società

Fake news

Il termine “fake news” è entrato prepotentemente nella nostra cultura con lo sviluppo di internet e dei giornali online.

Fino a qualche anno fa, ogni notizia pubblicata da un giornale cartaceo o da un notiziario radio-televisivo portava con sé un‘aura di rispettabilità, affidabilità e, soprattutto, consentiva in caso di mancata verifica della notizia di investire l’ordine dei giornalisti per l’eventuale irrogazione di sanzioni a carico dell’iscritto.

Lo sviluppo di siti che non sono considerati “stampa periodica” e che, pertanto, non necessitano di un direttore responsabile ha portato al diffondersi di notizie spesso totalmente inventate, quando va bene adattate “ad usum delphini”, prive di fondamento e, quindi, pericolose.

Non mi riferisco soltanto alla stampa parlamentare, politica in generale, o riferita a scoperte che richiedano un approfondimento scientifico; penso, per esempio, a quando viene citato un politico che avrebbe detto X, quando viene comunicata la morte di un personaggio dello spettacolo che, invece, legge la notizia toccandosi i gioielli apotropaici, viene annunciata la presentazione di un disegno di legge che a nessuno dei 600 parlamentari (senatori a vita esclusi) è mai venuto in mente di presentare.

Come fare a difendersi da tali notizie e, soprattutto, a non farsi influenzare da notizie quasi sempre create per attirare utenti sui siti, per aumentare il ricavo pubblicitario o la permanenza di un sito in un livello elevato di affluenza?

Il primo consiglio, che parrebbe il più banale, è affidarsi soltanto a testate giornalistiche, radio- televisive di sicura affidabilità: Rai, Mediaset, La7, Corsera, Gruppo GEDI per citarne solo alcune. Poi valutare come la notizia venga presentata: se per comprendere la notizia occorre scorrere 5-6 pagine intervallate ognuna da una pubblicità è evidente che all’editore (se così lo possiamo chiamare) interessa più curare il marketing che la diffusione.

Se per capire il senso della notizia devi scorrere pagine su pagine, dove viene l’ansia perché non si evince se il soggetto sia morto o ancora vivo, possiamo tranquillamente lasciar morire di fame l’editore.

Con la rete di informazioni in cui ognuno di noi è immerso, in aggiunta, ogni e qualsiasi notizia ci giunga, potrà essere confermata o confutata senza difficoltà andando a cercare ulteriori informazioni sul motore di ricerca più famoso della rete; certo, se il signor X è appena morto forse non tutte le agenzie hanno già lanciato la notizia, ma di sicuro i primi a diffonderla non saranno “La gazzetta di Samantha” o “Le uniche news attendibili” o altri nomi che fanno rimpiangere il napalm.

La Rai ha dedicato numerosi spot, ormai oltre un anno fa, all’attenzione che va prestata nei confronti delle fake news; forse qualcosa è cambiato, ma se non cambia il nostro approccio al mondo delle notizie poco possono i media seri.

L’ignoranza in deciso aumento in tutta la popolazione, un QI che tende al ribasso, la scuola che non aiuta a sviluppare determinate competenze sono tutti fattori di rischio, esattamente come colesterolo, ipertensione e glicemia nei confronti della sindrome metabolica.

E le fake news sono come il cibo spazzatura che trova proseliti in quanti non si curano di alimentarsi in modo sano, ma continuano a mangiare come la moda dilagante impone.

Ovviamente, tra qualità e quantità c’è di mezzo l’onestà: essere una testata affidabile, una fonte di divulgazione delle notizie contro essere un mezzo di marketing travestito da media.

Il giornalista è un mediatore tra la fonte della notizia e chi la riceve: se devo inventare una notizia per attirare clienti, non sono un giornalista ma un illusionista, in più truffaldino.

