società

Ritiro di Pentecoste con Enzo Bianchi

Il periodo estivo presso la fraternità monastica di Enzo Bianchi è costellato da numerosi eventi.
Questa domenica, 8 giugno, si terrà il ritiro di Pentecoste: l’occasione per celebrare insieme la rinascita dello Spirito che, come dice il Vangelo di Giovanni, “soffia dove vuole, non sai né di dove viene né dove va”.
Una frase profonda, che rimanda al Mistero della Fede e all’impossibilità di possedere, racchiudere in concetti o dominare la grandezza di Dio, che resta sempre qualcosa di più grande, che va al di là della nostra comprensione. Lo Spirito arde oltre i confini del pensiero umano e si rivela solo nel silenzio dei nostri cuori.
La Pentecoste rappresenta un momento di trasformazione interiore: nel racconto degli Atti degli Apostoli (2,1-13), gli apostoli, riuniti nel cenacolo, ricevono lo Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco che simboleggia la trasformazione degli uomini impauriti in testimoni coraggiosi e il manifestarsi di un’energia spirituale che unisce e va oltre le differenze (gli apostoli parlano lingue diverse ma si comprendono) e questo sancisce la nascita della Chiesa come comunità viva: un senso di vitalità che si respira e viene rinnovato quotidianamente tra le mura della Casa della Madia.
Il ritiro presso la fraternità monastica di Enzo Bianchi, rappresenterà un momento di riflessione comune, di ricerca di sé e di ascolto di quel soffio, più profondo del nostro stesso respiro.
La giornata sarà scandita da due meditazioni, una al mattino e una al pomeriggio; la celebrazione eucaristica e l’omelia verranno presiedute da Don Piero Agrano ed è possibile ancora riservare il proprio posto al ritiro. La fraternità monastica offre questi momenti di celebrazione durante i passaggi significativi dell’anno liturgico, a partire dall’Avvento, e la Pentecoste rappresenta l’ultima di queste tappe significative.
Parteciparanno al ritiro ospiti da diverse regioni d’Italia tra cui Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto ed Emilia-Romagna.
Un’occasione per ritrovarsi insieme a Padre Bianchi e ai monaci della Madia per ricercare quel respiro che abita e arde nelle profondità del nostro essere.
È possibile prenotare inviando una mail a info@casadellamadia.it oppure telefonando al numero +39 375 507 0733.
IRENE CANE

Essere giovani in un mondo fragile

Al Festival Internazionale dell’Economia continuano i numerosi incontri con il contributo, tra gli altri, di economistisociologi, statisticidemografi, scrittori e psicologi a confronto sulle grandi sfide che il nostro tempo ci riserva e che le generazioni più giovani dovranno vivere e affrontare. Il titolo di questa edizione del Festival è infatti “Le nuove generazioni del mondo” 

Ieri mattina al Teatro Carignano Viola Ardone, docente, scrittrice, editorialista de La Stampa in dialogo con la giornalista Letizia Tortello ha offerto il suo punto di vista sfaccettato nell’incontro dal titolo “Essere giovani in un mondo fragile”.

Letizia Tortello apre con un affondo netto: Tra l’instabilità globale crescente di cui non si vede la fine, le guerre, siamo passati attraverso una pandemia, una diseguaglianza economica stabile, una crisi climatica, i legami sociali che si in deboliscono sempre di più. Ecco, vorrei partire dai numeri del sondaggio del Global Flourishing Study di Harvard che racconta la felicità delle nostre generazioni. È un sondaggio aggiornato all’anno scorso, ma insomma direi che le cose non sono tanto cambiate in meglio per alcuni fattori. Risulta che la visualizzazione plastica della felicità è sempre stata quella di una U. Quindi da giovani felici poi nell’età adulta con dei problemi, quindi la curva appunto discendente, per poi risalire nell’età più matura con una ritrovata nuova felicità, una stabilità maggiore. E invece da questo sondaggio molto recenteviene fuori che quasi la metà della generazione Z dice di sentirsi spesso o sempre ansioso. Cioè, i giovani dicono di essere più stressati rispetto agli anziani. E questo non lo dicono loro, ma sono i numeri che lo dimostrano e più soli rispetto alle generazioni precedenti e quindi questa U si trasforma in una J. E allora volevo proprio chiederti questo: che cosa ci raccontano, che cosa ti raccontano i giovani di questo mondo che gli abbiamo impacchettato e infiocchettato per venire al mondo?

