondamentale per promuovere la coesione sociale e garantire pari opportunità a tutti e siamo felici come amministrazione di veder prorogata questa opportunità per altri tre anni. Un sentito ringraziamento va alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino per la sensibilità e la disponibilità dimostrate: è grazie a collaborazioni come questa che possiamo costruire una città più equa e accogliente. Siamo convinti che la cultura, se resa accessibile, possa infatti essere uno strumento potente per il superamento di molte delle barriere sociali ed economiche», ha affermato Jacopo Rosatelli, assessore alle Politiche sociali della Città di Torino.

«Siamo orgogliosi di rinnovare la convenzione con la Città di Torino e di rafforzare il nostro impegno a favore dell’inclusione culturale, offrendo opportunità di accesso e partecipazione a chi vive situazioni di fragilità. Questo progetto incarna la nostra vision, che intende il museo come spazio comune, aperto e accogliente in cui sentirsi a proprio agio. Insieme vogliamo continuare a costruire spazi di conoscenza aperti e accessibili a tutti. In questo solco si inserisce anche ‘Io sono Benvenuto’, l’iniziativa che celebra la Giornata Internazionale del Rifugiato, il 20 giugno, con una serata gratuita all’Egizio in cui saranno protagonisti il dialogo interculturale e la partecipazione attiva attraverso arte, musica e performance. Evento che quest’anno si svolgerà in contemporanea anche a Genova al Galata Museo del Mare », hanno dichiarato la presidente del Museo Egizio, Evelina Christillin, e il direttore, Christian Greco.

Le visite guidate al Museo per adulti e per i nuclei familiari inizieranno nel mese di maggio e proseguiranno per tutto il prossimo triennio, con quattro appuntamenti annuali con sessioni di tour guidati della durata di due ore, ognuno dei quali potrà accogliere un massimo di 15 partecipanti.

Il documento, che disciplina la collaborazione tra la Fondazione Museo delle Antichità Egizie e l’Amministrazione Comunale, si inserisce nell’ambito del Piano di Inclusione Sociale della Città di Torino, strumento di pianificazione mirato a creare un sistema integrato di servizi pubblici e privati per rispondere alle necessità di cittadini in difficoltà economica, occupazionale e abitativa, attraverso un processo di co-programmazione e coprogettazione con gli Enti del Terzo Settore che favorisca l’accesso ai diritti fondamentali e alla coesione sociale. L’accordo avrà validità fino al 31 dicembre 2027.

TORINO CLICK

Prima Persona Plurale. Il Festival della Vita Indipendente

Sarà “Open. Spazio aperto di diversità”, voluto da “Fondazione Time2”, ad ospitare a Torino il primo evento in Italia dedicato al tema

Da lunedì 5 a mercoledì 7 maggio

Rivolto alle buone pratiche atte a promuovere il cambiamento verso una società più aperta capace di riconoscere il “valore delle diversità” e la “centralità di ogni persona” (con o senza disabilità), l’evento – primo in Italia dedicato al tema – vuole inserirsi nelle celebrazioni dedicate alla “Giornata Europea della Vita Indipendente”, che ricorre appunto il prossimo lunedì 5 maggio, contribuendo a sottolineare l’importanza di questa giornata in un anno, il 2025, in cui in Italia è iniziata la sperimentazione della nuova “Legge Delega in materia di Disabilità”.

“Prima Persona Plurale” (significativo il titolo dato alla rassegna) si articolerà in tre giornate – da lunedì 5 a mercoledì 7 maggio – ideate e ospitate da “Open”, lo spazio aperto di “diversità” aperto due anni fa, in corso Stati Uniti, a Torino, da “Fondazione Time2”, “creatura” (2019) delle sorelle Antonella e Manuela Lavazza, dopo l’apertura di “Casa Mistral” a Oulx, in Valsusa. Tre giornate dal ricco programma fatto di varie attività mirate alla divulgazione, alla riflessione e a un creativo confronto incentrato sul principio di promozione dell’autodeterminazione e della piena partecipazione all’interno del sociale delle persone “con disabilità”.

Dice Antonella Lavazza, vicepresidente “Fondazione Time2”: “Nostro intento è quello di accompagnare le persone con disabilità e le loro famiglie nel passaggio all’età adulta, un momento fondamentale di crescita e autodeterminazione. Diventare adulti significa poter esercitare pienamente la propria cittadinanza: muoversi liberamente negli spazi pubblici, accedere al lavoro, scegliere dove e con chi vivere. ‘Prima Persona Plurale’ nasce proprio per offrire un’occasione di confronto su questi temi e per valorizzare il diritto alla ‘Vita Indipendente’”.