Sergio Motta

Massimo Cacciari alla fraternità della Madia

Domenica 14 dicembre, la fraternità della Madia ha accolto molte persone venute ad ascoltare Massimo Cacciari. Fr. Enzo Bianchi ha presentato Cacciari, non solo come filosofo, ma soprattutto come voce morale capace di interpretare in profondità il tempo presente. “Il suo intervento – ha ricordato Bianchi – si colloca nel cammino spirituale che ci conduce al Natale, ma affronta un tema che riguarda tutti, credenti e non, poiché tocca le radici stesse della cultura europea e della sua idea di umanità”.
Massimo Cacciari ha invitato a riflettere sul significato del Concilio di Nicea, considerandolo un evento decisivo non solo per la teologia cristiana ma per l’intera civiltà europea. A Nicea, infatti, sono state definite le sorti dell’essenza del cristianesimo, con la domanda fondamentale rivolta da Gesù ai suoi discepoli: «Chi credete che io sia?». Ed è proprio dal tentativo di rispondere a questa domanda,
che si è aperta una frattura decisiva.
La controversia che condusse al Concilio nacque dal tentativo di definire il rapporto tra il Figlio e il Padre e trovò la sua espressione più radicale nella posizione di Ario, presbitero alessandrino, secondo il quale Gesù, pur essendo divino, non sarebbe Dio in senso pieno, ma una creatura generata dal Padre, a sua immagine e somiglianza, senza essere consustanziale a lui.
Secondo Cacciari, questa impostazione difende l’unità assoluta di Dio, ma indebolisce il cuore dell’annuncio cristiano. Se il Figlio non è pienamente Dio, il cristianesimo perde la sua specificità: non avrebbe più senso chiamarsi “cristiani”, poiché la figura di Cristo si ridurrebbe ad un semplice strumento o intermediario del Padre.
La decisione di Nicea, sostenuta in particolare da Atanasio il Grande, affermava invece l’omousia: Padre e Figlio sono della stessa sostanza, pur restando distinti come persone. Questa affermazione introdusse una concezione radicalmente nuova dell’unità. Non si tratta di un’unità astratta o monarchica, ma di un’unità che è relazione: Dio non è solitudine, ma comunione. Proprio questa impostazione rende necessaria la riflessione sullo Spirito, inteso come espressione della relazione viva tra Padre e Figlio.
Secondo Cacciari, solo se il Figlio è pienamente Dio si può parlare di una salvezza autentica e di una reale divinizzazione dell’umano. Al tempo stesso, egli richiama un altro elemento essenziale del dogma: l’unità di Dio non è mai completamente dicibile, ma resta sempre oltre ciò che il linguaggio umano può esprimere. Dimenticare questo limite significherebbe ridurre la teologia ad un esercizio puramente razionale e smarrire il mistero che attraversa l’annuncio cristiano.
La soluzione di Nicea, conclude Massimo Cacciari, non offre una risposta semplice né rassicurante, perché afferma un paradosso che impedisce di ridurre Dio a uno schema logico chiuso. Dio è una relazione viva e, per questo, egli non si impone come potere assoluto: lascia spazio alla libertà, e quindi anche alla possibilità del rifiuto.
In tal senso, Nicea ha inaugurato un’epoca in cui l’essere umano è chiamato a una relazione libera con Dio. Questa libertà può spingersi fino all’allontanamento e al tradimento, come nella parabola del figlio prodigo, ma non elimina mai la possibilità di un ritorno. L’attualità del Concilio di Nicea risiede proprio in questa visione della fede, come relazione libera e responsabile, che interpella l’umano di fronte al mistero di Dio senza costringerlo. Attendere il Signore nel nostro tempo.

IRENE CANE

Il turismo del sonno. Dove il riposo è la meta più importante

La vita odierna e’ pura frenesia. Il lavoro e’ fonte di soddisfazioni, ma anche di stress e stanchezza, cosi’ come la quotidianita’ familiare divisa tra doveri e abitudini logoranti. L’utilizzo eccessivo dei dispositivi elettronici, inoltre, ha creato tutta una serie di conseguenze che si vanno a sommare alla nostra impegnativa routine creando quella condizione oramai dilagante che e’ l’insonnia.

Non dormire abbastanza e’ snervante e porta con se’ conseguenze negative anche nella vita diurna come stanchezza cronica, irritabilita’ e difficolta’ a gestire la vita sociale e lavorativa.

Il sonno sta diventando un lusso, una dimensione determinante che garantisce una buona salute, sia fisica che mentale; ed e’ proprio per questo suo valore imprescindibile che ora anche le vacanze possono essere dedicate alla sua “pratica”. Il turismo del sonno e’ ora una tendenza, ma forse molto di piu’: una aspirazione; prenotare hotel che offrono condizioni perfette per il riposo, a cominciare da materassi di ottima qualita’, ambienti silenziosi, camere e vasche di deprivazione sensoriale, ipnoterapeuti e’ una realta’ che sta avendo molto consenso e questo perche’ il bisogno di dormire e’ cresciuto, il nostro corpo lo reclama.

Gli alberghi specializzati in questo settore del turismo hanno camere dai colori delicati, cuscini personalizzati, generatori di suoni ambientali, come i rumori bianchi, mascherine per dormire, massaggiatori specializzati, saune, aromaterapia, tisane rilassanti, illuminazione calibrata e docce all’eucalipto.

Sempre piu’ alberghi si stanno attrezzando per diventare rifugi del riposo perche’ questa necessita’ e’ destinata a crescere, dormire e’ diventata, infatti, una meta molto desiderata.

Possiamo immaginare queste strutture immerse nel verde, con piscine private, camere insonorizzate, biancheria in fibre naturali, in zone dal clima mite e indulgente.

I luoghi ideali per questa non-attivita’ possono essere casali immersi nella natura, alberghi lontani dalle mete turistiche affollate e troppo attive, posti dove, nei momenti liberi dal sonno, si possono visitare piccoli centri, gustare l’enogastronomia del luogo, fare passeggiate rilassanti in luoghi ovattati.

