IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni perché essa nacque pochi mesi dopo la liberazione di Roma del 4 Giugno 1944, quando il nuovo ministro del Tesoro Marcello Soleri – antifascista liberale fedelissimo di Giolitti – diede vita al sodalizio che avrebbe raccolto il fior fiore dei piemontesi che si erano trasferiti nella capitale per viverci o per esercitare funzioni pubbliche o private di rango. Era un’idea che si sarebbe potuta realizzare dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 con la nascita di nuovi quartieri romani, come il Prati, abitato prevalentemente da piemontesi.
La morte nel 1945 di Soleri non fu di ostacolo alla rapida crescita dell’associazione che fu presieduta dall’ing. Mario Fano a cui succedette Luigi Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi ministro e infine presidente della Repubblica. Un altro presidente importante fu Giuseppe Pella economista biellese e presidente del Consiglio nel 1954. Presidente di spicco anche fu Adolfo Sarti, ministro di origini cuneesi anche lui democristiano come Pella. Furono presidenti anche i ministri liberali Renato Altissimo e Valerio Zanone. Eminenza grigia che volle essere soltanto vicepresidente, fu Renzo Gandolfo, un manager con forti interessi per la cultura piemontese il quale realizzò a Torino il Centro di studi piemontesi. Non vanno tuttavia dimenticati i nomi di Manlio Brosio, di Vittorio Badini Confalonieri e di Federico Chabod che incaricò lo storico siciliano Rosario Romeo di scrivere nel 1961 sul Conte di Cavour nel centenario dell’Unità d’Italia. Romeo trasse da quell’invito l’idea di scrivere l’immensa biografia in tre volumi del gran conte.
Alla Famija Piemonteisa si respira aria di Piemonte, ma non si è mai caduti nel piemontesismo.

L’attuale presidente, il giornalista radiofonico Enrico Morbelli, ne è la dimostrazione: un piemontese quasi sempre vissuto a Roma che ha mantenuto la casa di campagna in Piemonte dove torna ogni anno. Il Segretario generale Francesco Ugolini è l’anima organizzativa del sodalizio.
La Famija ebbe una sede sontuosa in cui si tennero memorabili convegni e sfarzose feste. Poi i costi si rivelarono impossibili da sostenere. Fu Valerio Zanone a chiudere la sede e a trovare un accordo con le diverse associazioni regionali esistenti a Roma che decisero di chiedere al sindaco Veltroni una sede da condividere. Per un certo periodo la Famija divenne l’associazione Piemontesi a Roma, perdendo un po’ del suo smalto storico. Il recupero dell’ antica denominazione piemontese è merito del presidente Morbelli. Un numero alto e qualificato di piemontesi, orgogliosi delle proprie radici, che vivono a Roma, sentono la Famija come una sorta di “altera domus” subalpina nella capitale. Essa realizza ogni anno un’intensa attività culturale, dedicandosi al ricordo storico dei piemontesi illustri del passato e alla presentazione di libri di autori piemontesi, pur senza chiusure aprioristiche. Mario Soldati negli anni in cui si dedicò al cinema e visse a Roma, era solito dire che respirare un po’ di aria piemontese alla Famija e recarsi alla stazione Termini per tornare a Torino erano le sue massime aspirazioni di torinese costretto a vivere in una città che non amava, perché troppo identificata col fascismo vecchio e nuovo.
Il divieto del corteo filo palestinese del 7 ottobre da parte del Questore di Torino non è stato rispettato da circa mille persone. Al di là del motivo della protesta filo palestinese, inneggiante al massacro di Israeliani del 7 ottobre dello scorso anno, e al di là dell’evidente e vergognoso antisemitismo esibito dai manifestanti, pacifici e violenti (senza distinzioni) che ha suscitato lo sdegno del Rabbino Capo, qui si pone in tutta evidenza un problema che ci fa tornare al ‘68, quando i cortei non autorizzati divennero la regola. È accettabile che un corteo vietato per comprovati motivi dal Questore venga svolto egualmente come se fosse normale infrangere i divieti? È normale che i partiti, i politici e le istituzioni non abbiano nulla da dire su queste trasgressioni che sono l’ anticamera del disordine, volendo usare una parola edulcorata? La democrazia è fatta anche di regole. Il fatto che in questi cortei siano feriti dei poliziotti in numero sempre più ampio non può lasciare indifferenti. Chi ha vissuto l’eterno ‘68 italiano sa per averli visti e sofferti i pericoli di queste trasgressioni tollerate. Trasgredire ad un divieto motivato e’ già un atto di violenza e di illegalità che non va sottovalutato.