Il via, dunque, lunedì 5 maggio. Alle 18, ad aprire il Festival, sarà Jozef Gjura, attore albanese (Scutari, 1994), diplomatosi alla “Scuola Per Attori” del “Teatro Stabile” di Torino. Vari i film al suo attivo e fra i protagonisti della recentissima serie Tv de “Il Gattopardo”, Gjura racconterà la storia “plurale”  di Giampiero Griffo , casertano, direttore  della “Biblioteca Nazionale” di Napoli, membro del “Consiglio Mondiale Disabled People’s International” e sin dagli anni Settanta attivo nel campo della “difesa e tutela” dei diritti umani e civili dei cittadini con disabilità. A seguire ritroveremo lo stesso Giampiero Griffo in dialogo con Elisa Costantino , attivista disabile ed esperta di “Disability Studies”, in un incontro che esplora l’evoluzione della “Vita Indipendente”. I due analizzeranno le conquiste del passato, le sfide attuali e le prospettive future.

La rassegna ospiterà anche un momento dedicato a reali esperienze di “Vita Indipendente e attivismo”. Martedì 6 maggio, infatti, alle 18, si potranno ascoltare le testimonianze di Marta Migliosi (attivista per la “Vita Indipendente”), Simone Riflesso(“Data Thinker” e “attivista”), Marta Pulimeno (blogger, Autodifensore) e Valentina Perniciaro, attivista, autrice del romanzo “Ognuno ride a modo suo” (Rizzoli, 2021) e fondatrice della “Fondazione Tetrabondi”, che racconteranno le loro storie fatte di sfide e conquiste per promuovere diritti e inclusione.

E, infine, non si mancherà di parlare delle prospettive future. Mercoledì 7 maggio, sempre alle 18, sarà l’occasione di analizzare politiche, servizi e opportunità in un confronto su diritti, accessibilità e modelli di supporto inclusivi con: Jacopo Rosatelli , assessore a “Welfare, Diritti e Pari opportunità” della Città di Torino; Fabrizio Starace , direttore di Psichiatria presso l’ASL TO5; Alice Sodi , vicepresidente “Neuropeculiare APS”, Associazione di Promozione Sociale fondata e diretta da persone autistiche; Monique Jourdan , direttrice “CISS” Pinerolo; Andrea Faini , amministratore delegato di “Coop CVL” e Valeria Carletti , attivista del coordinamento del “Disability Pride”.

Il Festival ospiterà anche uno spazio dedicato ai “Laboratori”, “momenti di creatività, condivisione e advocacy aperti a tutti”. Grazie al Laboratorio Zanna Dura” , il 6 maggioalle 15,30, si realizzerà insieme una “fanzine”(rivista amatoriale) dedicata alla storia del “Movimento per la Vita Indipendente”, mentre mercoledì 7 maggio, alle 15,30, si potrà partecipare al Laboratorio di Uncinetto” dove la manualità diventa “strumento di espressione e affermazione collettiva”. Con l’aiuto di Patrizia Palillo , in arte “UNFILODIGIUSTINA”, “impareremo – spiegano i responsabili – a lavorare all’uncinetto accessori da indossare, mentre apriremo un dialogo su diritti, accessibilità e partecipazione”. Gli eventi di “Prima Persona Plurale” sono aperti a tutti, sono gratuiti e garantiscono la partecipazione di persone “con e senza disabilità”. Saranno inoltre sottotitolati dal vivo, disponibili in LIS e trasmessi in streaming. Per info: “Open”, corso Stati Uniti 62/b, Torino; tel. 011/786545 o www.fondazionetime2.it

g.m.

Nelle foto: Immagine guida della rassegna, Jozef Gjura, Manifesto di intenti “Open”

“Disagi e Disturbi Mentali: Viaggio nella Psichiatria tra Umanità e Controversie”

  
Dopo cinque anni, il Dott. Pino Luciano torna sugli scaffali con “Disagi e disturbi mentali ieri, oggi e domani” (Franco Angeli Editore), un saggio lucido e appassionato che ripercorre l’evoluzione della legislazione psichiatrica italiana e il suo impatto sulla società.
Al centro del libro, la storica Legge 180 del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi, rivoluzionando il trattamento dei disturbi mentali e ponendo l’Italia all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Un cambiamento profondo, che il Presidente della Repubblica ha definito “una svolta di civiltà”.
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Dottor Luciano, perché la Legge 180 è considerata così rivoluzionaria?

Perché ha cambiato radicalmente il nostro approccio verso le persone con disturbi mentali. Fino a quel momento, bastava un comportamento considerato “anormale” per finire in manicomio, spesso per tutta la vita. La legge ha messo fine a questa pratica, chiudendo le strutture e promuovendo cure più umane, fondate sulla prevenzione e sul reinserimento sociale. È stato un cambiamento epocale, che ha visto l’Italia tra i pionieri in questo campo.

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È stata una svolta solo italiana?
No, la questione dei diritti umani è globale, ma l’Italia è stata tra le prime a intraprendere questo percorso. Dopo la Seconda guerra mondiale, il mondo intero ha iniziato a riflettere sui diritti umani, specialmente dopo gli orrori del nazifascismo. La Legge 180 è figlia di questo risveglio culturale e civile. È stata una mossa in anticipo sui tempi, che ha portato l’Italia a un nuovo standard di civiltà, come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica nel recente anniversario della legge.
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Cosa c’era prima della Legge 180?