Viola Ardone ci offre con la sua risposta una contronarrazione:

Intanto il titolo che ho voluto dare a questa chiacchierata è un po’provocatorio, per immaginare anche una contro narrazione rispetto a quello che è diventato uno stereotipo dei giovani fragili dei giovani bamboccioni, dei giovani violenti che sono tutti bulli, menefreghisti che sono tutti ossessionarti dal telefonino, non hanno prospettive. Questa fragilità dei giovani che è diventata anche un po’ un alibi, una foglia di fico. Ma è una narrazione che serve più a noi adulti che a loro. Come a dire: non siamo noi che gli abbiamo consegnato una scatola vuota, un pupazzo senza corda, nel futuro, ma sono loro che sono fragili e quindi la colpa è loro che sono tarati male e hanno una fragilità intrinseca e quindi di fronte alle difficoltà vanno in pezzi. Io siccome sono una grande sponsor dei ragazzi della nuova generazione, perché li io osservo, li vedo perché ne conosco anche un po’ tutte le criticità come tutte quelli che lavorano nella scuola come me. Chi ha figli adolescenti anche, conoscendoli vediamo un po’ che il paradigma è molto diverso. Ovvero, il mondo si è un po’ infragilito per le cose che dicevi tu, anche perché quella autostrada del futuro che era prospettata alle altre generazioni in cui c’era più o meno un iter definito, il conseguimento di alcuni titoli di studio, la laurea, l’ingresso nel mondo del lavoro, l’ingresso nel mondo della famiglia, tutto questo è diventato più fluido. Il nostro poi è un paese in decrescita ormai dal punto di vista demografico. Quindi in questo mondo che è diventato un po più instabile loro secondo me si stanno fortificando. Cioè non è fragilità la loro, è una capacità di assorbire colpi in maniera diversa. Anche la questione dei telefonini e dei social, io sono molto d’accordo con la proposta fatta anche ultimamente da Macron e altri leader europei di vietare il telefonino fino ai 13 anni. Però è anche vero che poi la proibizione per chi passa? Passa sempre per le famiglie. È vero e i ragazzi hanno un legame spesso patologico con i telefonini efaticano a distaccarsene. Loro vengono raggiunti dalle stesse notizie, sollecitazioni che raggiungono noi adulti, mentre per le generazioni precedenti non era così, cioè c’erano una bolla d’infanzia e una bolla di adolescenza per cui poi tramite l’acquisto del giornale, il quotidiano, il telegiornale si parlava in famiglia e si entrava nelle problematiche più adulte gradualmente e se ne parlava a scuola. Ora, quella bolla dì protezione non c’è più perché come arrivano a me le notizie anche inquietanti e tremende, così arrivano anche a loro. E questo in qualche modo li rende anche più tosti più forti.

GIULIANA PRESTIPINO

Intercultura al centro da 30 anni

Compie trenta anni in questi giorni l’ASAI (Associazione di Animazione Interculturale), un’associazione di volontariato presente a Torino sin dal 1995, fondata nel cuore del quartiere San Salvario, voluta da famiglie e volontari a metà degli anni 90.
Oggi, in collaborazione con la cooperativa Terremondo, nata nel 2003, propone numerose attività che coinvolgono ogni anno oltre un migliaio di bambini e adolescenti, centinaia di volontari e tirocinanti e di adulti. Ad oggi l’ASAI ha visto passare nei suoi spazi di studio e nei laboratori quasi 100 nazionalità diverse.
A Torino l’associazione collabora con oltre 30 scuole del territorio ed è sostenuto da oltre 100 enti pubblici e privati, attraverso rapporti di collaborazione e di sostegno finanziario.
L’ASAI promuove da sempre percorsi che favoriscono l’inclusione, il protagonismo giovanile, il benessere sociale di minori e adulti., in una prospettiva interculturale Al centro delle attività e come missione dell’associazione c’è l’accoglienza e la tutela delle persone in situazioni di fragilità, per contrastare la povertà educativa e prevenire la dispersione scolastica.
Insieme al supporto scolastico e ai corsi di italiano, si svolgono laboratori di creatività, cultura e arte sociale, per sostenere l’inclusione e la cittadinanza responsabile.
Inoltre l’associazione organizza campi estivi e invernali e gestisce i centri estivi nelle varie sedi in cui è dislocata.