Dimentichiamo quindi file in macchina, spiagge gremite e afose, persone che urlano e si divertono rumorosamente, lo sleep turism ha bisogno di un suo galateo della tranquillita’, di un proprio cerimoniale della pigrizia.

All’estero questa vacanza all’insegna del relax e’ oramai una consuetudine che ha creato una vera e propria specializzazione turistica, nel nostro paese, siamo ancora agli albori, ma ci sono diverse proposte in zone come l’Umbria o la Toscana, basta fare una ricerca scrivendo “turismo del sonno in Italia”. Il Piemonte e’ una meta ideale per favorire il riposo, persi nei filari delle Langhe, nel silenzio delle montagne o nelle vicinanze dei bellissimi laghi. E’ una tendenza che ha un futuro concreto, abbiamo bisogno tutti di fare pause dall’inquietudine dei ritmi imposti dal trantran quotidiano che ci ha avvolge, abbiamo bisogno di dormire.

MARIA LA BARBERA

Famolo strano

Molti ricorderanno il film “Viaggi di nozze” dove Verdone e la Gerini si producevano in amplessi decisamente originali, oltre che pericolosi, all’insegna del “famolo strano”.

Sebbene il paragone con anni addietro sia difficile perché sono mutati i mezzi di comunicazione e di annunci, basta un’occhiata a siti di incontri, di annunci BDSM, di annunci per trovare l’anima gemella per comprendere come il modus vivendi almeno degli italiani sia enormemente cambiato rispetto a trenta – quarant’anni fa o, perlomeno, ora sia molto più libera, frequente e palese la ricerca di ciò che sempre più italiani cercano in camera da letto (ma anche auto e tavolo vanno bene).

In primis c’è stato un aumento vertiginoso di scambi di coppie e di cuckolding: per i non addetti ai lavori, cuckold è la traduzione inglese del termine “cornuto” nella forma “cornuto e contento”. Si tratta, in altre parole, di chi cerca per la propria moglie qualcuno in grado di farla divertire, non soltanto in camera da letto ma anche portandola a cena fuori, magari anche in barca per un week end, mentre il cuckold aspetta a casa o contempla con soddisfazione ciò che gli succede intorno.

Esiste anche la versione femminile, la cuckquean, che gode nel vedere il marito impegnato con una rivale che a quel punto, però, non è più considerata tale ma, anzi, è artefice del benessere del proprio maritino.

Ma non è tutto. Sempre più uomini stanno sviluppando il lato bicurioso o bisex di sé, cercando rapporti con transgender o, mal che vada, con travestiti sia attivi che passivi contravvenendo all’icona del maschio italiano ma in onore al proverbio “in guerra e in carestia, ogni buco è galleria”.

Premesso che non sto giudicando i comportamenti né tantomeno la morale di chi fa cosa, perché ritengo che con il mutuo consenso tutto sia lecito o, come recitano le nostre fonti giuridiche “tutto ciò che non è espressamente vietato è consentito”, il problema nasce quando si dimenticano le minime norme di sicurezza, di prevenzione delle malattie e si incontrano perfetti sconosciuti.

Per preparare questo articolo ho risposto ad alcuni annunci su un sito di incontri “a tema”: incredibile la quantità di maschi (biologicamente parlando) anche sposati che, in privato, si travestono al femminile per incontrare altri maschi, preferibilmente dietro compenso.

Il fatto che chiedano soldi non stupisce: è il mestiere più antico del mondo, dopo i ministri di culto; quel che stupisce è che accettino, senza avere reale bisogno (hanno un lavoro), di adattarsi a quello stile di vita in cambio di denaro. Stile di vita sicuramente non facile per i rischi di aggressione e rapina, per quello di contrarre malattie a trasmissione sessuale (quasi tutti accettano rapporti non protetti o “al naturale” come di dice ora) e, ipotizzando il coniuge sia all’oscuro, di separarsi con addebito.

Ma non sono i soli segni dei tempi, sessualmente parlando: che dire delle sweet girl che cercano sugar daddy? Quel che è peggio non è che ragazze dai 18 (ma anche meno) fino intorno ai 30 cerchino un adulto che le coccoli in cambio di qualche prestazione sessuale saltuaria offerta con parsimonia, ma che alcuni daddyaccettino rapporti esclusivamente virtuali in cambio di pagamento tasse universitarie, abbigliamento (rigorosamente griffato) ed altre dazioni di denaro in quantità industriale senza ricevere nulla in cambio. Ed è già successo che la fanciulla che si mostra in webcam sia, in realtà, la complice disinibita di chi invece percepisce i soldi (maschietto o donna matura).

I maschietti pensano mai che le ragazze, non soltanto li sfruttano soltanto, ma stanno realizzando una forma di truffa erotica a tutti gli effetti?