Gli ospedali psichiatrici erano luoghi di segregazione e degradazione, più che di cura e riabilitazione. La psichiatria somigliava più a una punizione che a un trattamento. I manicomi non erano spazi di guarigione, ma di isolamento. Le persone venivano internate, legate, private di ogni diritto. Era facile finire in una sezione chiamata “furia” solo per aver espresso disagio o rabbia.

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E la medicina, cosa faceva?
All’inizio, poco o nulla. La psichiatria veniva spesso utilizzata come una giustificazione per l’emarginazione. Si finiva internati per “pubblico scandalo”: bastava vivere sotto un portico o comportarsi in modo considerato inaccettabile. Era uno stigma sociale, non una diagnosi clinica.
M
Quando si è iniziato a cambiare davvero?
I primi segnali di cambiamento sono arrivati nel 1968, con l’introduzione del ricovero volontario. Ma la vera svolta è arrivata nel 1978, con la Legge 180: da quel momento, il termine “internamento” è stato sostituito con concetti come cura, prevenzione e servizi territoriali integrati nel Sistema Sanitario Nazionale.
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Un cambiamento sanitario o anche culturale?
Profondamente culturale. La Legge 180 ha trasformato la concezione stessa di malattia mentale, spostando l’attenzione dalla “devianza” alla persona. È stato il primo passo verso una psichiatria che vede la fragilità umana e non solo la patologia. Da allora, sono nati servizi sociali, centri di salute mentale e percorsi riabilitativi che mettono al centro la persona e non la sua malattia.
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E oggi? C’è ancora qualcosa da fare?
Molto. Le malattie mentali non sono solo il risultato di fattori genetici, ma anche di fattori psicopatogeni legati alla cultura, alla società e alle relazioni familiari, scolastiche e lavorative. La prevenzione primaria dovrebbe intervenire su questi fattori sociali e culturali, ma i servizi di salute mentale attivati dalla Legge 180 fanno ancora molto poco in questo senso. Inoltre, la prevenzione secondaria, che consiste nella diagnosi e cura precoce, è insufficiente. Lo stesso vale per la prevenzione terziaria, che cerca di evitare le ricadute nei pazienti che hanno recuperato lo stato di salute mentale.

Quali sono, secondo lei, gli aspetti più critici di questa legge?
La nuova legislazione ha mantenuto alcuni aspetti segregativi della psichiatria, come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). L’imposizione forzata non è mai la soluzione ideale. È fondamentale instaurare una connessione con il paziente, piuttosto che ricorrere al trattamento coattivo, che può portare a problemi gravi, talvolta violenti. Se si riesce a mantenere un buon rapporto, il paziente si presenterà volontariamente per i controlli. Il punto cruciale è l’alleanza terapeutica: non è sempre facile, ma è essenziale per il percorso di cura. Questi pazienti non sono pericolosi, e la perdita della loro libertà è un’ingiustizia rispetto alla loro reale condizione. Inoltre, c’è una dimensione ideologica che non può essere ignorata: l’introduzione della comunità terapeutica. Spesso viene vista come un “nuovo manicomio”, ma la vera differenza sta nel fatto che nella comunità terapeutica le persone non solo ricevono supporto, ma partecipano attivamente alla gestione della struttura. Si confrontano, litigano e imparano a gestire la loro conflittualità. Quando abbiamo trasformato il nostro reparto in una comunità terapeutica, seguendo le raccomandazioni dell’ONU, non è stato facile. Ci voleva un piano d’azione concreto, con obiettivi chiari, risorse adeguate e tempi definiti. Come diceva Antoine de Saint-Exupéry, “senza un piano, gli obiettivi rimangono semplici desideri”. Il problema è che ogni regione ha interpretato la legge a modo suo, senza una visione unitaria.
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E l’aspetto positivo della legge?
Innegabilmente, la Legge 180 ha restituito la libertà a migliaia di persone che un tempo erano segregate negli ospedali psichiatrici. A Torino, negli anni ’70 e ’80, quando l’immigrazione si era fermata, molti cittadini si sono mostrati disposti ad accogliere coloro che erano stati confinati in queste strutture. È stato un segno di grande apertura sociale.
C’è stata una crescente attenzione verso la psicologia e l’analisi introspettiva.
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La salute mentale è diventata una priorità. Alla luce della sua esperienza, cosa ne pensa?
È sicuramente una cosa positiva. Tuttavia, l’introspezione fatta da soli, senza un supporto esterno, può risultare difficile. Spesso non siamo in grado di cogliere la profondità della nostra sofferenza senza una prospettiva esterna. È importante avere uno sguardo oggettivo, che non provenga solo dal digitale o dai social, ma da una figura competente come uno psicoterapeuta. L’approccio psicologico è positivo, ma bisogna capire come le persone vengano effettivamente supportate in questo processo. Spesso, ciò che sembra una “scoperta di sé” può rivelarsi l’appropriazione di un’identità falsa, quella che la società o lo stesso terapeuta ci impongono. In realtà, lo psicoterapeuta non è una guida, ma un osservatore che aiuta il paziente a intraprendere il proprio cammino.
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Esiste un modo per arrivare alla vera conoscenza di sé?
Per arrivare alla vera conoscenza di sé, è necessaria una forte motivazione. Si tratta di un cammino che, spesso, richiede di affrontare aspetti dolorosi e difficili di noi stessi. È fondamentale avere un professionista che ci aiuti a superare questi ostacoli. Ma lo psicoterapeuta non deve essere troppo direttivo; deve essere una figura con cui “contrattare” insieme, per trovare la via migliore nel processo di autoconoscenza.
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VALERIA ROMBOLA’