Tra i progetti in corso

Well being – L’alchimia dell’incontro, che propone un ampio ventaglio di opportunità multidisciplinari rivolte a minori e famiglie al fine di rafforzare la comunità educante. Attraverso il metodo cooperativo, il progetto stimola la partecipazione attiva, il coinvolgimento dal basso e i processi di community engagement.

Si può Fare che ha l’obiettivo di promuovere un programma nazionale di valorizzazione delle idee e delle proposte dei giovani per la rigenerazione di spazi pubblici attraverso il volontariato e la cittadinanza attiva con il coinvolgimento di tutta la comunità. La struttura della rete si basa sulla metodologia del microprogetto come strumento di coinvolgimento di giovani, che abbatte le barriere poste alla partecipazione giovanile, e ne valorizza idee e creatività, facilitando la diretta realizzazione delle idee da loro proposte. I microprogetti sono rivolti prioritariamente a giovani precedentemente non attivi nel volontariato, in organizzazioni giovanili o in iniziative di cittadinanza attiva, con particolare attenzione a coloro che soffrono condizioni di svantaggio economico, sociale e/o geografico.

Cassiopea, un progetto che ha avviato un sistema di interventi volti ad attivare, rigenerare e rinforzare la comunità educante nei territori del quartiere Aurora a Torino e nel Comune di Piobesi T.se, attraverso la messa a sistema di azioni di coinvolgimento di minori, famiglie, italiani e stranieri, commercianti, enti pubblici e privati, al fine di costruire un villaggio educativo.

Il mio posto nel mondo, che dal 2021 prevede azioni di supporto scolastico, attività sportive, laboratoriali e scientifiche, campi estivi e sportivi per adolescenti, sostegno linguistico per L2 lingua seconda e rafforzamento delle materie di base, percorsi mirati di orientamento scolastico e job oriented, formazione specifica, azioni di comunità, monitoraggio e valutazione.

L’ASAI a Torino si trova in via Sant’Anselmo 27/E, nel quartiere di San Salvario, in via Genè 12 e in via Pinerolo 10, nel quartiere Aurora, e all’interno del Centro Interculturale di corso Taranto 160 nel quartiere Barriera di Milano.

Carmelina Maurizio

Giro d’Italia europeo

Proprio mentre sta per passare il Giro d’Italia nel Canavese, da dove sto scrivendo, mi vengono spontanee alcune riflessioni.

Da alcuni anni la partenza del Giro avviene all’estero (nel 2022 da Budapest, quest’anno da Durrës) per poi proseguire nel nostro Paese fino all’arrivo.

Certo, viene meno il significato di Giro d’Italia stante che una parte, benché minima, avviene in territorio straniero, ma a parer mio conta dove avvenga la maggior parte del percorso.

Analogamente avverrà con la Vuelta, analogo spagnolo del nostro Giro, che partirà da Venaria Reale e che nel 2023 partì dall’Olanda.

Una commistione di luoghi stranieri in un evento che da sempre è, invece, caratteristico di un Paese, con i suoi colori ben definiti (giallo per il Tour de France, rosa per il nostro Giro e rosso per la Vuelta) può significare molto, a seconda di quale metro si usi: abbattimento ideale dei confini e dei nazionalismi, inserimento nel percorso di difficoltà che, forse, nel proprio territorio non esistono (si pensi alle altitudini nostrane rispetto a quelle spagnole) o altro.

Resta il fatto che io, personalmente, sono incerto se accogliere con piacere questa innovazione o considerarla una modernizzazione fuori luogo di un evento storico.

Si potrebbe per esempio creare un Giro d’Europa settentrionale, uno per l’Europa meridionale e idem per quella centrale, oppure togliere l’attributo nazionale, chiamandole soltanto Giro o Tour.

La cosa che, però, veramente mi lascia interdetto è che questa modernizzazione avviene proprio mentre dal punto di vista politico l’Europa sta marciando in direzione opposta, ovvero nella direzione dei nazionalismi, del mantenimento delle tradizioni e delle identità nazionali.

Ad una prima analisi si potrebbe rispondere che gli eventi sportivi citati siano in realtà organizzati non dagli Stati in cui l’evento ha l’arrivo ma dai Giornali che possono, ora in un modo ora in un altro, essere filogovernativi o esserne antagonisti, com’è attualmente per la maggior parte dei nostri o da Associazioni come l’Amaury Sport Organisation che, in ogni caso, fa capo al quotidiano l’Equipe.