Caso opposto quello mostrato nel film “Lockdown all’italiana”:tra i vari personaggi è iconico dei tempi Ricky Memphis che aggancia su un sito di incontri una matura Paola Minaccioni e si fa anticipare 50 euro per prendere il taxi ed andare all’appuntamento con lei (notare che lui fa il taxista); a fine episodio, però, la sua compagna (Martina Stella) gli chiede quanto ha chiesto alla Minaccioni e lui risponde che entro sera la convincerà a dargli molto di più.

Sergio Motta

Fondazione Crt, dal teatro all’economia circolare: 117 progetti per una nuova cultura dell’inclusione

Finanziamenti per 1 milione e 376 mila euro assegnati tramite il bando “Vivomeglio”

 La Fondazione CRT ha selezionato 117 progetti dedicati all’inclusione in Piemonte e Valle d’Aosta nell’ambito del bando “Vivomeglio”, destinando complessivamente 1 milione e 376 mila euro.

Le iniziative, caratterizzate da approcci innovativi e sostenibili, coinvolgeranno oltre 9.000 persone con disabilità e 654 enti partner in percorsi inclusivi che spaziano dal teatro all’avvicinamento all’economia circolare, dallo sport alla poesia, fino alla formazione. Questi progetti sono il risultato di un forte lavoro di rete tra organizzazioni del Terzo Settore, istituzioni e comunità territoriali, con la finalità di valorizzare i talenti individuali e favorire una piena partecipazione sociale.

“Da vent’anni, con il bando Vivomeglio, la Fondazione CRT porta avanti un impegno che non si limita al sostegno economico: il nostro obiettivo è promuovere una cultura dell’inclusione capace di trasformare lo sguardo collettivo e contribuire alla costruzione di comunità più accoglienti, dove la diversità rappresenta un valore condiviso”, afferma Anna Maria Poggi, Presidente della Fondazione CRT.

I progetti finanziati si sviluppano in sei aree principali: abitare sociale, supporto alle famiglie, inserimento lavorativo, formazione scolastica ed extrascolastica, salute e benessere, vita comunitaria.

Tali ambiti si inseriscono in continuità con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU e con la prima Agenda Italiana della Disabilità, promossa dalla Fondazione CRT insieme alla Consulta per le Persone in Difficoltà.

Tra i 117 progetti sostenuti si distinguono:

I GastronAUT 2025 dell’associazione L’un e l’aut A.P.S.: giovani e giovani adulti con disabilità o disturbi dello spettro autistico si mettono alla prova nei panni di chef, apprendendo competenze professionali e trasversali. I percorsi includono laboratori di cucina e attività di gruppo che favoriscono autonomia, senso di responsabilità e fiducia nelle proprie capacità, con l’obiettivo di trasformare una passione in un’opportunità lavorativa concreta.

La poesia dell’acqua. Linguaggi poetici e pratiche educative della s.c.s. Domus Laetitiae: l’acqua diventa tema narrativo e simbolico in un progetto che intreccia poesia, teatro e crescita personale. Attraverso laboratori teatrali inclusivi, persone con disabilità, educatori e operatori vivono insieme esperienze di scrittura, lettura e rappresentazione scenica. Il linguaggio poetico diventa un mezzo privilegiato per esprimere emozioni, rafforzare i legami e creare un ambiente in cui ogni voce viene ascoltata e valorizzata.

Coltiviamo Abilità della s.c.s. Insieme a voi: un orto accessibile che assume il ruolo di luogo di incontro, formazione e integrazione. Il progetto sostiene percorsi di inserimento lavorativo per persone con disabilità, trasformando la cura della terra in un’esperienza di crescita sia individuale sia comunitaria. Accanto ai filari prendono forma nuove relazioni: scuole, famiglie, volontari e realtà del territorio collaborano per far sbocciare competenze, fiducia e inclusione.

In due decenni, la Fondazione CRT ha sostenuto quasi 3.000 progetti dedicati all’inclusione, investendo oltre 33 milioni di euro.

Gli esiti completi sono disponibili sul sito della Fondazione CRT.

DisFestival, migliaia di presenze a Torino per dire no ai pregiudizi

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La seconda edizione del DisFestival, svoltasi a Torino dal 29 novembre all’8 dicembre 2025, ha confermato il grande successo di pubblico della scorsa edizione, registrando un ulteriore incremento di presenze: i sei appuntamenti in programma hanno totalizzato oltre 5.000 partecipanti.

La manifestazione, organizzata dalla CPD – Consulta per le Persone in Difficoltà, è iniziata il 29 novembre con il tutto esaurito alle OGR Torino per il Talk dell’Agenda della Disabilità. Un evento pensato per raggiungere l’obiettivo programmatico del Festival: disattivare i pregiudizi e rendere “pop” la disabilità, trasformando il Binario 3 del complesso post-industriale in un incrocio di binari e scambi, attraversato dalle testimonianze di ospiti provenienti sia dal mondo televisivo nazionale sia da quello del Terzo Settore e, quest’anno in particolare, dal mondo della scuola.