Il politicamente corretto: salviamo almeno l’arbitro cornuto!

Il “politicamente corretto” è un fenomeno che sta diffondendosi in ogni settore e sta condizionando la nostra società, ormai ossessionata da comportamenti o espressioni che possono sembrare offensive verso gli altri.

Comportamento in linea di principio più che giusto (il rispetto verso il prossimo è una delle regole fondamentali di una società civile) ma che in molti casi sta ormai diventando francamente ridicolo.

Facciamo qualche esempio .

Negro. I dizionari definiscono la parola come “individuo appartenente ad una divisione antropologica dell’umanità caratterizzata dal colore scuro della pelle dovuto ad abbondanza di pigmento”. Niente di male, è un fatto naturale, ma nel tempo il termine è diventato dispregiativo, anche perché spesso usato in abbinamento a sporco (“sporco negro”!), un volgare insulto. E così si è passati a “nero”, ma anch’esso condannato per il riferimento al colore della pelle ed ecco “allora “persona di colore”. Ottima soluzione, può andare bene per africani, asiatici, sudamericani e addirittura per i simpatici Puffi…

Spazzino. Professione essenziale nella società moderna, in cui città sempre poi grandi producono rifiuti sempre più numerosi; ma il termine è spregiativo perché riduce l’attività allo spazzare le strade con la ramazza ed allora ecco apparire netturbino, con vaghe reminiscenze latine, persona che pulisce la città. Ma non è bastato, ed allora la versione oggi più diffusa è un rispettoso “operatore ecologico”, che va sempre in giro con la ramazza, ma realizza un intento nobile ed assurge all’Olimpo dei difensori della natura incontaminata, un seguace di Greta Thunberg…

Bidello. Ve lo ricordate tutti, l’onnipresente personaggio che ci accompagnava alle elementari, alle medie, al liceo, fino all’università. Addetto prioritariamente alla pulizia dei locali, era in realtà un tuttofare sempre attento ad aiutarvi con il sorriso in caso di necessità. Termine considerato umiliante dai difensori del politicamente corretto, che sicuramente non ne conoscono la nobile origine. Bidello, infatti, deriva dal latino medievale bidellus divenuto poi il francese bedeau, messaggero (parola nobile, altro che svilente). Oggi guai a chi parla di bidelli, bisogna definirli “operatori scolastici non docenti”…

Portantino. Persona essenziale nel sistema sanitario, è incaricato di spingere barelle e lettini trasferendo i pazienti il più in fretta possibile (ma con la massima sicurezza). Non va bene, è umiliante! E allora ecco spuntare anche qui un termine nobile come “operatore sanitario addetto al trasporto dei malati ospedalizzati”; peccato che se lo chiami così per chiedere un intervento urgente per tuo nonno colpito da ictus, il caro vecchietto nel frattempo muore…

Non possiamo chiudere queste brevi osservazioni senza accennare ad uno dei termini più noti nel linguaggio comune: arbitro. E’ quell’essere ridicolo vestito di nero che corre come un pazzo in mezzo a 22 giovanotti che cercano di mettere un pallone in una rete. Professione dignitosa, ma che perde ogni dignità quando il suddetto essere concede un rigore inesistente alla squadra che sta lottando contro la nostra; fatto che fa scattare immediatamente l’insulto: arbitro cornuto! In questo caso a nessuno verrebbe in mente di attenuare il grido con un più morbido “Direttore di gara sposato con una moglie poco attenta ai doveri coniugali”…

Spiace per gli arbitri, ma loro, a differenza dei negri, degli spazzini, dei bidelli, dei portantini, continueranno a portare il peso di termini pesantemente offensivi.

C’è un limite a tutto, anche al politicamente corretto…

GIANLUIGI DE MARCHI

Il Santo Padre: chi era costui?

Il ritorno di Sua Santità Francesco alla casa del Padre ha messo in moto una serie di considerazioni, di critiche, di esaltazioni della sua figura a cui sono ormai abituato, essendo stato questo il quinto Pontefice che io ricordi, oltre a Papa Giovanni XXIII morto quando ero piccolissimo. Anche in questo caso, come in molti altri, la gente si professa espertissima di ecclesiologia, di teologia, di ogni disciplina che possa, in un modo o in un altro, riferirsi alla figura del Papa.