Occorre dire che gli eventi professionistici stanno allo sport come l’arte sta alla grande industria, per cui lo stesso gruppo un domani potrebbe smettere di seguire il ciclismo per dedicarsi alle regate.

Il motivo per cui da alcuni anni queste partenze non avvengano più in territorio nazionale non è chiaro e potrebbe proprio essere un segnale in controtendenza con la politica di chiusura attuata da alcuni Paesi.

Certo è che lo sport dovrebbe essere apolitico, apartitico e, soprattutto, unire i popoli anziché dividerli o porli su rive opposte; altrimenti si rischia di assistere nuovamente a episodi come quello delle Olimpiadi di Berlino nel 1936 dove moderni Hitler rifiuteranno di stringere la mano agli Owens di quel contesto.

Ed è simbolico che proprio l’Ungheria, attualmente uno dei Paesi più nazionalisti, abbia dato il via al nostro Giro nel 2022.

Non sarà, per caso, che dove arrivano sponsorizzazioni e ricadute economiche fantastiche la politica va in vacanza per qualche giorno? 

Sergio Motta

Il paradosso della tecnologia, ragazzi connessi ma sempre più soli

Come ogni strumento inventato dall’uomo, anche la tecnologia rappresenta due lati di una stessa medaglia e se vogliamo vedere l’aspetto buono, anziché quello nocivo, dobbiamo impararne il corretto utilizzo ed insegnarlo ai nostri ragazzi.

Sebbene all’origine di questi strumenti vi siano degli scopi militari, sia i computer che Internet sono nati come strumenti di difesa, la tecnologia moderna sembra rappresentare un aiuto per connettere le persone e semplificare le nostre vite in ogni ambito.

Se pensiamo alla possibilità di comunicare seduta stante con una persona dall’altra parte del mondo, alla domotica che ci aiuta a gestire le nostre case o ancora all’elettronica delle nostre auto, i vantaggi sono tanti. Tuttavia, quando avviene un abuso di questi strumenti, ecco che il lato nocivo della medaglia inizia a palesarsi.

Nel momento in cui la tecnologia aiuta le persone in modo eccessivo e totalitario, gli esseri umani iniziano ad adagiarsi e a dimenticarsi delle loro capacità: la videochiamata o il messaggio con l’amico lontano diventano una scusa per videochiamare e messaggiare anche l’amico vicino, senza doversi alzare dal proprio divano; la possibilità di usare Alexa per dare comandi come l’avvio del robot che pulisce la casa o l’accensione della tv, rappresentano altre strategie per non scomodarsi da dove si è, così come il display dell’auto che si accende durante la retromarcia porta ad adagiarsi all’utilizzo dei sensori, mettendo in secondo piano le nostra capacità di attenzione e di percezione del campo visivo.

Ecco perché bisogna insegnare ai giovani, i quali vivranno in un mondo ancora più tecnologico, a comprendere bene l’utilizzo di questi strumenti.
Diventa necessario per loro che venga insegnata la capacità di riflettere sull’utilizzo della tecnologia, di capire quando diventa un eccesso e di trovare modi e spazi per prendere le distanze e disintossicarsi da tutto questo.

Basterebbe iniziare con pochi e piccoli accorgimenti come lasciare il telefono in un’altra stanza per almeno quindici minuti al giorno, far notare loro come ci si possa sentire senza vincoli quando la tecnologia non li rende succubi, invitare alcuni amici a casa e suggerire di trascorrere del tempo insieme senza avere sempre gli smartphone a portata di mano.

Non è facile attuare degli accorgimenti di questo tipo, soprattutto se gli adolescenti sono già grandi, ma vale la pena provarci perché, se è quasi certo che oggi faranno fatica a capirci, è altrettanto probabile che un domani, invece, verranno a ringraziarci.

IRENE CANE

Psicologa

Un intreccio di memoria, arte e territorio

DNA –Dominanti Nature Artistiche L’associazione culturale di Carlotta Micol De Palma,attrice e Giorgio Cecconi,scenografo,che intreccia memoria, arte e territorio.