Sul palco si sono alternati i Terconauti, Linda Messerklinger, Carlotta Gili, Marco Maccarini, Saverio Raimondo, Silvia De Maria, Raffaele Mantegazza, Camila Raznovich, Lella Costa e molti altri, che hanno affrontato il tema dei pregiudizi offrendo punti di vista alternativi e lontani dai soliti stereotipi.

Grande spazio è stato dedicato ai progetti dell’Agenda della Disabilità, l’innovativo modello di inclusione sociale nato dalla collaborazione tra CPD e Fondazione CRT, con particolare attenzione agli esiti della call “Costruire Ponti”. La mattinata è stata caratterizzata da un susseguirsi ininterrotto di talk, dibattiti, performance e musica dal vivo con il commento sonoro di Accordi Disaccordi. L’atmosfera, viva e partecipata, ha favorito il dialogo e la condivisione, accompagnando gli interventi di realtà profit e non profit che, con il loro impegno, stanno contribuendo alla creazione di una società più inclusiva e senza barriere.

Nel pomeriggio, la Sala Duomo si è trasformata in un luogo di scoperta per i più piccoli con la Città dell’Agenda della Disabilità. Bambini e famiglie hanno potuto esplorare giochi interattivi e percorsi multisensoriali capaci di aprire nuove prospettive sulla disabilità, affinché — tra sorrisi e apprendimento — l’inclusione diventi un gioco da condividere.

Il 1° dicembre si è tenuta la cerimonia di premiazione della terza edizione del Premio Giornalistico “Paolo Osiride Ferrero”, che ogni anno valorizza i giornalisti e i content creator che a livello nazionale contribuiscono alla crescita del linguaggio e della narrazione sulla disabilità. Sono stati premiati:

  • Michele Calamaio e Lorenzo Di Stasi, con l’articolo “My Disability, My Choice”, pubblicato su La Revue Dessinée (n. 11/2024), per la sezione Carta Stampata;
  • Andrea Bettini, per il servizio “John McFall, il primo parastronauta della storia, si prepara per volare nello spazio”, trasmesso il 17 marzo 2025 nella rubrica scientifica Futuro24 di RaiNews24 e il 28 marzo 2025 nella rubrica SportAbilia di Rai Sport, per la sezione Radio e TV;
  • Carmela Cioffi, con l’articolo “L’impatto della crisi climatica sulle persone con disabilità”, pubblicato il 23 aprile 2025 su A Fuoco (progetto di Facta, Slow News e Pagella Politica), per la sezione Web e Social.

Per la prima volta è stato assegnato anche il Premio Speciale per l’Attivismo, presieduto da Valentina Tomirotti, attribuito a Marina Cuollo, scrittrice, TedX speaker, editorialista e consulente D&I.

Particolarmente emozionante è stata la serata del 3 dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, con il concerto “Oltre il Pregiudizio – La Bellezza di essere umani”, nella Sala Gymnasium della Fondazione OMI. La voce di Gian Luca Favetto, accompagnata dalle note evocative di Saba Anglana, Fabio Barovero e i GnuQuartet, ha guidato il pubblico attraverso “stanze” in cui letteratura, testimonianze e musica dialogavano, aprendo spazi di riflessione per raccontare e superare i pregiudizi legati alla disabilità.

Tutto esaurito anche per la tradizionale Giornata delle Scuole, che si è tenuta la mattina del 5 dicembre al Pala Gianni Asti: 4.000 studenti, insegnanti e ospiti da tutta la regione, a cui si sono aggiunti 15.000 partecipanti in streaming, si sono riuniti per l’evento “Disattiva i pregiudizi e scrivi il cambiamento”.

La giornata è stata animata da Mr. Pregiudizio, interpretato dall’attore Francesco Giorda, insieme a numerosi artisti, musicisti, influencer e sportivi, tra cui il rapper cieco Sax con l’influencer Videociecato, i Drum Theatre, la scuola di danza Ballo Anch’io e la scuola di calcio ciechi Insuperabili. Per le scuole dell’infanzia si sono svolti laboratori di pittura a cura del Castello di Rivoli e dello IED, mentre l’Accademia delle Belle Arti, insieme all’Associazione Forme in Bilico, ha realizzato un’installazione collettiva a tema marino con la creta portata dagli studenti presenti all’evento.

Una nuova iniziativa di rilievo è stata il concorso nazionale per le scuole, realizzato in collaborazione con La Stampa, i cui premi sono andati agli istituti IC Montebello Ionico, IC Sestola, Polo Infanzia 0-6 “Alice”, Istituto Comprensivo G.B. Grassi, Istituto Comprensivo “Don Bosco” e Istituto Enrico De Nicola.