Parafrasando Don Abbondio, sarebbe più opportuno dire “Francesco! Chi era costui?” perché di Francesco, chiunque non sia stato giornalista accreditato presso la Santa Sede o Vaticanista o Ministro di culto cattolico può dire ben poco, salvo riportare le notizie rimaneggiate dalla stampa ”ad usum delphini”.

La curiosità, che una volta era sinonimo di intelligenza ma comincio a pensare che non sia più così, porta le persone a cercare in rete, in modo quasi compulsivo, ogni informazione ottenendo, ipso facto, notizie contrastanti, critiche (in senso negativo) non possedendo le basi minime per capire, valutare e farsi un’idea propria.

Ecco così che una piazza San Pietro che solitamente si riempie di fedeli per l’angelus o per il “nuntio vobis” mostra migliaia di turisti che al passaggio della salma di Francesco, anziché farsi il segno della Croce o raccogliersi in preghiera, scattano foto come se ci fosse un premio per chi ne pubblicherà di più.

E’ quindi, evidente, che nella maggior parte delle persone l’aspetto fideistico, religioso, di devozione abbia ceduto il passo al conformismo, alla banalità, al “quello che fanno gli altri” in un mix di paganesimo, ateismo, ineducazione o, meglio, maleducazione e mancanza di rispetto.

Sono le persone che quando occorre un incidente stradale, anziché soccorrere il malcapitato, fanno una diretta sui social per dimostrare che anch’essi, pur nella loro insulsa ed inutile esistenza, manifestano deboli segnali di attività cerebrale.

Ecco così che chi vorrebbe recarsi in San Pietro per motivi religiosi trova la piazza occupata da tifosi dei social e chi non ha alcun interesse per l’argomento si trova tempestato di notizie spesso in contrasto tra di loro.

In omaggio al Santo Padre, che ebbi l’onore di incontrare a Torino durante l’ostensione del 2015, redigerò questo articolo in forma più breve del solito. Vorrei solo sottolineare come la vera trasgressione, oggi, sia l’essere normali, sia fare ciò che ci interessa e non ciò che fanno gli altri.

E se qualcosa non ci interessa? Basta cliccare da un’altra parte.

Sergio Motta

“FilosoFARE” a Villa Lascaris

A Villa Lascaris, a Pianezza, si terranno tre workshop di filosofia pratica. Primo appuntamento giovedì 24 aprile con l’incontro dal titolo “INTERPRETAZIONE”

“FilosoFARE” rappresenta un workshop di filosofia pratica che affronta a Villa Lascaris, a Pianezza, grazie al suo direttore Marco Fracon, in ogni appuntamento un tema diverso, non sotto nforma di convegno o lezione frontale, ma con un approccio semplice, partecipato e coinvolgente.
Ogni volta che si riflette sul significato della vita, dell’amicizia, su cosa voglia dire “essere felice”, sul senso del dolore che si prova, si sta facendo filosofia. È un’attività del pensiero umano ed è naturale quando si riflette sull’ esistenza; è la ricerca di risposte alle domande che ciascuno si pone.

Al di là della materia studiata nei libri, delle parole complicate, dei filosofi che, dall’antica Grecia a oggi, hanno espresso pensieri su quelle che possono essere definite “le grandi domande”, il filosofare – anche se non vengono chiamate espressamente così – accompagna tutto il percorso di ogni vita, plasma il modo in cui è possibile leggere il mondo e le singole esperienze. Ed è una filosofia personale, pratica, che si costruisce ogni giorno.

Per portare la filosofia fuori dai libri e dentro la vita reale, Villa Lascaris, casa di spiritualità e cultura dell’Arcidiocesi di Torino, in collaborazione con UNECON – Università per l’Educazione Continua di Pianezza, propone tre incontri che affrontano in modo diverso dal solito la Filosofia.
Giovedì 24 aprile alle 21.00 a Villa Lascaris, in Via Lascaris 4 a Pianezza, il primo incontro parlerà di “INTERPRETAZIONE”.

Secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, “interpretare” significa “Attribuire un significato, spiegare la natura, la ragione e il fine di determinati atti o fatti, dedurre da indizî o da parole i pensieri e le intenzioni di una persona”. Viene attribuito un significato a un testo, a un gesto, a un evento, ed è un processo fondamentale per la nostra esistenza e per le nostre relazioni con gli altri.

Insieme a Marco Fracon, direttore di Villa Lascaris, verranno esplorate le diverse interpretazioni e modalità, l’importanza di interrogarsi e lasciarsi interrogare da ciò che ci circonda, sia esso un libro o un articolo di giornale, l’atteggiamento di una persona, un’esperienza che abbiamo vissuto, e come tutto questo si rifletta nel vivere e agire quotidiano.

L’ingresso agli incontri è libero, previa prenotazione via mail all’indirizzo eventi@villalascaris.it
Per sostenere le attività culturali di Villa Lascaris è gradito un contributo volontario.