Nel cuore di un panorama culturale sempre più frammentato, DNA – Associazione Culturale rappresenta un esempio concreto di come la creatività possa diventare strumento di connessione, riflessione e trasformazione. Fondata da Carlotta Micol De Palma e Giorgio Cecconi, DNA nasce con l’intento di riscoprire e valorizzare le storie, le memorie e le identità sommerse, spesso dimenticate o marginalizzate, attraverso linguaggi artistici e percorsi di ricerca partecipata.

L’associazione si distingue per un approccio che unisce sperimentazione artistica, rigore nella documentazione e profondo radicamento nei territori. De Palma e Cecconi, unendo competenze e sensibilità differenti, hanno dato vita a una realtà dinamica che opera al confine tra l’arte,e l’attivismo culturale. Al centro delle attività di DNA vi sono la narrazione dei luoghi e delle persone, la costruzione di progetti collettivi e la cura di archivi di memoria viva, frutto di ascolto, dialogo e coinvolgimento diretto delle comunità.

Tra le iniziative promosse, si trovano laboratori con giovani,mostre,laboratori teatrali e cinematografici,musica installazioni multimediali e produzioni video,tutto quanto fa arte e spettacolo. Ogni progetto è pensato come un processo aperto, che cresce nel tempo e si arricchisce delle voci di chi vi partecipa.
DNA è, in definitiva, un esempio di come l’arte, se mossa da una visione etica e collettiva, possa diventare spazio di rigenerazione, tanto culturale quanto sociale.

Enzo Grassano

Il dramma dei padri separati: tra speranze, difficoltà e nuove sfide

IL TORINESE WEB TV

La separazione è sempre un momento difficile, ma per molti padri diventa un vero e proprio dramma che coinvolge emozioni profonde, difficoltà pratiche e spesso anche un senso di ingiustizia. Sono tanti gli uomini che, dopo aver vissuto momenti di gioia e condivisione con i propri figli, si trovano a dover affrontare una realtà complessa e spesso dolorosa. Per molti padri, il desiderio più grande è quello di mantenere un rapporto attivo e significativo con i figli, anche dopo la separazione. Tuttavia, le dinamiche legali, le resistenze dell’ex partner e le difficoltà economiche possono rendere questa aspirazione difficile da realizzare. La battaglia per l’affidamento, le visite e il mantenimento diventano spesso un percorso fatto di ostacoli, tensioni e delusioni. Il dolore più grande si manifesta quando si sente di essere stati allontanati dalla vita dei propri figli, di non poter partecipare alle loro gioie e ai loro momenti importanti. Molti padri si trovano a dover lottare non solo contro le questioni legali, ma anche contro un senso di impotenza e di perdita. La mancanza di un ruolo attivo nella crescita dei figli può portare a sentimenti di tristezza, frustrazione e isolamento. Inoltre, il dramma si acuisce quando si affrontano le difficoltà economiche legate al mantenimento e alle spese per i figli. La legge prevede che entrambi i genitori contribuiscano, ma non sempre le possibilità economiche sono sufficienti, e questo può generare tensioni e sensi di colpa. Nonostante tutto, è importante ricordare che ci sono molte associazioni e movimenti che si battono per i diritti dei padri e per un’equa tutela dei loro ruoli. La società sta lentamente cambiando, riconoscendo sempre più l’importanza di un coinvolgimento attivo di entrambi i genitori nella vita dei figli. Ai nostri microfoni il presidente Luca Ronzani, dell’ Associazione Misericordia S.p.A., Società per Amore, spiega il dramma dei papà che, pur avendo un lavoro con un reddito medio, non riuscendo a far fronte, economicamente, a tutte le spese dovute alla separazione e all’assegno di mantenimento a moglie e figli, sono costretti, a volte a dormire in macchina o addirittura, sotto i ponti. Da non sottovalutare, inoltre, spiega l’avvocato Salvatore Dimartino, il danno “educativo” procurato ai figli dalla mancanza della figura paterna. Il papà rappresenta un punto di riferimento, un modello di sicurezza e protezione. La presenza di un genitore maschile può contribuire a sviluppare nei figli un senso di stabilità, autostima e fiducia in sé stessi. La mancanza di questa figura può portare a sensazioni di abbandono, insicurezza e difficoltà nel gestire le emozioni. È fondamentale che le istituzioni, le famiglie e la società nel suo insieme lavorino per creare un ambiente più giusto e solidale, dove i figli possano crescere con l’amore e la presenza di entrambi i genitori, e dove i padri possano vivere questa fase difficile con dignità e speranza