La legge del 1992 sulla cittadinanza si è rivelata un’ottima legge, una delle poche ottime leggi. Infatti nessun governo della II Repubblica l’ha cambiata, ne’ quelli di destra, ne’ quelli di sinistra. Oggi tre gatti di finti radicali di + Europa e i residuati bellici di quello che fu il partito socialista hanno lanciato un referendum per ridurre da 10 a 5 anni i tempi per la cittadinanza italiana, approfittando della raccolta delle firme (sempre 500mila, pochissime!) per via elettronica. Hanno dimenticato che il voto implica ancora di recarsi ai seggi di persona e che i referendum non hanno da tempo raggiunto il quorum necessario e hanno fatto sprecare denaro pubblico inutilmente. L’abuso di referendum andati in fumo per mancanza del quorum ha depotenziato lo strumento, screditandolo. Questo referendum è meramente strumentale perché una cittadinanza non può essere un dono, ma essa deve essere legata al rispetto di certe condizioni stabilite dalla democraticissima legge del 1992. I finti radicali di Magi (che è tutto fuorché un leader) non sono affidabili e non possono essere confusi con Pannella che mai si è lanciato in un referendum farlocco come questo.
Ho visto fotografie della presidente Giorgia Meloni che parlava all’ONU davanti ad una sala semivuota. Che tristezza per l’Italia, assai poco considerata, se penso che il ministro degli Esteri Fanfani, unico italiano, divenne presidente eletto dell’Onu. Neppure il fluido inglese della Meloni è bastato. Tutto il suo impegno per la politica estera non ha dato frutti. Sono argomenti su cui meditare, se consideriamo che l’impegno estero l’ha distolta dai problemi italiani abbandonati a ministri spesso non all’altezza del compito. Floris ha esibito quelle fotografie alla inguardabile 7, io che pongo l’Italia sopra tutto, sono amareggiato.

Ho conosciuto don Ottaviano con cui ebbi scontri televisivi piuttosto aspri molti anni fa. Non era certo un diplomatico , era un credente molto convinto. Quando ci conoscemmo a tu per tu, capimmo che avremmo potuto andare d’accordo e così è stato per molti anni perché le cose che ci univano erano molte. So che tanti giovani e non giovani avevano per lui una venerazione e credo che l’uomo e il sacerdote lo meritasse per davvero. Io sono stato molto amico del filosofo e sacerdote ,docente in quello stesso liceo, don Luigi Lo Sacco. Lui, forse più ancora di 0ttaviano, andrebbe ricordato. A Lo Sacco ho voluto bene e l’amicizia è stata totale. Oggi esistono insegnantini di religione che non sono neppure comparabili con Ottaviano.
immediatamente. La partigiana titina appartiene ad un’altra storia, a quella degli infoibatori, dei persecutori, non degli oppressi. Questo è buonismo stupido e non in buona fede. Che la targa sia stata posta in una scuola appare una indecenza di cui il preside dovrebbe rispondere disciplinarmente.