I prossimi appuntamenti con FilosoFARE
– Giovedì 8 maggio, ore 21.00 – FELICITÀ
– Giovedì 22 maggio, ore 21.00 – CONOSCI TE STESSO

Mara Martellotta

Impresa Accogliente sta per concludere il primo anno di attività

Ecco i risultati

Sedici posti di lavoro attivati, 10 corsi di formazione avviati, 21 persone accompagnate nella ricerca di occupazione che hanno trovato un impiego per conto proprio, 45 soggetti che hanno beneficiato di interventi di orientamento; circa 150 imprese (coop e aziende profit) contattate, con 90 di esse rapporti stabili e 41 di queste già disponibili a offrire lavoro. Tutte iniziative che hanno riguardato persone sottoposte a misure alternative al carcere, adulti e giovani a Torino o nell’hinterland. Sono state prese in carico 83 persone, accompagnate nella ricerca di un lavoro. Sono i risultati resi noti il 16 aprile scorso del Progetto Impresa Accogliente, a quasi un mese dalla conclusione della prima annualità di questa iniziativa, finanziata dalla Regione Piemonte e guidata dall’associazione La goccia di Lube in coordinamento con l’Ufficio esecuzione penale esterna e l’Ufficio servizio sociale minorenni e in partnership con 14 enti e organismi del mondo economico torinese. I dati sono stati diffusi in occasione dell’Assemblea dei soci della odv La goccia di Lube (Ente del Terzo Settore) svoltasi nella sede operativa dell’associazione a Torino in via Cottolengo 22, presso l’Uffico pastorale Migranti, durante la quale è stato anche approvato il Bilancio consuntivo 2024 e rinnovato il board dell’Associazione, con un Direttivo uscente confermato quasi in toto.

L’avvio dell’Assemblea dei soci de La goccia di Lube
Alcuni dei soci partecipanti all’Assemblea de La goccia di Lube

Rispetto a quando è cominciato il Progetto Impresa Accogliente (giugno 2024) l’associazione ha incrementato il numero dei soci, passati, alla data del 16 aprile 2025, da 48 (più due persone dipendenti) a 53 (a cui aggiungere anche in questo caso le due figure professionali retribuite). I volontari operativi sono a oggi 34 contro i 32 del giugno 2024 e una manciata di persone ha già espresso interesse ad aggiungersi alla “squadra”, dato che porterebbe a quasi 40 gli operatori non retribuiti a fine annualità. Il progetto, che ha la sua finalità principale nel tessere rapporti con il mondo imprenditoriale per reperire posti di lavoro per i soggetti in detenzione domiciliare o in affidamento in prova al servizio sociale o in messa alla prova per i giovani, ha anche assegnato undici riconoscimenti di “impresa accogliente”, per aver offerto lavoro in questo ambito di intervento de La goccia di Lube. A sei imprese sono stati già consegnati, alle altre l’attribuzione del premio avverrà nei prossimi giorni. Le imprese premiate per prime sono state Market Service, Cooperativa Barbara B, Cooperativa Amico, The Promoland, Cooperativa Frassati, Cooperativa Raggio, cui seguiranno la società Lambic, la Coop La Contrada, la società Irion (per un importante sostegno finanziario al progetto), Coop Karibù Open, la Carrozzeria S Line.

Nel suo intervento introduttivo, il presidente uscente, Adriano Moraglio, ha ringraziato in particolar modo le due operatrici dipendenti del Progetto Impresa Accogliente, Bianca Eula e Silvia Lessona, insieme ai consulenti Massimiliano Manera, Serena Ravazzotti e Marianna Carlini, queste ultime dell’agenzia Master Communication. Ma ha ringraziato anche tutti i volontari che hanno dato un apporto significativo nelle attività di presa in carico delle persone in misura alternativa, adulti e giovani, e nella ricerca di posti di lavoro, anche grazie ai consigli degli enti partner del progetto.

Dopo l’approvazione del Consuntivo del bilancio 2024, curato e presentato dal tesoriere e vicepresidente Dario Valenzanol’Assemblea ha proceduto al rinnovo del Consiglio Direttivo dell’associazione per il triennio 2025-2028. Ne fanno parte sette persone. Sono stati confermati Dario Valenzano, Adriano Moraglio, Paolo Stanchi, Giovanni Franzone, Paolo Jorio e Antonello Sechi ai quali si è aggiunta la new entry Giuseppina Miglietta, che ha sostituito Marcella Pilatone. Pronti per eventuali subentri nel triennio Anna Cadegiani, Ellis Sada e Giorgio Serra. Le cariche del nuovo Direttivo (presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere) saranno assegnate, come previsto dalla Statuto, nella prima riunione del nuovo Consiglio.