FRANCESCO VALENTE

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Torino secondo il Sole 24 Ore non è una città per giovani. Ma si piazza meglio di Milano

L’ultimo report de Il Sole 24 Ore  non è molto positivo per Torino. Il capoluogo piemontese  non ottiene risultati brillanti nella classifica sulla qualità della vita per i giovani tra i 15 e i 34 anni, ma riesce comunque a posizionarsi meglio di Milano, che occupa l’ultima posizione. Un piccolo motivo di soddisfazione nella storica rivalità con la metropoli lombarda, che attrae più ricchezza ma si rivela poco accessibile per gli under 35 a causa dei costi elevati degli affitti e della vita in generale.

In realtà, tutti i grandi centri urbani faticano in questa analisi: Roma è ultima al 107° posto, Napoli al 104°, Milano al 101°, mentre Torino è 90ª, restando comunque nella parte bassa della classifica. La situazione occupazionale non è confortante: Torino è solo 63ª per occupazione giovanile, un risultato deludente se paragonato a Cuneo, che è settima. Se si guarda alla stabilità lavorativa, Milano offre le migliori garanzie con contratti a tempo indeterminato, mentre Torino si colloca al 57° posto. Anche il livello di soddisfazione dei giovani torinesi rispetto al proprio lavoro è piuttosto basso: la città è 52ª, ben lontana da realtà come Asti, che si posiziona al secondo posto a livello nazionale.

Ci sono però anche dati più positivi. Torino ottiene il 21° posto per imprenditoria giovanile, il 24° per percentuale di laureati e il 31° per l’offerta culturale e di spettacoli, dimostrando una certa vivacità in ambiti legati all’istruzione, all’iniziativa personale e alla cultura.

Dove invece la città soffre è nel comparto abitativo: il divario tra affitti in centro e in periferia la colloca all’80° posto, mentre per il costo medio degli affitti è addirittura al 99°. Poco incoraggianti anche i dati sulla partecipazione politica dei giovani, con un 92° posto per presenza di amministratori comunali under 40.

Infine, anche gli indicatori legati alla famiglia e alla sicurezza non sorridono al capoluogo piemontese. Torino è 93ª per età media al parto e 85ª per numero di matrimoni. La percezione di insicurezza è diffusa: molti giovani, dai 14 anni in su, dichiarano di non sentirsi al sicuro a camminare da soli nel proprio quartiere, facendo scivolare la città all’86° posto in Italia per questo indicatore.

Aumentano i casi di Hikikomori

NUMERI TRIPLICATI IN TRE ANNI
Hikikomori è un termine giapponese utilizzato per indicare l’isolamento e il ritiro sociale.
Il fenomeno, conosciuto in Giappone dagli anni ‘70, esordisce a causa delle restrittive regole sociali volte alla perfezione e all’imposizione di ruoli e carriere ben definiti.
Secondo le analisi del CNR-IRPPS (Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali), i casi di Hikikomori in Italia sono triplicati nel giro di tre anni, complici la pandemia da Covid-19 e la transizione digitale.
I ragazzi coinvolti nel fenomeno manifestano un ritiro sociale evidente, spesso non frequentano nemmeno la scuola dell’obbligo e faticano a uscire dalla porta della loro stanza, sempre chini sui loro dispositivi digitali.
I sintomi più manifesti sono l’ansia e la depressione, in alcuni casi con rischio suicidario.
I ragazzi hikikomori manifestano disinteresse nella cura di se stessi e prediligono la consumazione dei pasti all’interno delle mura della loro stanza.
L’incontro con amici virtuali, che popolano la rete, consente loro di interagire con un mondo fittizio ma controllabile e di sopperire al bisogno di relazioni sociali reali, tipico della loro età.
All’origine di questo fenomeno possiamo trovare situazioni di fallimento scolastico e sociale, un basso livello di autostima, delle aspettative troppo elevate da parte degli adulti, un utilizzo eccessivo della tecnologia e la presenza di episodi di bullismo o cyberbullismo.
I genitori dei ragazzi hikikomori faticano a gestire il disturbo dei loro figli, molto spesso sono anche impreparati davanti al riconoscimento dei segnali di allarme e non sanno come intervenire.
La terapia, solitamente, prende in carico sia i ragazzi che le loro famiglie, offrendo un intervento che possa lavorare non solo sul paziente, ma anche sul contesto in cui vive.
Accanto all’intervento dei professionisti specializzati, risultano indispensabili anche le attività di sensibilizzazione sul fenomeno, coinvolgendo così famiglie, scuole e, in senso più ampio, la società.
Dott.ssa Irene Cane, psicologa

Tengo i libri o li cedo?