Piero Bianucci ha compiuto 80 anni ed Alberto Sinigaglia ha scritto su di lui in modo impareggiabile. Letterato e uomo di scienza, Piero è un unicum che va oltre anche a Piero Angela con cui ha collaborato. Io lo ricordo acuto critico letterario alla “Gazzetta del Popolo” dove anch’io ho esordito. Ma alla “Stampa” Bianucci ha superato se’ stesso diventando giornalista scientifico di straordinario valore. Si dice spesso che umanesimo e scienza non si tengono insieme. Invece Piero è l’interprete più autorevole e significativo dello spirito leonardesco che fa di lui un signore del Rinascimento.
rivela sempre un uomo di parte che confonde la satira con forme assai discutibili di finto ribellismo. Aver presentato Gene Gnocchi travestito da generale di divisione con tanto di stellette come una satira al militare Vannacci diventato leghista, e’ un’ esagerazione irrispettosa dell’uniforme dell’Esercito che non consente di scherzare impunemente, quando la si indossa . Quelle sue stellette “son disciplina”, cantavano i soldati nella Grande Guerra. E Gnocchi deve evitare di indossarla per fare le sue battute. Soprattutto le stellette! Chiambretti, a corto di argomenti, ha anche riproposto un’attempata Alba Parietti che non è cambiata nell’emettere con una certa presunzione sentenze sempre partigiane che rivelano superficialità e ideologismo vecchio di decenni . E’ meglio frequentare i ristoranti di Chiambretti che vedere la sua nuova trasmissione.
Rete 4 con Del Debbio si è avventurata con eccessiva insistenza sulla signora Boccia con l’intento di massacrarla, senza accorgersi forse che questi attacchi finiscono di aggravare la situazione del ministro Sangiuliano. Forse un po’ di silenzio su questa vicenda sarebbe utile. E magari un po’ di attenzione sul nuovo ministro alla cultura De Giuli non sarebbe fuori luogo perché il personaggio rivela delle ombre e suscita delle perplessità che andrebbero chiarite. Del Debbio, denunciando la situazione di pericolo attorno alla stazione centrale di Milano, fa sicuramente un’opera socialmente utile, anche se i toni usati creano paura e allarmismo. Non basta denunciare, occorre ascoltare e mettere alle strette in Tv il ministro degli Interni, il prefetto e il questore di Milano per sapere cosa intendano fare per rendere di nuovo sicura la stazione. Il problema ovviamente non è solo milanese, ma di tante città. Del Debbio usa parole e commenti come se ai vertici del Governo ci fosse la sinistra. Una deformazione professionale incredibile. Sta di fatto che un vero giornalismo televisivo è cosa diversa sia da Rai 3 sia da Rete 4. Quando potremo assistere a qualche trasmissione pluralista, in cui non ci siano solo degli esagitati che urlano?


Non è solo la fine della bolla edilizia che ha fatto arricchire a dismisura impresari senza qualificazione professionale e senza scrupoli, ma anche le cattive amministrazioni comunali e anche la Regione che hanno impoverito il territorio di iniziative, a determinare la non attrattività delle cittadine liguri che in un passato molto lontano avevano un loro stile. Pensiamo ad Alassio con Mario Berrino che fece esplodere l’estate. Oggi il modello medio è Borghetto Santo Spirito. Neppure Varigotti si è salvata dal casino provinciale. Mentre il Sud è progredito con una clientela internazionale di qualità – pensiamo al Salento – la Liguria, se escludiamo le Cinque Terre, si è rivelata un gambero surgelato, neppure di qualità. Anche la ristorazione fa acqua da tutte le parti e non ha più locali adeguati pur mantenendo prezzi esosi e a volte senza ricevuta, l’associazionismo socioculturale è ridotto al mondo dei carugi maleodoranti ed è formato da ridicoli personaggi quasi ottantenni molto patetici e premiati dal Conune come a Carrù fanno con il bue grasso che celebrano, a loro volta uno dei preti più discussi, don Gallo di Genova, il prete di estrema sinistra, amico di De Andrè e di Giuliani aggressore di un carabiniere. Giornalistini creano incontri letterari con scrittorelli senza notorietà. Anche Toti, se escludiamo il ponte Morandi che era un dovere minimo rifare in fretta, ha lavorato male, privando del pronto soccorso territori liguri che oggi non garantiscono più il diritto alla salute. La Liguria del presente, turisticamente, è tornata all’anno zero. Meglio andare al mare al Sud, magari a Capri (dove sono andato per anni con grande piacere) e lasciare ai liguri lo sfascio che loro stessi hanno creato. Toti va archiviato e processato almeno politicamente non solo per eventuali illeciti , ma per il modo grigio, anzi opaco, di condurre la Regione da parte di uno che riteneva, poverello, Novi Ligure in Liguria e non in Piemonte.
A Venezia verrà celebrato il film televisivo in 7 puntate tratto dal romanzo di Antonio Scurati “M. Il figlio del secolo” seguito da altri due tomi. Non avevano altro di meglio da portare a Venezia? Scurati non è uno storico, ma un attivista politico. Cosa ne pensa? Vittorio Fedeli
E’ un cantante che non mi entusiasma, ma il divieto del sindaco di Nichelino al concerto di Povia è sconcertante. Luisa Miale