La relazione di Dario Valenzano sul Consuntivo 2024
In primo piano la nuova consigliera del Direttivo Giuseppina Miglietta

Come spesso avviene nelle riunioni de La goccia di Lube, sono state ribadite le ragioni di fondo che muovono i volontari, e ciò è stato fatto anche con l’ausilio del canto e della musica. Prima dell’avvio dell’Assemblea, infatti, il Presidente ha fatto ascoltare il canto popolare abruzzese Luntane cchiu luntane. Ecco come Moraglio ha illustrato il significato di questo canto per l’attività de La goccia di Lube:

Cari amici, abbiamo voluto cominciare la nostra assemblea dei soci affidando alla musica – come siamo ormai soliti fare – l’affermazione di ciò che ci sta più a cuore nella nostra azione caritativa: non perdere mai di vista il motivo per cui ci impegniamo. Il canto popolare abruzzese Luntane cchiu luntane esprime ciò che ci muove quando andiamo in soccorso dei nostri poveri amici: NON LO SFORZO MORALISTICO DI FARE DEL BENE, MA L’ESSERE COME SOSPINTI verso gli altri DA UNO STUPORE, DA UNA MERAVIGLIA, CHE SENTIAMO BEN VIVI NEI NOSTRI OCCHI E NEI NOSTRI CUORI. Il canto parla dello stupore di noi uomini e donne davanti all’immensità del cielo stellato, del mare baciato dalla luna a pelo d’acqua, e parla dell’amore e dello struggimento che proviamo verso un’altra persona PROPRIO DENTRO QUESTO SPETTACOLARE STUPORE. Se non  facessimo esperienze di questo tipo di meraviglia NON SAREMMO ABILITATI AD AMARE, saremmo solo dei volenterosi che vogliono fare del bene, quello che pensiamo sia il bene. Invece, per fortura, o per grazia, non operiamo per fare del bene, ma SCOPRIAMO DI AMARE LE PERSONE CHE SEGUIAMO PER QUELLO CHE SONO, con il loro passato di errore o di violenza e magari anche di brutalità. Così possiamo arrivare a dire, come nella canzone, che per queste persone “il core me sente tremà”. Questa è La goccia di Lube. Questo siamo noi. Per chi di noi è cristiano, inoltre, le parole della canzone hanno un valore immenso, perché il magnifico cielo stellato o il mare baciato dalla luna sono anche l’incredibile amore di Cristo che morendo in croce ha portato la bellezza persino sulla croce: “si è fatto misero come noi, ha condiviso la nostra nullità”, come scrive don Giussani nel libretto “Il senso della caritativa”: la nullità nostra e quella dei nostri utenti.

Qualità o quantità?

Sarà capitato anche a voi di osservare una mostra fotografica, la produzione editoriale di uno scrittore oppure il semplice scatto postato sui social da un pinco pallino qualsiasi e pensare che a tanta quantità non corrisponde altrettanta qualità.

Prendiamo per esempio le classiche foto di compleanno, delle vacanze estive, di un viaggio o di un evento qualsiasi per mettere in mostra soltanto la voglia da parte del fotografo (o fotografa, non c’è differenza) di mostrare qualcosa di sé, della propria attività, e non anche una qualità, un impegno nel realizzare lo scatto.

Sempre più spesso assistiamo alla presenza maniacale, compulsiva, di alcune persone sui social attraverso i propri lavori, spesso di pessima qualità, eccessivi, insignificanti anziché farsi valere per la qualità dei propri lavori, anche se poco frequenti.

Quando fotografavamo con la pellicola, in un viaggio di 5 giorni mediamente si scattavano circa 150 scatti, pari a 4 rullini da 36, perché ogni scatto era studiato, aveva un significato per il fotografo, e lo dove va avere anche per i futuri osservatori dell’immagine.

Ora, nella maggior parte dei casi, quei 150 scatti vengono effettuati prima di varcare il casello di partenza dell’autostrada perché dobbiamo compulsivamente fotografare i cartelli, i semafori, il giocoliere, le auto, la prostituta che sta per staccare dal lavoro, l’autista del bus su cui viaggiamo, i vicini, quelli meno vicini e, altrettanto compulsivamente, metterli sui social dove resteranno come unica destinazione, perché più nessuno stampa le immagini, né le archivia ordinatamente su un hard disk.

A nessuno veniva in mente di fotografarsi nello specchio del bagno, rigorosamente con la tavoletta del wc alzato, mentre con la bocca a culo di gallina mostra al mondo il meglio di sé.

Forse il bisogno di affermazione spinge, soprattutto i giovani a transitare nella storia (dove resteranno davvero poco) attraverso le proprie esperienze fotografiche o video: tecnica 0, consequenzialità idem, appropriatezza dello scatto neppure.

Ma questa aberrazione è diventata la norma: se non pubblichi decine di scatti ogni giorno del tuo viaggio vieni subito interrogato da amici e conoscenti per conoscere il motivo di tale assenza dai social.

Ai miei allievi insegno che l’immagine deve esprimere qualcosa, anche nel caso di un reportage di cronaca, sportivo, di guerra o altro, che l’immagine nasce prima dello scatto, nella testa del fotografo, componendola e, magari, inserendo una cornice naturale (finestra, ramo fiorito, ringhiera) per renderla meno banale. Uno degli esercizi migliori è immaginare come verrà la foto, comporla, scattarla e guardarla: è come ti aspettavi? Bene. Altrimenti devi cambiare il tuo approccio alle scene.