Da alcuni anni si è sviluppata la pratica del book crossing, ovvero lo scambio incrociato dei libri: io lascio un libro che mi apparteneva e ne prendo un altro, poi terminata la sua lettura ripeterò il procedimento e così via.

Ovunque, nelle città turistiche come nelle grandi aziende, nelle cabine telefoniche di alcuni piccoli Comuni piuttosto che in alcuni bar e ristoranti, si vedono libri a disposizione di chiunque voglia prenderli e leggerli, in cambio se possibile di uno o più libri lasciati.

In un periodo in cui si legge pochissimo (la media in Italia è di meno di un libro l’anno pro capite) da una lato questa pratica stupisce, dall’altro crea speranza.

Fino a qualche tempo fa vigeva la regola non scritta che i libri non si cedono mai, come se si trattasse di un bene prezioso o di un titolo di merito; in effetti il compianto senatore Spadolini vantava una biblioteca privata di oltre 60.000 titoli che sicuramente non avevo letto tutti (a leggerne uno al giorno occorrerebbero 164 anni); molte persone, più semplicemente, conservano con gelosia i libri ereditati, quelli ricevuti in regalo in particolari occasioni o autografati dall’autore o di particolare valore economico o storico.

Personalmente credo che leggere sia molto importante per diversi aspetti: la formazioni di una cultura, la comparazione tra il nostro pensiero e quello dell’autore, la confutazione di informazioni errate sulla cui veridicità eravamo certi.

Oggigiorno è possibile trovare libri usati a prezzi irrisori (1-2 euro); ciò nonostante pochissimi leggono; spero che il book crossing che quasi ti porta i libri sotto casa gratuitamente possa invogliare sempre più persone ad avvicinarsi alla lettura.

Ricordo quando cambiai casa a 9 anni andando a stare vicino ad un supermercato dove erano posti in vendita anche gialli per ragazzi, altre collane di libri economici e manuali di vario genere; ogni settimana, andando a fare la spesa con i miei, almeno un libro era mio, ed i miei soddisfacevano volentieri questo mio desiderio; la lettura, specie una volta coricatomi nel letto, era un mezzo per rilassarmi dopo una giornata, lasciare andare la fantasia immaginandomi ora questo personaggio ora quello, e preparandomi al sonno ristoratore.

L’utilizzo degli smartphone, oggi, ottiene l’effetto contrario; nessuna fantasia da cavalcare, eccitazione dovuta all’utilizzo di videogiochi stimolanti anziché rilassanti e isolamento perché se prima un libro poteva essere discusso con compagni di scuola e amici, ora il gioco sullo smartphone ci rende isolati anche quando siamo seduti uno di fianco all’altro.

Se prima aver letto quel libro poteva servire a fare breccia nel cuore di una ragazza, ora avere quel videogioco ti mette alla pari di quegli altri ipnotizzati dalla tecnologia e con il QI in caduta libera.

Ho verificato: la lettura non sviluppa effetti collaterali anche in concomitanza con altre pratiche culturali, quali lo sport, i giochi come gli scacchi o la meditazione; mi sento, dunque, di consigliare a chiunque la lettura di almeno un libro al mese: sarebbe un bel modo di differenziarvi dalla massa emergendo anziché omologarvi appiattendovi verso il basso.

Immaginate, quando state conquistando una persona (uomo o donna, non c’è differenza), di citare una frase come “ti accorgerai che nella tua vita incontrerai molte maschere e pochi volti” (Pirandello): salirete nella top ten.

Se poi riuscirete a presentare alcune tesi frutto della lettura di un classico o di un saggio o narrare la biografia di un personaggio storico salirete sul podio.

Per salire al primo posto, però, dovrete dimostrare di aver capito ciò di cui parlate, e non fare una ripetizione a pappagallo.

Omologarsi è facile, basta copiare gli atteggiamenti altrui; distinguersi è veramente indice di intelligenza e di diversità.

Sergio Motta