Gran finale il 7 e l’8 dicembre presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, con tre repliche dello spettacolo dedicato ai bambini dai 4 anni in su “L’incredibile viaggio di Cipidillo”, per la regia di Silvano Antonelli. Un percorso educativo ed emozionante, pensato per sensibilizzare bambini e adulti sul valore dell’inclusione: grazie all’utilizzo di personaggi simbolici e immediati, il pubblico è stato accompagnato a riconoscere e comprendere le diverse forme di disabilità, mostrando quanto la diversità possa arricchire la convivenza e favorire una società più accogliente.

Il DisFestival è realizzato e sostenuto da CPD e Fondazione CRT nell’ambito del progetto Agenda della Disabilità, con il contributo di Fondazione Boscolo, Fondazione Venesio Ente Filantropico, OPES APS e Vol.To – Volontariato Torino ETS.
Sponsor: GE Avio SrlASTM GroupIren SpaSocietà Reale Mutua di Assicurazione.
Media partner: Agenzia ANSA e La Stampa. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il Consiglio Regionale del Piemonte e con il patrocinio della Regione Piemonte, della Città Metropolitana di Torino e del Comune di Torino.

Il Talk dell’Agenda della Disabilità, il Premio Giornalistico “Paolo Osiride Ferrero” e la Giornata della Scuole sono stati trasmessi anche in diretta streaming sull’HP di ANSA.it

cs

https://www.cpdconsulta.it/disfestival/

Nuovo o usato?

Chi abbia almeno la mia età ricorderà gli anni del boom economico, intorno al 1960, periodo che ha visto lo sviluppo degli acquisti con cambiali o, in casi più rari, in contanti per la lavatrice, l’automobile, il televisore, il frigorifero e, in generale, tutto ciòche rappresentava l’innovazione di quei tempi, lasciata alle spalle una guerra devastante.

Nessuno a quell’epoca avrebbe acquistato elettrodomestici o auto usate (o, come si diceva allora, di seconda mano) per due validi motivi: uno pratico, perché non esisteva ancora in mercato dell’usato di quei beni e, in secondo luogo, perché quegli acquisti rappresentavano uno status symbol, ovvero si acquistava per possedere ed utilizzare l’oggetto ma anche, e soprattutto, per farne mostra con i vicini, i parenti ed i colleghi.

Ricordo ancora quanti recandosi a lavorare in FIAT mostravano con aria di superiorità la loro 500 (in alcuni casi la 600) ai colleghi che, per ragioni che non tocca a noi sindacare, possedevano soltanto la bicicletta.

Verso gli anni ’80, iniziando la crisi che perdura tuttora, fecero la prima comparsa i mercatini dell’usato, alcuni raggruppati sotto un franchising, che permettevano da un lato di disfarsi degli oggetti ereditati da genitori o parenti vari, non più necessari o anche solo non più desiderati e, dall’altro, di acquistare un oggetto pagandolo molto meno del nuovo.

In realtà la vendita dell’usato, almeno in Italia, non è mai decollata del tutto perché, probabilmente, il desiderio un oggetto per primi è più forte della necessità di risparmiare.

Ecco, quindi, che se si eccettuano le auto a chilometri zero, dove il risparmio è di svariate migliaia di euro, o la tradizionale compravendita di immobili, sono una minima parte quelli che acquistano una cucina usata, un televisore usato, o altri mobili usati.

Persino le concessionarie auto hanno dovuto studiare nuove forme di vendita per incentivare l’acquisto delle autovetture di seconda e anche terza mano, ad esempio consentendo di inserire nel pagamento rateale la manutenzione ordinaria, polizze che coprono ogni rischio, il soccorso stradale, ecc. così da sopperire con la sicurezza al disagio dell’autoveicolo usato.

I prezzi ridotti enormemente di elettrodomestici, smartphone, computer e via dicendo hanno ulteriormente accentuato la disaffezione degli utenti nei confronti dell’usato, preferendo il nuovo anche se di qualità inferiore o addirittura scadente ad un usato di qualità.

Le convenzioni sociali, poi, fanno il resto: non posso comprare usato un capo di abbigliamento o una borsa griffati perché, se non me l’hanno mai visti indossati, capiscono subito che arrivano dal mercatino; meglio, quindi, andare sul nuovo a costo di doverci privare di altro per arrivare a fine mese.

Vale la pena sacrificarsi per apparire agli occhi degli altri come gli altri si aspettano? Ha senso apparire secondo schemi che non ci appartengono piuttosto che vivere la nostra vita come piace a noi e come ci soddisfa?

Che senso può avere spendere cifre enormi per un qualcosa di nuovo che abbandoniamo dopo poco perché passato di moda, perché cambiano i nostri gusti o semplicemente perché la tecnologia si evolve e rende il nostro acquisto obsoleto in breve tempo?

Sergio Motta

Andare a vivere da soli: 5 consigli da custodire

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Il momento in cui si decide di andare a vivere da soli per la prima volta è un passaggio cruciale, quasi un rito di crescita personale. È un’esperienza che porta con sé entusiasmo, libertà, ma anche responsabilità nuove e spesso inattese. 