Ma occorre avere voglia di creare davvero, di sviluppare una creatività che ti renda differente dagli altri, diverso ma non necessariamente più bravo o meno bravo, solo con un tuo stile personale.

Uniformarsi va bene quando si tratta di osservare le leggi, di adeguarsi alle consuetudini di una società, ma è svilente, spersonalizzante quando ripetiamo ciò che fanno gli altri, ci appiattiamo sulle abitudini altrui anziché ritagliarci uno stile nostro, creare una nostra cifra stilistica che ci faccia immediatamente emergere dalla massa.

Se il nostro desiderio è farci notare, non credete che diventando diversi dagli altri saremo più notati, più famosi, più apprezzati?

Via dalla pazza folla.

Sergio Motta

The Password, il giornale degli studenti di UniTo

Per più di dieci anni The Password, il giornale degli studenti dell’Università degli Studi di Torino, ha raccontato le sfide della contemporaneità.

Grazie al contributo di decine di giovani volenterosi, che dal 2014 hanno lavorato incessantemente per garantire ai lettori un’informazione libera, seria e apartitica, la nostra testata rappresenta oggi uno dei progetti di giornalismo studentesco più seguiti d’Italia. Nipote storico e spirituale del torinesissimo Ateneo (1949-1968) — il periodico del Comitato studentesco universitario interfacoltà, che vanta, tra le sue penne, un giovane Umberto Eco e il futuro critico cinematografico Gianni Rondolino — il nostro progetto ha sempre cercato di onorare il passato studentesco engagé della “piccola Parigi” ai piedi delle Alpi. Perché è stato fondato The Password, dunque? Lasciamo rispondere, per affinità di sensibilità, il redattore di Ateneo Vincenzo Berruti, che presenta così, nel novembre del 1949, la nuova testata universitaria ai lettori: “Un nuovo giornale!! Ma non ve ne sono già tanti, troppi? […] Sì, di pubblicazioni ve ne sono tante e di ogni genere, però gli universitari torinesi non avevano ancora il loro giornale, un giornale che fosse veramente ed interamente loro, che parlasse dei loro problemi e che li tenesse più uniti ed affratellati”.

È esattamente questo il cuore del nostro progetto: dare vita a una palestra di idee, creare uno spazio di condivisione e confronto per una comunità studentesca consapevole, al fianco delle categorie sociali più precarie e troppo spesso dimenticate dalla classe politica. Usiamo le nostre tastiere come megafono, per dare voce a chi non ce l’ha. Attraverso i nostri contenuti, ribadiamo che l’istruzione è un diritto di tutti, che la scuola pubblica non va definanziata e che è dovere dello Stato abbattere tutte le forme di discriminazione geografica, sociale o economica che impediscono o rendono difficoltoso l’accesso ai servizi universitari. Certo, gli strumenti della comunicazione giornalistica sono cambiati profondamente dal Dopoguerra a oggi. La crisi del cartaceo non fa che aumentare di fronte alla diffusione e alla costante evoluzione del digitale, il quale ha aperto le porte, anche grazie all’invenzione dei social media, a nuovi format, che prima si credeva fossero riservati in modo esclusivo al mondo televisivo e radiofonico. Ogni generazione, si sa, è figlia del proprio tempo.

Per questo The Password ha colto, negli anni, tutte le opportunità che il progresso tecnologico ha offerto. La nostra redazione non solo gestisce un blog online, consultabile sul sito www.thepasswordunito.com, ma cura anche il podcast Oltre l’inchiostro, che ha ospitato artisti e studiosi del calibro di Isidoro Sofia, uno dei fotografi torinesi più noti e apprezzati del web, Valeria Verdolini, docente dell’Università Milano Bicocca, ed Eloisa Mora, professoressa associata presso la University of Toronto. Sui canali social di The Password, indicati sul nostro sito, i lettori troveranno post, vignette e contenuti di approfondimento su tematiche di attualità politica italiana e internazionale. Senza l’impegno quotidiano dei membri dei sette gruppi di lavoro che compongono la nostra associazione, nulla di tutto ciò sarebbe possibile. I nostri sforzi sono stati riconosciuti dagli enti e dalle realtà culturali che in questi anni hanno invitato la redazione a eventi, festival e mostre organizzate sul territorio, per accompagnare i giovani torinesi nella scoperta delle chicche del patrimonio artistico, culturale e storico del Piemonte. Quest’anno, The Password è stato media partner del Torino Underground Cinefest e delle associazioni Omnibus e MARKETERS’ Club Torino.

Ringraziando di cuore la redazione de Il Torinese per lo spazio a noi dedicato, ci auguriamo di avere incuriosito i giovani lettori di questo splendido quotidiano. The Password, il giornale che va oltre gli asterischi.

 

Micol Cottino

Caporedattrice di The Password