Dal trasloco alle prime bollette, fino alla gestione quotidiana della casa, ogni dettaglio diventa parte di un percorso di autonomia. In questo contesto, anche temi apparentemente tecnici come il cambio caldaie possono emergere come simbolo delle nuove responsabilità domestiche: occuparsi della manutenzione e delle scelte pratiche diventa parte integrante della vita indipendente.

Ma quali sono i consigli più preziosi da custodire per affrontare al meglio questa avventura?

Gestire il budget con intelligenza

La prima grande sfida è imparare a gestire le proprie finanze. Vivere da soli significa affrontare spese fisse come affitto, utenze e alimenti, oltre a quelle impreviste. Creare un bilancio mensile, magari con l’aiuto di un foglio di calcolo o di un’app, permette di avere sempre sotto controllo entrate e uscite.

È importante distinguere tra spese necessarie e superflue, imparando a rinunciare a ciò che non è prioritario. Questo non significa vivere di rinunce, ma piuttosto sviluppare una consapevolezza che garantisce stabilità e tranquillità.

Organizzare la casa e le abitudini

La gestione della casa richiede disciplina. Non si tratta solo di pulizie, ma di creare un ambiente che rispecchi la propria personalità e favorisca il benessere.

Stabilire una routine di ordine e igiene evita di ritrovarsi sommersi da caos e incombenze. Anche piccoli gesti quotidiani, come lavare i piatti subito dopo i pasti o fare la spesa con una lista precisa, contribuiscono a rendere la vita più semplice.

Una casa ben organizzata diventa un rifugio sicuro e accogliente, capace di sostenere i momenti di stress e di amplificare quelli di gioia.

Coltivare relazioni e non isolarsi

Andare a vivere da soli non significa vivere in solitudine. È fondamentale mantenere i legami con amici e familiari, invitare persone a casa e costruire nuove relazioni nel quartiere o nella città. La socialità è un antidoto contro la sensazione di isolamento che può emergere nei primi mesi.

Creare occasioni di incontro, come una cena tra amici o un pomeriggio di studio condiviso, arricchisce la quotidianità e aiuta a sentirsi parte di una comunità.

L’indipendenza non deve mai trasformarsi in chiusura, ma piuttosto in un’opportunità di apertura verso nuove esperienze.

Imparare a cucinare e prendersi cura di sé

Uno degli aspetti più sottovalutati della vita da soli è la cucina. Imparare a preparare pasti semplici e salutari è un investimento sulla propria salute e sul proprio portafoglio.

Non serve diventare chef, ma conoscere alcune ricette base e saper gestire la spesa settimanale è fondamentale. Cucinare per sé stessi è anche un atto di cura e di amore verso la propria persona.

Allo stesso tempo, prendersi cura di sé significa rispettare i propri ritmi, concedersi pause e momenti di relax, e non trascurare attività fisiche o hobby che alimentano il benessere mentale.

Affrontare gli imprevisti con calma e responsabilità

La vita da soli porta inevitabilmente con sé imprevisti: un guasto domestico, una bolletta più alta del previsto, un problema burocratico. La chiave è affrontarli con calma, senza farsi sopraffare dall’ansia.

Essere responsabili significa cercare soluzioni pratiche, informarsi e, quando necessario, chiedere aiuto a professionisti o persone di fiducia.

Ogni imprevisto diventa un’occasione di crescita e di apprendimento. Con il tempo, la capacità di gestire queste situazioni rafforza la fiducia in sé stessi e consolida la sensazione di indipendenza.

 

Andare a vivere da soli per la prima volta è un viaggio che mescola entusiasmo e sfide. Non esiste un manuale perfetto, ma custodire alcuni consigli pratici può rendere il percorso più sereno e gratificante. Gestire il budget, organizzare la casa, coltivare relazioni, imparare a cucinare e affrontare gli imprevisti sono pilastri che aiutano a costruire una vita autonoma e soddisfacente. È un’avventura che insegna a conoscersi meglio, a prendersi cura di sé e a scoprire la bellezza della libertà responsabile.

Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento

Il libro di Daniela Prandi dedicato allo stile, alla personalità e all’autostima

I vestiti parlano. Raccontano di noi, della nostra personalità, dei nostri stati d’animo. Ogni giorno davanti ad un armadio decidiamo come presentarci al mondo, ma non è una semplice scelta, si entra, infatti, in una sfera che coinvolge diversi temi oggetto di ricerca e approfondimento nell’ambito umano. La psicologia dell’abbigliamento, nella fattispecie, è la disciplina che esplora il legame tra ciò che indossiamo e come ci sentiamo, ci percepiamo e veniamo identificati dagli altri.

Ce ne parla nel suo libro, Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento, molto interessante e concreto, Daniela Prandi che ha fatto della sua passione per la psicologia e per gli abiti un percorso lavorativo combinato, che mira a far lavorare in modo sinergico il dentro e il fuori, l’identità e l’immagine. Questo volume, organizzato tra teoria e pratica, vuole essere uno stimolo a vestirsi con la consapevolezza dei messaggi e dei poteri che l’abbigliamento possiede, ma anche una raccolta di riflessioni utili a conoscere e riconoscere la propria personalità.

La Prandi racconta “prima di avviare questa attività lavoravo nell’orientamento professionale e nella formazione e dopo 20 anni ho deciso di passare dai file ai fili, dai monitor agli specchi. Questo passaggio è avvenuto gradualmente inserendo il tema della vestemica all’interno di diversi corsi e attraverso la creazione di un progetto, portato avanti con Sabina Rosso, che si chiamava Habitus da leader, il cui focus era quello di vestire la propria leadership. In quel periodo, inoltre, mi occupavo anche di coaching e collaboravo con uno studio dove potevo coordinare le mie attività; desideravo, tuttavia, un posto tutto mio e quindi mi sono detta perché’ non aprire un negozio? Una soluzione dove prodotto e servizio si fondono per lavorare sullo stile? È nato così PersonAtelier la cui vision è quella di poter vedere più persone sempre piu’ soddisfatte ed orgogliose di chi sono e come sono, dentro e fuori”.

Vèstiti è il prodotto, tradotto in un manuale, di anni dedicati alla consulenza di stile, alla offerta di vestiti ed accessori, di gesti dedicati al potenziamento dell’autostima. Nello scritto troviamo i significati terminologici di moda e abbigliamento in relazione alla psicologia, ci si pone quesiti e si restituiscono le relative risposte sul linguaggio degli abiti, sull’identità, l’immagine e lo stile.

Il libro di Daniela Prandi, dunque, non è semplicemente un libro sulla moda, sugli outfit giusti o di tendenza è uno stimolo alla conoscenza di sé attraverso ciò che vestiamo e indossiamo, perché gli abiti e gli accessori sono la nostra seconda pelle, l’estensione del nostro se’, una maniera di comunicare a chi ci circonda la nostra identita’.

www.personatelier.com

Maria La Barbera

Buongiorno, grazie, scusa. La cortesia sta bene su tutto

L’educazione è come una camicia bianca, non passa mai di moda” diceva Toto’.

Purtroppo questa affermazione del famoso attore, commediografo e poeta napoletano ultimamente non trova molto fondamento perché sembra, invece, che le buone maniere e la cortesia stiano perdendo importanza.

Quando ero piccola ricordo che i miei genitori mi dicevano di salutare, di ringraziare e di dire per favore quando chiedevo qualcosa; era doveroso cedere il passo agli anziani, tenere la porta a chi veniva dopo di te e chiedere scusa in caso di piccoli incidenti, ma soprattutto se ci si comportava male. Cosa sta succedendo alla gentilezza? Perché si stanno perdendo quelle forme di cortesia che rendono la nostra quotidianità  più cordiale e civile? Senza dover ricorrere alle regole del Galateo che, seppur aggiornate alle nuove consuetudini, non sono sempre e comprensibilmente applicabili, sarebbe invece importante utilizzare alcuni comportamenti essenziali per facilitare le relazioni non solo tra persone reciprocamente note, ma anche nei confronti di sconosciuti che non incontreremo mai più.

Un “buongiorno” (possibilmente con un sorriso) è necessario se si incontra qualcuno di nostra conoscenza, quando si entra in un negozio, in un bar o prima di chiedere un’ informazione per la strada; un “grazie” è d’obbligo quando si riceve qualcosa, se qualcuno ci aiuta o se una persona ci dedica del tempo; un bel “per favore” è indispensabile prima di chiedere qualsiasi cosa anche se, in apparenza, non ce n’è bisogno; infine la più difficile, domandare  “scusa”, un’ espressione di  dispiacere in seguito ad una mancanza,  una specie in via di estinzione, difficilissima da pronunciare e persino da contemplare.

Se poi vogliamo andare oltre l’argomento “buone maniere”, di cui attualmente ci si sorprende come di fronte ad una apparizione, è utile sapere che un saluto, anche solo con un cenno del capo se proprio ci sentiamo timidi, un segno di gratitudine e porgere le proprie scuse  sono motivo di benessere e ci mettono in contatto con il lato migliore del nostro io. Uno studio della International Journal of Psychophysiology afferma, infatti, che essere gentili supporta l’autostima, aiuta il sistema cardiovascolare, diminuisce i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e aiuta la produzione di endorfine (i neurotrasmettitori che alleviano il dolore e lo stress).

Se i nostri gesti di gentilezza, poi, non dovessero trovare una risposta secondo le nostre aspettative, non molliamo la nostra battaglia per la civiltà, perseveriamo, proviamo a creare un circolo virtuoso e ad andare in controtendenza a queste inclinazioni di ultima generazione che ci vogliono troppo avari di cordialità e attenzioni.

Vestitevi di educazione e gentilezza. Sarete sempre eleganti”.

MARIA LA BARBERA